Tentativo di messa in rete

Il mio tentativo di premere perché “la carità” della Chiesa veneziana sia messa in rete ad esprimere in maniera sempre più esplicita ed evidente il volto e il cuore di Cristo verso i fratelli in difficoltà, è ormai un fatto scontato, o quasi, che non fa purtroppo più notizia.

Debbo confessare che i risultati di questi tentativi sono pressoché insignificanti. Da anni insisto perché tra tutte le strutture, i movimenti e le iniziative benefiche, o meglio solidali, si dia vita ad una federazione che raccordi, faccia interagire e parli ad una sola voce alla città e ai suoi reggitori, di tutto quello che riguarda la solidarietà. Da anni sollecito la nascita di un periodico che maturi nella Chiesa veneziana e nella città la cultura solidale, faccia conoscere l’esistenza e promuova ciò che ancora manca.

E’ da anni che spingo perché si crei un centro di coordinamento di studio, di programmazione, che organizzi al meglio e in maniera moderna l’esistente, e promuova ciò che ancora manca, cosicché le risposte ai bisogni siano rapide, puntuali, appropriate ed esaustive. E’ da anni che insisto perché si dia vita alla “Cittadella della carità”, perché ci sia un Centro in cui convergano i servizi essenziali e sia presente “il cervello e il cuore” della carità della diocesi.

Forse il prospettare la nascita di un mondo nuovo mette paura, tanto che essendo venuto a conoscenza di una iniziativa di un’associazione che raccoglie e distribuisce indumenti a chi ne ha bisogno, mi è venuto da sperare che “la politica dei piccoli passi” possa essere la vincente.

L’associazione di volontariato “vestire gli ignudi” nell’Italia settentrionale è di gran lunga la più significativa; infatti conta trentamila visite l’anno e gestisce l’ipermercato solidale che forse è il più efficiente anche a livello nazionale.

Notando un rallentamento di offerte di vestiti usati a causa della crisi ed un aumento delle richieste, sempre a causa della stessa crisi, è stato chiesto al Patriarca di destinargli almeno una parte della raccolta della Caritas che praticamente ha l’esclusiva del settore e che probabilmente vende a prezzi irrisori gli indumenti raccolti ad industriali di Prato.

Mi auguro che una risposta positiva segni l’inizio di una nuova “politica” di integrazione che spezzi la forma di individualismo esasperato che caratterizza questo settore.

La cattedrale dei copti

Domenica primo maggio, dopo la celebrazione della messa in cimitero, ho sentito il bisogno di “fare un salto” al “don Vecchi” di Campalto. Credo che fosse più di un mese che non ci andavo, a causa di una brutta influenza da cui non mi sono ancora liberato (questo articolo risale a diverse settimane fa, NdR).

La bella giornata di sole ha reso ancora più ricca di fascino la “scappatina” in quel di Campalto. Bisogna pur dirlo: i Centri don Vecchi sono veramente belli, ordinati, eleganti e curati anche nei minimi particolari, sia negli esterni che all’interno.

Mi ha accolto sorridente e sornione, Stefano, che col suo nuovo trattorino “faceva la barba” al prato, tanto che il verde che inquadra la facciata dell’edificio, particolarmente pulita e moderna, sembrava un tappeto persiano. Appena dentro mi hanno accolto invece le signore, eleganti e cordiali come nobildonne, felici ed orgogliose della loro sontuosa dimora, ricca di mobili di pregio e di quadri, e più felici ancora sapendo quanto io sia esigente dal punto di vista estetico, del bell’ordine con cui è tenuta la casa. Neanche a Campalto le residenti sono ragazzine, ma in quella cornice così signorile anche i loro volti e le loro persone facevano un tutt’uno con l’eleganza delle sale comuni.

Il motivo però che mi spinse alla “scappatella” non era solo quello di farmi vedere e di controllare, ma anche la curiosità per la nuova chiesa dei cristiani copti che, tutta cupolette e pinnacoli, sta sorgendo accanto al “don vecchi”.

Può darsi che fra qualche anno il crocevia di Campalto diventi famoso per questi due edifici, uno segnato col tocco del futuro e l’altra col contrassegno di una cultura e di una tradizione alle quali non s’è voluto rinunciare neppure in terra straniera e d’esilio. L’edificio sta crescendo a vista d’occhio, tanto che sono assolutamente certo che i passeggeri che arrivano e partono dal vicino aeroporto, dall’alto guarderanno incuriositi questo angolo di terra nel quale due realtà tanto diverse per tradizione e cultura si danno una mano e vivono fraternamente l’uno accanto all’altra, in un clima di perfetta integrazione civile e religiosa.

