Alla mia amata Chiesa di Venezia

Don Primo Mazzolari, il prete che Papa Giovanni riabilitò agli occhi dei vescovi e dei cattolici italiani da un diffuso sospetto di disobbedienza, apostrofandolo con quella frase diventata ormai conosciuta: “Ecco la tomba di Dio nella chiesa della bassa padana!”.

Don Mazzolari scrisse un libro, noto anche questo specie tra i preti e i cristiani cultori della libertà di coscienza “Anch’io amo il Papa!”

Credo che don Mazzolari abbia sentito il bisogno di riaffermare la sua fedeltà e il suo amore al Sommo Pontefice, perché non appena un prete esprime un qualche dissenso su ciò che è opinabile, nell’insegnamento e nella prassi della chiesa, per molti codini ed imbelli questo purtroppo suona subito come eresia e ribellione tanto da esporli alla critica aspra e alla denuncia facile.

A me è capitato per caso un incidente del genere quando scrissi che il costo delle vacanze del Papa mi pareva proprio eccessivo. Questo però è stato solamente un incidente non voluto, causato forse dalla mia inesperienza nel contribuire alla purificazione della vita della chiesa, senza conoscere le forme e i modi più idonei, senza dar adito alla cattiveria dei denigratori preconcetti.

Credo però che invece anch’io dovrei scrivere qualcosa per professare apertamente l’amore non solamente alla chiesa di Dio, ma in particolare alla chiesa di San Marco, alla chiesa veneziana. A questa chiesa ho dedicato tutta la mia lunga vita, con passione, con impegno, senza risparmio di tempo e di forze.

Ho lavorato, eccome, ove il Patriarca mi ha posto. Mi sono impegnato fino allo spasimo perché ho sempre creduto ed ho sempre amato questa realtà; mai tentato di scambiarla con qualsiasi partito o qualsiasi altra causa e nonostante l’età sto continuando a farlo e ho intenzione di farlo fino alla fine.

Però quanta delusione, quanta pena di fronte al grigiore all’inerzia, al carrierismo di bassa lega, alla mancanza di passione e di entusiasmo, al quieto vivere assai diffuso, al formalismo imperante, alla mancanza di ricerca, alla carenza di coraggio di uscire allo scoperto, di vivere in attacco piuttosto che in difesa e di un costante arretramento su linee più tranquille.

Ho criticato è vero, spesso ho dissentito, però lasciatemi dire, con legittimo orgoglio, anch’io ho amato e continuo ad amare la mia chiesa.

Il prete ed il banchiere

La Fondazione Carpinetum che ho l’onore ma soprattutto l’onere di presiedere, si qualifica un po’ pomposamente, mentre in realtà è molto più modesta di quanto non appaia.

Quando la parrocchia di Carpenedo diede vita a questo ente, in pratica affidò la gestione dei Centri don Vecchi, ma si tenne la proprietà.

L’operatività della Fondazione è estremamente condizionata dal fatto di non aver beni immobili, la considerazione e la stima pubblica non fanno certamente male, ma quando entro in contatto con enti ed imprese di ordine finanziario, che sono quanto mai guardinghe ed hanno i piedi posati a terra, prima di arrischiare ci pensano mille volte e poi non arrischiano per quanto ti possono stimare e per quanto apprezzino l’impegno solidale che vai svolgendo.

Tempo fa mi sono incontrato con un funzionario di primo piano dell’antica Banca Senese “Il Monte dei Paschi” una delle più antiche e prestigiose banche del nostro Paese.
Questa banca ora controlla l’Antonveneta e non so chi altro.

La proposta fattaci per metterci a disposizione il denaro occorrente per il don Vecchi di Campalto, m’è parsa vantaggiosa tanto che la proporrò al Consiglio di Amministrazione.

Mentre questo signore mi illustrava l’operazione finanziaria che ci proponeva, non potei non ammirare la competenza, la lucidità del ragionamento, l’estrema disponibilità a trattare, a mettere a punto il rapporto, a valutare anche la nostra situazione per trovare la soluzione più idonea possibile. Confrontavo questo comportamento professionalmente eccellente e umanamente caldo e cordiale con la normale prassi della mia categoria.

