Una nuova battaglia

Nota della redazione: don Armando questa battaglia l’ha affrontata., qui leggiamo i suoi scritti antecedenti l’intervento. Raccomandiamo a lettori e amici di continuare a sostenerlo con la preghiera!

Gli americani hanno voluto ricordare l’avvenimento che diede una svolta decisiva nella guerra degli alleati contro il 3° Reich, cioè lo sbarco in Normandia con un film grandioso che è stato intitolato “Il giorno più lungo” A ragione fu dato questo titolo perché nelle 24 ore dello stesso sbarco, si svolse un dramma bellico ed umano così intenso e di così grande portata da sembrar che il tempo normale non lo potesse contenere.

La notte che si è conclusa con il suono della sveglia alle 5,30, come ogni giorno, è stata per me la notte più tormentata e certamente la più lunga della mia vita.

Ieri sera il medico ha letto il dischetto della Tac che ho subito qualche giorno fa mostrandomi che “la bestia” come l’ha chiamata il servita padre David Maria Turoldo, che io mi ero illuso d’aver sconfitto mediante la chemioterapia, non era stata uccisa definitivamente, si era soltanto ritirata in un posto del mio organismo strategicamente più difficile da combattere e più nevralgico per la mia esistenza.

Mi sono accorto nella veglia notturna agitata ed insonne, che le mie difese psicologiche ed ascetiche erano ben più fragili di quanto non immaginassi, tanto che la notizia ha riportato in prima linea le tematiche fondamentali della vita, del presente e del dopo.

Le risposte teoriche racimolate con tante letture e tante meditazioni sono risultate sì importanti ma fragili a livello esistenziale.

Ora comincia una nuova battaglia che fatalmente devo affidare a soldati di ventura quali sono i medici, io starò a vedere e semmai a rafforzare il fronte interno con la preghiera e l’abbandono nel Signore pur avvertendo, ma questo dovevo saperlo da sempre, che se anche vincessi un’altra battaglia la guerra per me e per tutti è perduta!

La rivoluzione della solidarietà per costruire il mondo nuovo!

Fin da bambino ho sentito parlare di frequente di rivoluzioni che avrebbero finalmente sistemato il mondo in maniera definitiva e giusta.

I primi ricordi risalgono alla mia infanzia di balilla, allora si parlava della rivoluzione fascista. Più grandicello mi ha investito la rivoluzione franchista e quella opposta, la repubblicana, poi presi coscienza della rivoluzione per antonomasia, quella dei soviet, la rivoluzione d’ottobre che sembrava proprio dovesse espandersi nel mondo intero. Dopo di allora ho cessato perfino di prendere nota del nome delle rivoluzioni, da Mao a Peron, da Ataturk ad Hitler ……….di rivoluzioni ne sono avvenute per tutti i gusti!

Fortunatamente per me e per l’umanità esse sono tutte miseramente fallite e tanto esse sono state più grandi e più estese, tanto più grande è stato il tonfo del cumulo infinito di rovine provocate da esse. In tutta questa porzione di secolo XIX° e XX°, l’unica che è rimasta in piedi è stata la rivoluzione di Cristo, quasi sempre incruenta, pagata col sacrificio dei suoi adepti piuttosto di quello dei suoi avversari, come avviene sempre, non troppo rumorosa e poco appariscente , essa accompagna ed irradia la vita del singolo e della società aiutandola a sognare e a vedere un mondo nuovo ed una vita più solidale.

In questo ultimo scorcio di tempo, a dire il vero, sono sempre più interessato a quell’aspetto particolare di questa grande rivoluzione pacata, incruenta e gentile che comunemente è chiamata solidarietà. Credo sempre di più che nella misura in cui si educheranno le coscienze a condividere, ed essere solidali, a pensare che solo aiutandosi si trovano soluzioni e pace, si realizzerà in maniera quasi impercettibile, ma vera, il mondo nuovo.

Sto ritornando bambino quando sognavo percorrendo il rettilineo sull’argine del Piave che da Eraclea porta a San Donà, spingendo i pedali per raggiungere il punto dell’orizzonte in cui il cielo e la strada si congiungevano.

