La vera ricchezza non sta nella forma ma nel valore e nella bontà del messaggio

L’inizio del mio servizio da prete è avvenuto nel lontano 1954 presso la parrocchia dei Gesuati a Venezia. Suddetta parrocchia è costituita da quella parte di territorio veneziano che va dal ponte dell’Accademia e termina con la Punta della dogana, limitato a destra dal Canal Grande e a sinistra dal canale della Giudecca.

Era parroco a quel tempo Monsignor Mezzaroba, sacerdote che mi aveva conosciuto da bambino ad Eraclea, quel parroco era un prete zelantissimo, con una fede semplice come quella di un bimbo è col desiderio di convertire e salvare anche il cristiano più renitente. Se aveva un limite era quello d’essere di una ingenuità disarmante tanto da riporre una cieca ed assoluta fiducia in ogni novità che a suo parere poteva realizzare il miracolo della conversione dei suoi parrocchiani piuttosto renitenti alla vita cristiana.

Ricordo che a quei tempi era uscito il “magnetofono” a filo, per registrare le voci.

Comperò immediatamente questo marchingegno essendo certo che con quello strumento io avrei incantato tutti i ragazzi della parrocchia che mi avrebbero seguito come il pifferaio magico.

Sono ritornato a questi lontani ricordi qualche settimana fa leggendo ai fedeli il brano del Vangelo che parla del mandato di Gesù agli apostoli: “Non portate bisaccia, né bastone, né denaro, e nemmeno due tuniche!” quasi a dire: “La vostra ricchezza non sta nelle tecniche raffinate dell’offerta, ma nel valore e nella bontà del messaggio: Il Regno di Dio è vicino!”

Ora un po’ meno, ma fino a qualche anno fa quando non s’è parlato d’altro che di strategie pastorali, di strumenti di apostolato, di organizzazioni ecclesiali, di gruppi con metodologie e dei carismi più diversi, di formazione teologica ecc.

Certamente anche questi strumenti quali: giornali, radio, televisione, gruppi, metodi, hanno una loro funzione però essa sarà sempre modesta, limitata e marginale!

Quello che vale però è il messaggio che dà risposte alle domande esistenziali, la coerenza dell’apostolo, la solidarietà che l’accompagna, la convinzione assoluta di offrire la “merce migliore” che supera di gran lunga quello che offre la “concorrenza”; tutto il resto è solamente carta da pacchi più o meno colorata!

Chiamarla musica? Chiamarla arte? Chiamarla moda?

Sono diventato anche un po’ sordo, motivo per cui sono costretto a tenere un po’ alto il volume della radio e della televisione. Al mattino mi alzo ufficialmente alle 5,30 perché desidero sentire le novità di questo nostro povero mondo, fornite dal giornale radio che si trasmette a quell’ora.

La veglia è però avanti di una decina di minuti tempo in cui si trasmette musica moderna.

Ogni tanto penso che se qualche anziano coinquilino mattiniero, facesse la passeggiata sulla stradina che passa sotto il mio davanzale, cosa potrebbe pensare di questo vecchio prete che di prima mattina ascolta una musica così stridula, fracassona ed opposta ad ogni seppur minimo cenno di armonia.

Se dicesse “Don Armando è diventato matto o si è rincitrullito” sarebbe il più benevolo commento che potrebbe fare!

Bisognerebbe inventare un nome nuovo per definire quell’obbrobrio di suoni; chiamarla musica è semplicemente un sacrilegio!
Questo è il nostro mondo!

Ma non basta! Qualche giorno fa ho avuto modo di leggere qualche critica illustrativa sia sulle sale espositive della Punta della dogana, che sulla biennale a Sant’Elena.

Io non ho tempo, né voglia di sentirmi umiliato nel mio senso estetico per vedere simili mostruosità fatte passare per opere d’arte.

In un mondo in cui c’è il trionfo dell’armonia e della bellezza dovrei avere lo sfizio di visitare simili obbrobri?

Bisognerebbe scoprire un altro termine per definire quell’insulto al buon gusto.

