La Chiesa dei poveri

Ho letto su “Gente veneta” che il nostro Patriarca ha espresso l’intenzione di creare a Mestre una struttura ricettiva per i concittadini che dormono in stazione, negli ingressi dei condomini o per strada. Ora si trattava di reperire il luogo e i mezzi economici per dar vita a questa nuova struttura, che poi sarebbe la prima che la Chiesa apre a Mestre.

Già in una pagina di diario di qualche settimana fa non solamente ho espresso tutto il mio consenso, ma pure mi sono azzardato ad offrire, pur non richiesto, dei suggerimenti. Quello di un’accoglienza dignitosa, civile e cristiana, è un problema di un’estrema gravità e di un’estrema urgenza.

Qualche settimana fa due giovani signore che attualmente lavorano al “don Vecchi” e alle quali abbiamo offerto, oltre al lavoro, anche un piccolo alloggio, in un momento di confidenza mi hanno raccontato come si sono inserite nella nostra città. Una delle due è entrata in Italia con un permesso turistico e l’altra è arrivata a piedi in venti giorni di cammino, dormendo nei fienili e chiedendo la carità. Una volta a Mestre ambedue han dormito un paio di mesi presso la stazione ferroviaria e mangiato a Ca’ Letizia e dai frati finché non riuscirono a trovare un lavoro. Oggi la situazione è certamente ancora più difficile di qualche anno fa per le donne che giungono dalla Moldavia, dalla Romania e dall’Ucraina e cercano di inserirsi nella nostra città. Per questo motivo riterrei che sarebbero necessarie due strutture: una con caratteristiche particolari per i senza fissa dimora che, per scelta, per incapacità o per malattia, sono senza tetto, ed una invece per le persone che hanno bisogno di un ambiente di prima accoglienza per inserirsi poi nel tessuto civile, avendone essi la volontà e la capacità di farlo.

A quanto si dice, ho la sensazione poi che versando la diocesi in un momento finanziario difficile, ci sia una preoccupazione di imbarcarsi in nuovi debiti. Però, se questa situazione riguarda la diocesi, non è la stessa cosa per le parrocchie che, se invitate con la richiesta di quote ben precise da parte della Chiesa veneziana, potrebbero sobbarcarsi questo impegno. La Chiesa dei poveri o batte questa strada, oppure non va da nessuna parte e si riduce ad una farsa controproducente.

Quali sono le strutture religiose?

Recentemente ho sentito parlare di una struttura per anziani gestita da un ente religioso che si trova in grosse difficoltà. Si trattava di vedere come poteva essere salvata.

In quell’occasione ho riflettuto più serenamente del solito sui criteri per i quali una struttura merita di essere sostenuta dalla Chiesa, perché se un ente religioso si muove con gli stessi criteri adottati dallo Stato, dal Comune, oppure da una qualsiasi impresa e con cui essi perseguono le stesse finalità, credo che proprio non valga la pena di tentare il salvataggio.

Ha senso che la Chiesa si impegni solamente se riesce ad offrire servizi migliori con minimi costi, se è più attenta ai bisogni delle persone, se accoglie e garantisce anche ai più poveri un trattamento ottimale, se riesce a coinvolgere il volontariato, se offre soluzioni innovative, ma se il risultato fosse una casa di riposo come tutte le altre non varrebbe proprio la pena che la Chiesa impegnasse uomini e forze per fare una concorrenza assurda; peggio ancora non sarebbe giustificato alcuno sforzo se la gestione fosse claudicante, così da produrre debiti piuttosto che aspetti positivi.

Io ho sempre considerato la Chiesa come una mosca cocchiera che apre orizzonti nuovi e migliori, che trova soluzioni più economiche e più attente alla persona, che copre spazi scoperti e che quando ha dato la sua bella testimonianza di solidarietà si mette da parte passando la mano alla società civile rivolgendosi poi a settori in cui c’è bisogno che qualcuno con coraggio e generosità si impegni a favore di chi è dimenticato da tutti e che rimane in balia degli eventi.

Oggi, ma credo sempre, ci sono spazi abbandonati a se stessi; che non avvenga che pure la Chiesa e le sue articolazioni puntino solamente là dove si tratta di guadagnare più facilmente e con meno rischi.

Cattiva traduzione del messaggio

Nelle domeniche dopo Pasqua la Chiesa offre ai fedeli pagine del Vangelo di Giovanni. Io, che non mi muovo sulla stessa lunghezza d’onda di questo evangelista, sono costretto a riflettere in maniera più impegnata perché amo quanto mai la concretezza, mentre Giovanni è un mistico che si muove in altezze per me siderali.