Purtroppo il confronto non reggeva. Noi preti abbiamo un ottimo “prodotto” ma lo presentiamo nella maniera peggiore possibile e poi ci meravigliamo se non sfonda!

Un dibattito esemplare

Qualche sera fa ho seguito alla televisione un dibattito-confronto tra il candidato a governatore della Regione Veneto del Centro-sinistra dottor Giuseppe Bortolussi ed un gruppetto di “avversari” politici.

Raramente ho assistito ad un dibattito così civile, corretto, rispettoso perfino cordiale.

Normalmente, in casi del genere, si assiste a contrapposizioni demagogiche, rissose, polemiche a non finire e piene zeppe di “promesse” e di “accuse” appartenenti ad un repertorio fin troppo noto e fin troppo scontato.

L’altra sera le cose non sono andate così e credo che il merito sia stato appunto del nostro assessore alle politiche economiche dottor Bortolussi, sempre pronto a smussare gli angoli, a riconoscere le difficoltà e i meriti degli attuali amministratori, sempre documentato nelle sue argomentazioni e sempre puntuale a fare le necessarie comparazioni sia di carattere regionale che di carattere europeo, tanto da smontare sul nascere ogni inizio di rissa e di polemica.

I miei rapporti con l’assessore, che ha tentato di portare avanti il progetto di recuperare i generi alimentari in scadenza, sono stati marginali e perciò non posso dire di conoscere a fondo questo amministratore locale. I risultati di questo progetto sono assai modesti, ma debbo comunque riconoscergli la buona volontà ed un certo impegno. Dal dibattito mi sono fatto l’idea o che l’aspirante governatore è molto furbo o che finalmente si presenta agli elettori in una forma nuova, certamente più corretta e credibile.

Questa seconda ipotesi sarebbe già moltissimo! Io, una volta ancora scelgo la fiducia e mi farò premura di offrirgli un pizzico della mia esperienza per un aspetto particolare sulla politica regionale nei riguardi degli alloggi protetti per anziani.

Seminare una buona semente credo che sia sempre positivo, se non altro anche perché lo stesso Gesù la pensa in questo modo!

Bisognerebbe evitare di caricarsi delle pene del domani

Anche nostro Signore pare che apprezzi quanto mai la sapienza, infatti le dedicò un libro intero della Bibbia. Lo stesso Dio loda Salomone perché invece di chiedere lunga vita, vittoria sui nemici e ricchezza, chiede il dono della sapienza.

Qualche giorno fa meditando su un testo, senza tante pretese, ho incontrato un ragionamento quanto mai saggio in cui si argomentava sul modo e il tempo con cui affrontare i problemi cruciali della vita, che diceva pressappoco: ” Non caricarti oggi della sofferenza che presumi dover affrontare domani. Ogni giorno ha la sua pena, sopporta la pena dell’oggi che è sempre sopportabile ma non caricarti di quella presunta del domani perché tu non sei attrezzato a sopportarla e il buon Dio ti garantisce l’aiuto solamente per le difficoltà dell’oggi ma non per quelle del domani perché le varianti del domani nessuno le conosce”.

Infatti il Signore ci suggerisce di chiedere solamente il pane quotidiano, anche perché potrebbe darsi che l’indomani tu non abbia proprio più bisogno di quel pane!

Qualche giorno fa sono stato in gran pena per una telefonata di mio fratello che mi comunicava che il medico gli aveva diagnosticato un tumore ai polmoni.
Trovai un po’ di pace riflettendo su queste considerazioni provenienti dalla Sapienza.

A riprova di questo modo di agire, e di vivere, l’indomani lo stesso fratello mi comunicò, un po’ sollevato, che ad un’analisi più approfondita il guaio risultò solamente una broncopolmonite.

Lo sgomento e l’angoscia del giorno prima quindi erano inutili. Mi riprometto di riflettere e di impegnarmi maggiormente sulla stupidità del soffrire inutilmente di eventi futuri perché almeno quel tipo di sofferenza è inutile ed ingiustificata!

Il peso del comando

Quando mi capita di scoprire sui giornali o riviste qualche bel pezzo incisivo che mette a fuoco un problema, taglio il giornale per inserire o su “L’incontro” o sul mensile “Il sole sul nuovo mondo” questi pezzi, nella speranza che possano far riflettere i lettori, come fanno riflettere anche me. Spesso però non riesco più a reperirli nell’ormai vasto archivio di volumi che raccolgono lavoro e fatica di anni.