Un obiettivo tanto difficile da sembrare impossibile

Sono sempre stato convinto che il bene vada fatto bene perché, se non fosse così, non sarebbe neppure bene.

Non c’è persona che entrando in uno dei Centri don Vecchi non si meravigli per la pulizia, il buon gusto e la signorilità dell’ambiente. La reazione più comune si traduce quasi sempre con questa affermazione: “Questa non è una casa di riposo, ma un albergo a cinque stelle!”. In verità le cose non stanno realmente così, però è una nostra convinzione che sia importante offrire a chi ne ha bisogno non solamente un qualsiasi alloggio, ma un alloggio dignitoso ove vi possa dimorare senza sentirsi avvilito il “figlio prediletto di Dio”.

Però, per poter praticare questa solidarietà d’alto rango, serve denaro, tanto denaro e quand’anche esso ci fosse, bisogna poter contare sulla collaborazione degli utenti. Purtroppo questo non avviene sempre e per tutti. Per entrare al “don Vecchi” tutti promettono mari e monti; una volta entrati però, tutti o quasi tutti sono prontissimi ad accorgersi e ad approfittare di ogni vantaggio; molto meno purtroppo sono altrettanto pronti a rendersi disponibili. Solamente con l’aiuto di tutti si possono abbattere i costi in modo che anche le persone meno abbienti possano vivere in un ambiente dignitoso.

Qualche giorno fa sono stato costretto a lanciare un appello per trovare un pensionato disposto ad annaffiare e curare i fiori e le piante del nostro parco, perché non si riduca allo stato selvatico dell’orto di Renzo Tramaglino, il celebre protagonista dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni.

Mentre calibravo le parole nella speranza che qualcuno potesse rispondere positivamente al mio appello, mi venne in mente che al “don Vecchi” di Carpenedo abitano almeno duecentocinquanta persone, ma quasi tutti, alle richieste di collaborazione, rispondono come i protagonisti della parabola evangelica dell’invito a nozze: “Ho nipoti da badare, abbimi per iscusato; ho l’artrite, abbimi per iscusato; vado all’università della terza età, abbimi per iscusato; non ho pratica….”

Mi piacerebbe scrivere che tutti gli anziani sono compartecipi, impegnati e coinvolti, cosicché il bene di tutti nasca dall’impegno di tutti; purtroppo non è ancora così, non rinuncio però a sperare per il futuro.

Il contratto

“L’incontro” esce nella tarda mattinata di lunedì e subito, nel primo pomeriggio, comincia la distribuzione. Nell’impresa non facile, di rifornire i sessanta punti di distribuzione, a me spetta il compito di rifornire la chiesa del cimitero, l’ospedale dell'”Angelo” e le chiese di Carpenedo e delle suore di clausura. Il rifornimento di queste due ultime postazioni lo faccio il martedì mattina.

L’ultimo martedì, mentre stavo calibrando i vari pacchetti in rapporto al passaggio dei fedeli, mi raggiunse don Gianni e, prima, mi costrinse a prendere il caffè da Ceccon (nonostante per quarant’anni io e Ceccon siamo stati “coinquilini” della piazza, penso che questa sia stata la prima volta che avvenisse, data la mia atavica riservatezza) poi quasi mi costrinse a partecipare alla firma del contratto con l’impresa Eurocostruzioni che costruirà il “don Vecchi” di via degli Arzeroni.

Oltre a don Gianni e Andrea Groppo, c’era l’amministratore delegato di questa impresa e i responsabili delle imprese che cureranno l’impianto elettrico e quello idraulico.

Il clima dell’incontro è stato quanto mai cordiale ed amichevole, ma per me ha assunto quasi l’importanza di un fatto storico, tanto tribolate e lunghe sono state le premesse, quanto sorridenti e positive le speranze.

A me capita di star bene quando aiuto una persona in difficoltà, anche se so che l’offerta è inadeguata e non risolutiva, però la firma di questo contratto mi ha reso cosciente che fra un anno e qualche mese ben sessanta anziani traballanti ed incerti nel muoversi avranno un alloggio autonomo del quale loro saranno i titolari a tutti gli effetti, e perdipiù sarà loro garantita, a titolo gratuito, la pulizia del loro alloggio e della loro persona. M’è parso un atto di solidarietà veramente sacro e solenne, reso ancora più consistente dal fatto che esso si ripeterà, quasi in maniera automatica, per uno o due secoli.