Chiamarla arte è un sacrilegio veramente imperdonabile!
Questo è il mondo attuale.

C’è però una terza scena, che durante l’estate è ancora maggiormente esasperata: la moda femminile ma anche quella maschile: brandelli, stracci che cercano in maniera quasi parossistica di imbruttire l’armonia del corpo dell’uomo e della donna. C’è una inventiva nell’imbruttimento che batte ogni record che una mente possa immaginare!

S’è arrivati al ridicolo, dalla perversione alla stonatura più stridente tra il vestire dell’uomo e quello del creato in cui egli pur vive!

La moda nel passato è sempre stata un po’ frivola, ma ora è semplicemente banale e decisamente brutta. Quella di oggi chiamarla moda, se non è anche questa parola un sacrilegio è almeno una maniera impropria per definirle la cornice per la più bella opera d’arte che il Signore ha creato: il corpo umano!

Purtroppo anche questo è il nostro mondo. Speriamo che ora toccato il fondo ci sia il rimbalzo!

“L’uomo propone e Dio dispone”, anche per la Chiesa del cimitero!

Assai di frequente persone mi chiedono informazioni sulla telenovela della nuova chiesa del cimitero.

La stampa cittadina ne ha parlato più volte, riportando il parere dei vari protagonisti di questa vicenda, ognuno dei quali ha presentato il problema dal suo punto di vista, ingenerando così una confusione per cui nell’opinione pubblica c’è un sicuro disorientamento.

M’ero ripromesso che non sarei più ritornato sull’argomento che per me è definitivamente chiuso, ma ritengo opportuno che chiarisca le varie posizioni in maniera che ognuno ne tragga le conclusioni che crede.

L’assessore Fincato, la più diretta interessata a questo problema per l’assessorato che guida, ha affermato più volte che la chiesa si farà.

In pratica però ha fatto approvare un atto di indirizzo in cui si dice che il Comune è favorevole e che la cosa deve avvenire senza spesa alcuna da parte dell’amministrazione.

La Vesta, nella persona del dottor Razzini, amministratore delegato, dice che non è contrario, ma serve che il Comune finanzi la spesa, oppure essa sia finanziata anticipatamente con l’introito della vendita dei 1350 loculi previsti nei deambulatori laterali, oppure si aspetti quando la Vesta avrà soldi da stanziare per questo scopo.

Mognato, prosindaco, ha affermato che la spesa è eccessiva, e preferirebbe qualora avesse i soldi, impiegarli per fare case per gli operai.

L’architetto Caprioglio, afferma che a Mestre è dovuta un’opera degna per cui caldeggia il suo progetto.

Io, don Armando, avendo sentito dall’ingegnere Marchini della Vesta, che il costo previsto per realizzare il progetto dell’architetto Caprioglio, servono 5 milioni di euro, dapprima sono rimasto sbalordito ed incredulo, soprattutto confrontando questo costo con chiese più grandi e nobili costruite recentemente, poi ho deciso di ritirare la mia richiesta in maniera pubblica e definitiva, preferendo a questo costo iperbolico, quella attuale piccola e disadorna e quasi inospitale.

Se si degna il Signore di abitare nella cappella del cimitero, chi sono io per non farlo?

Il dottor Razzini della Vesta ha ventilato la soluzione provvisoria di un prefabbricato.

Il Comune e la Diocesi hanno accettato questa proposta e dietro l’impegno con cui si sta lavorando, tutto fa supporre che per fine ottobre la nuova chiesa sarà agibile.
Un vero miracolo!

Una volta ancora si dimostra vero che l’uomo propone e Dio dispone, non vale proprio la pena di prendersela troppo!

“Respice stella et voca Maria”

Non so se agli altri capiti talvolta quello che capita a me, cioè trovarmi in una situazione così imbrogliata da non sapere come uscirvi. Avere un interlocutore in cui pare che non valgano assolutamente le regole della logica, sentirti travolto da una specie di valanga devastante ed inarrestabile, per cui avverti l’assoluta impotenza, una incapacità ed inutilità di reazione tanto d’essere quasi rassegnato a sentirti travolto dagli eventi.