Ora so che potrei pedalare anche per un millennio senza raggiungerlo, ma so ancora che questo sogno m’aiuta ad andare avanti!

Quando arriva il tempo di decidere…

L’ultimo mestiere che io avrei potuto fare è il diplomatico. Credo che il diplomatico debba osservare, tacere, dire senza dire, arrotondare gli spigoli delle parole e delle argomentazioni, sorridere, inchinarsi, chiudere in cassaforte le sue intenzioni, le sue reazioni, i suoi convincimenti, attendere, far buon viso a cattivo gioco, trastullarsi nei salotti parlando di mille facezie lasciando fuori dalle dimore dorate i problemi veri, le sofferenze e le attese della gente.

In questo ultimo tempo, di fronte a qualche difficoltà, che avevo tentato di risolvere con qualche cambiamento marginale, c’è stata una reazione imprevista come se io mi trastullassi con dei cambiamenti capricciosi e poco motivati.

Siccome ci tenevo quanto mai, che con le realtà che mi sono vicine, vi fossero rapporti non solo cordiali, ma anche amichevoli e collaborativi, ho tentato con tutte le mie forze di pazientare, di dimostrare che non volevo danneggiare alcuno, ma nel contempo risolvere qualche problema interno che gli altri non potevano conoscere nè avere elementi per redimere. Poi forse per la mia assoluta mancanza di risorse diplomatiche, ho dovuto dire con franchezza “Qui il capo sono io e solo io ho la facoltà di decidere, piaccia o non piaccia!”

Mi è costato ma l’ho dovuto dire! Le mie gatte me le pelo io!

Non ho la pretesa di essere né il migliore, né il più saggio e neppure ho l’arroganza d’essere l’unico a saper fare il mio mestiere. Sono disposto a mettermi da parte al più piccolo cenno e in qualsiasi momento e di lasciare la barra ad un altro capitano, ma finchè rimango al posto di comando le decisioni le prendo io, assumendomene ogni responsabilità. Così ho sempre fatto e così continuerò a fare piaccia o non piaccia.

Io non ho stima alcuna di chi rimane in balia dei consigli e non ascolta la sua coscienza.

Con la concorrenza migliora anche il trasporto dei defunti

Fino a l’altro ieri gestiva il trasporto dei defunti una impresa, che aveva subappaltato dalla Vesta, suddetto servizio. Normalmente l’impresa era definita municipalizzata in quanto il Comune solamente aveva la prerogativa di poter occuparsi del trasporto dei defunti.

Non ho mai capito bene come andassero le cose. Molto probabilmente ci guadagnava la Veritas senza sporcarsi le mani avendo il solo merito di procedere al subappalto, ci guadagnava di certo chi in realtà faceva il servizio e più ancora di certo ci perdeva il Comune dovendo ogni anno ripianare un bilancio malconcio e scriteriato con somme rilevanti.

Arrivò una legge che abolì la privativa del Comune essendo ormai lampanti che i comuni non sanno gestire, sono sempre in perdita e fanno malissimo ogni cosa a cui mettono mano. Nonostante questa legge si andò avanti per anni con una tiritera di rinnovi dell’appalto, finalmente anche l’ultimo anello della catena è fallito!

Ora ogni singola impresa si arrangia per conto proprio, come avrebbe dovuto avvenire fin dal principio se una certa sinistra non fosse infatuata per una gestione pubblica che sempre e in tutti i campi è onerosa e scalcinata.

Da un po’ di tempo a questa parte sto accorgendomi che il regime di concorrenza affina il servizio: necrofori con divisa, ingaggiati e corretti, senza problemi per sollevare il cofano come invece avveniva un tempo.

Ora poi si è arrivati a delle “liturgie” specifiche che riescono perfino a sorprendermi, quelli di una agenzia rimangono impietriti sull’attenti accanto al feretro finché non esce il prete per la messa, quelli della Caritas hanno aggiunto il segno di croce contemporaneo prima di lasciare il feretro per la funzione.

