Ricordo di don Giorgio Busso

Giovedì 9 luglio ricorreva il trentesimo anniversario della morte di don Giorgio Busso, allora giovane prete. Era nato a Carpenedo e al momento della sua tragica morte faceva il parroco ad Eraclea.

In occasione dell’anniversario, l’attuale parroco, del mio paese natio, mi ha invitato a concelebrare. Pur con grande dispiacere non ci sono andato. I miei ottant’anni suonati, la potente “Punto”, che mi hanno appena donato, e la celebrazione alle 20 mi hanno fatto desistere da questa impresa per me ormai pericolosa!

La ricorrenza ha riempito di cari ricordi il mio animo per molti giorni prima e dopo questa celebrazione.

Ricordo il ragazzino sempre sorridente, semiconvittore, di cui fui assistente in seminario, ricordo il giovane prete incaricato ai tempi della contestazione, quando una quindicina di preti hanno abbandonato il sacerdozio, di occuparsi delle vocazioni. Tutti, preti compresi, gli erano contro in questa missione allora impossibile, ma lui imperterrito, sorridente ed ottimista, continuò a girare in lungo ed in largo la diocesi, a buttare ponti e fare proposte ai ragazzi di Venezia e della terraferma.

Ricordo ancora don Giorgio, giovane parroco, che condivise la casa con il vecchio predecessore, mentre attendeva l’alloggio, scelse di vivere randagio, accettando l’invito a pranzo e la cena dai parrocchiani.

Credo che ci siano pochi preti che come don Giorgio siano stati capaci di farsi amare e stimare in tempi difficilissimi!

Sono passati trent’anni da quel 9 luglio in cui don Giorgio si concesse una giornata di riposo per salire una ferrata delle nostre splendide Doloniti. La “mancanza di fiato” lo tradì e se ne andò guardando il cielo azzurro, lassù vicino alla vetta, lasciando un ricordo di giovialità che neppure i trent’anni trascorsi sono riusciti a sbiadire.

Una comunità al completo giovedì 9 luglio s’è riunita per rivedere il sorriso dell’indimenticabile pastore che si è fatto amare come nessun altro!

I preti, quando sono buoni, sono un dono del cielo!

Realtà ecclesiali che cambiano

Ho saputo l’altro ieri che uno dei miei ragazzi è andato in pensione. Questo ragazzo, di mezzo secolo fa, frequentava il seminario da semiconvittore. In quei tempi lontani in cui si era in più di duecento in seminario, i ragazzi che abitavano a Venezia potevano frequentare, fino a non so quale classe, il seminario da semiconvittore.

Venivano presto alla Salute, partecipavano alla messa, poi entravano in classe, alla mezza pranzavamo assieme nel grande refettorio, poi si giocava prima di studiare nel pomeriggio e verso le 18 ritornavano a casa. Io sono stato il loro assistente per vari anni.

Ricordo questo ragazzo, serio, silenzioso, ordinato; una personcina a modo.
Percorse tutto l’iter scolastico e divenne prete.

Non ho seguito la sua “carriera” ecclesiastica, sono sempre stato superimpegnato per le mie cose, così che non ho potuto seguire, quasi mai, le vicende del clero veneziano.

So però che egli da molti anni faceva il parroco di S. Felice, una delle troppe parrocchiette di Venezia, comunità che conta 1300 fedeli.

Sono andato a consultare il prontuario della diocesi perché per me è rimasto il ragazzo di cinquant’anni fa, motivo per cui mi stupì alquanto la notizia del suo pensionamento.

Settantacinque anni l’età canonica per la pensione dei sacerdoti.

Però mi ha sorpreso ancor di più che il suo successore sarà un diacono e l’amministratore economico un prete di una parrocchia vicina.

Ormai sono all’ordine del giorno le “unità pastorali” e i diaconi!

Ho l’impressione che queste soluzioni siano quasi un pretesto per risolvere il problema del celibato ecclesiastico senza scandire le scelte di ordine ideologico!

Spero che questi diaconi riescano a mantenere unite le comunità e che il messaggio di Cristo sia predicato e testimoniato con vigore e convinzione.

°La volpe perde più facilmente il pelo che il vizio”

Ogni tanto mi viene in mente una sentenza di Andreotti: “A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre si finisce per aver ragione!”

Di Andreotti si possono dire molte cose, ma non che non sia un uomo intelligente.

