Una scelta obbligata

In clinica a Padova, purtroppo, sono diventato, un po’ alla volta, uno di casa. Credo che non capiti troppo spesso, neanche nella celebre clinica patavina, di ricoverare un vecchio prete dalla capigliatura folta, bianca e scapigliata, che entra ad intervalli abbastanza regolari.

Per i “compagni di sventura” sono sempre un illustre sconosciuto perché, specie nel reparto in cui mi ricoverano, c’è un rapido turn over di pazienti, ma medici, infermieri, inservienti e volontari ormai mi considerano uno di famiglia e mi trattano con bonomia ed affetto, cosa che mi fa sempre molto piacere. Sono arrivato, pian piano, anche alle confidenze.

Nell’ultimo ricovero ho incontrato di nuovo una signora che ha la mansione di rifare i letti: è una signora cordiale, espansiva e soprattutto “di chiesa”. Mentre in occasione dell’ultimo ricovero cambiava le lenzuola e riassettava il letto, ha cominciato ad informarsi sulla mia vita di prete e a parlarmi della sua, di semplice fedele. Mi disse che mentre a casa cucinava, partecipava al rosario o leggeva i messaggi aggiornati della Madonna di Medjugorje. Trasse di tasca un telefonino di ultima generazione e con rapidissimi tocchi dell’indice mi mostrò una “brutta” immagine della Madonna col rosario al collo e mi fece sentire sottovoce – perché altri non udissero – la preghiera mariana, soggiungendo, da esperta: «Il rosario lo si può sentire recitato con la voce di bambina, di uomo o di donna!». Poi, sempre toccando leggermente altri due o tre tasti, ne venne fuori la parola “preghiere” e scorse un elenco infinito di preghiere di tutti i santi e di tutti i gusti.

Mentre assistevo a questa testimonianza di semplice, ma calda fede popolare, mi venne da pensare al nuovo volume “Sole sul nuovo giorno” che sto dando alle stampe: una raccolta di pensieri e di preghiere che ho raccolto con fatica e pubblico con una spesa non lieve. Pensai: “Scopro adesso un’America che tutto il mondo, aggiornato e giovane, ha ormai scoperto da tempo”.

Dapprima rimasi un po’ stupito e sconcertato, poi mi sono consolato ricordandomi una lettura di tanti anni fa. Due amici si incontrano e uno dice all’altro: «Di che cosa ti occupi?» e l’altro risponde: «Organizzo spettacoli da circo equestre». Il primo osserva: «Si tratta di un divertimento popolare per gente poco colta». Al che il secondo risponde: «Che percentuale di persone intelligenti e colte pensi ci sia nella nostra società?». E l’altro: «Forse il dieci o il venti per cento». «Ebbene, riprende il primo, io ho scelto di rivolgermi a quell’ottanta, novanta per cento non troppo colto!».

Forse è una magra consolazione, ma alla mia veneranda età non mi resta che rivolgermi al mondo dei tanti non aggiornati. Perciò pubblico il nuovo volume “Sole sul nuovo giorno”, anche se non rappresenta la novità e la “scoperta dell’America”.

C’è ancora motivo di sperare!

Due anni fa mi trovavo sul tavolo operatorio di una clinica universitaria di Padova per l’asportazione di un rene quando, avendomi chiesto, prima dell’intervento, la data di nascita, l’équipe chirurgica scoprì che era proprio il giorno del mio compleanno. Mi fecero gli auguri e non so se per il loro augurio o per la bravura di questi operatori sanitari, la cosa mi andò bene.

A distanza di due anni qualche giorno fa mi ritrovai nella stessa situazione, per qualcosa di meno grave, ma non meno preoccupante, mentre infatti, un’altra volta, aspettavo il mio ottantaquattresimo compleanno. Non ebbi gli auguri, che non mi spettavano, ma fortunatamente, una volta ancora, provai l’affetto di questa cara e brava gente che con generosità e competenza continuava ad offrirsi come strumento della bontà del buon Dio per continuare a far miracoli.

In quella occasione, mentre i singoli operatori adempivano alle operazioni di rito – misura della pressione, preparazione dell’analgesico, disposizione della strumentazione, ebbi modo di ringraziare ancora una volta il Signore per la bravura, ma soprattutto per la calda umanità che questa gente usava verso questo povero vecchio, trattandomi come fossi un giovane ed illustre personaggio. Ringraziai il Signore d’abitare in questo Veneto dove l’apparato sanitario è quanto mai efficiente. Pensai infatti: “Se abitassi in Africa, di certo sarei stato destinato a morte sicura”, ed infine ringraziai soprattutto il Signore non solamente perché questa cara gente mi ha finora salvato la vita, ma soprattutto perché mi ha salvato dalla disperazione.

Nell’attesa dell’operazione avevo letto il quotidiano, con le notizie sul caos e la desolazione della classe politica che di fronte alla crisi economica, all’angoscia per la disoccupazione galoppante, continua a bisticciare, a rifiutare l’accordo. Avevo ancora letto del malaffare della Mantovani, oggi emergente ma che, in realtà, è solamente un campione di una società economica e produttiva in disfacimento.

