Il “Giotto” della cattedrale tra i cipressi

Qualche settimana fa mi ha telefonato uno dei miei ragazzi di trent’anni fa: «Don Armando, mi sento sufficientemente “caricato”, le mostrerò i bozzetti a matita. Di ritorno dalle ferie, comincerò a “lavorare” perché vorrei che l’opera fosse pronta quando il Patriarca verrà in cimitero a celebrare per i morti».

Di questo “ragazzo” conoscevo l’inclinazione alla pittura, una decina di anni fa avevo visto una sua personale a “La cella” e lo scorso anno ha allestito una bellissima mostra presso la Galleria san Valentino del “don Vecchi ” di Marghera.

Io sono un appassionato, anzi dovrei dire un “drogato” di arte e in particolare di pittura e perciò sono stato folgorato dalla forza espressiva di questo giovane pittore che adopera con vera bravura sia il segno che il colore.

Gli accennai timidamente che mi sarebbe tanto piaciuto che le pareti bianche del presbiterio della chiesa del cimitero parlassero della dolce attenzione e dell’infinito amore di Maria, Madonna della consolazione. Mi piacerebbe che i fedeli che guardano l’altare si sentissero aiutati nella loro sofferenza a portare la loro croce e potessero trovare consolazione tra le braccia accoglienti della Madonna.

So che dipingere su spazi bianchi e grandi in un luogo sacro e dare consolazione con la tavolozza è un’impresa quanto mai difficile, però mi par giusto che chi ne ha la possibilità tenti di farlo. Son certo che il mio amico pittore, avendo accettato di cimentarsi su un argomento così sublime, ha già compiuto un atto di fede ed esprimerà la più bella preghiera della sua vita.

Quattrocento milioni

Un signore che alla domenica viene a cercare pace, conforto e coraggio nell’Eucaristia che celebriamo con tanto fervore nella mia “cattedrale tra i cipressi”, dopo la messa mi ha chiesto di parlarmi, dicendomi che una cliente del suo studio di commercialista aveva deciso di donarmi una somma per il “don Vecchi 5”, avendo ricevuto un’eredità.

Due giorni dopo, dopo un rapido scambio di telefonate, suonai al campanello di un appartamento in una zona centrale di Mestre adibito a studio, ove incontrai la mia benefattrice accompagnata, credo, da un direttore di banca.

Tentai di illustrare le finalità del “don Vecchi” e del nuovo progetto, ma capii subito che lei sapeva già tutto. “L’incontro” penso che raggiunga 15-20mila concittadini e li informi su questa nostra splendida avventura a favore degli anziani di Mestre.

Seduta stante il direttore di banca telefonò in sede e l’indomani arrivò il bonifico di duecentomila euro. Traduco la somma in lire perché ho la sensazione che dica meglio la dimensione dell’offerta: quattrocento milioni!.

Il “don Vecchi 5” costerà otto miliardi, ma avendo alle mie spalle una città con questo cuore, son certo che non è un azzardo cominciare.

P.S. Qualche settimana dopo questa signora ha fatto il bis donando altri 200.000 euro.

Ladri di biciclette

Nella storia del cinema, e soprattutto della società italiana dell’immediato dopoguerra, il film di De Sica “Ladri di biciclette” è certamente un punto fermo e quanto mai significativo sulla società di quel tempo.

Nell’Italia povera, con ancora ammucchiate nelle sue città le macerie della guerra, le biciclette rappresentavano un “tesoro” che sollecitava gli istinti dei ladri di piccolo calibro.

La crisi economica pare che ci abbia rigettati a quella stagione di “guerra” tra poveri.

Qualche settimana fa abbiamo sorpreso un giovanotto che, con fare disinvolto, quasi stesse adempiendo un suo dovere, stava asportando una bicicletta dalla relativa custodia del “don Vecchi”.

Ieri mattina ho appreso che i ladri, di biciclette ne han rubate ben cinque durante la notte, e le più nuove. Cinque anziani sono rimasti appiedati, qualcuno si è recato dalla polizia a sporgere denuncia, qualche altro più realista ha lasciato perdere perché ha giustamente pensato che è perfettamente inutile.