Anche recentemente mi sono trovato in questo stato d’animo, triste, impotente, frustrato ed arrovellato. Avendo tentato tutto e non vedendo, non solo risultati positivi, ma costatando anzi l’aggravarsi della situazione, mi sono ricordato della preghiera un po’ aulica, ma appassionata di S. Bernardo: “Respice stella et voca Maria” (guarda in direzione della stella polare ed invoca l’aiuto di Maria).

Ho fatto così, dicendo alla Madonna consapevole che Cristo in croce me l’ha donata come madre: “Madonna cara, come vedi, non ci riesco, non ce la faccio, la situazione è più grande di me, metto tutto nel tuo cuore, pensaci tu!”

Mentre dicevo queste cose pensavo a Maria, alle nozze di Cana, quando tutto faceva pensare che la brutta figura di quei due giovani sposi fosse inevitabile. Mi sono un po’ rasserenato a questo pensiero, sapendo che la Madonna ha risolto durante i secoli dei guai ben più grossi dei miei pur ritenendo che per me “i miei” erano troppo grossi per me!

Subito però mi accorsi che nell’animo mi rimanevano alcune perplessità, pur ricordando l’opinione di Trilussa che la fede è tale, solamente se è senza ma, chissà e perché!

Finora non è successo nulla, anzi le cose si sono aggravate. Non posso però pensare che la Madonna abbia meno incidenza sul cuore di suo Figlio che ai tempi di Cana, che Gesù non si svegli prima che la mia barca affondi!

So di non meritare di essere aiutato, ma so anche che se la Madonna aiutasse solamente coloro che lo meritano avrebbe ben poco da fare.

Attendo: e scelgo di attendere con fiducia, anche se mi rode il tarlo che sarà una attesa vana. Mi pare che sia il solito S. Bernardo che afferma: “Che non si è mai ricorso alla Vergine senza trovare risposta!”

Dio non è un “re travicello”!

Una delle mie insistenti preoccupazioni a livello spirituale, sperando tanto che non diventi una mania, è quella di far sì che l’essere credente nel messaggio e nella persona del Cristo, non si riduca ad atto formale.

Io sono arciconvinto della necessità che il fedele partecipi all’Eucarestia domenicale, lo faccia seriamente, in maniera devota e partecipe, ma mi preoccupa alquanto che una volta assolto il dovere della frequenza, della correttezza e della partecipazione attiva, tutto si riduca a questo e non ci sia invece un confronto a tutto campo col Cristo che parla con te che dimostra interesse ai tuoi problemi, che ti dà consigli e semmai rimprovera.

La mia preoccupazione è che il fedele instauri un rapporto con Cristo, come una persona attuale, con cui si deve avere un dialogo esistenziale vivo, fecondo ed efficace, anche talvolta critico, burrascoso, o tenero ed affettuoso.

Qualche settimana fa ho avuto il bisogno di mettere a fuoco questo argomento in occasione del brano del Vangelo in cui si raccontava che i discepoli di Gesù, mandati in missione, tornano per riferire il risultato e le difficoltà incontrate durante il loro servizio. Gesù li ascolta e poi, vedendoli stressati, li invita ad un momento di quiete e di riposo.

Non so quanti fedeli alla domenica facciano questo e meno che meno conosco i dialoghi che dovrebbero essere sempre appassionati, che essi intrattengono con l’inviato da Dio.

Se tutto si riducesse alle botte e risposte, prefabbricate della liturgia, sarebbe un guaio, una delusione ed una perdita di tempo la stessa messa.

Mi ha fatto impressione, ma anche mi ha convinto, un padre del deserto che diceva al suo discepolo che la preghiera non era quella di un coro ben educato che salmodiava, ma le imprecazioni di un contadino che protestava con Dio per la tempesta che avevano subito i suoi campi.

Lui, il contadino da credente riteneva giusto protestare col titolare, mentre se il credente o meglio il pseudo credente non gli pare neppure valga la pena pigliarsela con chi può tutto, vuol dire che in realtà lo considera un “re travicello”!