Quest’anno, per la prima domenica dopo Pasqua, ho riflettuto più a lungo, ed in modo più faticoso, sulla pagina di Giovanni che riporta le parole di Gesù nel cenacolo: «Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri». Sono arrivato, una volta ancora, alla conclusione che il cuore del messaggio di Gesù è la solidarietà, ossia un amore concreto, nonostante tutte le difficoltà. L’utopia di Gesù credo che abbia come obiettivo sostanziale la solidarietà; infatti Cristo afferma che dal modo in cui sapremo vivere questa virtù si potrà misurare la nostra adesione al suo messaggio.

Purtroppo l’interpretazione di questo discorso che s’è data lungo i secoli spesso è stata quanto mai svisata e difforme. Infatti anche oggi nell’opinione corrente, da un lato si è interpretato l’impegno alla solidarietà in maniera limitata, così da ridurre questa utopia angelica ad “elemosina”, ossia la destinazione ai fratelli di spiccioli del superfluo e, dall’altro lato, sempre per motivi di comodo, s’è praticamente fatta passare l’idea che la qualifica di discepolo di Cristo la si guadagni solamente con la partecipazione ai riti religiosi.

Certa casistica al riguardo è una riprova di questa pessima ed assurda interpretazione del messaggio cristiano. Fino a pochi anni fa si discuteva infatti sulla percentuale di superfluo dovuto ai poveri, tanto da arrivare a dire che il due per cento era la misura sufficiente, e dall’altro lato era aperta una discussione vivace sui limiti del tempo necessari per la validità della partecipazione al sacro rito dell’Eucaristia.

Credo che siamo ancora ben lontani da una seria traduzione pratica del “comandamento nuovo” datoci da Cristo.

“Piazza Maggiore”

Oggi qualcuno ha deposto sul “tavolo cortesia” della grande hall del don Vecchi una decina di copie di “Piazza maggiore” n° 43 del 23 aprile. “Piazza maggiore” è il periodico della parrocchia del duomo di San Lorenzo di Mestre, che passa contenuti e dialoga con l’intelligentia della città e la civica amministrazione. Il giornale-rivista, che esce periodicamente ma con una certa frequenza, è un periodico di grandi dimensioni, pressappoco ha il formato de “Il manifesto” di un tempo e per la maggior parte è dedicato ogni volta ad un tema particolare, senza però trascurare aspetti significativi della vita della comunità cristiana del duomo.

Il direttore è “don Fausto”, monsignor Bonini, che però si avvale sempre di firme di giornalisti seri o di personalità significative della città. La parrocchia del duomo pubblica anche un foglio settimanale, “La Borromea”, per l’informazione spicciola di questa comunità estremamente articolata; usa inoltre con disinvoltura quel vasto e variegato nuovo mondo del digitale che io, che appartengo ormai al “Piccolo mondo antico”, conosco solo in maniera approssimativa, ma del quale la parrocchia di San Lorenzo fa uso abbondante e con tanta dimestichezza.

La lettura dell’ultimo numero di “Piazza maggiore” mi porta a due considerazioni, di cui ho già parlato, ma su cui sento il bisogno di ritornare perché ritengo che la Chiesa veneziana e le relative comunità parrocchiali, come pure la direzione diocesana, non siano coscienti di avere in diocesi una comunità con una strutturazione pastorale e dei mezzi di comunicazione che sono in assoluto i più avanzati e i più rispondenti ad una impostazione pastorale moderna.

Io sono un prete fuori gioco e “vecchio”, come mi ha definito il Patriarca, quindi non ho alcun interesse da difendere e perciò per questo ritengo di essere credibile. Ebbene penso che l’impostazione pastorale della parrocchia di San Lorenzo sia in assoluto la più aggiornata e la più attenta alla nuova società che si affaccia alla ribalta del nostro tempo.

Conosco anche altre belle ed efficienti parrocchie, che però si rifanno ancora a vecchi schemi ormai usurati o perlomeno non aggiornati sui nuovi modelli di società organizzata. Ho l’impressione quindi che la diocesi di Venezia possegga una “fuori serie”, una “Fiat cavallino rosso”, che potrebbe essere punto di riferimento anche per tutte le altre comunità, mentre mi pare che rimanga isolata, ignorata e poco conosciuta.

Spero che queste umilissime note possano destare il meritato e doveroso interesse.