Quando mi hanno raccontato del furto, mi sono ulteriormente convinto che la crisi, nonostante la corsa alle spiagge e ai monti, è reale. La nostra Italietta non solo s’è ficcata in un binario morto, ma cammina col passo dei gamberi. Quello poi che mi ha ulteriormente amareggiato e che quasi certamente quelle biciclette dei miei vecchi serviranno a pagare il vizio del prodotto di questa nostra società effimera, sfaticata e senza valori.

“I grandi amici”

Tanto tempo fa ho letto un bellissimo volume che racconta la storia del cenacolo di pensatori cristiani di grande valore, che s’era formato attorno a Raissa e Jean Jacques Maritaine.

In questo ultimo periodo in cui, una volta ancora, mi sono trovato in affanno, con tempi stretti per la realizzazione del “don vecchi 5”, ho sentito più che mai vicini dei giovani giornalisti che da sempre condividono i miei sogni e i miei progetti a favore degli anziani in difficoltà.

Leggendo gli interventi sulla stampa di Marta Artico della “Nuova Venezia”, di Alvise Sperandio de “Il Gazzettino”, di Paolo Fusco di “Gente Veneta” e di Francesco Bottazzo de “Il corriere del Veneto”, m’è venuto da pensare con riconoscenza ed affetto a questi “grandi amici” della carta stampata. Guai a me e ai miei progetti se non avessi potuto contare sulla loro amicizia e sulla loro condivisione. Oggi se uno non può contare su questi megafoni, la sua voce gli si smorzerebbe in gola senza rendere partecipe la comunità dei problemi reali che la riguarda.

L’ergastolano e la “giustizia”

Ho già scritto sull’argomento e i miei amici conoscono le mie idee circa la giustizia italiana.

Qualche giorno fa, come avviene abbastanza di sovente, mi sono fermato a parlare con un operatore cimiteriale che mi si è aperto raccontandomi la sua storia.

E’ un uomo cordiale, perfino affettuoso, compie il suo lavoro senza troppi slanci, però questo avviene per tutti i dipendenti degli enti pubblici, come la Veritas, mentre invece io conosco il lavoro appassionato dell’artigiano perché cresciuto in bottega.

Il mio amico mi diceva che la sentenza che lo riguardava era stata emessa in cassazione, quindi sapeva di che morte doveva morire. Se tutto gli andrà bene dovrebbe ritornare solamente per un mese a Santa Maria Maggiore. Lui non me lo ha detto, ma mi ha fatto capire che l’ha fatta grossa!

Ora però egli non è assolutamente più quello di prima, è un cittadino normale. Che vantaggio avrà la comunità dal fatto che lui stia un altro mese in carcere? Di certo con questo mese non perfezionerà il suo ravvedimento, anzi! L’Italietta in crisi, per “amore della giustizia” si sobbarcherà inutilmente il costo di 250 euro al giorno per trenta giorni, per tenere in una gabbia disumana un suo concittadino che, con la sua opera, potrebbe rendere dignitosa la dimora dei nostri morti. Vallo a capire questo Stato!?

La prima stella, il primo fiore e il mondo nuovo

Condivido fino in fondo la massima, che penso si ispiri al Vangelo, che dice: “fa il bene e taci”. A questo proposito don Mazzolari ha scritto una pagina sovrana in quel suo bellissimo libro “Impegno con Cristo”. Non ricordo bene le parole esatte, però dice pressappoco così: “Voglio impegnarmi comunque, anche se gli altri non si impegnano e non apprezzano e non condividono il mio impegno, anche se il mio impegno pare che non cambi nulla”.

Mazzolari termina il suo dire con una frase profumata di poesia e verità: “Come la notte comincia con la prima stella e la primavera col primo fiore, così il mondo si farà nuovo quando io divento una nuova creatura”.

Condivido fino in fondo il pensiero di don Mazzolari, il prete che Papa Giovanni ha definito “la tromba di Dio”, e mille volte ho fatto il proposito di rimanervi fedele. Però confesso che quando scopro che qualcuno che vive del sacrificio di questa scelta volontaria e non aggiunge nulla alle clausole stabilite dal contratto di lavoro, mi avvilisco e mi sdegno.

Povero me! Quanto sono ancora lontano da una vera conversione!

Mio fratello falegname e gli sperperi in Italia

Ho un fratello che da qualche mese ha chiuso la sua bottega d’artigiano del legno. Mio nonno, mio padre e mio fratello hanno piallato, segato e piantato chiodi per l’intera vita ed anch’io ho passato in bottega, tra trucioli, colla e carta vetrata, tutte le mie vacanze.