Di fronte a tutto questo, poter incontrare persone sane, operatori competenti, impegnati e scrupolosi, efficienti e capaci, che pur trovandosi da mane a sera in contatto con malati di tutte le età, mi trattano con rispetto e attenzione come fossi l’unica persona per cui preoccuparsi ed intervenire, mi ha riempito il cuore di ammirazione e di speranza.

Nel nostro mondo non ci sono solamente ladri, arruffoni, imbroglioni di ogni specie, politicanti corrotti, maneggioni e speculatori, ma in ogni comparto della società c’è ancora tanta gente bella, sana, competente, generosa e umana. Tutto questo mi ha riempito il cuore di serenità e mi ha rassicurato che vale la pena di unirsi ad essa, perché nel mondo non muoia anche la speranza.

Calatrava

La scorsa settimana un giovane architetto mestrino mi ha mandato delle riflessioni estremamente amare sullo sperpero inerente alla cosiddetta “ovovia” che dovrebbe transitare sul ponte di Calatrava per i disabili.

Le argomentazioni sono, a dir poco, spietate, ma altrettanto lucide e puntuali, tanto che ho ritenuto opportuno pubblicarle perché la nostra gente sappia come l’amministrazione comunale sperpera il denaro che spreme alla povera gente.

In questi giorni poi la stampa locale ha pubblicato i risultati dell’indagine, da parte della suprema Corte dei Conti con i gravissimi rilievi che ha fatto sul costo esorbitante, e superiore ad ogni previsione, per un’opera assolutamente inutile – quella del nuovo ponte. Inutile perché con quattro passi in più la gente poteva tranquillamente continuare a passare il Canal Grande attraverso il Ponte degli Scalzi, come ha sempre fatto, non so se da decine o centinaia di anni.

Qualche giorno dopo, sempre “Il Gazzettino”, ci informava che il sindaco “butterebbe nel Canal Grande l’ovovia” – del costo di più di tre milioni di euro – “con dentro qualcuno e non so chi”. L’ovovia infatti continua a non funzionare e forse fa aumentare la già conclamata fragilità dello stesso ponte che già era pericolante.

Oggi, ancora il solito “Gazzettino”, ci informa che se avessero scelto una ditta olandese per il Mosè, quell’opera, costata finora decine di miliardi di euro, sarebbe costata un terzo. Sul tram non serve che la stampa locale ne scriva, perché anche l’ultimo cittadino di Mestre ha avuto modo di seguire con i propri occhi la sua tragicomica telenovela che non alletta i sogni, ma al contrario ha messo in crisi decine e decine di negozi, ha rovinato strade, costituisce un pericolo pubblico per le biciclette e serve, finora, a molto poco, perché intasa i crocevia e lambisce appena i luoghi centrali della città. Per non parlare del villaggio dei Sinti che è risultato una copia conforme dei ghetti in cui s’annida il crimine a Palermo.

L’attuale amministrazione poi non si riscatta dalle precedenti con la trovata di scoperchiare l’Osellino offrendo ai cittadini la cloaca che già abbiamo modo di ammirare presso via Pio X e alle spalle di Coin.

Sulle opportunità perdute, o che si stanno per perdere, ho già parlato. Sull’inefficienza della corposa amministrazione da quattromilaseicento dipendenti sarebbe meglio poter tacere, ma come si fa quando per avere il permesso di mettere in sicurezza l’ingresso e l’uscita del “don Vecchi” di Campalto – a nostre spese – c’è voluto più di un anno e considerando che dal 10 agosto del 2012 stiamo aspettando il permesso a costruire il “don Vecchi 5”?

A me brucia tutto questo perché a chi si fa volontariamente carico del disagio dei nostri vecchi, e a questo scopo è costretto a raccogliere euro su euro, tutto questo sembra assurdo. Non mi meraviglierei se domani un qualsiasi “grillo parlante” venisse a dire: «Tutti a casa!».

La “mendicità” del sindaco e le carenze del parroco

Qualche settimana fa ha tenuto banco sulla stampa e nelle televisioni del Veneto (ma so che pure ha fatto una puntatina fuori dalla nostra regione) una notizia di carattere ecclesiastico del tutto insolita.

Il Gazzettino, e anche Rai Tre Regione, parlando dello stato attuale dell’economia, che sta mettendo in crisi e facendo fallire molte piccole imprese, creando difficoltà alle famiglie e perfino alle parrocchie, ha informato la cittadinanza che un sindaco di un piccolo comune del padovano, non riuscendo più a rispondere alle richieste di aiuto da parte dei suoi concittadini, ha chiesto al suo parroco di poter fare un appello in chiesa, durante la messa festiva, per ottenere almeno un euro da ogni fedele per soccorrere i cittadini in difficoltà.