Il grande prato

Alla domenica, il cui pomeriggio lo considero giorno di riposo, mi concedo il lusso di seguire alcune rubriche della televisione. Il guaio però è che esse si sovrappongono. Mi piace quanto mai “L’Arena”, condotta dal bravissimo Massimo Giletti, anche se ho scoperto che c’è un cast di giornalisti di professione che tessono il contradditorio, comunque mi pare che la rubrica faccia emergere le contraddizioni, le magagne e le assurdità del nostro Paese. Mi piace pure “Mezz’ora”, condotta dalla Annunziata, la giornalista di sinistra per la quale ho un rapporto di “amore-odio”. La ritengo però una donna intelligente e preparata che fa emergere quasi sempre le vere convinzioni dei personaggi di spessore sociale che intervista.

Infine mi piacerebbe seguire anche la rubrica “Alle falde del Kilimangiaro”, condotta dalla bella e accattivante Licia Colò. Ogni volta che vedo questa donna mi vien da chiedermi: “Quanto costerà a suo marito?” Penso che abbia un guardaroba grande come un ipermercato!

Vincono però le due precedenti rubriche su quest’ultima, che pur mi piacerebbe seguire perché, pur comodamente seduto in poltrona davanti al televisore, essa mi mostra gli angoli più remoti e più belli di questo nostro mondo che, nonostante tutto, è rimasto semplicemente meraviglioso.

Ho trovato però un surrogato a questo programma, che pure è a portata di mano ed è sempre nuovo e sempre bello davvero. Il mio alloggio è composto da un salottino d’ingresso, da una cameretta e da uno studiolo. L’ingresso ha una porta che s’apre sul “corso principale” del don Vecchi, percorso ad ogni ora del giorno da pedoni e da deambulatori. L’ingresso ha pure una seconda porta-finestra che s’apre su un terrazzino che mi offre la vista di un grande campo incolto, proprietà dell’antica società dei 300 campi. Quando sono stanco di star seduto, o mi sento affaticato dal susseguirsi delle immagini offertemi dal grande televisore, mi affaccio al terrazzino ed appoggio dolcemente lo sguardo sul grande campo. Vi assicuro che non è mai uguale!

Oggi s’è vestito di un verde-giallo leggero e quanto mai leggiadro, domani o dopodomani so che sarà un quadro di Van Gogh dove il giallo luminoso dominerà incontrastato come un manto regale.

Spesso mi scopro un uomo fortunato, perché non sono costretto a cercare la bellezza in luoghi lontani perché essa bussa ogni giorno alla mia porta-finestra con abiti molto più belli di quelli della Licia del televisore.

La preghiera per Pierluigi

Questa settimana, non quella segnata sulla data ma quella in cui sto scrivendo, è caratterizzata da una situazione politica che non vorrei definire amara ed inconcludente, ma veramente disastrosa ed apocalittica. Il parlamento a cinquantacinque giorni dalle elezioni non ha un barlume di idee concrete per dar vita ad un governo e per di più ha bruciato sull’altare della faziosità uomini come Marini e Prodi, e ha fatto ballare sulla passerella delle ipotesi Rodotà, la Bonino, la Cancellieri, Amato e qualche altro, per finire ad andare a pietire ai piedi del bisnonno Napolitano perché “smontata la sveglia” non sanno più ricomporre i suoi pezzi.

Gli attori di questa commedia – ma sarebbe meglio dire tragedia nazionale – sono più di uno perché sono saliti sul palco tutti i capibanda dei quali sono composti i partiti del nostro Paese. Uno però, degli attori principali, che fino a qualche settimana fa intratteneva il pubblico italiano con tanta sicumera, è stato Bersani. Pur non avendo mai apprezzato più di tanto la scuola da cui proveniva e le frequentazioni giovanili, m’era parso che avesse messo giudizio, guidasse con una certa autorità il suo grande partito, tanto che, pur non avendolo votato direttamente, ho tentato di mettergli accanto il professor Monti, che mi sembrava avesse i piedi per terra e conoscesse meglio le regole dell’economia.

Improvvisamente il palco gli è crollato addosso: s’è scoperto che il partito che guidava era come la statua sognata da Nabucodonosor: testa d’oro, petto e braccia d’argento, ventre di bronzo e piedi, purtroppo, di ferro e argilla. Al primo scossone tutto s’è frantumato e il mondo intero che l’aveva incensato s’è accorto che ha sbagliato tutto!