Ricordo di aver letto e messo via due pezzi veramente significativi sulla figura e il compito del “capo”. L’uno aveva un taglio piuttosto ironico in cui si smitizzava quel tipo di capi che finiscono per diventare dittatori e già da vivi si costruiscono, almeno a livello ideale, monumenti in pose eroiche come persone che sfidano il destino, conducono sicuri verso “il sole dell’avvenire” la gente loro sottomessa. A questo proposito il grande comico Chaplin ha dato volto a Hitler in un film che credo rimarrà un capolavoro nel mondo della cinematografia.

L’altro pezzo invece descriveva in maniera seria, o meglio ancora sapiente, i requisiti e le qualità che debbono guidare l’azione di chi ha responsabilità sociali.

Credo che una frase che il Cardinale Roncalli ripeteva di frequente ne traduca lo spirito: “Miles pro duce et dux pro victoria” Il dipendente deve seguire il capo e il capo deve impegnarsi per raggiungere il risultato positivo.

In questo ultimo tempo ci sono ritornato in maniera un po’ tormentata su questo argomento, dovendo prendere delle decisioni che credo doverose per il buon andamento delle realtà delle quali mi occupo, ma che so in partenza che non saranno capite, condivise e che susciteranno certamente reazioni e giudizi amari nei miei riguardi. Quanto sarebbe più facile lasciare che le cose vadano per il loro verso, nella speranza che si risolvano da sole, pur sapendo che non avverrà mai nulla di positivo!

Fare i capi, nel senso cristiano del servizio, è sempre stato difficile, farlo ora, in cui quasi nessuno lo fa in maniera disinteressata, è più difficile ancora, farlo da vecchi è pressoché impossibile, però finché uno detiene la responsabilità della guida credo che lo debba fare!

Io credo che stia ancora pagando il prezzo del comando di quando ero giovane parroco, ora temo di contrarre altri debiti nei riguardi della simpatia a buon mercato!

Sui cattolici in politica sono pieno di dubbi e perplessità

Io non ho più occasione di confrontarmi con i “confratelli” su temi che riguardano in generale la vita della nostra società ed in particolare su quelli che sono strettamente connessi con i problemi della nostra chiesa.

Un po’ è colpa mia perché mi lascio assorbire totalmente dal servizio pastorale di cui mi occupo, ed un po’ perché dalle rare circolari che mi raggiungono al don Vecchi, mi pare che gli argomenti sui quali è chiamato a discutere il nostro clero, sono per me di interesse molto marginale.

Fatta questa premessa, non so proprio come la pensano i preti della nostra diocesi sullo spazio e sulla capacità di incidere che hanno coloro che si qualificano come cattolici e che chiedono il nostro voto.
Personalmente annaspo tra dubbi, reazioni un po’ rabbiose e perplessità a non finire.

Finché si tratta di scegliere gli amministratori del nostro comune non mi preoccupo più di tanto.

Quando mi “capiteranno a tiro” Brunetta e Orsoni farò presente alcuni problemi di pertinenza comunale e che riguardano i poveri e i vecchi, dei quali mi interesso, e poi tirerò le mie conclusioni.

Ma per quanto riguarda la politica nazionale chiamata a decidere sui problemi di fondo, è tutt’altra cosa!

Ho letto in questi giorni che anche la Binetti, che mi pare non abbia mai nascosto le sue scelte di fede, se n’é andata dal PD. Prima di lei se n’è andato anche Rutelli, che qualche anno fa aveva condotto la campagna elettorale per diventare Presidente del Consiglio a nome di quel partito. Mi pare che anche altri cattolici impegnati in politica, più o meno noti, abbiano fatto fagotto e se ne siano andati per motivi di coerenza.

L’altro ieri ho visto alla televisione l’abbraccio tra Bersani e la Bonino, candidata alla Regione Lazio, regione in cui batte il cuore della chiesa cattolica, e mi sono domandato se sono proprio costoro i più adatti a rappresentare i miei ideali cristiani.