Tutto questo diventa il segno della validità del libero mercato e l’ulteriore condanna del collettivismo dell’utopia marxista!
E’ poco, ma meglio di niente?

La politica non è un tema da evitare

Mio fratello don Roberto, che ancora una volta sento il bisogno di affermare, essere un prete veramente capace ed un parroco quanto mai valido, ha scritto sul suo settimanale che non desidera che gli aspiranti amministratori del Comune e della Regione si facciano conoscere in parrocchia in occasione delle elezioni e perciò li dispensa anzi li invita a non bussare alla porta della parrocchia. Con tutto l’affetto e il rispetto che nutro per mio fratello parroco, la penso in maniera diametralmente opposta.

Sono convinto infatti che la politica sia in se stessa una cosa nobile e degna, offrirsi e lavorare per il bene comune è un ottimo impegno, confrontarsi su progetti e sui programmi mi pare non solamente giusto ma anche doveroso. Se poi qualcuno obietta che ci sono persone che si servono della politica per fare i loro interessi privati, che ci sono persone ambiziose, persone assolutamente partigiane, persone per nulla preoccupate del bene comune, ma solo interessate alla poltrona, non ho nessunissima difficoltà ad ammetterlo. A questo mondo è sempre stato che ci sono persone ignoranti, furbe, disoneste, montate, superficiali, incapaci di riconoscere i propri limiti, ma ciò non avviene solamente negli aspiranti amministratori pubblici e nei politici, ma anche tra i preti, i magistrati, gli avvocati e via di seguito.
Questi sono i limiti della nostra umanità perciò non credo che si debba pretendere dagli altri ciò che noi non riusciamo a fare.

E’ vero che mi pare che in questo nostro particolare frangente la classe politica appare molto scadente, corrotta, carrieristica, litigiosa e faziosa, quella che poi si dice di ispirazione cristiana mi pare alla deriva e che non sia per nulla riscattata dalla batosta di tangentopoli, ma è altrettanto vero che quella laica di destra e di sinistra vada meglio, anzi!

Sono d’accordo col Papa che auspica una classe politica di giovani cristiani più ricca di valori e di ideali e meno compromessa.

Ho raccontato i miei sogni a un ministro…

Scrivo questa pagina di diario in un ritaglio di tempo, nell’attesa di presentarmi all’appuntamento fattomi fissare dal ministro Brunetta, che si dichiara idoneo di essere capace, non solamente di salvare l’Italia, ma anche la vecchia Repubblica di Venezia che sta ormai da secoli seguendo un declino che pare inarrestabile di decadenza, sotto ogni punto di vista.

Non capita ogni giorno di parlare con un ministro della Repubblica, a me è capitato di incontrare il professore Brunetta l’ultima volta dieci anni fa, ma allora era solamente un aspirante sindaco di Venezia, docente universitario e socialista dichiarato.

Allora sul suggerimento, di non so chi, mi chiese di accettare di fare l’assessore alla sicurezza sociale, non potei accettare ma poi non ci fu neanche bisogno di una rinuncia formale perché Brunetta fu battuto alle elezioni.

In questi dieci anni la mia vita sociale mi pare non abbia avuto grossi contraccolpi, anzi, anche grazie al mio povero impegno, siamo riusciti ad offrire alla città altri duecentocinquanta alloggi per anziani poveri.

Non ho fatto fallimenti, non ho debiti, non sono nati scandali nella gestione del don Vecchi, non ho amministratori iscritti nel libro degli indagati, spero di avere le carte in regola per chiedere a Brunetta di inserire nella parte sociale del suo programma due progetti assolutamente innovativi e soprattutto umanamente ed economicamente validi:

1) Una trentina di alloggi per anziani con autosufficienza precaria. E’ mia intenzione di poter offrire ad un anziano al limite o forse un po’ oltre l’autosufficienza un alloggio in cui vivere come un vecchio padrone di casa di un tempo e di far sì che il costo di tale vita non sia maggiore di quanto non costerebbe la vita con la sua famiglia se ciò fosse possibile.