La tentazione di Santa Teresina

I letterati in genere esasperano i problemi e i drammi umani, tingendoli con pennellate e colori forti, in modo da far emergere con più evidenza e più forza certe verità che spesso investono l’uomo.

Ricordo di aver letto moltissimi anni fa un dramma di Cesbron, il famoso letterato francese del secolo scorso, il secolo in cui praticamente sono vissuto ed in cui ho subito tutti i contraccolpi che la vita non risparmia a nessuno.

Cesbron, cattolico fino al midollo, descrive una tentazione che Santa Teresina avrebbe subito in punto di morte. Non so se il dramma di Cesbron abbia avuto un qualche riferimento alla vita reale di questa giovane santa carmelitana, o se egli abbia solo preso a pretesto per mettere in maggior rilievo la tentazione che può colpire o tormentare una persona che s’è spesa tutta e in maniera radicale per una scelta religiosa fuori dal comune.

Il drammaturgo immagina che il diavolo, sotto le sembianze di un medico dal pensiero lucido e sottile, le sussurri l’ipotesi che ella avesse fatto una scelta sbagliata ed avesse perciò investito la sua sete d’amore, di verità e di assoluto, su ideali religiosi inconsistenti, effimeri in cui altri per convenienza o per motivi e circostanze particolari si erano trovati a vivere in un modo illusorio ed inconsistente.

Ricordo come ora che le insinuazioni, di una razionalità perfida e sottile, portano la santa morente alla terribile sensazione d’aver sprecato tutte le sue potenzialità umane per qualcosa di fatuo, che altri non avevano perseguito se non solamente in maniera formale, mentre lei vi aveva investito tutto. Teresa stava per scoppiare per un’angoscia mortale ed una disperazione assoluta per il venir meno, almeno apparentemente, della scelta ch’ella aveva irrimediabilmente fatto.

Poi l’angelo la placa e la salva e le appare infatti il Padre che l’attende amoroso: ed ella muore serena.

A me ottantenne, al termine dei miei giorni, ormai al tramonto della vita s’affaccia talora qualcosa del genere soprattutto quando mi accorgo che confratelli o peggio personalità ecclesiastiche d’alto rango pare prendano molto alla leggera l’impegno religioso e ne colgano spesso solamente o quasi, i vantaggi sociali.

In questi momenti difficili mi aggrappo ai profeti e ai testimoni nei quali ho sempre avuto fiducia; per ora reggono e spero tanto che tengano fino alla fine!

Oltre il punto di non ritorno per tanti progetti importanti

Quasi tutto è realizzabile, però bisogna essere disposti a pagare dei prezzi tanto più consistenti quanto sono più importanti i progetti che si perseguono.

Pare finalmente che sia sul binario giusto il progetto della Casa di accoglienza per familiari che vengono da lontano per assistere i loro congiunti ospiti nell’ospedale dell’Angelo. Ormai i giornali della città parlano sempre più di frequente e sempre più nei particolari della struttura per la cura dei tumori mediante i protoni.

Il “Samaritano” è come la barchetta legata a questo transatlantico; quanto grande, come verrà realizzato, chi lo gestirà, sono elementi ancora avvolti nel mistero, però pare che in due-tre anni s’arriverà in porto.

Quante pressioni, quante varianti, quante delusioni, quante arrabbiature… spero che non ci siano ancora aumenti di prezzo!

Per il don Vecchi di Campalto, con infinite modifiche, preoccupazioni, telefonate, suppliche pare che ormai siamo prossimi al fischio di partenza.

Non tutto è ancora risolto, ma mi pare che ormai si sia superato il limite di non ritorno!

Per la chiesa del cimitero si è passati dal monumento alla baracca, dalla cattedrale al prefabbricato, comunque per novembre e quindi per l’inverno i fedeli potranno pregare al riparo della pioggia e al caldo.

Già amo appassionatamente la “mia nuova chiesa in grembiule” la chiesa povera per la gente che crede e va al sodo!