La Bonino la conosco fin troppo bene per il suo anticlericalismo radicale ed assoluto, di Bersani ho visto l’altra sera il suo più che abbondante curriculum di militante comunista. E’ vero che c’è sempre il contrappeso di Franceschini, e della Bindi, ma l’uno mi pare piuttosto isterico e l’altra zitella acida quanto mai!
Quindi rimango ancora con le mie perplessità!

Confesso però che sull’altra sponda le cose non mi appaiono tanto meglio.

“Tutto passa, tutto ritorna”, per fortuna

Ricordiamo che vista la quantità di scritti di don Armando questi pensieri risalgono ad alcune settimane fa e rinnoviamo la richiesta di preghiera per il nostro fratello che ieri ha affrontato un delicato intervento.

Nella vecchia casa della mia infanzia c’era appesa ad una parete una vecchia fotografia della mia mamma da giovane.

La ricordo con tanta nostalgia e tanto affetto perché era la foto di mia madre, e di mia madre nel fulgore della sua giovinezza. Un volto bello, capelli neri, una figura armoniosa, ma soprattutto quello che ricordo, e che fin dalla mia infanzia mi sorprendeva, era il suo cappellino che assomigliava a quello che portava la principessa Maria Josè, e soprattutto la cintura molto bassa del vestitino semplice e ordinato. Quando le dicevo: “Ma mamma perché quella cintura così bassa e quel cappellino?” (ora il cappellino non mi sorprenderebbe più di tanto perché mi pare sia tornato di moda) lei mi rispondeva sorridendo: “Si usava così, sapessi come le amiche mi invidiavano quel vestito; era alla moda!”

La moda si rifà ai cicli della storia affermati dal filosofo Vico: “Tutto passa, tutto ritorna”.

Qualche giorno fa leggendo San Paolo nel suo famoso discorso sul “corpo mistico di Cristo” che la comunità cristiana riproduce mediante i carismi diversi dei suoi membri, ho avuto l’impressione di questa legge dei cicli storici. Certe verità religiose pare passino “di moda”, per ripresentarsi qualche tempo dopo con formulazioni un po’ diverse, ma nella sostanza uguali.

Un tempo l’immagine o la realtà del “corpo mistico”, ossia del riprodurre la persona di Cristo da parte dei cristiani, qualcuno rappresentando l’occhio, la mano e il piede, mi affascinava. Poi parve che questa immagine si fosse dissolta nel nulla. Ora mi pare bello e rasserenante la ricomparsa dell’idea che ognuno abbia un suo compito specifico, però organicamente legato al tutto, parte integrante e necessaria perché Cristo possa operare e salvare nel nostro tempo. Anche la funzioni più umili vengono riabilitate, e nessuno, per quanto modesto, è cristiano ed operatore di salvezza di seconda categoria.

La riscoperta di questa vecchia immagine di S. Paolo, mi ha portato dolcezza quanto la vecchia foto della mamma con il cappellino alla Maria José e la cintura bassa del suo vestito!

Chiesetta del cimitero: di mio ci sono i santi e tanto amore!

La nuova chiesa del cimitero è nata non da una intuizione artistica di un architetto colto e amante del bello, ma dall’assemblaggio quasi occasionale di una ditta Moldava che produce prefabbricati a buon prezzo, da alcuni tecnici della Veritas che si occupano di loculi e di cinerari e da un’impresa artigiana dell’interland che si occupa di riscaldamento e che per l’occasione ha appaltato anche l’illuminazione e l’amplificazione sonora.

Io ho tentato, molto discretamente non avendo un ruolo istituzionale, di rabberciare le varie parti, mettendoci qualcosa che potesse raccordare il tutto e di fare di un “capannone” una “casa del Signore”

Fortunatamente la Divina Provvidenza, senza essere per nulla interpellata ci ha aggiunto il profumo del legno, il senso di un rifugio di montagna che dona la sensazione di intimità e crea un senso di famiglia, il tepore del riscaldamento a cui non eravamo abituati, l’impiantito di legno, che sembra un tappeto persiano e il buon gusto di suor Teresa che colloca i fiori con vera maestria hanno fatto il resto, tanto che i fedeli non cessano di complimentarsi per la “bellissima chiesa” che credono che io abbia costruito!