Non sono riuscito a capire come si sia svolta la richiesta comunale di elemosina, immagino che il sindaco sia andato sul pulpito all’offertorio per fare la singolare richiesta e poi, al posto del sagrestano, abbia fatto il giro tra i banchi della chiesa per raccogliere con la borsa le offerte.

Plaudo a questo sindaco intraprendente e fiducioso nella sensibilità dei suoi cittadini praticanti; sono però molto meno ammirato dal comportamento del parroco di quella comunità cristiana. Di certo quel prete dice messa, battezza, sposa, fa catechismo e predica, ossia ottempera al primo dovere di un cristiano, ma sospetto che ignori totalmente e non metta in pratica il secondo comandamento, che è simile al primo: “Ama il tuo prossimo come te stesso”.

Non s’è accorto, quel reverendo, che “Gesù aveva fame, sete, era senza vestiti, senza casa, ammalato e senza soldi?!”

Ritorno ancora una volta sullo stesso tasto che credo sia il “nervo scoperto” di moltissime parrocchie che praticano religiosità rituale ma hanno ormai, per tradizione, perduto coscienza di quello che è veramente “il cuore” del messaggio evangelico.

Negli Atti degli apostoli è scritto che a Roma i cristiani erano definiti dalla gente “quelli che si amano” e non credo che questo amore fosse “un amore soprannaturale” che non significa quasi niente, e neppure che questo amore consistesse nelle sequenze della parlata veneziana: “amor mio, tesoro, anima mia…” Le parrocchie se non praticano la carità e non si attrezzano ed organizzano per soccorrere i poveri, valgono ancor meno dell'”esercito della salvezza”. I sindaci, invece, devono munirsi di strumenti ben diversi da quello del mendicare in chiesa. Mi spiace che stampa e televisione non abbiano neppure accennato a tutto questo!

“vicini” e “lontani”

In che cosa consiste “la sostanza” del messaggio di Gesù? E’ questa una domanda che sempre più frequentemente e in maniera assillante mi pongo. Me la pongo non tanto per curiosità, o per avere una indicazione sicura che valga per me, perché a questo proposito mi pare di avere idee molto chiare e da molto tempo, ma perché non faccio altro che constatare che nella nostra Chiesa ci sono comportamenti che indicano direzioni diverse e talvolta perfino contrapposte.

A questo riguardo Gesù, già duemila anni fa, è intervenuto in maniera chiara ed autorevole quando disse: «Ama Dio con tutte le tue risorse ed ama il prossimo tuo come te stesso». Non credo però che questo sia stato ancora capito bene, benché siano passati duemila anni di storia cristiana.

Quest’anno, per la domenica delle palme ho trovato per la copertina de “L’incontro” una fotografia di frati e di fedeli che si avviano in processione con delle grandi palme verso il santuario di Padre Pio. Quando ho scelto quella foto non ho potuto fare a meno di chiedermi: “Rispondono meglio al richiamo di Cristo questi fedeli che adempiono a questo rito di pace o i radicali che digiunano e protestano a non finire sulle piazze per impedire che il governo spenda un sacco di soldi per comperare i cacciabombardieri ultima versione? Io confesso che sono più vicino ai radicali!

Ho sentito un tempo un prete che affermava con sicurezza: «I veri cristiani si contano alla balaustra quando fanno la comunione!», ma io credo che siano tali quelli che operano fattivamente per i poveri, si schierano per le classi meno abbienti, appoggiano le richieste dei diversamente abili. Sono arrivato alla conclusione che ogni rito cristiano diventa accettabile e valido solamente nella misura in cui è efficace a far dei cristiani solidali, che amano concretamente, e non con escamotages soprannaturali, il prossimo. Sono arrivato a concludere che non ho più dubbi sul fatto che Gesù è venuto a dirci soprattutto che “il Padre” vuole che ci vogliamo bene, che ci aiutiamo reciprocamente, che ci facciamo carico dei fratelli più fragili e più bisognosi d’aiuto.

Confesso che io, che faccio il prete da più di mezzo secolo, diffido alquanto di quella “Chiesa” preoccupata principalmente dei riti, delle cerimonie, delle novene e delle coroncine, o peggio ancora preoccupata di “consolare Gesù”. Preferisco un’organizzazione caritativa anche sgangherata ad una confraternita di pii oranti.

I fracassoni

Da sempre ero convinto che agli anziani piacessero le vecchie canzoni romantiche e sentimentali, quali ad esempio “Mamma”, “Romagna mia”, “Il tango delle capinere”, “Balocchi e profumi”, o le più celebri romanze della lirica. La mia convinzione era così radicata che, faticando un po’, ho stampato perfino un canzoniere con i pezzi più significativi e popolari di questo genere di musica. In forza poi di questo convincimento, avevo sempre favorito che il “gruppo ricreativo culturale” del don Vecchi, che organizza i concerti domenicali, facesse intervenire cori che hanno nel loro repertorio canti di montagna, canzoni veneziane, canti popolari, romanze celebri e musica del genere, sconsigliando quindi la musica polifonica e i canti rinascimentali, che in genere favoriscono il sonno, piuttosto facile per noi anziani, ma soprattutto le canzoni e la musica moderna.