Ho parlato di un gesto veramente sacro, perché credo che non vi sia “pontificale”, celebrato pur dal Patriarca e nella cattedrale di San Marco, che avrà mai la consistenza di questo contratto a cui si è arrivati con immensi sacrifici e difficoltà, supportati dal comandamento di Dio e che impegnerà tanti cristiani oggi e domani ad essere coerenti a questo atto di fede in Dio e nei figli di Dio.

In crociera con i vecchi

Martedì 16 aprile ho accompagnato i miei vecchi in “crociera” a Chioggia. Ben s’intende io ho fatto da cappellano, mentre al timone della “nave” c’era uno staff di gente preparata e capace.

Siamo partiti alle 14 con due pullman con 110 croceristi provenienti dai centri di Carpenedo, Campalto, Marghera e con qualche anziano aggregato alle nostre iniziative. L’appuntamento era per le 15,30 presso il santuario della Madonna della Navicella a Chioggia.

Il giovane parroco di una comunità di 12.000 fedeli ha accolto noi pellegrini con simpatia ed affetto veramente straordinari. La fama del “don vecchi” ha ormai varcato di molto i confini della città, tanto che, entrato in una chiesa, durante la passeggiata lungo il corso, un prete anziano che stava dicendo il rosario, dandomi un’occhiata, mi disse: «Lei è don Armando, il famoso prete di Mestre?». Non pensavo proprio che ci volesse così poco per diventare celebri!

Il parroco della “Navicella”, con molta sobrietà, ci raccontò la visione dell’ortolano del 1500: purtroppo anche a quei tempi a Chioggia imperversavano malcostume, crisi religiosa e morale. Non c’è proprio nulla di nuovo sotto il sole!

Comunque la liturgia risultò quanto mai devota e partecipata. Abbiamo pregato perché i nostri parlamentari sappiano eleggere un presidente – uomo o donna – corretto, onesto e non di parte, così da poter rappresentare con dignità il nostro popolo. Abbiamo pregato per avere un governo, perché senza l’aiuto del Cielo pare un’impresa impossibile.

Al sacro è succeduto il profano: merenda – tre panini a testa, con salame e formaggio, dolce, vino e bibite. Pure la merenda è stata quanto mai viva e partecipata. Infine la passeggiata lungo il corso principale di Chioggia, quanto mai animato e vivace, per andare ad ammirare la laguna e soddisfare la curiosità di verificare se suull’alta colonna corinzia che sta in fondo al corso c’è realmente “il gatto” al posto del leone di san Marco?

Io ci vedo poco, comunque, anche se di leone si tratta, esso è solamente un cucciolo di leone, ma pare che i chioggiotti vivano lo stesso, infatti i bar erano tutti affollatissimi.

Verso le 19 ritorno felice a casa a motivo del “bellissimo pomeriggio” costato, tutto compreso, 10 euro!

E dire che la gente cerca il bello mille miglia da noi, pagando migliaia di euro, mentre abbiamo dei paesaggi, delle città impareggiabili sotto casa!

Sempre e comunque con la gente

Mi rendo perfettamente conto che la mia maniera di fare il cristiano e il prete è molto profana, infatti io mi lascio coinvolgere dalla politica, mi ribello alla burocrazia del Comune, mi indigno perché quattro gatti a Venezia starnazzano come le oche del Campidoglio per le “grandi navi” che entrano in punta di piedi in bacino San Marco per “versare” un sacco di dollari alla città (è facile immaginare quanto possano spendere tre, quattromila persone in crociera e quali vantaggi ne abbia la città), come posso accettare che sindaco, giunta e consiglio comunale si lascino condizionare da questa gente irrequieta e campata in aria?

D’altronde, come posso starmene zitto ed in pace quando, essendosi aperta una piccola voragine in “via dei 300 campi”, strada percorsa ogni giorno da centinaia di bisognosi che vengono al “don Vecchi” per chiedere aiuto, quando ho richiesto l’intervento del Comune (1° aprile 2013), mi sono sentito rispondere: “Il Comune non ha soldi, bisogna attendere fino al 25 maggio per vedere se possiamo racimolare qualche euro; a quella data vi sapremo dire se possiamo intervenire o no”.

A me pare che un cristiano, e soprattutto un prete, non possa starsene a giocherellare con qualche avemaria, o a filosofeggiare sul sesso degli angeli!

Talvolta mi capita di leggere il pensare dolce, soave e mistico di miei colleghi; di primo acchito quasi mi sento un pesce fuor d’acqua, però un momento dopo mi ribello al pensiero di un cristianesimo angelicale, avulso dai problemi reali della vita.