Mi hanno detto che Bersani ha poco più di sessant’anni, troppo presto per andare in pensione! In questi giorni sono tornato più volte a riflettere sul dramma di questo povero uomo. Pareva che fosse arrivato finalmente il suo momento, quel momento sognato da una vita, ma la bolla iridata di sapone gli è scoppiata in mano, punta dallo spillo di rancore verso Berlusconi, il nemico di sempre.

Questa sera ho pregato per Bersani, spero che il Signore gli offra un altro motivo per cui vivere. Veltroni voleva andare in Africa, Bertolaso, della protezione civile, c’è andato. “Forza Pierluigi, ci sono ancora tante cause valide per cui impegnarsi; tu qualità ne hai, volta pagina e spendi finalmente le tue risorse in un ambiente più sano! Ne hai diritto e dovere!”

Finalmente un sussulto di dignità nel quartiere

La storia vecchia e recente del quartiere don Sturzo non è stata veramente esemplare per solidarietà verso il prossimo e per sensibilità sociale. Non vorrei ritornare ancora una volta a ricordare le pagine tristi che hanno caratterizzato il passato di questo quartiere che, per i motivi più diversi, ha assunto atteggiamenti illiberali e di una pseudo aristocrazia borghese.

Ricordo le barricate per opporsi alla costruzione delle case popolari, quindi l’opposizione assurda alla costruzione del Centro don Vecchi uno, altrettanto per il “don Vecchi due” e l’intervento presso il Comune, che era disposto a cedere alla Fondazione un pezzo di parco per la costruzione del “don Vecchi cinque” per gli anziani in perdita di autonomia, realtà che sarebbe già funzionante se non ci fosse stata questa opposizione veramente incomprensibile.

Ricordo ancora la lotta perché la “poveraglia” non accedesse ai magazzini dei vestiti, dei generi alimentari e dei mobili. Purtroppo ancora l’opposizione, con manifestazioni plateali, quando s’era pensato di utilizzare la cascina Mistro per gli anziani non autosufficienti, progetto che risultò poi realizzabile per altri scopi. Infine ricordo la campagna contro la realizzazione della “Cittadella della solidarietà” nel campazzo della Società dei 300 campi.

Ora finalmente pare che questo quartiere abbia un sussulto di dignità di fronte allo scempio e all’infinito spreco di denaro, da parte del Comune, per la bonifica del parco antistante la chiesa di viale don Sturzo. Sono stati tagliati alberi pluridecennali, s’è fatto scempio del parco, creando colline di terra, non si sa se bonificata o da bonificare. Il tutto poi s’è fermato, quasi a perpetuare in viale don Sturzo una nuova Ostia o Pompei.

Finalmente da qualche giorno sono apparsi, sullo steccato che chiude il parco, striscioni con accuse roventi contro il Comune e chi, con tanta insipienza, ha prodotto questo tsunami e pare volerlo lasciare a perpetua memoria delle scorie del tempo in cui Mestre aveva un polo industriale che produceva ricchezza.

Vedendo questi striscioni, che la pioggia sta stingendo, ho sentito il bisogno di dire: “Finalmente, cari compatrioti di viale don Sturzo, posso essere con voi per dare una ulteriore spallata ad una amministrazione pubblica spendacciona ed inconcludente! Non lo meritereste, ma per coerenza personale lo faccio lo stesso!”.

Il sì del vecchio presidente

La cronaca in Italia corre veloce ed imprevista. Il vecchio presidente della nostra Repubblica in questi giorni ha dato una splendida lezione di dedizione ed amore veramente esemplare al Paese e a tutti gli italiani.

Come ho provato più che stizza, forse ribrezzo, per la processione dei politici che sono andati in ginocchio a chiedere che il vecchio uomo di Stato restasse per trarli da quei guai in cui loro si sono messi, altrettanto ho avuto ammirazione per questo vecchio che ormai aveva già fatto fagotto per andarsene a vivere finalmente in pace gli ultimi anni della sua vita.

Forse la mia comprensione è più sentita e più vera perché mi pare di trovarmi anch’io nelle stesse condizioni e provo sulla mia pelle la fatica, talvolta perfino la nausea, di dovermi sobbarcare impegni che mi risultano tanto gravosi a motivo dell’età.

Io sono un pensionato ufficiale da almeno otto anni, ma Napolitano avrebbe avuto il sacrosanto diritto di esserlo almeno da dieci, dodici. Per di più sono anni che il presidente non ha fatto altro che raccomandare a quella ciurma di perditempo, parolai e rissosi, saccenti e strapagati, di fare le riforme indispensabili per avere un governo capace di governare ed impegnato a rimettere in moto il Paese che si va avvitando su se stesso e sta precipitando in una crisi che non ha precedenti.