Per i generi alimentari le cose vanno ancora meglio. Con tanta fatica e buona volontà abbiamo messo su una struttura d’avanguardia, con una catena del freddo invidiabile, con un corpo di operatori affidati ed efficienti.

Spero soltanto che l’assessore Bortollussi dia l’ultimo tocco e ci dia la possibilità di “raccogliere evangelicamente gli avanzi” del miracolo della moltiplicazione dei pani! (don Armando ha scritto questo appunto prima che la cosa si compiesse, NdR)

Costi? Notti insonni, blandizie ai giornalisti, telefonate agli amici, pazienza, costanza, faccia tosta e fiducia nella parola di Cristo “A chi batte sarà aperto, a chi domanda sarà dato!”

Però quando il bimbo è nato, la mamma dimentica le doglie ed è felice!
Così è per me!

Parlare al prossimo come se fosse l’ultima volta che lo si fa

La chiesa che ufficio da più di quarant’anni si qualifica soprattutto per la funzione del commiato.

Nella chiesetta tra i cipressi non si fanno battesimi, non si celebrano matrimoni, né prime comunioni né cresime. Al di fuori degli incontri festivi di questa comunità solo apparentemente raccogliticcia, io celebro spesso la funzione del commiato e sempre in questa occasione mi viene chiesto voce e cuore per dire al proprio caro che parte per il grande viaggio che lo porta alla casa del Padre, le parole belle che sono state dette poco o male e purtroppo talvolta non sono mai state pronunciate.

Lo faccio tanto volentieri, e mi sento talmente partecipe alla sofferenza e all’amarezza dei familiari, tanto che spesso mi commuovo anche in maniera sensibile.
Spesso la gente mi ringrazia per tutto questo.

Qualche giorno fa mi è giunta perfino una lettera di un’anziana signora che mi aveva chiesto di celebrare il funerale del marito, ma che non mi era stato possibile accontentarla perchè già impegnato per un altro commiato. Ebbene questa signora mi ringraziava perché nella triste occasione dell’ultimo saluto al marito, si è ricordata delle parole che spesso mi aveva sentito pronunciare in occasioni simili nella mia vecchia parrocchia.

Monsignor Da Villa in occasione della prima comunione dei bambini diceva loro: “Quando vi accosterete all’Eucarestia, fatelo come fosse la prima volta, l’unica volta e l’ultima volta!”

Chissà che non mi si ricordi per una frase analoga: “Quando parliamo con il nostro prossimo, facciamolo col tono, la convinzione e l’intensità che lo faremmo se fosse l’ultima volta che abbiamo la possibilità di parlare con quella persona!”

Quando le passioni impazziscono…

Sto navigando tra mille difficoltà. Il peggio è che queste difficoltà non nascono da eventi naturali incontrollabili, quali una tempesta od un terremoto, ma da passioni umane non controllate ed impazzite.

Se le risorse umane fossero sfruttate al meglio, in maniera ordinata, rispettose delle qualità, esigenze e competenze degli altri, senza prevaricazioni e senza competizioni esasperate, credo che potremmo vivere la tanto sognata “età dell’oro”.

Io sono per natura e per scelta un ammiratore entusiasta dell’uomo, delle sue qualità e delle sue risorse fisiche ed intellettuali, tanto da sgranare gli occhi e talvolta lodare Dio per l’enorme generosità con cui ha trattato l’uomo e l’ha fornito di doni pressoché infiniti.

La natura è deliziosamente bella, sia quando si manifesta nella sua idilliaca dolcezza, che quando manifesta tutta la sua forza e la sovrumana potenza, però l’uomo, la donna, il vecchio ed il bambino sono opere talmente sublimi che mi fanno sgranare gli occhi, e mi costringono quasi ad intonare il “Magnificat”.

Però l’uomo quando si lascia trascinare dalle passioni, che Platone immagina quali cavalli impazziti che non obbediscono più ai comandi del cocchiere, allora è una vera desolazione!

La bellezza e la perfezione umana allora pare che incontrino un pittore mostruoso quale Pablo Picasso, che scompagina, storpia ed imbruttisce la divina armonia con cui Iddio l’ha creato!