Di mio, ci sono i santi che ci accompagnano nella nostra ricerca di Dio e nella nostra lode al Signore. Li ho scelti con cura, sono i miei santi. In realtà avrei invitato anche don Mazzolari, don Milani, don Gnocchi e qualche altro amico del cielo, ma per ora non è ancora prudente farlo! Avevo già sistemato il tutto, se non che a motivo della luce si sono resi liberi altri due posti. Ci ho pensato un po’, poi senza esitazione ho invitato con piacere Papa Luciani, e con un po’ meno di entusiasmo, a motivo dell’età, anche Sant’Antonio. Sono contento che il nostro vecchio patriarca, che non ha avuto vita certamente facile e Venezia, ritorni e incontri un’accoglienza diversa, un luogo e della gente che gli vuol bene e ci dia una mano con il suo esempio ad amare la chiesa ed il prossimo.
Ora poi abbiamo l’acquasantiera offerta da Pedrocco, l’icona che saluta chi entra.

Mi auguro che un po’ alla volta la mia chiesa diventi la più amata della nostra città, il rifugio di chi soffre e cerca consolazione.

Che emozione -anche per un vecchio prete- riscoprire il dono prezioso che Dio ci vuole offrire!

Dà una sensazione particolare “scoprire” ciò che conosci già da una vita intera, una sensazione piena di fascino per ciò che si apre attorno a te e nello stesso tempo di stizza per non esserti accorto prima di quell’orizzonte, una sensazione di meraviglia e nello stesso tempo di rimpianto per aver perso tanto tempo e di non aver goduto della nuova prospettiva che ti mostra la vita e il domani da un’altra angolatura più razionale e migliore.

La terza domenica “per annum” ho provato questa strana sensazione, una realtà più complessa ed intensa di quanto non riesca ad esprimere con le parole del mio vocabolario piccolo e consunto.

Gesù nel brano del Vangelo che riporta le parole di Isaia descrive il progetto del Messia e che io, ai fedeli che gremivano la mia nuova chiesa che odora di legno e di familiarità, affermo che quel progetto di vita si realizza in Lui e per questo è venuto a questo mondo.

Quasi per un intuito interiore ho capito che il Maestro aveva come obiettivo principale, non tanto quello di insegnarci la strada per l’eternità, o offrirci un nuovo modo per ringraziare il Signore per la vita e per il creato, insegnandoci nuovi riti e nuove preghiere, ma era soprattutto impegnato a farci scoprire il modo per vivere una vita nuova e migliore, per questo si riproponeva per “annunciare la buona notizia ai poveri, la liberazione degli oppressi, la vista ai ciechi e la benevolenza e la tenerezza di Dio nei nostri riguardi”.

Sono rimasto letteralmente folgorato da questa, almeno per me, nuova lettura dell’annuncio evangelico.

Ne ho parlato con entusiasmo ed ebbrezza ai miei fedeli, quanto mai partecipi; ci sono ritornato la domenica successiva, tanto allietava il mio spirito questa nuova lettura del compito che Gesù intendeva ed intende ancora oggi svolgere, tanto che confessai come Sant’Agostino “Tardi Signore ti ho conosciuto, tardi ti ho amato!”

Da oggi in poi non mancherò di predicare ad ogni occasione che Cristo vuole aiutarci ad essere più felici, più liberi e a saper cogliere la vita come uno splendido dono, lasciando ad altri di occuparsi di qualcosa che in fondo al mio animo non mi aveva mai convinto completamente.

Un percorso spirituale nella chiesetta del cimitero che spero diventi abituale

Durante il Giubileo, ma credo che ci sia l’usanza di farlo anche dopo quella ricorrenza, per lucrare l’indulgenza si dovevano visitare le quattro Basiliche maggiori: San Pietro, San Paolo fuori le mura, Santa Maria Maggiore e San Giovanni Evangelista. Non mi è mai stata spiegata il perché di questa usanza e la clausola relativa per ottenere l’indulgenza, ma penso che la chiesa voglia far incontrare i fedeli con le colonne portanti della nostra fede, con i testimoni più importanti del cristianesimo.

I pellegrini in Terrasanta credo che abbiano pure un percorso di visita già segnato, la natività, il Santo Sepolcro, la Trasfigurazione, l’Ultima Cena. Mi pare inoltre che pure a Bologna ci sia la visita alle sette chiese.