Il nostro nuovo Papa mi ha confortato alquanto quando disse che i preti devono “odorare da pecore”, perché devono essere totalmente coinvolti dalla vita e dalle vicende del loro “gregge”.

Talvolta sono un po’ preoccupato per la mia solitudine ideale, ma poi decido, ancora una volta, di essere cristiano e prete che “puzza” dei problemi della sua gente.

L’avventura del pulmino

Lo scorso anno il presidente della municipalità ha accompagnato al “don Vecchi” una ragazza piuttosto avvenente per farmi una richiesta-proposta: ossia mi chiedeva se io avrei gradito la fornitura, a titolo gratuito, di un “doblò” attrezzato con carrello sollevatore per trasporto di persone disabili.

La cooperativa che proponeva l’operazione avrebbe fornito l’automezzo, pagato l’assicurazione e il bollo e l’avrebbe ceduto con un tipo di comandato gratuito per quattro anni rinnovabili.

D’istinto mi venne da pensare: “Troppa grazia, sant’Antonio!”.

Poi questa agente della cooperativa illustrò tutti gli aspetti dell’operazione: il Comune e la Fondazione avrebbero avallato, con atto formale, la raccolta della pubblicità presso le aziende cittadine, per cui l’automezzo sarebbe apparso come il manto di un leopardo, ma con macchie di misura e di colore diversi in rapporto alle “icone” richieste dalle singole ditte.

Sembrava che la somma necessaria – cinquantamila euro – sarebbe stata reperita in pochi mesi, ma la crisi economica rallentò decisamente la raccolta. Le aziende, anche le più sane, sono piuttosto guardinghe oggi nello sborsare denaro per farsi pubblicità. Spesso mi giungevano telefonate dalle ditte interpellate, per garantirsi che non ci fossero inganni. Comunque, anche se con una certa fatica, siamo arrivati in porto e con un rito solenne, ci è stato consegnato l’automezzo.

L’impresa m’ha fatto felice per più motivi, da un lato perché il “don Vecchi” è oggi, presso i cittadini, un ente riconosciuto, stimato e meritevole di essere aiutato, e dall’altro lato perché l’automezzo, con l’attrezzatura per il trasporto di disabili, ci è quanto mai utile per accompagnare gli anziani presso gli ambulatori per le visite mediche che oggi sono quanto mai frequenti. Ora si tratterà di reperire tra i residenti un volontario e il servizio sarà bell’e pronto ed efficiente.

Attualmente il parco macchine del “don Vecchi” e delle associazioni che vivono in simbiosi, è ormai rilevante: cinque furgoni, dei quali uno con frigo e due doblò. L’azienda sta prendendo consistenza!

La carità non è un costo ma un ricavo

Quarant’anni fa, quando decidemmo di aprire la mensa di Ca’ Letizia, uno dei problemi che maggiormente ci preoccupò fu quello di trovare i soldi per pagare la cena ai cento commensali potenziali. Per attenuare la preoccupazione, decidemmo di richiedere un piccolo compenso da parte degli ospiti. Partivamo infatti dall’idea che i concittadini che avessero voluto aiutare un povero, invece di arrischiare che questi andasse a bersi l’elemosina, prepagassero una cedola equivalente ad una cena.

La trovata funzionò solo in parte. Pochi cittadini infatti, per i motivi più diversi, aderirono all’iniziativa, mentre alcune parrocchie – quelle di via Piave, San Lorenzo e Carpenedo – acquistarono ingenti quantitativi di “buoni cena” che poi distribuivano in giorni prestabiliti ai questuanti che non mancano mai alla porta delle canoniche.

Quando iniziammo a distribuire i mobili, i vestiti, la frutta e verdura, partendo da questa esperienza ed aggiungendovi le considerazioni che la beneficenza arrischia di produrre assuefazione alla mendicità cronica e che invece fosse educativo, per creare una città solidale, che anche i poveri aiutassero chi è più povero di loro, abbracciammo la dottrina che “magari poco, ma ognuno deve dare qualcosa in cambio dell’aiuto ricevuto”. Questa dottrina portò alla conclusione che il “polo della carità” del “don Vecchi” (distribuzione vestiti, mobili, arredo per la casa ed altro) non solo non è passivo, ma in realtà risulta una delle voci più consistenti della Fondazione Carpinetum a cui vengono destinati i proventi dei magazzini. Adottai la stessa logica per il Foyer San benedetto, con lo stesso risultato.