A suo tempo ho letto qualche suo articolo, qualche saggio di carattere storico, ho sentito qualche suo discorso, ma sempre si avvertiva il suo senso dell’humor, le sue battute sempre sornione ma azzeccate, qualche fine ironia che lo ha accompagnato anche nei momenti più tragici della sua esistenza di nonno e di politico intramontabile.

Qualche giorno fa mi ha mandato a chiamare il vescovo ausiliare, per parlarmi della chiesa del cimitero. I miei interlocutori Comune e Vesta, hanno capito quanto fossi seccato e quanto poi fossi tentato di montare “un casus belli!” cosa che so fare a perfezione.

Quando per il primo don Vecchi non riuscivo ad avere la concessione edilizia, per la struttura della cui novità ed utilità ero fermamente convinto, cercai gli indirizzi dei sessanta consiglieri del Comune di Venezia ed ogni settimana per due mesi inviai ad ognuno di loro “Lettera aperta” il periodico della parrocchia, in cui immancabilmente affrontavo l’argomento, anzi attaccavo da angolature diverse!

Non solamente alla fine cedettero, ma “scoppiarono” letteralmente.

Ora ho raffinato le armi, mi sono imposto di non pretendere la chiesa del cimitero con “la forza”.

M’è scappata qualche sortita (anch’io sono fragile e peccatore!)
E’ però bastato!

Ormai da una ventina d’anni ho scelto di collaborare con il Comune. Sono convinto che è una buona scelta, voglio continuare su questa linea.

Ma è bene che si sappia che “la volpe perde più facilmente il pelo che il vizio”, quindi è per me sempre latente la tentazione dell’attacco.

Ora però spero che non serva; con un po’ di buona volontà tutto si può accomodare!

Il misuratore

Qualche giorno fa, in merito alla notizia che per stare bene fisicamente, bisognerebbe fare almeno diecimila passi al giorno, mi è venuto in mente un incontro particolare di tanti anni fa.

Monsignor Vecchi, con molta saggezza, mi presentava di sovente imprenditori, uomini di cultura, artisti in modo d’aiutarmi ad uscire dal guscio della mia naturale timidezza e farmi toccare con mano che, anche le persone altolocate o qualche celebrità, sono uomini come gli altri con cui si può dialogare senza complessi.

Ricordo un grosso imprenditore che spiegava a monsignore e a me, che egli aveva con se un apparecchietto che contava i chilometri che faceva ogni giorno pur non uscendo dalla sua fabbrica.

Ora sono venuto a sapere che la macchina contapassi non era un’invenzione di quel vecchio imprenditore ma è un aggeggio in commercio che ha pure un nome: il pedometro.

Se fosse vera la storia dei diecimila passi al giorno io dovrei essere morto da tantissimi anni perchè specie ora, ad ottant’anni, ho poca voglia e poco fiato per camminare a lungo e perciò il pedometro non me lo comprerò mai anche per non perdermi ulteriormente di coraggio.

Pensando a queste storie poco mistiche durante la meditazione mattutina, ho però recuperato il senso del mistico pensando che mi piacerebbe avere un aggeggio che registrasse tutte le gentilezze, le benevolenze, i doni che il Signore continua a farmi da mattina a sera. Quanti volti belli, quante persone care, quanta bellezza in cielo ed in terra, quante poesie, quanti fiori, quanta musica, quanta bontà!

Ora capisco Teresa di Lisieux che andava cantando per il chiostro: “Iddio mi ama, Dio mi ama!”

Desolazione politica e scelte per il futuro

Siamo alla desolazione politica, un tempo il capo veniva talmente mitizzato da diventare quasi un semidio.

Questo non avveniva solamente ai tempi dell’impero romano, ma anche tanto recentemente, il capo mai dormiva, non mangiava, era sempre il migliore.

Ricordo ai tempi quando ero bambino in cui ci mostravano il Duce sopra la trebbia che maneggiava i fasci di frumento, ma più recentemente ricordo Mao che nuotava nel fiume Giallo come un campione olimpionico.

Ora il capo è diventato a torto o a ragione un povero gramo che s’arrabatta per rimanere alla meno peggio a galla presso l’opinione pubblica, e ogni giorno salta fuori una nuova magagna.