Il si di Napolitano non solo mi ha riempito di ammirazione, ma mi ha anche commosso per non aver fatto pesare più di tanto gli errori, le faziosità e i tatticismi inconcludenti dei politici, tutti tesi a salvaguardare i propri interessi personali. Più volte ho ripetuto che la virtù ha un peso specifico immensamente superiore a quello del vizio, motivo per cui sono convinto che il gesto di Napolitano fa più bene al nostro Paese di tutto il male fatto dai nostri mille parlamentari.

Spero che l’ammirazione e lo stimolo ad operare per il bene della collettività che provo di fronte al gesto di Napolitano possano far bene anche ai miei connazionali. Non riesco però a concludere questa pagina senza bollare di falsità e di infamia il comico Grillo e la sua banda di plagiati che stanno recitando una commedia veramente stucchevole, che pretenderebbero di essere i vessilliferi del nuovo, quando in realtà rappresentano quanto di più stantio, meschino ed illiberale un gruppo politico possa esprimere e che non tien conto neppure degli elementi più rudimentali delle regole della democrazia in un Paese moderno.

L’ultima dei radicali

Ascolto la radio andando e tornando dal cimitero. Sono sempre sintonizzato su Radio Radicale perché è forse l’unica emittente che da mane a sera affronta tematiche sociali e non cerca di accattivarsi l’attenzione del pubblico con le solite canzonette, o comunque con quei programmi leggeri, sempre fatui ed inconsistenti.

Questa mattina una giornalista di questa emittente ha informato gli ascoltatori che si sono “aperti i tavoli” in molte piazze d’Italia per promuovere una legge di iniziativa popolare per rendere possibile l’eutanasia (traduco: l’omicidio indolore eseguito da medici in camice bianco negli ospedali costruiti per guarire il paziente dalla malattia, e non per farlo morire a spese poi della collettività) ed un’altra legge sul testamento biologico, ossia una legge per cui lo Stato si impegna, in caso di malattia grave, a garantire che i medici si attengano alle volontà espresse nel testamento depositato in Comune.

La giornalista radicale informava sui siti ove si poteva sottoscrivere la richiesta per questi due interventi. Informava inoltre che si dovevano raccogliere cinquantamila firme entro settembre e che Marco Pannella avrebbe propiziato un risultato positivo dell’iniziativa cominciando, fin da subito, uno sciopero dagli alimenti e dalle bevande.

I radicali è da molto che rimuginano questi obiettivi. Ora non sono più in Parlamento, ma sono ben presenti attraverso Radio Radicale, l’emittente pur pagata col contributo di tutti gli italiani, voluta dal partitino di Pannella, che non è mai riuscito ad entrare in forze in Parlamento ma che, giorno e notte, non cessa di creare una mentalità laica, avulsa da ogni principio morale, mentalità che svuota dall’interno il messaggio cristiano e toglie ogni speranza all’uomo, rendendolo una povera creatura in balia degli eventi.

Tutto è provvidenza

Scrivo queste note quando il calendario segna venerdì 19 aprile. Il nostro Paese è proprio al culmine del tormentone per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Quando uscirà questa pagina di diario spero che tutto si sia calmato e l’Italia abbia ripreso il suo cammino lento e, purtroppo, sonnolento, impasticciato come al solito da mille furfanterie, e al Colle segga qualcuno che sappia tener ben forte le briglie dei partiti.

Il nome che è agitato sul pallottoliere e che, quasi per caso, potrebbe uscire, è quello del professor Rodotà. Non conosco bene questo personaggio presentato da Grillo, ma che pare pur gradito a tutto quel mondo laico che gira attorno alla sinistra. Io l’ho sentito una volta soltanto parlare alla televisione e precisamente a “Ballarò”, la rubrica settimanale di politica che si muove apertamente all’interno di mentalità e scelte di sinistra. Ad essere onesto Rodotà non m’è piaciuto affatto: saccente, presuntuoso, un po’ isterico e quanto mai fazioso, tanto che m’è parso stesse ad ogni momento per dire “so tutto io”. Non so come la pensi da un punto di vista religioso e morale ma, ad occhio e croce, non mi pare che guardi con troppa simpatia la Chiesa e i suoi “derivati”.