Ora pare che il Patriarca desideri che la Chiesa mestrina crei una struttura di accoglienza notturna per chi è in disagio abitativo e penso che ci sia grossa preoccupazione per reperire i soldi necessari per fare la struttura, ma soprattutto ci sia la grave preoccupazione per il costo della gestione.

Sono convinto che se si adotterà la dottrina del polo solidale del “don Vecchi”, non solamente questo “albergo” per i senzatetto non peserà sulla diocesi o su chi lo vorrà condurre, ma dovrà invece diventare una voce attiva.

E’ tempo che si esca dalla vecchia mentalità assistenziale per aiutare ogni cittadino, ricco o povero, a “farsi prossimo” del fratello che incontra bisognoso sulla sua strada.

La puzza delle pecore è il profumo del prete

Sto divertendomi alquanto immaginando le reazioni dei sottili ed acuti docenti di teologia, di pastorale, di psicologia e di tutte quelle discipline ecclesiastiche che attengono al rapporto fra il sacerdote e la sua gente quando sento il nuovo Papa auspicare che i “pastori” puzzino di pecora.

Molto probabilmente sarà difficile che queste reazioni vengano a galla in maniera manifesta, che i giornali e le riviste cattoliche le riportino all’attenzione dei lettori; di certo invece rimarranno al chiuso, nella penombra dei conciliaboli degli addetti ai lavori che la vita e la gente la conoscono solamente dai libri.

Il Papa non ha usato circonlocuzioni o discorsi complicati per affermare che i religiosi e chi si occupa dei cristiani e della gente del nostro tempo, devono calarsi dentro a queste realtà, e non possono vivere segregati da esse dietro la siepe dell’orticello dei devoti, ma devono riprendere a diventare lievito che fermenta dal di dentro la pasta umana adoperando le parole, le vesti, i modi di essere e di porsi che siano dello stampo di quelli adoperati dalla gente di oggi.

Il Papa sta tentando di far saltare gli steccati, le balaustre, le distinzioni. Le avanguardie cristiane tutto questo l’han capito da tempo. Ci sono infatti abbondanti testimonianze di “operatori pastorali” che hanno scelto di vivere “con loro, per loro e come loro” per tentare di far maturare le potenzialità della gente, far fiorire quelle sementi che il Signore ha seminato con abbondanza nella coscienza di tutti.

Il problema ora è far si che anche “il grosso della Chiesa”, in tutte le sue articolazioni, si lasci coinvolgere in questa scelta ed esca dal chiuso, non solo di una mentalità estranea al modo di pensare dell’uomo di oggi, ma anche da un certo appartarsi, quasi sia timorosa di farsi influenzare da quello che Gesù definiva “il mondo”.

Oggi la Chiesa, nella figura del prete e dei cristiani più impegnati, deve presidiare il territorio, dialogare soprattutto con gli uomini reali e non quelli delle definizioni libresche, vivere accanto, partecipare alle problematiche attuali, lasciarsi coinvolgere. La Chiesa non può rifugiarsi in un mondo elitario, isolato dal resto del mondo. Già la rivoluzione francese aveva scalzato “il terzo stato”.

E’ un po’ particolare, però è quanto mai efficace la richiesta del Papa che i cattolici, e soprattutto i preti, siano impregnati dall'”odore della gente reale”!

La banda di don Emilio

A dire la verità ho la sensazione che da qualche anno a questa parte la Chiesa, i laici e i preti della nostra diocesi appaiano pochino nella stampa locale e spesso non facciano più notizia. Ho l’impressione che il gregge veneziano sia perfino più timido e più riservato delle “pecore con la lana”.

Qualche settimana fa c’è stata una notizia da sei colonne sul quotidiano locale in cui don Emilio Torta, il parroco di Dese, ha affermato, facendo eco al parroco di San Vito e Modesto di Spinea, che è preferibile rubare ai ricchi, perché i poveri non siano costretti alla disperazione e al suicidio.

Tutto questo ha avuto il precedente di un suicidio “per crisi” a Spinea e un seguito: una banda ha assaltato un furgone portavalori nell’autostrada con un bottino di cento milioni di euro. Dopo questo secondo evento però non ho ancora sentito dire che gli assalitori dei ricchi dei supermercati abbiano cominciato a distribuire i soldi ai poveri!

Di primo acchito m’era venuta la tentazione di prendere in mano il telefono per dire a don Emilio, prete che ammiro e stimo quanto mai,: «Aderisco alla tua banda!» Infatti lui ha dichiarato al “Gazzettino” che era disposto a mettersi a capo di chi era disposto a togliere ai ricchi per dare ai poveri.