Non sono scomparse solamente le ideologie rappresentate dallo scudo crociato e dalla falce e martello, la fede in Dio o nell’uomo, la libertà o la dittatura del proletariato. Ora sono scomparsi pure gli ideali, in America almeno il capo doveva avere una bella famiglia, una sposa e dei figli da sfoggiare, da noi ormai siamo allo squallore.

Le nostre scelte si sono ridotte ad uno spazio mercantile e il capo è diventato spesso un imbonitore che vende “aria di Napoli!”

Perciò alle prossime elezioni sarò costretto ad offrire il mio voto al miglior offerente.

“Mi darai il Samaritano, mi farai ottenere i prodotti in scadenza per i poveri, mi aiuterai a costruire il don Vecchi a Campalto per gli anziani con una pensione da fame, costruirai una tensostruttura per i fedeli che vengono a messa in cimitero?
Sì, allora ti voto.
No, allora il mio voto e quello dei miei amici l’offrirò ad un altro!”.

Il discorso può sembrare paradossale ma la verità è questa. Altri paraventi ideali nascondono solo vergogne ancora più interessate!

Angosce superate dalla Storia

Quando ero ragazzo e da giovane prete sentivo parlare dell’ateismo di Stato praticato nell’Unione Sovietica, con gli spazi dedicati nella scuola per insegnare scientificamente che la religione è l’oppio dei popoli, provavo l’angoscia che questa nube malefica, che partiva dal Cremlino, avesse invaso ed avvelenato anche la nostra vecchia Europa. Ora a pochi anni di distanza dalla rovinosa disfatta di quella impalcatura fittizia ed effimera mi capita di vedere Putin, il capo del governo, cresciuto alla scuola dalla polizia segreta, il potentissimo apparato che doveva difendere l’integrità della dottrina di Stato, abbracciare il Patriarca di Mosca e poi segnarsi col segno di croce che è tipico dei popoli slavi. mi sono detto l’altra sera mentre ve-devo alla televisione questa scena: “Uomo di poca fede perché hai dubitato?”

Tante volte i miei educatori cristiani m’avevano ripetuto l’affermazione di Gesù “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, le porte del male non prevarranno!” L’altra sera mentre solo soletto, vedevo alla televisione il potente Putin, cresciuto alla più rigida scuola dei senza Dio, farsi la croce come un bimbetto da prima comunione, ho pensato che la mia preoccupazione per il secolarismo dilagante, per l’anticlericalismo becero e insistente dei radicali, le reticenti, ma sempre presenti nelle riserve della sinistra estrema, ma non solo estrema, ogni qualvolta c’è un problema morale sul tappeto del nostro Paese, non solo non è giustificato in uno che si dice credente, ma pure sono state decisamente smentite tantissime volte dalla storia!

Riflessioni sulla Fede e risposte inattese

Ci sono certi passi della Bibbia, che nonostante i miei ottant’anni e le mie quotidiane frequentazioni del testo Sacro, mi mettono ancora in difficoltà.

Uno di questi passi è “Il sacrificio di Abramo”, ma non è l’unico passo!

Mentre leggevo, durante la messa questa pagina, la prima angosciante domanda che dagli occhi mi scese al cuore è la constatazione che anche nel così detto “Popolo di Dio”, come in tanti altri, si praticavano sacrifici umani.

La storia è arcinota: Abramo carica la legna del sacrificio sulle spalle dell’unico amato figlio Isacco, giunto sulla cima del monte, lo lega ed è pronto a colpirlo con un fendente, sennonché Dio lo ferma all’ultimo istante.

I commentatori dicono che Dio voleva provare la fede di Abramo! Però è ben difficile, almeno per me, comprendere una prova così terribile e disumana da parte di un Dio che poi ci avrebbe permesso di chiamarlo “Padre”.

La fede di Abramo è certamente una fede della tempra che Trilussa, il poeta romanesco, dice che deve avere: “la fede è tale quando è senza i ma, i chissà, i perché!”

Però mi veniva da pensare: “chi riuscirebbe oggi a trovare una fede di questa tiratura?” Ed anche: “chi potrebbe apprezzare oggi una fede di questa fatta?”