Torno a casa di rado, temendo perfino di non poter più ascoltare ancora il rumore della sega che morde il legno e sentire l’odore acre del larice. I miei nipoti hanno studiato, si sono laureati, fanno le loro professioni; così si interrompe una tradizione almeno centenaria, ma questa è la fine degli artigiani! Ora il nostro destino è l’Ikea!

Qualche giorno fa mio fratello, essendo venuto a trovarmi al “don Vecchi”, mi ha portato una mezza risma di fogli che illustrano “l’economia” della Sicilia, ma credo che quei dati riguardino tutto il sud.

Mio fratello ha certamente raccolto l’indignazione di Bossi e Zaia, non so se voterà per loro, ma di certo so che è indignato per tanto sperpero, per un malgoverno, un disordine sociale, una mentalità furbesca e clientelare.

Denunciare questo malcostume e pretendere dai nostri governanti un minimo di giustizia, credo sia parte integrante della missione dei profeti del nostro tempo; per questo unisco alla voce di condanna di mio fratello, anche la mia.

La moglie del tiranno

Credo che tutti seguiamo con orrore e sgomento la guerra civile che sta insanguinando la Siria, domandandoci inutilmente quali siano i motivi veri e gli interessi che provocano migliaia di vittime innocenti che sono assolutamente fuori gioco.

Quando alla televisione appare il presidente satrapo di turno, che ha ereditato da suo padre il potere assoluto, con quel volto anonimo ed inespressivo, con quella sua piccola testa sopra un collo lungo “alla Modigliani”, mi domando pure inutilmente qual’è il burattinaio che gli tira gli spaghi dall’alto.

Leggo che gli Stati Uniti, la Francia e gli arabi, cosiddetti moderati, lo vorrebbero buttar giù perché “amanti della libertà” e per questo “nobile e disinteressato motivo” passano soldi ed armi ai rivoltosi, mentre Russia e Cina, per un'”amicizia affettuosa”, e non per interessi più o meno occulti, lo vogliono mantenere in sella per il bene della Siria.

Mentre i primi e i secondi curano i loro interessi, la gente muore a decine di migliaia per le strade e il Paese cade a pezzi.

Su questo sfondo di rovine e di atrocità, la televisione, qualche giorno fa, ci ha mostrato la bella e giovane moglie mentre fa shopping in un negozio di lusso di Londra o Parigi, acquistando cose inutili per i suoi bambini. Mi sto chiedendo:; “Fino a quando, Signore, continueremo a vedere e sentire queste “bestemmie sociali” che offendono la Tua santità?”. Mi pare che il Signore mi risponda sempre: “Tu continua a fare la tua parte!”

Grazie

Una mattina, appena finita la messa festiva, una persona quanto mai buona, certamente colta, è venuta in sagrestia per ringraziarmi per la predica. Sarei un gran bugiardo se dicessi che non mi fa piacere ricevere qualche complimento, però il piacere più sentito è nato dal fatto d’essere stato ringraziato per la tesi che da anni tento di portare avanti, ossia che l’Eucaristia domenicale non deve assolutamente ridursi ad un rito, pur celebrato bene, con devozione e con dignità, dal canto alla compostezza, dal silenzio alla partecipazione, ma deve essere un evento vivo ed esistenziale, sempre unico e nuovo, che ci fa fare un’esperienza viva e diretta di un incontro con Gesù.

Il discorso è partito dalla pagina del Vangelo che narra degli apostoli che riferiscono a Gesù ciò che avevano fatto durante la settimana. Non vorrei illudermi, ma ho la bella impressione che nei nostri incontri religiosi pian piano stiamo scoprendo il vero volto di Dio attraverso una religiosità che diventa di domenica in domenica sempre meno formale, ma che rappresenta un evento che ci coinvolge a livello esistenziale.

Felici, con qualche eccezione

Qualche giorno fa sono stato al “don Vecchi” di Campalto per una verifica sulle piccole questioni in atto. Me ne sono tornato a casa con il cuore che cantava alla “Beniamino Gigli”. I prati rasati, le bordure dei viottoli tutte fiorite, le auto ordinate, la facciata solenne ma accattivante, l’ingresso accogliente e il grande salone, ricco di mobili, quadri, divani e piante, da non aver nulla da invidiare a quelli dei palazzi dei patrizi veneziani che si affacciano sul Canal Grande.