La cosa si ingarbugliò però subito: il questore ha affermato che le leggi valgono per tutti. Questa è un’affermazione ingenua e ipocrita, perché non è vero che in pratica sia così, infatti c’è ormai una “casta”, come si usa dire, che ruba “legalmente”. Un ladro di professione ha affermato poi che da una vita fa questo mestiere, però ha passato più di venti anni in galera.

E poi ho cominciato a riflettere: “Se con don Torta riusciamo a portare a termine qualche colpo a scapito di una delle poche aziende che funzionano ancora, ci saranno nuovi disoccupati che s’aggiungeranno alla folla immensa che c’è già ed inoltre si spegnerebbe una fonte che produce ricchezza e quindi ce ne sarebbe ancora meno da spartire.

Perciò penso che sia più giusto che ce la prendiamo con chi da troppo tempo campa fin troppo bene sulla cattiva gestione del denaro “estorto legalmente” al cittadino, con chi continua beatamente a lavorare poco e male, con chi passa il tempo in schermaglie verbali e fittizie, semina sogni impossibili e favorisce l’ingiustizia e perpetua l’oppressione del povero.

Ho quindi pensato di suggerire a don Torta che da un lato impegniamo le nostre comunità a puntare concretamente su obiettivi solidali e, dall’altro lato, continuiamo a denunciare senza sosta e senza risparmi di colpi, chi sta conducendo alla miseria economica e morale il nostro Paese.

La prova del nove sulla validità dell’innesto cristiano

Uno dei più gravi problemi che mi assillano, come prete, è quello di trovare un modo per convincere che la religiosità non è come un bollo di maggior o minor valore, che si incolla sulla vita di una persona, ma è un’energia, un incanto, una primavera interiore che pervade, profuma e rende bella la vita di una persona. Ho invece la brutta sensazione che per moltissimi battezzati la risposta che si reputa adeguata alla proposta del messaggio cristiano, si riduce alla pratica, più o meno fedele, a certi riti, a certe osservanze proposte dalla pratica religiosa della tradizione.

Per me tutto questo è quasi niente! La fede, per me, è quasi la sorella gemella dell’amore che, quando un uomo incontra, diventa qualcosa che pervade l’anima, il cuore, la mente e lo porta a dire e a fare certi gesti che, però, non sono essi l’amore, ma delle gemme che spuntano e fioriscono quando esso diventa linfa vitale.

Qualche mattina fa nella mia meditazione, ho incontrato la confidenza di una signora che mi pare esprima in maniera semplice ma convincente il concetto suesposto. «Si vede che siete madre e figlia», aveva detto il commesso del negozio dove abitualmente andavamo a fare la spesa. «Abbiamo sorriso, senza neanche commentare. Avevamo già sentito altre volte questa frase che ci diverte perché siamo madre e figlia, ma non abbiamo il DNA in comune. Mio marito ed io abbiamo infatti adottato nostra figlia quando aveva sei settimane. Vivendo assieme per venti anni certamente lei ha preso molto da me, pensiamo in modo simile, le nostre espressioni di voce e i gesti sono simili, amiamo entrambe il Signore, chi ci osserva nota queste somiglianze».

Ora pongo questa domanda per me. Penso che ognuno possa, anzi debba porsela: “Io sono stato adottato da ben 84 anni da Gesù; ebbene chi mi incontra può affermare, come il commesso del negozio: «Si vede che sono padre e figlio?’».

San Paolo ha affermato: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Talmente egli aveva assimilato le movenze, le parole e il pensiero di Gesù! Non so però se noi, duecentomila battezzati di Mestre, diamo la stessa sensazione. La religione o produce questa osmosi di sentimenti e di pensieri, motivo per cui essa realizza la funzione dell’innesto sull’albero selvatico e produce i fiori e i frutti dell’innesto, o altrimenti quel tentativo di innesto è totalmente fallito e l’albero rimane selvatico, primordiale e infruttuoso.

Non vorrei trovarmi alla fine della vita, dopo tante messe e tanti rosari, a sentirmi dire: «Non ti conosco, perché non mi rassomigli per nulla!».

Ho paura

Conosco tanti amici e tanta gente che ha votato “Grillo”, ossia il Movimento cinque stelle. Premetto subito che capisco fino in fondo l’immensa ondata di protesta che sale dal basso contro una classe politica rissosa, avida, inconcludente, corrotta e faziosa.

Anche in occasione dell’elezione del nuovo presidente, del tentativo prima di Bersani e poi di Letta di dar vita ad un governo di coalizione – il solo possibile dopo l’assoluto rifiuto dei parlamentari del Movimento cinque stelle di parteciparvi – ci sono stati e, per disgrazia, ci sono ancora, dissensi, mugugni, minacce di votar contro da parte dei cosiddetti “falchi” sia di destra che di sinistra.