Comunque, confesso che non spenderò neppure una giaculatoria per chiedere che il buon Dio ci scampi da un uomo del genere. Mi pare di aver finalmente capito che “gli uomini si agitano ma è Dio che li conduce”, come dicevano i nostri vecchi.

Da qualche tempo a questa parte ho la sensazione che facciano più bene alla nostra fede i persecutori che i protettori. Se Rodotà andrà al Colle, significherà che questo è l’uomo che ci siamo meritati e che forse la sua poca simpatia verso il mondo cristiano ci sarà più di vantaggio che di svantaggio, perché ci costringerà a tirar fuori fede, coraggio e combattività, perché credo che sia finito il tempo, anche per noi cattolici italiani, di esser protetti, coccolati e privilegiati, se vogliamo essere una presenza autenticamente evangelica e non una istituzione preoccupata di difendere i suoi beni e il suo status quo.

Un Papa troppo pastore

Il nuovo Papa sta riscuotendo, ogni giorno di più, la simpatia e l’entusiasmo dei fedeli per la sua semplicità, il suo calore umano e le sue scelte pastorali che si rifanno ad una Chiesa povera per i poveri. Le sue decisioni, il suo parlare semplice e comprensibile e i suoi gesti stanno smontando ogni giorno di più l’immagine di un Papa monarca, o di un Papa teologo che parla con parole e concetti assolutamente incomprensibili. Ho l’impressione che Papa Francesco scelga di fare il vescovo di Roma come fino a qualche giorno fa ha fatto il vescovo di Buenos Aires, la città caotica con le periferie povere e disastrate.

Già scrissi che ho sentito perfino Pannella parlare bene del nuovo Papa. Tuttavia questa mattina, mentre mi recavo con la mia Punto a celebrare nella “cattedrale tra i cipressi”, ascoltando Radio radicale, nel corso della rassegna stampa il giornalista ha riportato il pensiero di un teologo, che lui diceva essere un docente di una delle università cattoliche di Roma.

Il giornalista, che di certo era un laico, come lo è il corpo redazionale di questa emittente, riportava per filo e per segno una critica dura, puntigliosa e saccente con cui questo teologo condannava quello che, secondo lui, sapeva di pauperismo popolare ed era privo di contenuti teologici, come si conviene al capo di una delle religioni più importanti del mondo.

Me l’aspettavo che, prima o poi, saltasse fuori qualcuno di quei cristiani sofisticati che sono soliti discutere sul “sesso degli angeli” e che offrono un pensiero teologico avulso dalla realtà ed assolutamente incapace di trasmettere il messaggio cristiano che parli al cuore e alla coscienza dell’uomo della strada. Il giornalista riportava il nome e il cognome di questo “professore” che penso abbia la pretesa di insegnare anche a Dio.

Questa è la prima critica feroce che vengo a conoscere, però temo che ben presto vi saranno molti altri individui, che ora si sentono spiazzati dallo stile evangelico di Papa Francesco, che taglia loro l’erba sotto i piedi. A me il Papa piace così, spero che tutti i cristiani normali la pensino alla stessa maniera.

Preti in pensione

Io vivo, a livello formale, molto marginalmente la vita pastorale della città. In realtà però mi lascio coinvolgere fin troppo dalle vicende delle parrocchie, soprattutto di Mestre.

Ogni tanto mi giungono delle notizie veramente preoccupanti. Qualcuno mi ha informato che durante l’anno in corso dovrebbero andare in pensione, per raggiunti limiti di età, don Rinaldo Gusso, parroco di San Pietro Orseolo, don Franco De Pieri, parroco a San Paolo di via Stuparich, don Angelo favero e monsignor Fausto Bonini del duomo di San Lorenzo. Le prime due parrocchie che rimarranno presto vacanti potrebbero essere inglobate: alla comunità di Carpenedo o l’altra a quella di San Lorenzo, magari creando due piccole comunità di sacerdoti che si facciano carico anche degli spazi lasciati liberi dai neopensionati. Così facendo si renderebbe più razionale l’organizzazione parrocchiale, eliminando servizi doppi, utilizzando in maniera più razionale i sacerdoti, e creando un’organizzazione parrocchiale aggiornata con un maggior utilizzo del volontariato, magari assumendo qualche operatore pastorale che sbrighi tutte quelle pratiche e guidi quei servizi che sono inerenti ad una comunità cristiana.

