Recentemente ho sentito parlare di una struttura per anziani gestita da un ente religioso che si trova in grosse difficoltà. Si trattava di vedere come poteva essere salvata.
In quell’occasione ho riflettuto più serenamente del solito sui criteri per i quali una struttura merita di essere sostenuta dalla Chiesa, perché se un ente religioso si muove con gli stessi criteri adottati dallo Stato, dal Comune, oppure da una qualsiasi impresa e con cui essi perseguono le stesse finalità, credo che proprio non valga la pena di tentare il salvataggio.
Ha senso che la Chiesa si impegni solamente se riesce ad offrire servizi migliori con minimi costi, se è più attenta ai bisogni delle persone, se accoglie e garantisce anche ai più poveri un trattamento ottimale, se riesce a coinvolgere il volontariato, se offre soluzioni innovative, ma se il risultato fosse una casa di riposo come tutte le altre non varrebbe proprio la pena che la Chiesa impegnasse uomini e forze per fare una concorrenza assurda; peggio ancora non sarebbe giustificato alcuno sforzo se la gestione fosse claudicante, così da produrre debiti piuttosto che aspetti positivi.
Io ho sempre considerato la Chiesa come una mosca cocchiera che apre orizzonti nuovi e migliori, che trova soluzioni più economiche e più attente alla persona, che copre spazi scoperti e che quando ha dato la sua bella testimonianza di solidarietà si mette da parte passando la mano alla società civile rivolgendosi poi a settori in cui c’è bisogno che qualcuno con coraggio e generosità si impegni a favore di chi è dimenticato da tutti e che rimane in balia degli eventi.
Oggi, ma credo sempre, ci sono spazi abbandonati a se stessi; che non avvenga che pure la Chiesa e le sue articolazioni puntino solamente là dove si tratta di guadagnare più facilmente e con meno rischi.