Mentre pensavo, turbato, a queste cose, il Cristo che mi stava alle spalle cominciò a sussurrarmi con un timbro un po’ ironico: “Ma, don Armando, non ti ricordi della signora Corrà, che senza conoscerti personalmente, un giorno venne a dirti: don Armando ho deciso di donarle un miliardo per il don Vecchi! Questa non ti pare fiducia e tu non sei certamente l’Altissimo! E non ti ricordi di quanta gente ti ha donato soldi, ha messo a disposizione il suo tempo, le sue risorse? E’ vero che hai cercato di essere coerente e di non approfittare della loro buona fede, però loro si sono fidati di te, povero e vecchio uomo! Allora perché ti sorprendi tanto che Abramo si sia fidato di Dio?”

Che cosa posso rispondere a queste argomentazioni? Hai ragione, Signore, cercherò di essere meno critico e di fidarmi di più di Te che dell’opinione pubblica, che da tanto dovrei sapere quanto fatua e mutevole sia!

Una meta che voglio raggiungere!

Sono stato dal cardiologo, una valente e cara persona, che segue le vicende del mio vecchio cuore come se la cosa lo riguardasse personalmente. Sono stato contento del responso e molto e molto più contento dell’incontro.

Mi fa bene dialogare con questo illustre professionista che, con tono pacato e sicurezza professionale, dosa le medicine in modo che il cuore faccia la sua funzione con regolarità nonostante l’usura degli anni.

Le decisioni, che assieme al consiglio di amministrazione, sto prendendo sono abbastanza serie e perciò sono preoccupato di essere nelle condizioni di assolvere nel prossimo futuro, agli impegni che amerei non dovessero gravare poi su altri.

Quando uno è convinto della validità di un progetto trova sempre il coraggio di affrontare tutte le difficoltà che incontra sulla strada del suo realizzo, mentre diventa assai più difficile e gravoso portare il peso di progetti non condivisi o comunque non presi personalmente.

Io non ho alcuno dubbio sulla validità di offrire alla nostra città trecento alloggi protetti in cui altrettanti anziani in difficoltà economiche nel naturale avvicendamento, possono fruire per almeno i prossimi cent’anni, senza pesare su alcuno e così trascorrere gli ultimi anni della vita con dignità ed in autonomia.

Ed ho ancora meno dubbi che la chiesa locale debba aprire questa strada, dar testimonianza di questa attenzione, farsi carico di questa nuova povertà, se non vuol ridursi ad essere chiesa da sagrestia!

Per questo spero che il Signore, avvalendosi dei nostri medici, mi permetta di portare a termine questo obiettivo senza doverlo caricare sulle spalle di chi non sente queste mie convinzioni o che comunque non abbia intrapreso questa strada.

Nel cuor mio sto cedendo a tutti quelli che mi aiutano, direttamente o indirettamente, una porzione di “azioni”, da presentare all’incasso, a suo tempo, presso San Pietro, pur ché il don Vecchi di Campalto sia realizzato!

M’importa poco se il mio “patrimonio” sia ridotto, tanto io sono sempre stato favorevole ad un azionariato popolare!

Quei lavori nobili sconosciuti ai più

Pare che ora vada di moda il porfido, anche a Mestre il progetto di rendere meno brutta la nostra città passa principalmente per il porfido. Non c’è strada in cui, quando il marciapiede passa davanti ad un edificio che abbia una qualche nobiltà, non la si costruisca con cubetti di porfido. Così è avvenuto per il grande piazzale del cimitero. Il nuovo arredo è costituito principalmente con la posa in opera, in maniera diversificata, della pavimentazione in porfido, contornato con qualche aiola di verde, l’impianto di alcuni cipressi ed una ristrutturazione del disegno della viabilità e dell’interno del piazzale. Tutto sommato la risistemazione del piazzale da un senso di freschezza e di novità.

Giustamente credo che per motivi economici e di manutenzione, si siano messi da parte sia la fontana che qualsiasi altro monumento.

Tornando però alla moda del porfido, ho avuto modo di osservare per due tre mesi, il lavoro e soprattutto il sacrificio dei posatori, sole e pioggia tutto il giorno accoccolati in una posizione scomoda, martellare i masselli in maniera che prendano la posizione giusta.

Qualche soddisfazione credo che l’abbiano anche questi lavoratori, ma quanto sacrificio, quanta fatica e sofferenza esposti da mattina a sera ai capricci del tempo e spesso alla sua inclemenza.

Tutti i lavori sono nobili, ma certuni, quale quello dei posatori del porfido o di chi asfalta le strade, comportano un supplemento di fatica e di sacrificio che temo non siano minimamente remunerati più degli altri lavori.