Una volta scoppiato “l’imprevedibile miracolo” che destra e sinistra, pur costrette, si siano messe finalmente d’accordo – fatto per cui dovremmo cantare il più solenne Te Deum – c’è ancora invece gente che neppure di fronte alla catastrofe rinuncia ad essere faziosa.

Ora tutto questo fa comprendere e giustifica il movimento di Grillo che afferma di voler spazzar via una classe politica così deludente e inconcludente e rappresenta il malcontento, lo sdegno e il rifiuto di una larga parte del popolo italiano. Quindi ritengo che sia più che comprensibile questo rifiuto radicale, però penso che la soluzione proposta sia, come dice la nostra gente: “pèzo el tacòn del buso”.

Primo: la filosofia sconclusionata di Casaleggio, l’ideologo del movimento, che si atteggia a nuovo redentore del genere umano, pare quello che di più fumoso si possa immaginare. Secondo: il metodo padronale, autoritario, intollerante e minimamente rispettoso della libertà e del pensiero dei suoi adepti, del comico datosi alla politica, mi fa paura, mi fa veramente paura!

Mussolini, Hitler, Stalin. Ceausescu, Tito e tutti i satrapi dell’ultimo secolo sono andati al potere e han commesso i peggiori crimini della storia partendo da questi presupposti ed usando nella fase iniziale gli stessi metodi.

Mi auguro che la gente, dopo aver dato un segnale forte ai vecchi politici votando per Grillo, ora riesca a farsi rappresentare da una generazione nuova di politici che dialoghino e accettino le regole basilari della democrazia. Io che ho visto che cosa hanno fatto il Duce, Stalin, Hitler e compagni, spero di non dover fare un’altra volta esperienze del genere e perciò dico chiaro e tondo ai miei concittadini: «Io ho paura, state attenti!».

Il segreto dell’attivo

Le confidenze di qualche collega mi hanno turbato in quest’ultimo tempo. Sono venuto a conoscenza che qualche operazione sbagliata e qualche conduzione poco attenta ha messo in difficoltà qualche ente che ruota attorno al mio piccolo mondo.

D’istinto, più volte in questi giorni, mi sono chiesto: “Come mai il don Vecchi gode buona salute, coltiva progetti di sviluppo, come mai la sua contabilità non ha mai conosciuto il rosso? Sono ben lontano dal pensare di potermi ergere a maestro, se non altro perché mai nessuno del mio mondo mi ha chiesto i “segreti” di questa nostra realtà che, nonostante i tempi difficili e la crisi incombente, sogna, progetta e si proietta nel futuro.

Di certo io non ho mai pensato di avere capacità manageriali, ancorché qualcuno, forse per affetto o forse per spirito critico, talora mi abbia definito “l’imprenditore di Dio”.

Monsignor Vecchi, quando io, giovane prete, sognavo ad occhi aperti e proponevo progetti avanzati, mi ripeteva: «Ora, don Armando, non hai responsabilità economiche, ma quando non sarà più così, t’accorgerai quante difficoltà si incontrano!». Questo monito mi ha sempre aiutato ad essere cauto, a non essere spericolato, ma soprattutto a farmi aiutare.

Ieri pomeriggio sono andato al “don Vecchi” di Marghera per l’inaugurazione di una delle tante “personali” che si susseguono ogni quindici giorni. Una volta ancora sono rimasto incantato dal buon gusto, dalla signorilità, dalla cura del prato, come delle sale interne. I numerosi ospiti che sono intervenuti per l’inaugurazione della mostra non facevano che ripetere che quello era un hotel, non una casa di riposo! E mi guardavano come io fossi l’artefice di tanta bellezza, mentre io arrossivo di fronte a queste lodi, perché il merito di tanta armonia era ed è tutto di Teresa e Luciano, la coppia di sposi che investono il meglio del loro cuore e della loro intelligenza per questa struttura che amano e curano come fosse il loro castello, il più bel “gioiello di famiglia”.

Anch’io sono rimasto a bocca aperta di fronte all’incanto di una residenza che si potrebbe immaginare destinata a ricchi mercanti o appartenenti al patriziato veneziano.

I Centri don Vecchi sono vivi, efficienti, belli ed in attivo, perché non c’è settore che non possa contare su un numero sconfinato di persone belle e care che offrono il meglio di sé agli anziani senza censo e, spesso, senza famiglia.