Invece, all’inizio della Quaresima, un po’ preoccupati per la stagione liturgica, i membri di quel gruppo mi chiesero se potevano far intervenire un complesso che cantava dal vivo canzoni moderne di cui faceva parte il figlio di una nostra residente, il quale si era offerto a suonare per offrire un pomeriggio diverso “ai nonni del don Vecchi”. Io che non ho “scrupoli quaresimali”, acconsentii, raccomandandomi però di moderare il volume degli strumenti elettronici (in cuor mio mi dissi: “farò un fioretto di quaresima”, partecipando, per dovere di rappresentanza, a questo concerto).

I corridoi silenziosi e solenni del “don Vecchi” cominciarono, fin dal primo pomeriggio, a riecheggiare di note assordanti, assolutamente inusuali per la nostra struttura. Fui subito preoccupato per il pisolino, che è un rito sacrosanto per tutti i residenti, poi mi rasserenai col pensiero che siamo quasi tutti mezzi sordi.

Alle 16 cominciò ufficialmente “la baldoria”: suoni e canti a squarciagola che proponevano – una dietro l’altra – canzoni a me sconosciute. Ma capii subito, con notevole sorpresa, che non era lo stesso per i miei vecchi che infatti cominciarono a cantare, a ballare, a battere le mani con un entusiasmo sorprendente. Non ho mai visto gli anziani residenti così numerosi, così euforici e così partecipi. Ho avuto l’impressione che esperienze del genere, nelle vecchie balere o in discoteca, le avessero già fatte e fossero rimaste in qualche parte del loro animo, e che le note marcate dalla tastiera le avessero ridestate.

Penso che d’ora in poi dovremo mettere più spesso in programma “musica dal vivo” per ridestare dal torpore chi ha forse perso il pelo ma non il “vizio”, e mi consolo pensando che anche il “pio re David” si comportò allo stesso modo.

Le preghiere

Chi, come me, è alle soglie dell’eternità, prova il bisogno – o forse sente il dovere – di verificare ciò in cui ha creduto ed ha tentato di passare ai fedeli in generale e ai suoi discepoli in particolare.

In quest’ultimo tempo mi è capitato di riflettere con insistenza su di un problema con cui un prete ha di frequente a che fare. Tra i più vicini, ma non solo, mi sento chiedere assai di frequente: “mi dica una preghiera”, “preghi per me, lei che è più vicino al Signore”, “mi ricordi nella Santa Messa”. Normalmente si tratta di persone che hanno un congiunto ammalato e per la cui sorte sono preoccupati, o di qualcuno che si trova in grave disagio a motivo del lavoro, qualcuno che sente venir meno la fede, o gente coinvolta in situazioni gravi e complicate.

In questi casi è molto difficile intavolare un discorso per inquadrare queste preghiere che sono richieste “come salvagente” ai propri guai. Sempre accondiscendo ed affido alla paternità di Dio la persona o la questione, lasciando alla Sua assoluta saggezza questioni che sono sempre superiori alle mie possibilità e sulle quali non saprei né cosa chiedere né, peggio ancora, come intervenire.

Però, per onestà mentale, sento il bisogno di precisare a me stesso questa questione della preghiera. Il rivolgersi a Dio nella preghiera per me dovrebbe consistere nel chiedere la forza e il coraggio di affrontare una situazione difficile, preoccupante, di comprendere possibilmente quello che Egli vuole da me attraverso quell’evento, di adeguarmi al progetto di Dio, di avere la forza e la fiducia di credere che tutto quello che Egli vuole, o permette, è sempre per il mio vero bene, anche se io non riesco, in quel momento, a capirne il motivo, e di abbandonarmi fiduciosamente al Suo volere, magari ripetendo, stringendo i denti: “Sia fatta la Tua volontà”.

Credo che solamente inquadrando così la preghiera, essa sia razionale e porti pace interiore. Rifiuto invece quel ricorrere assillante al Signore, pretendendo quasi che Egli diventi “il Dio tappabuchi”, come direbbe quel sant’uomo che fu Bonhoeffer, perché per queste cose il Signore ci ha già fornito tutte le risorse necessarie per risolverle da soli.

Il villaggio solidale degli Arzeroni

Il consiglio di amministrazione della Fondazione Carpinetum, e in particolare il suo giovane e valido presidente, don Gianni Antoniazzi, sono particolarmente cari con me, tanto da farmi partecipare alle riunioni e offrirmi l’opportunità di esprimere qualche parere e qualche progetto.

Nell’ultima riunione mi sono permesso di proporre un progetto tanto impegnativo ma che, data l’intelligenza, la buona volontà e il coraggio di questo consiglio, potrebbe anche diventare una felice realtà. Dato che non si tratta di un qualcosa di riservato, ma solamente l’offerta di un mio sogno, mi permetto di renderne partecipi anche i miei amici de “L’incontro”, sperando che ci sia qualcuno che possa aiutare a “calarlo dalle nuvole” alla terra, soprattutto mettendo a disposizione un suo generoso contributo.