In questi mesi mi sono sentito in colpa, confrontando il loro impegno col mio, la loro fatica con la mia, il loro sacrificio col mio.

Spesso mi sono accorto che fruiamo tranquillamente e senza scrupoli della fatica di uomini e donne che qui e anche in terre lontane si sacrificano senza soddisfazioni e con poca retribuzione per i miei e i nostri capricci o semplicemente per soddisfare una qualche pretesa estetica.

Cosa fare? Niente o quasi!
Però ho sentito il bisogno di portare un paio di bottiglie e di inviare al cielo una preghiera per questa povera gente che serve con poche soddisfazioni le nostre pretese.

La Chiesa amata e cercata

L’apparato della chiesa è veramente elefantiaco. Le rare volte che partecipo a qualche celebrazione liturgica, organizzata dai responsabili diocesani e mi ritrovo fra cento duecento colleghi nel presbitero e poi volgendo lo sguardo verso la navata scorgo suore di tutte le fogge e cristiani impegnati a centinaia e centinaia, mi chiedo come mai, a dirla come l’ex segretario del PCI, funziona così poco e non sfonda questa “magnifica macchina da guerra!”

La chiesa dispone ancora di tanti preti, frati, suore, strutture di ogni tipo, ricchezze economiche e di una tradizione splendida, di una cultura sopraffina, di verità e di ideali, ma nonostante tutto questo è lenta, amorfa, pesante, pare quasi che impieghi tutte le sue forze residue per sopravvivere.

Io non ho quasi mai negato la validità della chiesa come istituzione, ma anche ho sempre desiderato la chiesa della profezia che sventola le sue bandiere, che balza fuori dalla trincea, guarda al domani e crede nell’uomo.

Ho sempre amato e cercato la chiesa che sposta i paletti di confine in avanti, che progetta e si impegna in missioni impossibili, perché convinta che il passato è un bagaglio talora pesante e spesso ingombrante, mentre nel domani c’è la vita.

Mi convinco sempre di più che combina di più un profeta che mille parrocchiani e cento ordini religiosi, motivo per cui il cristiano d’oggi deve stare con gli occhi spalancati e le orecchie tese per scoprire il volto e la voce dei profeti e coglierne il messaggio.

Ancora una volta debbo confessare che Madre Teresa di Calcutta, don Tonino Bello, don Milani, don Mazzolari, La Pira, De Gasperi, Papa Giovanni e Papa Woityla valgono mille encicliche, diecimila lettere pastorali ed una infinità di canoniche e conventi. Oggi c’è assolutamente bisogno di profezia, di libertà, di coraggio e di carità. Questa è la chiesa amata e cercata perfino dai senza Dio!

Bisogna avere più fiducia nella testa e nel cuore che nelle carte!

Ho avuto un lungo colloquio col responsabile di “obiettivo lavoro” l’ente che, a nome del Comune, fornisce ore di assistenza agli anziani poveri e in difficoltà, in rapporto al loro deficit e ai mezzi economici di cui dispongono loro e il Comune.

Mi rendo perfettamente conto che è ben difficile fornire un’assistente familiare proprio nel momento più necessario per i barcollanti residenti al don Vecchi.

Fatalmente “Obbiettivo lavoro” seguendo i protocolli distribuisce un’ora o due di assistenza fissando il giorno e l’ora in rapporto ad una infinità di elementi.

Capita quindi che l’assistente inviata impieghi mezz’ora per il trasferimento ed arrivi proprio nel momento che l’anziano dorme o non sa proprio cosa farsene dell’aiuto offerto.

La fatica quindi nello spiegare che se potessimo noi, pur usando del tempo fissato dall’assistente sociale del Comune, gestire direttamente l’operatrice familiare, abbatteremmo così i tempi morti, faremmo fare gli interventi nel tempo debito.

Si tratterebbe quindi di non modificare sostanzialmente il contributo del Comune, ma di gestirlo in maniera intelligente ed opportuna.

Pare che ci siamo capiti ed abbiamo concordato sulla linea dell’intervento. Ora si tratta di adottare o meglio ancora di interpretare ed applicare le norme che sono state studiate in maniera valida, ma vanno applicate con intelligenza nelle situazioni concrete.