Grazie al Comune per la mia chiesa “in grembiule”!

Sono felice, anzi orgoglioso d’avere ora la mia chiesa “in grembiule”

E’ di don Antonino Bello, il compianto vescovo di Molfetta, la sunnominata e felice espressione della “Chiesa in grembiule”, cioè della chiesa dimessa, povera, in servizio discreto ma generoso verso gli ultimi.

Non che non avessi gradito la bella chiesa progettata dall’architetto Caprioglio, che cantasse la gloria di Dio con la sua armonia e lo splendore dell’arte, nella quale la presenza dei resti mortali di quasi 1500 fratelli di fede avessero costituito un coro che avesse mescolato la sua voce purificata dalla misericordia del Signore, con le preghiere di noi peccatori viandanti verso la casa del Padre.

Il nostro Dio merita questo ed altro! Ma la sensazione di vestirmi dei panni poveri di una chiesa prefabbricata, senza pretesa di sontuosità, mi fa tornare alle mie umili origini e mi aiuterà a vivere più intensamente gli ideali che mi hanno accompagnato e sorretto durante tutta la mia vita di prete e di cristiano.

Quando penso alla chiesa sull’Appennino di don Milani, alla chiesa di Bozzolo di don Mazzolari, o ancor meglio alla chiesa del curato d’Ars, nella sperduta ed infinita campagna francese, questa somiglianza mi farà sentire in gran compagnia, mi aiuterà a parlare meglio di solidarietà, di precarietà della vita e di bisogno di infinito, di assoluto.

Il Comune ha fatto veramente il più bel regalo che potesse fare a questo povero e vecchio prete!

Il dolore e la morte fuor da libri e prediche

Le notizie costituiscono ormai un bombardamento a tappeto, però ci sono certune che ti colpiscono in maniera tale che, a differenza di tante altre più consistenti, finisci per non dimenticarle più.

In questi giorni me n’è tornata in mente una, che non so perché, nonostante il passare dei decenni, m’è rimasta impressa. Si era al tempo della tragedia di Superga quando il grande Torino si spense al completo nella distruzione dell’aereo che trasportava l’intera squadra.

Ricordo un’intervista in occasione di quel dramma umano e calcistico. Un intervistato, alle domande solitamente banali del telegiornalista, affermò: “Quando leggi nel giornale che è caduto un aereo e sono morti i passeggeri, ti vien da esclamare: “Poveretti!” ma se in quell’aereo ci stava un tuo amico, allora la cosa cambia!”.

Io vivo praticamente in cimitero, vivo tra i morti e parlo ogni giorno di questa realtà, però in questi giorni in cui la morte ha aggredito mio cognato, meglio ancora il compagno di giochi della mia infanzia, la morte è diventata tutt’altra cosa!

Mia sorella mi ha fatto una telefonata angosciata, dopo un minuto ero da lei, ed Amedeo, che aveva giocato a carte facendo spettacolo nella piazzetta del don Vecchi, in cui gli anziani ammazzano il tempo, era ormai rantolante. Un ictus a distanza di trent’anni dal primo, l’aveva fulminato. Gli sorressi la testa fino all’arrivo dell’autoambulanza.

Il dolore, l’agonia, la morte m’apparvero subito con un volto diverso da quello che conosco bene parlando in cimitero della morte, della Terra Promessa o della Casa del Padre!

Quanta delicatezza, quanta comprensione e quanto rispetto si deve avere verso chi soffre e chi muore! Il dolore e la morte sono ben diverse da quelle dei libri o delle prediche!

Siamo ancora monoteisti?

Per tanto tempo i miei maestri mi hanno insegnato che il popolo ebraico fu grande perché, a differenza di tanti altri popoli, fu monoteista, ossia credeva in un solo Dio.

Ora, dopo una lunga vita ed una certa frequentazione della Bibbia, ho delle grosse riserve sul monoteismo ebraico, perché sono arrivato alla convinzione che piuttosto di credere in un solo Dio, gli ebrei credevano che il loro Dio era più forte degli dei degli altri popoli e tutto ciò non lo si può definire proprio monoteismo.

