Uno dei più gravi problemi che mi assillano, come prete, è quello di trovare un modo per convincere che la religiosità non è come un bollo di maggior o minor valore, che si incolla sulla vita di una persona, ma è un’energia, un incanto, una primavera interiore che pervade, profuma e rende bella la vita di una persona. Ho invece la brutta sensazione che per moltissimi battezzati la risposta che si reputa adeguata alla proposta del messaggio cristiano, si riduce alla pratica, più o meno fedele, a certi riti, a certe osservanze proposte dalla pratica religiosa della tradizione.
Per me tutto questo è quasi niente! La fede, per me, è quasi la sorella gemella dell’amore che, quando un uomo incontra, diventa qualcosa che pervade l’anima, il cuore, la mente e lo porta a dire e a fare certi gesti che, però, non sono essi l’amore, ma delle gemme che spuntano e fioriscono quando esso diventa linfa vitale.
Qualche mattina fa nella mia meditazione, ho incontrato la confidenza di una signora che mi pare esprima in maniera semplice ma convincente il concetto suesposto. «Si vede che siete madre e figlia», aveva detto il commesso del negozio dove abitualmente andavamo a fare la spesa. «Abbiamo sorriso, senza neanche commentare. Avevamo già sentito altre volte questa frase che ci diverte perché siamo madre e figlia, ma non abbiamo il DNA in comune. Mio marito ed io abbiamo infatti adottato nostra figlia quando aveva sei settimane. Vivendo assieme per venti anni certamente lei ha preso molto da me, pensiamo in modo simile, le nostre espressioni di voce e i gesti sono simili, amiamo entrambe il Signore, chi ci osserva nota queste somiglianze».
Ora pongo questa domanda per me. Penso che ognuno possa, anzi debba porsela: “Io sono stato adottato da ben 84 anni da Gesù; ebbene chi mi incontra può affermare, come il commesso del negozio: «Si vede che sono padre e figlio?’».
San Paolo ha affermato: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Talmente egli aveva assimilato le movenze, le parole e il pensiero di Gesù! Non so però se noi, duecentomila battezzati di Mestre, diamo la stessa sensazione. La religione o produce questa osmosi di sentimenti e di pensieri, motivo per cui essa realizza la funzione dell’innesto sull’albero selvatico e produce i fiori e i frutti dell’innesto, o altrimenti quel tentativo di innesto è totalmente fallito e l’albero rimane selvatico, primordiale e infruttuoso.
Non vorrei trovarmi alla fine della vita, dopo tante messe e tanti rosari, a sentirmi dire: «Non ti conosco, perché non mi rassomigli per nulla!».