Anch’io ho sognato che chi entra nella nuova chiesa del cimitero abbia un percorso spirituale ed ascetico da compiere e mi pare che ci sia già qualcuno, che pur non avendo ricevuto inviti o indicazioni, abbia cominciato a farlo. Entrando uno vede illuminato il Tabernacolo e il Cristo in croce, punto focale dell’incontro religioso.

Poi cominciando da destra si incontra la Madonna con accanto una preghiera che aiuta il visitatore a dare forma al suo incontro con la Madre, poi si passa a Padre Pio con l’invito alla preghiera e alla confessione del male che si annida nel cuore di ogni uomo, quindi Sant’Antonio, il Santo della carità e della confidenza con Dio, poi l’incontro con San Francesco, con accanto la preghiera che aiuta a scoprire il creato come dono bello di Dio, quindi Papa Luciani, il Santo di casa nostra, benevolo e familiare, il vecchio Patriarca della nostra terra e di noi veneti. Si passa poi a Papa Woityla, con il suo invito al coraggio e all’aprire il cuore a Cristo, infine l’incontro con Papa Giovanni, che ti mette il cuore in pace e ti fa sentire la paternità di Dio.

Spero proprio che i fedeli compiano per intero il pio pellegrinaggio, leggendo le preghiere-messaggio, magari accendendo un lumino per lasciare traccia ai fratelli che seguiranno della propria presenza e della propria fede.

Spero che un po’ alla volta il pio esercizio di questi incontri, diventi un tonificante religioso per tanti mestrini che ogni giorno entrano numerosi in cimitero.

Ma io, sarò ancora adeguato?

Io non credo per nulla ai sogni premonitori di eventi, nè mi convincono quei racconti di certuni che ti garantiscono con grande sicurezza di aver appreso nel sogno quello che poi è avvenuto realmente. Può essere che talvolta si realizzi in qualcosa di temuto e di sperato, ma questo fa parte di quel mondo delle ipotesi che sorreggono inutilmente i giocatori all’enalotto!

Mi capita invece ogni volta che sogno di domandarmi quale sia il motivo e spesso scopro la genesi del sogno; esso si rifà sempre ad un discorso, o ad un fatto, od uno stato d’animo provato precedentemente.

Ultimamente ho sognato più volte situazioni in cui mi era stato affidato un compito che non ero in grado di svolgere, non ero preparato, non ero all’altezza della situazione, tanto da sentirmi a disagio, a cercare inutilmente delle soluzioni onorevoli senza riuscire a trovarle.
In questi casi il risveglio lo vivo sempre come una liberazione da un incubo!

Allora più volte ho cercato di analizzare la genesi e la spiegazione di questo mio sognare imprese e compiti più grandi delle mie possibilità.

Come l’ebreo Daniele della Bibbia, mi sono dato la spiegazione dell’evento onirico che si ripete con immagini e situazioni diverse.

Gli ultimi anni da parroco li ho vissuti con l’angoscia di non essere più capace di interpretare e guidare il mondo nuovo. Mi sentivo spiazzato, superato dalla vita, tanto che ho insistito quanto mai per la pensione, non tanto per la fatica e la responsabilità; ma per la paura di non riuscire a dare risposte adeguate alle nuove problematiche pastorali.

Ora, ad ottant’anni, provo la paura di non aver più la capacità di rispondere alla fiducia che i fedeli mi offrono tanto generosamente.

L’avere alla domenica una chiesa gremita per l’Eucarestia mi fa felice, ma nello stesso tempo mi fa paura per il timore di deludere le giuste attese e di mortificare il messaggio cristiano che mi è stato affidato.

Spesso mi vengono in mente due belle figure, a questo proposito, quella di Reagan, che incalzato dal Parkinson, si accomiata dalla nazione e si rifugia nell’assoluto anonimato della vita privata e quella, meglio ancora, del vecchio Simeone che prega: “Ora Signore i miei occhi possono chiudersi in pace perché ho visto la mia salvezza!”

Mi rendo conto che per me soluzioni del genere sarebbero troppo esagerate, ma l’uscire di scena è un problema che continua a tormentarmi!