2) La creazione di una cittadella della solidarietà, una specie di “Nomadelfia” in cui, in uno spazio ristretto e razionale, chi è in difficoltà trovi risposta ad ognuno dei suoi bisogni.

In questo discorso, che ora solamente accenno, penso che avrò bisogno di tutte le pagine del diario del 2010-2011-2012, se avrò la possibilità di scrivere queste pagine!

Villa Salus, un esempio da seguire

Nota della redazione: questa riflessione risale come sempre ad alcune settimane fa e si riferisce agli esami che hanno poi condotto al recente intervento.

Stamattina sono stato a Villa Salus per un prelievo di sangue, necessario per una TAC che devo subire fra qualche giorno.
Sono stato letteralmente stupito ed ammirato per l’efficienza, l’ordine, la pulizia, la cortesia e la comprensione di chi non sa come muoversi nel mondo della sanità che in questi ultimi anni si è terribilmente complicato.

Villa Salus la frequento, anche se saltuariamente, per i miei doveri pastorali, da cinquant’anni, ma normalmente avevo sempre visitato gli ammalati nei reparti, e non ero mai sceso nell’interrato e negli ambulatori.

Questa mattina ho fatto la scoperta di questo mondo sconosciuto, già di primo mattino uno stuolo di medici, infermiere e tecnici si muovono con estrema coordinazione ed efficienza, silenziosi, rapidi e cortesi, ed un popolo ancora infinitamente più numeroso di pazienti attendevano il loro turno senza tempi morti, attese assurde e smarrimenti burocratici.

In questo mondo dell’utopia si muovono quasi senza toccar terra una ventina di suorette piuttosto anziane ma consapevoli del loro ruolo e capaci di dare anima e vitalità ad un mondo tanto complesso e sofisticato.

In un quarto d’ora ho risolto il mio problema e ho ricevuto informazioni esatte sul luogo e l’ora del prossimo appuntamento.

Le Mantellate di Pistoia, o almeno quel che rimane di questo ordine religioso, probabilmente senza tante lauree e nonostante l’età avanzata reggono una realtà così complessa e la fanno funzionare pagando infermieri e medici, non creando passività in bilancio e riuscendo ad acquisire macchinari all’avanguardia. Mi verrebbe quasi da suggerire che i managers ospedalieri che sono stati fin quì scelti dagli amministratori per meriti di partito, si debbano invece inviare in convento per fare un paio di anni di noviziato!

Per bonificare l’Italia servono moralità, ideali, valori, vita ordinata oltre che clientele elettorali!

Canzoni e rivoluzioni

Dovrebbe essere evidente e logico che un prete, ed un prete della mia età, sia poco interessato al festival della canzone di San Remo. Io infatti non lo sono!
Quest’anno però è capitato che proprio nei giorni in cui si è tenuto il festival, io fossi costretto e letto per un attacco influenzale.

Sono rimasto a letto tentando di far passare alla meglio le giornate che, non potendo occuparmi delle cose di cui sono solito occuparmi, non passavano mai.
Confesso che ho fatto qualche breve e saltuaria incursione televisiva perfino sul festival.

Di solito la televisione l’adopero come sonnifero, perché per me è il farmaco più efficace per aiutarmi a dormire, ma lo scenario del festival, che la stampa ha definito come meraviglioso, a me è parso d’incubo, motivo per cui non sono in grado di esprimere alcun giudizio su quell’evento fatuo ed effimero rappresentato da questa chermesse canora.

La domenica seguente però ho seguito la rubrica “Arena” da cui ho appreso il “dramma” o meglio la “farsa” della ribellione del pubblico, dei critici e dell’orchestra che si sono ribellati al giudizio del popolo italiano che ha scelto “Io amo L’Italia” piuttosto di quell’altra proposta alternativa che non conosco. Premetto che credo che Pupo, il principe e il tenore siano stati furbetti nel scegliere una canzone sentimentale, di effetto, che tocca le corde del cuore dell’Italia degli italiani piuttosto di quella fasulla distorta ed artificiosa del popolo dei drogati, delle discoteche e della trasgressione.