Quello che invece mi desta maggiore preoccupazione è la sostituzione del parroco della comunità cristiana del duomo. San Lorenzo non è solamente la parrocchia centrale, a cui idealmente fa capo la città, ed è ancora una parrocchia particolarmente numerosa, ma soprattutto sono convinto che questa parrocchia sia attualmente il punto di riferimento per le altre comunità cristiane della città.

Monsignor Bonini ha creato, in non moltissimi anni, una parrocchia modello, come strutturazione parrocchiale ed ha posto in atto un tipo di pastorale di avanguardia che dà risposte globali atte a rispondere alle attese dei parrocchiani. Attualmente la parrocchia del Duomo penso sia l’unica comunità cristiana della nostra città capace di dialogare con la cultura, con la società civile, col mondo dell’arte, dello spettacolo, ed abbia approntato strumenti di comunicazione sociale quanto mai efficienti.

A questo riguardo, già qualche tempo fa ho presentato il prontuario che quella parrocchia pubblica ogni anno, per rendersi conto dell’estrema articolazione ed attualità delle sue proposte pastorali.

Qualche settimana fa ho visitato la canonica e mi sono reso conto di come il suo piano terra rappresenti il centro nevralgico estremamente moderno e funzionale della pastorale parrocchiale. Sono veramente preoccupato che venga a mancare la mente pensante di questa parrocchia che rappresenta la mosca cocchiera ed il riferimento stimolante per le altre parrocchie di Mestre.

Mestre, terra di missione senza missionari

Qualche settimana fa ho scoperto un nuovo settimanale di matrice cristiana: “A sua immagine” e l’ho presentato ai miei amici descrivendo i pregi e i limiti di questo periodico che calca le orme del più famoso e diffuso “Famiglia Cristiana”. In quella occasione mi sono permesso di aggiungere qualche nota sul primo e sul secondo settimanale.

Famiglia cristiana in questi ultimi anni ha avuto un calo considerevole di copie, si presenta con una veste tipografica e con un’impostazione redazionale più sofisticata e soprattutto s’è decisamente schierata a sinistra.

Il nuovo periodico invece è di taglia più popolare, presenta il commento della liturgia quotidiana, pubblica a puntate un romanzo di ispirazione religiosa e soprattutto presenta una serie notevole di testimonianze di persone del nostro tempo che parlano apertamente della loro fede. Un limite mi pare sia quello di presentare articoli un po’ prolissi e il “mistero” della dicitura sulla copertina della rivista: “La rivista ufficiale Rai 1”! Penso che utilizzi il materiale usato nella rubrica di carattere religioso che viene trasmessa ogni domenica da quel canale televisivo.

Questa settimana però è apparsa in edicola un’altra rivista: “Credere”. Stesso formato, stesso contenuto, anch’essa edita dalle Paoline, come Famiglia Cristiana.

Mi ha alquanto stupito questa sovrapposizione diretta alla stessa frangia di lettori. Quanto non sarebbe stato più opportuno che questi periodici si rivolgessero a pubblici diversi, o si accorpassero per abbattere i costi e migliorare i contenuti!

Purtroppo il mondo cattolico non pare avviarsi alla sinergia oggi estremamente necessaria. Ci sono mille ordini religiosi, talora sparuti, che si fanno concorrenza e sopravvivono stentatamente offrendo contenuti e proposte scadenti. La stessa cosa sta avvenendo ora per i settimanali.

Questa “scoperta” non esaltante mi ha portato a pensare ai periodici parrocchiali della nostra città, ove il degrado è desolante e la sovrapposizione ancora più assurda. La ventina di periodici parrocchiali a fatica può interessare, molto marginalmente, solo una frazione della stessa piccola parte di praticanti, offrendo loro informazioni e proposte di infima qualità e pochissimo appetibili.

Per me è angoscioso pensare che al massimo il 15 per cento dei concittadini vengono raggiunti o dalla predica domenicale del parroco o dal foglietto parrocchiale. Mi chiedo come si concilia il discorso di Gesù della “pecorella smarrita con l’85 per cento dei cristiani oggi assolutamente abbandonati a se stessi. Che non sia mai venuto in mente alla dirigenza di stampare un periodico, pur modesto, perché sia mandato, ogni settimana ad ogni famiglia della città! Spero che non si perda anche l’occasione dell’anno della fede per realizzare qualcosa del genere!