BOZZA PER UNA PROPOSTA DI MASSIMA PER LA NUOVA STRUTTURA DI ACCOGLIENZA DA COSTRUIRSI PRESSO: “IL VILLAGGIO SOLIDALE DEGLI ARZERONI”

PREMESSA

* La struttura abbia pressappoco la stessa cubatura del don Vecchi 5.
* La struttura si articola in maniera che ogni singolo settore sia indipendente e nello stesso tempo comunicante con gli spazi comunitari che debbano essere fruibili dai residenti.

ARTICOLAZIONE
1. 15 alloggi bilocali con angolo cottura da destinarsi a padri o madri separati e in gravi condizioni di disagio economico:

– TIPOLOGIA RESIDENZIALE

– L’alloggio sarà messo a disposizione per 2 o 3 anni in maniera che sia possibile una costante rotazione. – Retta mensile fissa da euro150.00/200.00 più le utenze. Da convenzionarsi con il Comune Provincia o Regione.
2. 10 alloggi monolocali da destinarsi a disabili fisici che auspicano una vita indipendente con angolo cottura:
– retta mensile 150 euro più utenze. – da convenzionarsi con gli enti suddetti.
– tipologia residenziale.
3. 15 stanze tipo motel col “sistema economico formula uno francese” da destinarsi ai parenti dei degenti negli ospedali cittadini.
Tipologia alberghiera conto euro.20.00 notte a decrescere in rapporto al numero dei giorni di occupazione.
4. 10 alloggi per giovani sposi durata di permanenza 2 o 3 anni
– tipologia bilocale con angolo cottura.
– costi 200 euro più utenze al mese.
tipologia residenziale.

IN ALTERNATIVA:

15 stanze tipo motel “formula uno francese”
– tipologia alberghiera da destinarsi ad operai o impiegati maschi o femmine con basso reddito – contratti al massimo mensili rinnovabili fino al massimo di 2 anni. – costo mensile di euro. 150.00. – tipologia alberghiera.
5. 2 o 3 alloggi bilocali con angolo cottura per emergenze. – tipologia residenziale.
6. Richiesta alla Curia se è interessata ad avere 5-6 alloggi di tipologia residenziale tipo Don Vecchi 5 magari articolati nella tipologia bilocale da destinarsi a sacerdoti anziani oppure impegnati nella pastorale cittadina.
Convenzione con la stessa per i costi.

SPAZI COMUNITARI

a. Un salone a stare.
b. Una sala da pranzo capace di 20 o 25 persone.
c. Un cucinotto con più fuochi utilizzabile dai residenti e contemporaneamente dal catering.
d. Un locale per lavanderia e stireria, -lavatrice ed asciugatrice a gettone.
e. Un piccolo ufficio.
f. Portineria ed ingresso unico.

Un progetto ridotto

Ritorno su un argomento che ho trattato innumerevoli volte, però che credo così urgente e necessario da sentire il dovere di ritornarvi.

Nella nostra diocesi, fortunatamente e per grazia di Dio, ci sono iniziative, enti e strutture che hanno una grossa e certa valenza di ordine solidale, ma che non sono messe in rete, non sono coordinate da una regia che, sola, le potrebbe rendere più efficienti e funzionali. Nel nostro tempo niente può essere lasciato al caso, perché esistono strumenti che possono razionalizzare anche questo comparto così importante e qualificato della Chiesa veneziana.

Oggi ognuna di queste realtà esistenti si muove in maniera autonoma, non è collegata ad altre realtà similari non si confronta, né si coordina, cosicché esistano doppioni e lacune notevoli.

La Caritas diocesana, che a mio modesto parere dovrebbe essere il cervello e il cuore di queste realtà, non so per quale motivo risulta assolutamente assente.

Abbiamo ipotizzato, in passato, la “Cittadella della Solidarietà” per razionalizzare e coordinare almeno le attività caritative di Mestre; c’erano, a questo proposito, delle opportunità particolarmente favorevoli però, sia per immaturità culturale dei responsabili che dovevano dar corpo al progetto, sia per qualche altro elemento imprevedibile – quale ad esempio il cambio del Patriarca – non se n’è fatto più nulla. Oggi il progetto è stato definitivamente sepolto e vi si è messa sopra una pietra tombale di marmo duro e pesantissimo, denominato “carenza di soldi”!

In questi giorni, fortunatamente, è sbocciata un’altra timida e seppur limitata speranza: coniugare in un’unica realtà “il polo solidale del `don Vecchi'” con le strutture caritative della parrocchia di Carpenedo, dato poi che essendo esse tra le realtà più significative della nostra città, potrebbero offrire una testimonianza – almeno a livello cittadino – quanto mai significativa.

Il seme è stato piantato alcune settimane fa, ora non mi resta che innaffiarlo ogni giorno ed in ogni circostanza, sperando che finisca per fiorire e dar frutto.