Le mie considerazioni si sono spinte col tempo molto più in là, tanto che temo che, anche dopo venti secoli di storia cristiana, i seguaci dell’ebreo Gesù non siano proprio dei monoteisti puri! A livello formale credo che vinca il monoteismo, ma nella pratica si possono trovare piccoli e grandi idoli anche nel nostro mondo cristiano.

Alcune settimane fa, una mia amica, che ha cercato un ufficio postale in periferia, perché quello centrale è troppo affollato, come avviene spesso per la poca organizzazione e solerzia negli uffici pubblici, ha scorto a Trivignano una lunga fila di persone in attesa. Si concedevano i prestiti per le vacanze! Le vacanze sono un idolo molto affermato.

Leggevo sulla cronaca sportiva delle gare in acqua, gli epici risultati della gloria di Spinea, che si irradia però sul Veneto, in Italia e nel mondo!

Mi pare che la Fede (diminutivo di Federica) ha raggiunto il record dei 400 metri superando di due decimi di secondo quello precedente.

Non vi pare che la Pellegrini si meriti l’erezione di una Basilica? Per non parlare del valore economico di un giocatore di calcio! Siamo decisamente regrediti a livello di fede reale. Altro che monoteismo!

il mio infimo apporto

Non so come definire certi sentimenti che nascono spontanei, senza averli per nulla coltivati nella mia coscienza.

Spesso soprattutto quando sono stanco e deluso, mi viene spontaneo chiedermi: ha senso tutto questo mio tentativo di spendermi per il prossimo, quando pare che nulla cambi, anzi talvolta sembra che la situazione non soltanto non migliori, ma anzi sia tendenzialmente in fase di peggioramento?

Prediche, preghiere, incontri, progetti, scritti, rapporti umani, e perchè no, arrabbiature e scontri…; risultato? Mi pare, ormai al tramonto della mia vita, di trovarmi con un pugno di mosche in mano.

Vale la pena uno spreco di tante energie per essere coerenti a certi valori, per perseguire certi obiettivi che ritengo in linea con la fede che professo?

Questa mattina mi ha portato una certa consolazione, il pensiero di una cristiana d’America, la quale ha forse avuto anche lei le mie stesse tribolazioni interiori. Questa creatura ha scritto, in una sua riflessione, che l’ape operaia, durante tutta la sua vita riesce a produrre un dodicesimo del miele che è contenuto in un cucchiaino da caffè. Ben poca cosa in verità! Ma che comunque un alveare riesce a produrre ben 25 kg di miele all’anno.

Non ci sarebbe nulla da meravigliarsi se il mio impegno pastorale producesse il dodicesimo di risultato di un cucchiaino di caffè!

Madre Teresa di Calcutta riprende il discorso a modo suo: “Quanto sono riuscita a fare col mio impegno, rappresenta una goccia d’acqua del grande oceano, però anche l’immenso oceano è formato da tante piccole gocce”.

Ho capito e spero di ricordarmelo, che io debbo essere impegnato a dare il mio infimo apporto; sarà il Signore a metterlo insieme a tanti altri piccoli apporti. Solamente così si raggiunge un certo risultato!

Una scelta d’amore e un ringraziamento a Dio

Biagio Pascal, tra tutte le cose tanto intelligenti, ma soprattutto sagge, che ha scritto nei suoi “Pensieri”, c’è anche quello che l’uomo è tale perchè pensa e se non pensasse non lo si può neanche ritenere uomo!

Quindi una delle attività essenziali per l’uomo d’oggi e quella di pensare, riflettere, meditare.

Lasciarsi andare al riflettere anche sulle cose più strane e poco significanti, non è mai ozio o perdita di tempo, ma questa capacità e volontà di meditazione prima o poi produce effetti che ci arricchiscono in umanità.

Da ragazzo, credo come tutti i ragazzi di un tempo, ho letto Verne, Salgari e tanti volumi con i quali un tempo i missionari parlavano dei luoghi e di mondi lontani in cui svolgevano il loro ministero.