Speranze d’oltre oceano

Obama, il presidentino nero degli Stati Uniti d’America, mi aveva fatto sognare; la sua bella famigliola, la sua dialettica che ha trascinato le folle, il coraggio di combattere prima con quella volpe della Clinton, che sotto la sua dolcezza femminile, nasconde un carattere d’acciaio, disinvolta e decisa (m’è bastato vedere come ha trattato quel povero e sprovveduto Bertolaso, rappresentante di un paese alleato, ma povero), poi con quell’agguerrito ed astuto competitore repubblicano.

Obama ha vinto alla grande, facendo sognare i poveri, i negri e i lavoratori non solo d’America, ma di tutto il mondo. A me è parso di riscoprire il piccolo e valoroso Golia, dai capelli fulvi, che affronta il gigante confidando solamente dei suoi ideali, dell’aiuto del Signore e dei ciottoli del fiume lanciati con la sua fionda.
Per qualche mese mi è parso che ce l’avesse fatta!

Finalmente il mondo poteva sognare ancora! M’ero illuso che lo spirito di quei Kennedy che io avevo conosciuto solamente dal lato migliore avesse pervaso il cuore e la volontà del piccolo nero emerso dalla miseria e dalla discriminazione. M’ero illuso che lo zio Tom non avesse sofferto e faticato invano.

Ho condiviso la sua prima battaglia: assicurare ai poveri d’America le cure e le medicine. Noi italiani in questo campo siamo gli “americani” e gli americani per quanto riguarda la sanità sono ancora i vecchi italiani emigrati in America.

Un po’ la crisi mondiale, ma soprattutto le lobbies, il denaro, ha reso difficile e grama la vita di Obama.

Sto seguendo con trepidazione la sua tattica, i compromessi, le sortite, i ripiegamenti.

Povero Obama spero che non crolli perché non sarebbe sconfitto solamente un progressista e un sognatore, ma quel che è più grave potrebbe sembrare che le vittorie si ottengono non con gli ideali, ma solamente con il denaro!

Abbandonarsi alla paternità di Dio di fronte alle prove della vita

La telefonata di uno dei miei fratelli mi ha colpito al cuore come una fucilata: “Armando m’hanno trovato un tumore ai polmoni!”

Era evidente che egli sentisse il bisogno di scaricare su suo fratello maggiore l’angoscia mortale che gli era stata appena comunicata in occasione di una radiografia fatta per un motivo banale.

Non solo a casa mia, ma anche quando ero in parrocchia ed ora al don Vecchi, ho la sensazione che tutti mi ritengano un punto fermo, quasi un capo a cui si possa fare sempre riferimento.

Io non voglio scrollarmi di dosso questo compito, se il Signore ha voluto che rappresentassi questa sicurezza, ritengo doveroso portare il carico non solamente dei miei drammi ma anche quelli di chi mi sta vicino!

Questa notte mi sono rigirato per il letto, ed ho dormito poco e male. Per tanti anni ho portato nel mio cuore l’angoscia del tempo in cui sarebbero mancati mio padre e mia madre. Avevo paura di quel evento!

La notizia di mio fratello seppur sommaria, non definitiva e non provata nella sua gravità, mi ha sconvolto. Non mi sono preoccupato tanto neppure quando, molto tempo fa, avevano dato pure a me una notizia uguale. Non so se mio fratello sia più fragile, meno preparato ed in condizioni diverse di quanto non sia un prete quale sono io!

Stamattina, neanche a farlo apposta, mi è giunta la risposta e la medicina. Due genitori apprendono dal medico che la loro creaturina appena nata, forse non avrebbe mai potuto camminare e trovano conforto e coraggio nell’abbandonarsi alla paternità di Dio.
“Il Signore sa, il Signore aiuta, il Signore ci vuol bene.”

Ho trovato molto conforto e mi è nata più forte la speranza che tutto si risolva per il meglio come è avvenuto per quei due fratelli di fede nei riguardi della loro figlioletta. Sono convinto che nulla avvenga a caso e soprattutto che nulla avvenga per il nostro male!

Vogliamo dare una risposta al problema dell’autosufficienza limitata negli anziani

Io non ricordo granchè dei miei studi classici; sono passati troppi anni e troppe vicende dai tempi ormai del secolo scorso quando ho frequentato il liceo del seminario.
Ogni tanto emerge dalle nebbie fitte del passato qualche reminescenza.
Ricordo la massima del filosofo greco Eraclito “Panta rei” tutto si evolve nulla rimane fermo.