“I detentori della verità” però si sono ribellati ancora una volta al responso del “popolo bue” rifiutando con sdegno inconsulto il pensiero di chi lavora, ragiona, ha buon senso e non ne può più di quel popolo di sfaccendati, e di sperperoni. Ancor una volta capita quello che avviene in politica, che è l’altra faccia della stessa medaglia; tutti sono decisamente di sinistra, perseguono utopie impossibili, ma poi nel segreto della cabina votano Berlusconi, che certamente non è un santo, e non fa quindi miracoli, ma almeno tenta di tenere i piedi per terra.

Di nuovo padre e pastore di una “vera” comunità, grazie Signore!

Quando il 2 ottobre del 2005 sono uscito, nel tardo pomeriggio, dalla chiesa di Carpenedo gremita di fedeli, mi è sembrato di essere un povero diseredato, solo, senza patria e senza famiglia. Mi sono ritrovato tra le mura bianche e solitarie della mia nuova e piccola dimora di meno di 50 mq. con solamente qualche libro, qualche quadro e qualche relitto del mobilio che per tanti anni ha reso calda la mia grande casa di inizio ottocento che da due secoli s’appoggia alla chiesa ed ha ospitato i parroci di Carpenedo.
Ero inoltre lucidamente consapevole che dovevo recidere il più possibile tutti i rapporti con “la sposa” che ormai non era più mia.

Questa separazione è stata molto dura e la sensazione della rottura ideale con la mia gente non è durata qualche giorno o qualche mese, ma ha continuato a farsi sentire per anni.

La nuova piccola comunità che si raccoglieva ogni settimana nella piccola cappella del cimitero era così striminzita che non riusciva a riscaldare il mio cuore abituato alla folla che sette volte ogni domenica riempiva la mia vecchia parrocchia.

D’estate, quando faceva bello, la gente, dispersa tra le tombe, mi riempiva maggiormente l’animo e mi rincuorava, ma poi con le prime brezze autunnali il rimpianto e la nostalgia avevano ancora una volta il sopravvento.

Ora finalmente mi sento padre e pastore di una vera comunità, la chiesa gremita in un ambiente caldo di fraternità, i volti ormai noti e cari, la partecipazione attenta e devota, lo scambio di saluti cordiali mi fanno sentire di poter dare volto e parola al Maestro e le parole e le preghiere sgorgano ora appassionate e fraterne. Ora posso dire d’avere una numerosa splendida comunità con cui camminare con passo lieto e constante verso il Regno. Ogni giorno ed in ogni occasione, ringrazio il Signore di questo grande ed inestimabile dono!

Seminare un’utopia

Più di una volta ho confessato pubblicamente di essere un accanito collezionista di episodi esemplari, di iniziative benefiche, di strutture assistenziali e di testimonianze di uomini che credono nella solidarietà e si impegnano a servizio dei fratelli.

Nel contempo mi faccio scrupolo di far girare queste notizie in maniera tale da fare quello che posso e riesco per maturare una cultura ed una mentalità positiva nel mondo in cui vivo. Qualcuno può pensare che questa fatica sia spesa per la riuscita delle iniziative di cui mi sto occupando, in realtà, pur avendo perfetta coscienza del mio limite, ritengo giusto e doveroso seminare a piene mani perché la società maturi a questi valori positivi.

Ciò non dovrebbe apparire così strano perché sono discepolo di quel Maestro che ha raccontato la parabola del seminatore la cui conclusione è quella, che nonostante la gran parte della semente sia andata a finir male, almeno una piccola parte che ha incontrato il terreno propizio ha prodotto il trenta, il sessanta e perfino il novanta per cento.

In questi giorni nonostante il poco tempo di cui dispongo, ho dedicato ben due giorni ad una troupe televisiva giapponese che s’è impegnata a proporre l’iniziativa delle dimore protette per anziani al lontano impero del Sol Levante. Ogni utopia ha assoluta necessità di qualche “folle” che sogni e s’impegni per un futuro migliore, per l’avvento di un mondo solidale.