Garantisco fino agli 85 anni

Al lunedì mattina scendo nell’interrato del “don Vecchi”, ove una decina dei miei ragazzi-scout di più di mezzo secolo fa, stampano le cinquemila copie de “L’incontro”, facendo girare a tutto vapore le due “rotative”. Nessuno può immaginare con quanto piacere incontro questo gruppetto di “ragazzi” che dedicano un’intera mattinata alla stampa del settimanale, quanto mi faccia piacere vedere il cameratismo, la cordialità, il senso dell'”impresa e d’avventura” che anima questi pensionati. Spero di averli aiutati anch’io a capire quant’è importante a questo mondo “servire” a qualcuno o a qualcosa.

Mi vergogno un po’ a dirlo, però talvolta mi vien da pensare che loro siano “i pezzi” meglio riusciti del mio impegno di tempi così lontani, se a settant’anni e più si divertono ancora come ragazzi a seminare nell’intera città questo periodico che rappresenta ogni settimana un’autentica “avventura” per la sessantina, settantina di appartenenti alla terza e quarta età che ne sono coinvolti.

Ogni volta che scendo in tipografia ritorno felice come un bambino e ogni volta uno o l’altro ha sempre qualcosa da raccontarmi, qualcosa che mi consola e mi fa dimenticare che a ottantaquattro anni avrei diritto alla “pensione definitiva”.

Questa mattina Oscar, il vecchio capoclan, mi ha raccontato che era appena tornato da Rimini, dove aveva partecipato ad un convegno di quindicimila aderenti al movimento “Rinnovamento dello spirito”. Appena mi diede questa notizia ho immediatamente capito che c’era stato di certo lo zampino di Donata, sua moglie, la ragazzina tutta pepe e sale che ogni tanto mi faceva leggere qualche pagina del suo diario, attraverso il quale raccontava a “Miche” le sue avventure di adolescente.

Finché potrò continuare a raccogliere confidenze ed esperienze del genere potrò dire a quei giovani preti, che ci sono ancora, che vale la pena giocarsi tutti sul mondo dei ragazzi e dei giovani, e ai preti più anziani che almeno fino agli ottantacinque anni si possono fare e vivere esperienze ed eventi quanto mai interessanti quando si investe sul volontariato.

La Bindi

Venti, trent’anni fa la signora Miraglia, che è stata in politica per tutta la vita a livello locale, mi ha raccomandato in maniera appassionata la candidatura in parlamento di una giovane signora di Firenze.

Fin da allora, anzi allora più di oggi, c’era il problema che erano poche le donne che partecipavano a livello nazionale al governo o alle cariche più importanti di partito. A quel tempo i cattolici avevano come punto di riferimento la Democrazia Cristiana e lo spazio di libertà permesso dalle gerarchie ecclesiastiche era solo quello di poter usare del voto di preferenza.

Prima di allora la libertà di coscienza consentita era ancora minore; infatti le prime reprimende che mi si fecero in seminario furono quelle di mettermi in guardia, di sconsigliarmi, anzi di proibirmi di parlare a favore di aspiranti politici che rappresentavano la sinistra di quello schieramento politico. A quel tempo all’appartenere per nascita al mondo dei poveri s’era aggiunta la lettura di “Adesso” di don Mazzolari, ed infine la mia giovinezza aveva perfino esasperato la mia radicalità. Sono convinto, anche se molti amici sono di diverso parere, che per tutta la mia vita mi abbia accompagnato il desiderio di schierarmi a favore degli “ultimi”.

Ebbene, la signora Miraglia, che faceva campagna elettorale per Rosy Bindi, per avvalorare il suo suggerimento politico, mi disse che la candidata fiorentina apparteneva ad una congregazione religiosa laica. Non ricordo se allora ho dato la preferenza alla Bindi, comunque oggi ne sarei profondamente ed amaramente pentito, vedendo l’astiosità, anzi la repulsione della Bindi verso i suoi avversari in politica e, peggio ancora, verso i compagni che tentano di salvare il Paese dando vita alla “grande coalizione” che in Germania funziona da tanto tempo senza che alcuno si scandalizzi.

Ora penso che sia proibito, a causa della omofobia o di qualcosa del genere, dire che la Bindi è una vecchia zitella inacidita, perciò mi guardo bene dall’affermarlo, però un tempo l’avrei detto senza tante preoccupazioni. Una credente, una cristiana ed una monaca che si scandalizza e rema contro perché dei suoi colleghi di partito stanno tentando di salvare l’Italia facendosi dare una mano dai vecchi avversari, penso che meriterebbe questo e tanto altro.