Pensavo stamattina a San Paolo, quando duemila anni fa ha affermato che “la lettera uccide, mentre lo spirito vivifica”

Solamente la disponibilità al discorso dell’altro, il coraggio di assumersi una qualche responsabilità, l’amore all’uomo reale, risolvono i problemi, ma allora ci vuole più fiducia nella testa e nel cuore piuttosto che il garantirsi dietro le carte che spesso documentano stupidità e disinteresse!

Franceschini e Bersani

Nei libri liturgici ed in particolare nel “Benedizionario”, vi sono preghiere e benedizioni per tutti i gusti, ma non ne ho trovato una specifica per far eleggere un segretario del Partito Democratico Italiano

Eppure questa operazione mi pare che sia un grosso problema che richiede tanta saggezza. Non è cosa di poco conto scegliere un segretario politico che blocchi il franare di questo partito che sta perdendo brandelli da tutti i lati, che non sa ancora scuotersi di dosso il massimalismo marxista e che non ha ancora tentato di coniugare le due anime, quella bianca e quella rossa, che finora sono convissute come separate in casa, tanto che a giorni alterni, ti fanno temere la separazione legale.

Nonostante le calure estive sono scesi in campo Franceschini e Bersani, uno ex scudo crociato e l’altro ex falce e martello.

Franceschini pare abbia dato una mano più spessa di colore sopra lo scudo, Bersani un po’ meno sopra la falce e martello, comunque chi è osservatore attento, s’accorge ancora del disegno precedente nonostante l’attuale tricolore in cui sono sfociati ambedue.

Bersani s’è dichiarato per un “partito combattente”, Franceschini, se continua come ha fatto finora, penso sia per un “partito insultante”.

Se il giorno si vede dal mattino, in ogni caso non c’è troppo da stare allegri!

Cosa si può fare in un frangente del genere, se non pregare.

M’è venuto in mente l’escamotage del Cardinale Roncalli quando ebbe a parlare con il generale De Gaulle per difendere una sessantina di vescovi francesi perché, a detta del generale, erano stati in qualche modo dei collaborazionisti con i tedeschi. Il futuro Papa pregò il suo angelo custode a mettersi d’accordo con quello del generale “Fra angeli” disse “è più facile che si accordino che tra noi poveri uomini!”

Dato che credo che sia quanto mai importante che ci sia un partito di centro-sinistra, di criterio e di buon senso, ho deciso di dire ogni giorno fino al congresso, un “Angelo di Dio” per Franceschini e uno per Bersani, e così sia!

Una felice concordia di idee per la carità

In questi giorni ho avuto un franco scambio di idee con un mio giovane collega a proposito dell’assistenza agli anziani.

Sono stato felice perché ho avuto l’impressione che, nonostante ci separi una quarantina di anni di età tra me e lui, ci fosse una concordanza di idee in merito a questo settore della carità.

Ho osservato, nella mia vita, che quando due persone sono concrete, vanno al sodo, sono impegnate a dare visibilità alle loro scelte ideali, trovano abbastanza facilmente elementi comuni nel loro impegno apostolico.

Il difficile invece nasce quando si tenta di dialogare con qualcuno che fila dietro a idee fumose di ordine sociologico o mistico.

I punti di incontro si riferivano al fatto che la fede e la religiosità hanno come sbocco necessario la carità e la carità vera è quella che si concretizza in servizi reali, in strutture operative a favore dei fratelli in difficoltà.

Secondo punto di convergenza fu quello che, queste strutture e questi servizi, debbono essere sani, efficienti, economici e soprattutto debbono contraddistinguersi per la qualità.

Guai a noi se le nostre strutture caritative non sono belle, non offrono dei veri conforts, non hanno i conti in regola e soprattutto non battono di gran lunga la “concorrenza” sui costi.

Terzo elemento d’incontro è il fatto che l’impegno per i poveri debba essere il biglietto di presentazione della chiesa locale nei riguardi dell’amministrazione pubblica e soprattutto della popolazione.

Auspicavamo infine che ci fosse una forma di confederazione che avesse un portavoce comune sia nei riguardi del Comune e della Regione ed un periodico che informasse l’opinione pubblica in maniera tale che la voce carità giunga chiara a tutti e la nostra gente si renda conto che l’impegno della nostra chiesa è serio, concreto, efficiente e quindi la predica sulla carità non batta l’aria, ma sia un discorso verificabile da tutti.

Noi due non rappresentiamo certamente la chiesa veneziana, comunque le voci libere, concrete e ricche di idealità hanno sempre un impatto positivo, sono sempre un seme che prima o poi porterà frutto.
Questo almeno ci auguriamo che avvenga.

