La carità non è un costo ma un ricavo

Quarant’anni fa, quando decidemmo di aprire la mensa di Ca’ Letizia, uno dei problemi che maggiormente ci preoccupò fu quello di trovare i soldi per pagare la cena ai cento commensali potenziali. Per attenuare la preoccupazione, decidemmo di richiedere un piccolo compenso da parte degli ospiti. Partivamo infatti dall’idea che i concittadini che avessero voluto aiutare un povero, invece di arrischiare che questi andasse a bersi l’elemosina, prepagassero una cedola equivalente ad una cena.

La trovata funzionò solo in parte. Pochi cittadini infatti, per i motivi più diversi, aderirono all’iniziativa, mentre alcune parrocchie – quelle di via Piave, San Lorenzo e Carpenedo – acquistarono ingenti quantitativi di “buoni cena” che poi distribuivano in giorni prestabiliti ai questuanti che non mancano mai alla porta delle canoniche.

Quando iniziammo a distribuire i mobili, i vestiti, la frutta e verdura, partendo da questa esperienza ed aggiungendovi le considerazioni che la beneficenza arrischia di produrre assuefazione alla mendicità cronica e che invece fosse educativo, per creare una città solidale, che anche i poveri aiutassero chi è più povero di loro, abbracciammo la dottrina che “magari poco, ma ognuno deve dare qualcosa in cambio dell’aiuto ricevuto”. Questa dottrina portò alla conclusione che il “polo della carità” del “don Vecchi” (distribuzione vestiti, mobili, arredo per la casa ed altro) non solo non è passivo, ma in realtà risulta una delle voci più consistenti della Fondazione Carpinetum a cui vengono destinati i proventi dei magazzini. Adottai la stessa logica per il Foyer San benedetto, con lo stesso risultato.

Ora pare che il Patriarca desideri che la Chiesa mestrina crei una struttura di accoglienza notturna per chi è in disagio abitativo e penso che ci sia grossa preoccupazione per reperire i soldi necessari per fare la struttura, ma soprattutto ci sia la grave preoccupazione per il costo della gestione.

Sono convinto che se si adotterà la dottrina del polo solidale del “don Vecchi”, non solamente questo “albergo” per i senzatetto non peserà sulla diocesi o su chi lo vorrà condurre, ma dovrà invece diventare una voce attiva.

E’ tempo che si esca dalla vecchia mentalità assistenziale per aiutare ogni cittadino, ricco o povero, a “farsi prossimo” del fratello che incontra bisognoso sulla sua strada.

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