Soprattutto mi ha fatto felice la contentezza, il brio e l’orgoglio degli anziani residenti. Le signore mi sono apparse più belle e più giovani quando mi manifestavano la felicità di dimorare in una struttura così sontuosa e signorile.

L’incontro si è svolto sereno ed è servito a mettere a punto i problemi che un grande condominio di sessantaquattro appartamenti, anche se piccoli, non può non presentare.

In verità c’è stata anche qualche voce un po’ rozza e stonata che denunciava il carattere infelice e un’educazione mancante, comunque si è trattato di qualche piccolo neo trascurabile.

L’unica cosa che mi spiace è che i mestrini conoscano il “don Vecchi” solo di nome; se lo vedessero di persona sono certo che ne “prenderebbero una cotta”, come me!

L’assessore

Io ho manifestato più volte ed apertamente il mio gradimento e la mia ammirazione per il governo di Mario Monti, formato solamente da ministri e sottosegretari “tecnici”. Logicamente uso lo stesso criterio per quanto riguarda “il governo comunale”. Gli assessori che stimo di più sono quelli che provengono dalle libere professioni.

Credo che per quanto riguarda il “don Vecchi 5” e il villaggio solidale degli Arzeroni, il “Mosè” che ci sta facendo passare il mar Rosso, guidandoci alla “Terra promessa” sia l’assessore tecnico, prof. Enzo Micelli.

Questo professore l’ho conosciuto quando era il presidente del consiglio di amministrazione dell’IVE, l’immobiliare del Comune di Venezia, ai tempi in cui mi battevo per ottenere il terreno per costruire “Il Samaritano”, la struttura di accoglienza per i famigliari degli ammalati dell'”Angelo” e degli altri ospedali di Mestre.

Gli amministratori che provengono dalla politica sono convinto che di fronte ad ogni proposta si pongono non la domanda se serve o no, ma se porta voti o meno! Per questo motivo preferisco gli “amministratori tecnici”.

L’ispettore dell’INPS

Qualche giorno fa ho celebrato il commiato cristiano di un fratello e concittadino che in vita aveva fatto l’ispettore dell’INPS. Circa questa professione m’era rimasta in mente la contrarietà che mio padre, titolare di una piccola bottega artigianale di falegname, nutriva nei riguardi di questi ispettori. A parer suo cercavano i peli sull’uovo, non si rendevano conto della guerra che i piccoli artigiani fanno per sopravvivere.

La moglie del defunto, però, mi disse che suo marito era amato da tutti, che lo cercavano per chiedere consiglio. Ciò deve essere stato vero, perché per il suo funerale la chiesa si riempì di fedeli.

Ma soprattutto la signora mi passò il salmo che suo marito amava particolarmente: “Signore, tu sei il mio pastore”, ed un’annotazione ch’egli aveva fatto recentemente, già ammalato e con pessime previsioni di sopravvivenza. Diceva la nota: “Signore, mi abbandono a Te e mi metto sotto la Tua protezione, voglio vivere e morire con la più completa fiducia in Te”.

Lessi il salmo con una commozione interiore che non avevo mai provato precedentemente, ed altrettanto è stato per la nota che vi aveva posto in calce. Quella mattina mi sono reso conto che la predica la faceva lui e ch’era una bella predica che ha fatto un gran bene a tutti, me compreso.

La Santa Alleanza

Credo che agli amici interessi sapere come abbiamo vinto la guerra per la realizzazione del “don Vecchi 5” e del Villaggio Solidale. La racconto perché credo che possa essere utile a qualcuno.

Dopo aver stretto una “santa alleanza” tra un giovane prete ed uno anziano, don Gianni e don Armando – 42 e 82 anni – abbiamo individuato ove “buttare la testa di ponte” tra le linee della burocrazia comunale.

C’è parso che il luogo più opportuno ce lo offrisse il prof. Ezio Micelli, assessore tecnico, quindi non condizionato nel ricevere o perdere voti alle prossime elezioni.