Mosè pur avendo speso l’intera vita per dare una patria al suo popolo, non ebbe la fortuna di entrare nella Terra Promessa, ma senza la sua fede e la sua tenacia forse neanche la sua gente vi sarebbe mai entrata.

Ora almeno posso sognare dei vecchietti con gli occhi a mandorla vivere la loro vecchiaia in un don Vecchi di Tokio o di Nanchino!

Le strade moderne della provvidenza

Talvolta mi è capitato di lasciarmi scappare qualche cenno di preoccupazione per i due milioni di euro che debbo reperire per finanziare la costruzione della nuova struttura protetta per anziani autosufficienti da costruire in quel di Campalto.
A chi posso confidare le mie preoccupazioni se non al mio diario?
Cosa che ho fatto trapelare tra le mie riflessioni che spaziano tra il sacro e il profano.

Talvolta mi viene da credere che i miei pensieri siano dispersi dal vento gelido di questi mesi d’inverno, invece no, spesso sono raccolti con affetto da qualcuno e talvolta c’è perfino chi sente il bisogno di dire una parola di consolazione a questo vecchio prete che si carica di fardelli forse troppo pesanti per le sue spalle.

Qualche giorno fa m’è giunta questa e-mail: “Caro don Armando, riguardo le sue preoccupazioni per il denaro occorrente a costruire il Centro don Vecchi 4 le invio un aneddoto della vita di don Bosco che stava costruendo la grande chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino, tratto dalla sua biografia.

Intanto, per l’acquisto del campo e del legname per le recinzioni si erano spese 4.000 lire; l’economo don Savio, rimasto senza soldi, consigliava di aspettare, ma don Bosco gli replicò: “Comincia a fare gli scavi; quando mai abbiamo cominciato un’opera avendo già i denari pronti?
I lavori, affidati all’impresa del capomastro Carlo Buzzetti, iniziarono nell’autunno del 1863. terminati gli scavi, nell’aprile del 1864, don Bosco disse a Buzzetti: “Ti voglio dare subito un acconto per i grandi lavori”.
Così dicendo tirò fuori il borsellino, l’aprì e versò nelle mani di Buzzetti quanto conteneva: otto soldi, nemmeno mezza lira.
“Sta tranquillo la Madonna penserà a provvedere il denaro necessario per la sua chiesa”.

Ringrazio vivamente il mio interlocutore per l’incoraggiamento, ma vorrei ricordagli che io non ho la statura e la santità di don Bosco.

Certamente il santo della gioventù era un cliente privilegiato della Divina Provvidenza e perciò penso che la sua linea di credito sia stata ben più consistente del fido ch’essa voglia concedere ad un cliente molto meno affidabile quale io sono. Comunque ho l’impressione che la Provvidenza abbia scelto avvalersi per darmi una mano o della Banca Prossima che mi chiede lo 0,60%, o del Monte dei Paschi di Siena disposto a darmi i due milioni con l’interesse attivo dell’1%!
Mi pare che sia già un buon trattamento!

Le tre foto

Io non ho mai posseduto una macchina fotografica, né sono più di tanto amante delle fotografie. C’è sempre però, specie in certe occasioni, chi ama fissare le immagini mediante la fotografia.

Ora, che con l’avvento del digitale non serve più neppure andare dal fotografo per lo sviluppo della negativa, c’è chi fotografa a profusione e spesso regala all’interessato le foto, se non altro per dimostrare la sua perizia. A motivo di tutto questo anch’io posseggo alcuni album di foto riguardanti le varie stagioni della mia vita.

I miei ricordi personali giacciono però pacifici in uno scaffale, sono rarissime le occasioni che abbia il tempo e la voglia di lasciarmi risucchiare nel passato, anche perché un’onda di rimpianti e di nostalgia, finisce per turbare la mia pace interiore sempre tanto precaria.

Ci sono però tre foto, che mi capitano spesso sotto gli occhi e mi costringono a confronti non sempre piacevoli.