Il mio “Papa Benedetto”

Quando questa pagina del diario vedrà la luce, molto probabilmente il cardinale camerlengo si sarà già affacciato dal terrazzo della basilica di San Pietro annunciando alla folla: «Habemus Papam!».

Sulle dimissioni di Papa Benedetto, umile e coraggioso, non s’è detto tutto, ma più di tutto. Con l’immenso mondo degli addetti all’informazione oggi suonano superflui e scontati i pensieri di un povero diavolo di cristiano come me, eppure sento dentro il bisogno di mettere in ordine nel mio spirito tanti pensieri, spesso confusi, che mi sono nati dentro in occasione di queste “dimissioni”, nonostante tanti giornalisti abbiano già molto intrattenuto con le loro analisi, spesso acute ed intelligenti e, più spesso, gratuite e non giustificate e talvolta impertinenti e faziose.

Io ho sempre voluto bene a papa Benedetto, non solo per motivi di fede, perché per me, come per ogni cristiano, il Papa rappresenta “Il dolce Cristo in terra” – come lo definì santa Caterina da Siena, la persona che nel passato, ormai remoto, lo supplicò di tornare da Avignone a Roma, sua sede naturale.

Ho amato papa Benedetto per la sua fragilità, per il suo italiano stentato, per essere stato un papa tedesco che, nonostante tutto, si portava in qualche maniera addosso le colpe del suo Paese. Ho amato papa Benedetto per la lucidità, l’intelligenza e la costanza con le quali ha messo in guardia il mondo da quel nemico subdolo ed esiziale qual è il relativismo.

Ora amo ancor di più papa Benedetto perché, con la sua scelta nobile e coraggiosa, ha favorito in maniera decisa l’ingresso della Chiesa nei ritmi, nel respiro e nel cuore della società moderna liberando il papato, ma soprattutto il Vaticano, da quella cornice di sacralità che sa di passato, immettendo la vita della Chiesa nel corso di una normalità umana, rendendola evangelicamente “lievito” immerso nella “pasta” dell’umanità del nostro tempo.

Confesso sommessamente agli amici che a me non dispiacerebbe e soprattutto non mi mancherebbe il rispetto, la devozione e la fede nel ministero del Papa, se un giorno potessi vedere il successore di San Pietro vestito in clergyman, magari con una crocetta bianca sul bavero della giacca nera o su fondo grigio scuro.

Il Papa è Papa non perché porta addosso vesti fuori moda, pronuncia formule incomprensibili, ma soltanto perché crede alla Parola di Dio e cerca di testimoniarla il più fedelmente possibile con la sua vita.

Voglia di primavera

La Bibbia, molto giustamente, ci invita a lodare e ringraziare Dio anche per il ghiaccio, la neve e per ogni tempo. La Bibbia, come sempre, ha ragione perché ogni fenomeno proprio delle diverse stagioni ha una sua funzione specifica e quanto mai valida per l’equilibrio dell’ecosistema e forse anche perché non apprezzeremmo sufficientemente la bellezza di certe stagioni se non avessimo provato l’asprezza di certe altre.

A me, confesso, è molto più facile la lode per la primavera, dolce e sorridente, piuttosto che per l’inverno aspro e pungente. Io sogno con tutto il mio essere i colori freschi e tenui della primavera, il tepore del suo sole sorridente, il risveglio della natura che, vezzosa e bella, comincia lentamente a vestirsi a festa. Ho sempre la cara sensazione che la primavera sia una “carezza” di Dio che mi invita ad avere fiducia e a credere nella vita e nel domani.

In questi giorni ho appena visto spuntare nelle aiuole del “don Vecchi” dei teneri ed arditi piccoli germogli verdi di tulipano, nonostante la neve residua di questo inverno che non si rassegna a lasciarci. Quando ho scoperto nel prato, che ogni giorno si fa più verde, una primula gialla sorridere, timida si, ma ardita, col suo giallo oro e ho scorto questi germogli che fra poche settimane diventeranno una tavolozza variopinta dei colori più vivi, ho avuto quasi un sussulto di gioia interiore e di ebbrezza aspettandomi presto un mondo vestito a festa, ma soprattutto nel constatare che molto probabilmente il Signore intende farmi avere il regalo così prezioso della primavera, nonostante la mia “verde” età e le mie miserie.

Io amo l’arte, la musica, i volti puliti e sorridenti dei nostri bambini e la bellezza soave delle nostre donne, splendidi doni di Dio, ma amo altrettanto l’alba, il tramonto, il sole e le stelle e l’incanto della primavera che ogni anno fa da cornice, quanto mai appropriata, alla Resurrezione di Cristo.

Aspettando Godot

“Quello che devi fare fallo subito!” disse Gesù incontrando Giuda, suo discepolo infedele. Io mi trovo d’accordo con lui anche su questo punto. Non mi va proprio chi va per le lunghe, trascina avanti una pratica o un discorso.

Però non è solamente per questo motivo di ordine biblico che non riesco a capire ed accettare il tiramolla del Comune di Venezia circa il progetto del “don Vecchi 5” degli Arzeroni.