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere la lapide di marmo rosso di Carrara che ho posto il giorno dell’inaugurazione nell’ingresso del Centro don Vecchi; 1 ottobre 1994.

A quel tempo scrissi a destra e a manca che aprivamo un’esperienza pilota per quello che concerne il problema della residenza degli anziani, specialmente poveri. Credo che senza motivi referenziali e senza vanaglorie si possa affermare che ci è andata bene che, tutto sommato, abbiamo fatto scuola. Gli “alloggi protetti” costituiscono certamente un passo avanti per quanto concerne la terza età.

Il Comune, la Regione e lo Stato, pur con velocità diverse stanno recependo e facendo propria la soluzione abitativa che noi abbiamo sognato e realizzato, felici di avere aperto una nuova “via”.
Sono passati appena 16 anni ed avvertiamo il bisogno di fare un passo avanti.

Tutte le epoche, ma soprattutto il presente non permettono la staticità.
La moda muta ogni anno, ma anche le strutture seguono un ciclo evolutivo veloce e necessario.

In questi ultimi mesi al don Vecchi stiamo lavorando per dare una risposta “all’autosufficienza limitata”.

Riteniamo che umanamente socialmente ed economicamente, dobbiamo ritardare ulteriormente l’ingresso nelle strutture per non autosufficienti, strutture che sono comunque poco rispettose della persona, della loro autonomia decisionale, nel loro diritto di vivere con persone autonome, e della possibilità di porre in atto tutte quelle funzioni delle quali dispongono ancora.

Stiamo lavorando attorno a dei moduli abitativi, integrati con la struttura per autosufficienti, che permettono con opportuni ulteriori servizi, agli anziani con autonomia funzionale, a rimanere nel mondo delle persone vive e non essere costretti ad entrare nel mondo delle anime morte costituito dalle case di riposo per non autosufficienti.

Si lavora sei mesi all’anno per lo Stato, ma per sostenere chi?

Bersani, nonostante la sua matrice veterocomunista, non mi è mai dispiaciuto troppo.
Difatti, quando ebbe la meglio sul cattolico, un po’ nevrotico ed irrequieto Franceschini, non mi sono addolorato più di tanto.

Non so se il capo del PD sia romagnolo o emiliano, comunque la sua parlata calda e pacata, la moderazione del suo argomentare e la sua indubbia competenza a livello economico me l’hanno fatto sembrare uno dei meglio tra i peggio.

Bersani ha ereditato dei sogni infranti di Veltroni, un carrozzone che perde pezzi ad ogni piè sospinto, e quel che resta è rabberciato con una cucitura talmente grossolana che mette in luce le pezze di origine e di colore ben diverso, tanto che non si può neppure applicargli il detto evangelico che sconsiglia operazioni del genere “Pezze nuove su vestito vecchio” nel PD pezze e vestito sono ambedue terribilmente vecchi!

Comunque qualche giorno fa, pur nella sua contenuta polemica con Berlusconi cosa che in qualche modo gli fa onore, ha fatto un’affermazione che ha messo il dito su una piaga, che nonostante l’alternanza dei governi, rimane aperta e sanguinante, fin dal nascere della nostra Repubblica: “Fino all’anno scorso gli italiani dovevano lavorare per lo Stato, dal 1 gennaio al 22 giugno, ora dovranno aggiungere un giorno in più, fino al 23 giugno!”

Da volontario lavoro tutto l’anno e da tanti anni per il prossimo, ma lavorare per lo Stato, decodificando il linguaggio politico, significa non lavorare per il prossimo bisognoso ma lavorare per lo stipendio: dei magistrati, dei parlamentari, dei senatori, degli alti burocrati, dei generali e dei colonnelli, dei soldati “volontari” che marciscono nelle caserme, dei dirigenti delle banche e delle industrie sovvenzionate dal governo, dei dirigenti dell’Inail, dell’Inps e di qualche altro soggetto per cui l’operaio che asfalta le strade, l’infermiere, la serva, l’artigiano e tanti altri sfruttati dallo Stato faticano e soffrono per 12 mesi per ricevere uno stipendio da fame solamente 6 mesi!

Mi domando se sia civile e cristiano accettare ancora condizioni del genere!