Qualche settimana fa, dovendo attaccare sulla tessera dell’ordine dei giornalisti il bollino del 2010, sono stato attratto dalla mia foto di allora. Questa foto risale al 1971, data in cui sono stato costretto ad iscrivermi all’ordine dei giornalisti per dirigere il mensile parrocchiale “Carpinetum”, ben 39 anni fa! A quel tempo avevo 42 anni.

E’ una bella foto, tanto che mi pare quasi impossibile aver avuto un aspetto così armonioso e determinato.

La seconda foto in cui mi rivedo di frequente è quella di questo diario, un volto più dimesso, tutto raccolto in se stesso, quasi rassegnato a portare un compito pesante; essa risale a sette o otto anni fa e porta le tracce del passaggio di una trentina di anni sopra l’armonia e la determinazione di un tempo ormai lontano.

L’occasione invece quotidiana per controllare le mie sembianze è il momento in cui mi taglio la barba di primo mattino. Lo specchio scatta di continuo i suoi flash. Un volto desolante, rughe protuberanze, stanchezza e rassegnazione!

Il tempo che passa lascia detriti in ogni dove, quelli però del volto sono i più appariscenti.

Giovanissimo prete raccolsi la confidenza di una signora cinquantenne che mi disse che ogni volta che si guardava allo specchio le scendevano due lacrimoni.

A me capita invece di dirmi ogni mattina: “Forza, Armando, con un po’ di buona volontà ce la farai certamente ad arrivare fino a sera!”

E’ già da un pezzo che ogni giorno guardando il volto devastato dalla vecchiaia mi faccio questo discorso, però ora capisco anche quella signora delle lacrime!

Il successo de L’Incontro è una grande responsabilità

Mi pare che sia normale e comprensibile che ci siano molte più persone che conoscono me che quelle che io conosco.

Quando parlo dall’altare la domenica più di 250 persone hanno ben in vista la mia zazzera bianca e sentono la mia voce roca, mentre di fronte a me sta una folla indistinta di gente delle quali neppure cerco di distinguere il volto per non perdere il filo del discorso. Io poi molto spesso tengo, sempre per la stessa ragione, gli occhi socchiusi perciò ben difficilmente memorizzo i volti. Ora poi che a motivo dei “bond paradiso” se ne sono occupati i giornali e la televisione delle mie avventure, mi sento salutare per nome in ogni luogo in cui mi rechi.

Qualche giorno fa stavo portando in ospedale una grossa borsa di copie dell’Incontro, quando una signora di mezza età, accompagnata dal marito, vedendo spuntare dalla borsa la facciata del periodico, mi chiese di dargliene una copia. Nel ringraziarmi ebbe modo di dirmi: “Lo leggo ogni settimana con interesse, lo legge pure mia madre ed anche mio figlio!”

Sono stato particolarmente felice di questo indice di gradimento senza dover pagare aziende di indagine demoscopica. D’altronde io ho modo di constatare l’andamento de “L’incontro” dagli espositori della mia “parrocchietta tra i cipressi” e ho modo di vedere che per quante copie ne porti, a mezzogiorno della domenica non se ne trovano più.

Sono tanto contento di poter parlare ogni settimana a migliaia di persone di ogni età; credo che siano pochi i preti, anche delle più grosse parrocchie ad avere una massa così numerosa di ascoltatori, ma sento però anche la grave responsabilità di parlare ogni settimana a tanta gente, pur aspettando a giorni gli 81 anni!

Ho dato le dimissioni dalla mia parrocchia di seimila abitanti per il timore di non essere più all’altezza di aiutare tanta gente a trovare la strada buona per il Cielo, e me ne trovo ora praticamente almeno tre volte tanta!

Papa Giovanni una volta che l’ho incontrato in Vaticano, mi confidò che da quando la sua diocesi era diventata grande come il mondo, aveva sentito il bisogno di dire tutte tre le parti del rosario, i misteri gloriosi, dolorosi e gaudiosi.

Penso che dovrò pure io aumentare la preghiera per le persone che mi leggono e mi ascoltano!

I tre moschettieri di Carpenedo

Qualche giorno fa ho incontrato sul ballatoio dell’ospedale dell’Angelo che si affaccia sulla “foresta tropicale” uno dei tre moschettieri della vecchia parrocchia che ho lasciato cinque anni fa.