In Italia la crisi economica è giunta all’estremo, decine di migliaia di aziende chiudono, il settore edilizio, che tutti dicono sia al tramonto, è fermo, eppure ora che la nostra Fondazione ha un progetto di estrema valenza sociale, che in seguito farà risparmiare al Comune milioni di euro, riducendo il costo ormai iperbolico per il ricovero in casa di riposo per gli anziani non autosufficienti e offrirà una soluzione estremamente innovativa col suo progetto pilota, Il Comune aspetta, tergiversa, aggiunge ostacoli, avanza sempre ulteriori pretese e tarda ancora a dare la concessione edilizia.

Il “don Vecchi 5” costerà pressappoco sei milioni di euro, c’è un piano finanziario definito, un progetto elaborato da uno degli studi di architettura della città tra i più noti, una coda infinita di anziani che aspettano, eppure tutto è ancora aggrovigliato nelle ragnatele della burocrazia del Comune. Il progetto è stato presentato il 10 agosto, quindi sei mesi fa e la Fondazione ha dovuto sbrogliare una matassa infinita di problemi catastali che, sempre il Comune, aveva lasciato irrisolti.

Ora tutto è pronto, è stato fatto il progetto e il piano finanziario, è stata scelta l’impresa, s’è progettata una nuova strada… Tutto potrebbe partire domani, occupando decine e decine di operai. Perché tanta inerzia? Perché queste lungaggini?

La classe politica è di certo deficiente ma, peggio ancora, la burocrazia comunale non è per nulla agile, veloce, intelligente ed attenta al bene della collettività. Rimango convinto che non basta dimezzare il numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali e comunali, ma finché non si dimagriranno questi enti di almeno due terzi di addetti, non ci sarà efficienza.

Un notissimo imprenditore della città un tempo mi ha confidato che ci sono studi americani quanto mai seri e dati scientifici che attestano che quando un’azienda supera un certo numero di burocrati, questa è destinata al fallimento perché essi producono fatalmente solamente “lavoro” cartaceo assolutamente improduttivo.

Chi ho votato

Quando sarà stampato il numero de “L’incontro” che riporterà questo mio diario il risultato delle elezioni sarà ormai un lontano ricordo. Se questa pagina fosse uscita prima delle elezioni non avrei fatto questa confidenza, perché convinto che un sacerdote, pur avendo il dovere di dare voce alla democrazia e di offrire il suo contributo personale alla comunità, per il ruolo che esercita in essa, non deve approfittarsi della sua posizione, ma deve rispettare fino in fondo la scelta elettorale dei propri concittadini.

Il mio voto vi dico che è stato estremamente tormentato; ci ho pensato quanto mai e mi è stata quanto mai difficile la decisione. L’obiettivo che mi ha guidato è stato quello di sempre: rendere più degna, libera e serena la vita dei miei concittadini, soprattutto preoccupato di fare il bene delle persone più fragili: vecchi, poveri, extracomunitari, persone meno dotate. Ho fatto la mia scelta non a cuor tranquillo, ma solamente perché dovevo, alla fin fine, contrassegnare il simbolo di un partito escludendo gli altri, anche se avrei desiderato mettere assieme il meglio di ogni schieramento, riconoscendo che ognuno aveva qualcosa di valido.

Aggiungo ancora che, dati tutti questi miei dubbi, proprio per questo comprendo e rispetto tutti coloro che sono giunti a conclusioni diverse dalla mia e spero che sia la Divina Provvidenza, che è la sola che sa preventivamente quello che è giusto e che soprattutto sa “scrivere il meglio anche sulle righe sbagliate”, saprà trarre il bene da queste elezioni.

Eccovi il risultato del mio tormentone elettorale: convinto che Bersani, nonostante i suoi trascorsi delle Botteghe Oscure, sia una persona per bene e pure la sua squadra, tutto sommato, non sia male, perché composta da persone di cultura, sensibilità e tendenze diverse, ho votato per Monti. Lo ritengo persona competente, onesta, stimata e soprattutto con i piedi per terra, un politico che persegue una economia di mercato che, pur con tutti i correttivi di ordine sociale e solidale, è quella che produce la ricchezza da poter dividere, e perciò penso che Monti potrà essere complementare a Bersani.

Ho votato Monti perché, oltre alla competenza economica che oggi, data la crisi, è di capitale importanza, ha prestigio internazionale e, non ultimo, credo che sia un garante per quei valori di fondo per i quali il laicismo quanto mai diffuso e trasversale non garantisce il nostro Paese.

Aggiungo che mai e poi mai dirò all’altare cose del genere, là tenterò di offrire la Parola di Dio che è verità certa ed assoluta, ma agli amici penso di poter fare questa mia confidenza.

Pensieri “in congelatore”

La gente è buona con me. Se penso che fra le migliaia di persone che ogni settimana leggono “L’incontro” (ne stampiamo cinquemila copie ogni settimana) finora non ce n’è stata una sola che mi abbia detto: «Don Armando, lei è in ritardo sul tempo con le sue riflessioni»! Mi pare questo un atto di immensa gentilezza.