Don Gianni ha iniziato una intensissima azione diplomatica, telefonando, mandando e-mail a più non posso, paracadutandosi all’interno del Comune. Mentre io ho preparato una “meravigliosa macchina da guerra” che sarebbe stata usata dopo alcuni ultimatum perentori. Ogni settimana sarebbe apparso un articolo su un periodico cittadino diverso e tutte le settimane un articolo su “L’incontro”. Poi avrei rivolto un appello, invitando dalla donna delle pulizie dell’ufficio del sindaco ad ogni personalità conosciuta a premere, telefonare, insistere.

E’ partita la prima bordata con un articolo di Alvise Sperandio su “Il Gazzettino” ed un intervento del consigliere regionale Gennaro Marotta. E’ bastata! La notte del 27 luglio il Consiglio Comunale, con decisione bipartisan, ha votato la cessione dell’area. C’è stato solamente un voto contrario di Bonzio di Rifondazione Comunista, ma quello è un bastian contrario, ch’è un onore avere il suo dissenso.

La moltiplicazione dei pani

Domenica 29 luglio in tutte le chiese del mondo s’è letto il Vangelo della moltiplicazione dei pani.

Dopo aver letto il testo il primo pensiero che mi frullò nella testa è stato: “Lo mando a Mario Monti. Sono certo che se lo applicherà all’economia italiana, di certo risolverà la crisi economica”.

Il pensiero successivo è stato il seguente: “Se volete vedere la replica, venite al “don Vecchi” e avrete modo di constatare personalmente il rinnovarsi di questo miracolo”.

Tento di riproporre in maniera telegrafica i vari passaggi perché possa rinnovarsi il “portento”.

  1. Prendere l’iniziativa. Non aspettarsi che i guai si risolvano da soli. Bisogna “prendere il diavolo per le corna”.
  2. Adoperare la logica di Gesù, non quella di Filippo che normalmente si adopera; ossia Gesù parte dal bisogno della gente, mentre Filippo parte dalla disponibilità dei soldi in cassa. Con questa logica non si arriva a nulla.
  3. Coinvolgere tutti. Ogni uomo può e deve dare il suo contributo, seppur piccolo (vedi la merenda del ragazzino).
  4. Rivolgersi a Dio. Se uno guarda alle sue forze o al motivo per il quale la gente è nel bisogno, non avrà mai la forza e il coraggio di far nulla.
  5. Eliminare assolutamente lo spreco (raccogliere gli avanzi).

Applicando i criteri di Gesù al “don Vecchi” abbiamo ora strutture del valore di miliardi, ospitiamo 500 anziani, offriamo 375 alloggi, l’ipermercato degli indumenti che ha 30.000 visitatori all’anno, il Banco alimentare aiuta 2.500 persone alla settimana, ecc.

Nella storia della Chiesa chi si fida di Gesù fa miracoli!

I miei “diaconi”

Nella mia chiesa della Madonna della Consolazione purtroppo non ho chierichetti. M’ero abituato troppo bene a Carpenedo con la mia banda di cento chierichetti. Questi ragazzi erano, e sono rimasti nel mio cuore come i bambini più belli del mondo.

I miei cento chierichetti erano un incanto per la parrocchia, tanto che pensavo che Gesù stesso venisse ogni domenica a far loro una carezza. Altrimenti chi avrebbe potuto tenere a bada una banda così vivace ed eterogenea. Adesso ho nel mio studio, in una cornice d’argento, la foto del gruppo. Ogni tanto temo che, cresciuti, abbiano perso i loro volti belli ed innocenti. Ogni volta me li guardo con rammarico e nostalgia e dico loro una preghiera perché conservino almeno bello il cuore e la coscienza.

Ora ho dovuto cambiar registro ed ho scelto i miei “diaconi” tra una categoria che non amo particolarmente, i commercialisti, però ho scelto i migliori, due giovani ed una ragazza che ogni domenica leggono i testi sacri, annunciano i canti, raccolgono le offerte, cantano col coro, consolano ed incoraggiano il loro vecchio prevosto. Sono tanto cari e tanto bravi che sono persino riusciti ad attenuare il rimpianto e la nostalgia dei miei vecchi chierichetti.

Il Signore ha benedetto la mia vecchiaia perché al “don Vecchi” ho l’incanto di una dimora principesca, un borgo di persone care, nel mio interrato un polo caritativo del quale non riesco nemmeno a dire l’efficienza, la bravura e la generosità, nella mia “cattedrale tra i cipressi” un popolo di Dio meraviglioso, col quale cammino lietamente verso la Terra Promessa. Non saprei proprio cosa desiderare di più.