In questi cinque anni siamo diventati tutti e tre vecchi e con le spade quasi del tutto spuntate.

Tutti e tre ora più che ottantenni, ma nel recente passato, tutti e tre impegnati in parrocchia.

Teresino con la radio, Renato con la polisportiva ed io con la chiesa.

Assieme abbiamo passato in maniera vivace e garibaldina i sessanta, i settanta anni, ma sulla soglia degli ottanta sono cominciati i guai per tutti e tre.

Teresino ha perso “il lavoro” e la grinta della Radio e a perdere qualche colpo nel suo solito buon umore a causa di qualche acciacco. Renato poi che era il più scattante, scanzonato e polivalente l’ha avuta peggio di tutti con una caduta che l’ha immobilizzato in carrozzella, ed io, che perdo colpi nella memoria, costretto ad occuparmi di morti e di vecchi!

Come passa presto la giovinezza, ma pure maturità e vecchiaia!

Renato, il vecchio generale in pensione, mi disse che si trovava in ospedale per cambiare una macchinetta che gli avevano inserita nel petto e che era arrugginita come lui, non aveva però perso il buon umore e il gusto della battuta. Renato sta combattendo ora la sua battaglia con tanto coraggio ed infinita saggezza, tante volte vedendolo in questo stato mi è di stimolo a non mollare e a spendere bene il tempo e le forze residue.

L’ultima stagione, che prima d’ora non avevo preso in considerazione non è meno difficile delle altre, ma pure sono convinto che se affrontata con pacatezza e pazienza cogliendo ancora ciò che in essa c’è di bello, piuttosto che crucciarsi di quello che non è più possibile, essa offra ancora motivi per lodare e ringraziare il Signore!

Effimeri profeti del nostro tempo

Non so spiegarmene il motivo, ma mi capita di constatare che talvolta s’affacciano alla ribalta dell’opinione pubblica certi personaggi, tengono banco per qualche tempo e sembra che si stiano affermando tanto d’avere un domani e poi alla chetichella scompaiono quasi dimenticati da tutti.

In quest’ultimo tempo ho osservato la parabola ascendente e poi quella discendente di due personaggi per qualche aspetto simili e per qualche altro diversi.

Lo scorso anno s’è affacciato all’opinione pubblica del nostro paese Beppe Grillo, un furbastro, un tribuno senza scrupoli e senza morale più ricco di volgarità gratuita che di intelligenza.

Beppe Grillo insultando a destra e a manca, urlando parolacce ed accuse vere o presunte riusciva a spillare soldi a cappellate e a radunare nelle piazze d’Italia folle di allocchi, illusi che questo “redentore” a buon mercato potesse scuotere la sedia dei potenti e salvare il Paese. Il grillo parlante, però senza la saggezza del grillo di Pinocchio, ha tentato perfino di fondare il partito delle parolacce, poi quasi per incanto pare scomparso dalla scena.

Quasi contemporaneamente è salito al cielo l’astro Giuliano Ferrara, polemista acuto ed appassionato, non credente ma folgorato dalle parole di Papa Benedetto, antiabortista viscerale, che con il suo “Foglio” lancia fendenti con la spada affilata della sua intelligenza. Per qualcuno sembrò diventare il “defensor fidei” per eccellenza, alleato alle tesi delle gerarchie ecclesiastiche, anche lui parve affacciarsi all’agone politico, ma alle prime elezioni è rimasto con le pive nel sacco. Ora la sua facciona barbuta è scomparsa dallo schermo e non se ne parla più nè tra gli amici nè tra i nemici.

Pensando a questi due “profeti” così effimeri mi sono ricordato di due vecchie sentenze di matrice religioso: “Sic transit gloria mundi!” e l’altra più specificamente biblica: “Benedetto chi confida nel Signore, infelice ed illuso chi s’affida totalmente all’uomo!”

Una volta ancora sono costretto a tener di conto della saggezza della storia. Sto guardando da questa angolatura anche gli altri protagonisti del nostro tempo.