Le mie riflessioni sulla vita, quando va bene, sono in ritardo almeno di un mese ed oltre. Perché? Non è che pensi e reagisca a scoppio ritardato, anzi la mia emotività è rapida, anzi immediata. Il mio ritardo sul tempo, però, è dovuto a tre motivi diversi.

Il primo è tecnico. La filiera attraverso la quale il settimanale vede la luce è laboriosa e lenta: giornalisti che hanno mille altre occupazioni; inserimento in computer e correzione dei testi (li fa una signora che ha casa, marito, figli e nipoti); impaginazione da parte di almeno quattro tecnici (che hanno una loro occupazione e quindi nel dopocena compongono un pezzetto per ciascuno e poi lo assemblano); suor Teresa che “traduce” il tutto in striscioline con cui io compilo il menabò; ricorrezione dei testi ed infine il capotreno, signor Giusto (che si occupa di mille e una cosa) che inserisce le foto. Poi c’è la stampa, la piegatura e la distribuzione. Vedete quindi che il percorso è lungo e tortuoso!

Seconda cosa: io sono vecchio e, per la mia età, sono sovraoccupato; ho anche il limite che se mi trovo all’ultimo momento senza aver buttato giù i miei pensieri, mi paralizzo e vedo buio davanti a me.

Terzo: sono convinto che ciò che “ha consistenza” non teme il passare del tempo. Il prof. Angelo Altan, mio insegnante in liceo, ci diceva che lui, per scelta, leggeva “Il Gazzettino” almeno una settimana dopo la sua uscita perché così le notizie si decantavano e vedeva subito quello che valeva la pena leggere.

Quindi “confesso a Dio e a voi fratelli” che le cose stanno così e perciò non mi è proprio possibile fare altrimenti. Gli argomenti che tratterò questa settimana sono tutti abbastanza lontani e già abbondantemente “bruciati” per i mass media normali. Però vi dico, in confidenza, che io non mi sono mai preoccupato e non voglio preoccuparmi dell’opinione pubblica, della moda, dei ritmi dei mass media; io desidero confrontarmi con la mia gente sulla vita e su quello che vi accade, sperando così di offrire un piccolo contributo perché ognuno ne possa trarre qualcosa di utile e vantaggioso. Tutto questo non mi costa fatica e per di più non mi par poco.

I cattolici in politica

Come tutti, ho tentato di seguire la breve ma intensissima campagna elettorale. I nuovi “mezzi di comunicazione sociale” oggi ci permettono di avere informazioni di prima mano in diretta da parte delle “menti pensanti” dei vari schieramenti politici. Devo confessare che, tutto sommato, mi ha fatto piacere notare un confronto, sia pur appassionato e duro, su problemi reali e concreti piuttosto che discussioni sui “massimi sistemi”, come avveniva un tempo quando imperavano le ideologie.

Qualche tendenza precostituita di fondo è emersa ancora, però non in maniera così determinante come ai vecchi tempi, quando destra e sinistra rappresentavano una lettura assoluta della vita sociale in tutte le sue manifestazioni, anche le più neutre ed insignificanti per uno schieramento politico.

C’è stata qualche incursione della gerarchia ecclesiastica sui “valori irrinunciabili”, m’è parso però che sia caduta nel vuoto perché, fortunatamente, è un po’ venuta meno quella contrapposizione di un tempo e prevale finalmente in tutti la volontà di una ricerca, seppur faticosa, di un accordo attento sulle motivazioni ideali degli altri, desiderosa di non imporre e sopraffare chi è orientato in maniera diversa.

Quello poi che mi ha fatto particolarmente piacere è stata la constatazione che i politici di matrice cattolica, seri e di spessore, sono ormai spalmati in tutti i gruppi presenti nella competizione elettorale e che, tutto sommato, sono riusciti con il loro stile e la loro sensibilità ad ammorbidire i rapporti e ad evitare dure contrapposizioni di carattere ideologico che hanno spesso poco a che fare con le problematiche reali della nostra gente.

Con questo non nego che vi siano stati talvolta rigurgiti di passato, comunque negli schieramenti più consistenti e responsabili m’è parso di notare moderazione e rispetto per le coscienze e m’è sembrato ancora che i cristiani militanti nella politica attiva abbiano finalmente un ruolo estremamente positivo, mentre immediatamente dopo la dissoluzione del partito dei cattolici pareva che non si potesse sperare quello che è poi avvenuto.

I problemi che sono sul tavolo sono enormi e di ogni genere però, a mio modesto giudizio, sembra che anche grazie a questa presenza di cristiani nei principali schieramenti, sia possibile votare l’uno o l’altro partito senza mettere in difficoltà la propria coscienza e senza tradire i propri convincimenti di carattere morale e religioso.

Io non ho per nulla la presunzione di poter valutare cose di così grande rilevanza, però confesso che ho sentito un respiro di libertà per me e anche per chi pensa diversamente da me.