Il perdono

Quando ero ragazzino, la catechista mi faceva sognare quando ci raccontava la storia del giovane David, dagli occhi belli e dai capelli fulvi, che sfidava in nome del suo popolo, il gigante Golia e lo abbatteva con la sua fionda.

Più grande, ma senza alcuna dimestichezza derivante da una lettura integrale della Bibbia, perché a quei tempi se ne sconsigliava l’approccio, mi si parlava del “pio” re David.

Ora, ormai vecchio, ho conosciuto bene la vicenda, gli amori più o meno leciti di questo “santo re David”.

Credo che se mettessi assieme, facendone una antologia quelli che noi oggi chiamiamo “peccati”, ci sarebbe veramente da essere sorpresi come Dio concedesse la sua benevolenza ad un personaggio del genere, che pare non avesse alcuna dimestichezza con la moralità e il senso religioso della vita.

Ultimamente m’è capitato di leggere sulle sue simpatie nei riguardi di Gionata, sul modo con cui “paga” la dote a Saul suo suocero, sulle sue scappatelle extraconiugali, e in particolare sulle sue scorribande guerresche.

Sì altri tempi, altri costumi! Tutto quello che si vuole! Sarà stato un modello per quei tempi, non certamente per noi.

Eppure non ho perso totalmente la simpatia per questo furfantello di re!

La sua vita e le lodi che riceve dalle Sacre Scritture, mi sono di conforto, nella speranza che se il buon Dio, che è sempre quello di David, se l’è portato in paradiso, farà altrettanto con gli uomini del nostro tempo.

Credo che il pessimismo che è nato da alcuni filoni della Riforma Protestante, non abbia motivazioni profonde e giustificazioni credibili.

Ogni giorno di più constato con meraviglia, la capacità di perdono verso certi figli sconsiderati da parte degli sfortunati genitori.

Spero proprio che il buon Dio usi lo stesso metro anche con gli uomini del nostro tempo.

Un po’ d’ordine

I temporali e la pioggia violenta di questi ultimi giorni hanno fatto cadere un altro pezzettino della volta del porticato di sinistra che allarga le braccia ad accogliere i concittadini che ogni giorno, numerosi, vengono a salutare i propri morti.

I miei ultimi interventi presso la Vesta evidentemente hanno mosso qualcosa; ho visto che s’è tagliata l’erba, s’è rabberciato il terreno del campo a sinistra ove sono avvenute le ultime esumazioni, ho visto gli operatori diserbare presso alcune tombe, l’ingegnere responsabile della manutenzione fare una visita, hanno sostituito tre neon dell’illuminazione della cappella, ed ho pure notato alcuni addetti ai lavori che per un paio di mezze giornate hanno fatto rilievi e discusso sugli intonaci delle volte del porticato ch’era stato transennato con nastro bianco e rosso, ma che il vento ha spazzato via. Di certo non sono scomparse le pozzanghere e il fango, l’asfalto è pieno di buche e i fiori di plastica, scorazzano ad ogni ventata un po’ seria, i campi a prato verde sono tali per definizione, ma in realtà basta qualche giorno di sole perché prendano il colore della steppa, molto probabilmente manca un impianto di irrigazione e se c’è di certo non funziona!

Tra qualche settimana avremo un bel piazzale, sperando che il Comune provveda anche alla manutenzione, certamente sarà più accogliente di prima, però non avremo un bel cimitero. Si dirà che dipende dai fondi a disposizione, dal numero degli addetti. Io non credo, e non ho mai creduto a questi discorsi. Si tratta invece di civiltà, di convinzioni, di capi, di senso di responsabilità. Credo che il Comune di Venezia sia tra i comuni del nordest che ha in assoluto il numero più grande di dipendenti eppure non brilla per efficienza e Treviso, Belluno, Padova ma anche Castelfranco e S. Donà potrebbero fargli da maestri.

Al sindaco Cacciari, all’inizio di uno dei suoi precedenti mandati, gli dissi che se avesse messo a regime i dipendenti del Comune, sarebbe stato solo per questo un ottimo sindaco. Non è avvenuto!

Sarei curioso di vedere, se la lega avesse un Gentilini qualunque ma coi baffi, riuscirebbe a metter un po’ d’ordine!
Fare una prova, non casca il mondo!