Renzi, lo scout prestato alla politica

Le mie analisi sulla politica d’oggi sono tutte saltate e sono risultate perdenti. Avevo pensato che Bersani col “battesimo” si fosse emancipato dall’educazione di Botteghe Oscure, che avrebbe vinto le elezioni e che si sarebbe alleato con Monti per rassicurare il mondo dei moderati e dei cattolici, invece tutto è andato a rovescio con la scelta di portarsi dietro Vendola e di garantirsi la collaborazione dello zoccolo duro dei vecchi compagni, specie dopo le elezioni, andate in maniera così imprevista, e dopo aver preteso l’incarico di formare il nuovo governo, incarico che l’ha letteralmente bruciato.

Da come sono andate le cose mi par di aver capito che Renzi, il giovane politico proveniente dal mondo scout, che da sempre coltiva questi valori e ne fa regola di vita, col suo spirito di avventura, la disponibilità al servizio e la concretezza, aveva ragione. M’è piaciuto Renzi perché è stato sincero e fedele al suo segretario politico, mi piace Renzi perché in questo momento difficile per il nostro Paese, sceglie ora la strada del realismo voltando le spalle ai tabù vetero-comunisti, ed è disposto a lavorare con tutti coloro che si dichiarano disposti, voltando le spalle ai pregiudizi e alle fruste ideologie, ad impegnarsi perché il Paese non ci crolli addosso ed i poveri non paghino un prezzo ulteriore ai tatticismi, ai miti e ai pregiudizi di chicchessia.

Renzi ha scritto nel suo manifesto elettorale che “considerava suo onore” meritare fiducia, che è il primo articolo della legge degli scout. Mi pare che finora, nelle alterne e non previste vicende, abbia mantenuto fede a questo principio.

Il percorso è certo terribilmente difficile; le imboscate, i tranelli, i voltafaccia, i tatticismi, le furbate degli esperti del mestiere saranno all’ordine del giorno. A me però piace lo spirito di avventura di quest’uomo, la sua concretezza e la sua volontà di servire il Paese. Spero proprio di non restare ulteriormente deluso.

Scalfari e i cardinali

Il solito magistrato in pensione, che mi onora della sua amicizia e frequenta la mia chiesa, probabilmente vedendo quanto mi interessano i pensieri del compianto cardinal Martini e l’uso che ne faccio nelle mie omelie, recentemente mi ha regalato un altro volume che riporta alcune conversazioni tra il famoso giornalista, fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari e il cardinale di Milano. Queste conversazioni hanno avuto luogo nella casa di riposo dei Gesuiti di Milano, quando Martini era già in pensione da anni e il suo stato di salute era molto precario perché minato dal Parkinson.

Scalfari, che da sempre si dichiara laico ed ateo, pone delle questioni al cardinale su tematiche esistenziali, ecclesiali e sociali. Quello che mi ha alquanto sorpreso è la delicatezza, quasi la tenerezza con le quali interroga il cardinale, più giovane di lui di qualche anno.

Io ho conosciuto Scalfari leggendo i suoi editoriali: decisi, acuti, spesso taglienti e di una ironia sferzante, ma soprattutto in un dibattito, sempre su temi religiosi, che qualche anno fa questo giornalista ha avuto a Cortina su iniziativa di quella prestigiosa comunità montana. In quell’occasione Scalfari era stato impietoso, facendo degli “affondo” di una durezza spietata, tanto che non gli avevo perdonato di avere letteralmente umiliato il nostro Patriarca, non solo con la sua notevole bravura dialettica, ma usando perfino sarcasmo nei riguardi delle tesi portate avanti dal nostro cardinale il quale fu ridotto in visibile affanno, tanto da arrancare penosamente.

M’aspettavo qualcosa del genere anche con Martini, invece no: ha posto le domande con una delicatezza e con sommo rispetto, convenendo con lui su quasi tutto. M’è sembrato del tutto aperto al dialogo e in ricerca sincera di tutti gli elementi che potevano essere condivisi.

Di certo Martini si comportò con una calda ed umile umanità, mai impalcandosi a maestro, ma offrendo sempre le sue proposizioni, confessando le debolezze della Chiesa e i suoi dubbi, proponendosi come un umile ricercatore della verità. Mai una condanna, mai un’affermazione perentoria!

Leggendo questo volume mi è parso di capire che la cultura del nostro mondo non può considerarsi ostile e nemica del messaggio cristiano, anzi mi è parsa un filtro per purificare ed inverare il pensiero cristiano nel nostro tempo.

Papa Giovanni, che di saggezza ne aveva molta, aveva veramente ragione quando affermò che “sono molto più i punti che uniscono di quelli che dividono tra credenti e non!”.