Fra le tante realtà che allora non riuscivamo a comprendere c’era anche, ma non solo, la cultura e la sensibilità degli indù, della loro prassi di vita e delle loro regole etiche.

Ad esempio m’era assolutamente inconcepibile il rispetto assoluto per la vita, anche nelle forme più elementari che gli abitanti dell’India praticano nei riguardi degli animali.

La mia conoscenza del mondo dell’India è solo libresca e certamente di livello popolare, per nulla critica, motivo per cui mi sembrava irrazionale che in una realtà povera ci fosse un rapporto speciale con il mondo degli animali, a parer mio poco razionale ed economicamente poco redditizio.

Tutto questo filosofare di un tempo è riemerso dal fondo della coscienza qualche giorno fa quando, mentre scrivevo su un foglio bianco, un piccolo insetto, minuscolo con passetti frettolosi, si mise ad attraversare il foglio, sebbene non mi provocasse alcun fastidio e sarebbe uscito presto dal foglio, d’istinto lo schiacciai premendo appena la punta di un dito.

Però subito cominciai a pensare: “Perché l’ho fatto? perché ho messo fine a questa vita? Chi sono io per decidere la vita e la morte? Che mi ha fatto questa piccola creaturina? Che ne so io della sua vita e della sua funzione nel microcosmo?”
Vi confesso che provai rimorso.

Cominciai poi ad allargare il campo di riflessione: “Per Dio io sono certamente meno di quell’insetto, eppure non solamente io non sono innocuo come lui, ma talvolta invece ribelle, cattivo, irriconoscente. Eppure Dio non solamente non mi ha mai schiacciato, ma anzi mi manda a dire mille volte al giorno che mi vuole bene!

Ho deciso non ucciderò e non farò mai del male a nessuna creatura vivente, né animale né vegetale e ringrazierò mille volte il Signore che per ottant’anni ha continuato ad avere pazienza nei miei riguardi nonostante tutto!

Padre Ugo Molinari e don Giuliano Bertoli, preti che non fecero compromessi

Il ricordo di don Giorgio prete che per obbedienza e convinzione, si impegnò, con risultati positivi contro ogni speranza, a proporre il sacerdozio in tempi in cui una crisi gravissima si abbatteva contro i preti e molti appendevano la tonaca al chiodo, ha fatto emergere in me, altre due figure di preti che voglio ricordare perchè lo meritano.

Padre Ugo Molinari, prete somasco, parroco di Altobello.

Padre Ugo, che penso fosse proveniente dalla Somasca oltre ad essere un discepolo di San Girolamo Emiliani, esercitò negli anni difficili, attorno al ’68, il ministero di parroco di Altobello.

Ora quella zona s’è risanata, a quel tempo era ancora in subbuglio in cui povertà e prostituzione si accompagnavano come sorelle siamesi. L’intero apparato della parrocchia cominciò prima a scricchiolare per poi franare completamente. Ricordo che a San Lorenzo, a quei tempi, avevamo più di mille iscritti alle varie associazioni, dopo un paio di anni tutto era raso al suolo. Don Ugo, a differenza di tantissimi preti, che si lasciavano andare alla moda del tempo, blindò la parrocchia, continuò imperterrito il suo ministero e la comunità resistette al tornado della contestazione.

Don Ugo fu un prete che con saggezza, forza e santità salvò dal disastro della contestazione la sua comunità. Gli altri preti lo definivano “matusa” (così venivano chiamati i preti che i progressisti ritenevano reazionari e conservatori), ma egli riuscì a tenere in piedi l’ossatura della sua comunità.

Il ricordo di don Giorgio è per me collegato a quello di don Giuliano Bertoli, il rettore del seminario, altra figura di “prete resistente”.

I seminari di tutta Italia con il ’68 sbandavano, chiudevano o si davano alle sperimentazioni più spericolate, ma a Venezia don Giuliano, con il suo sorrisetto a mezz’aria, con un atteggiamento sornione ma con spirito saggio resistette alla moda del tempo, tenne ben fermo il timone e non si lasciò incantare né dalle sirene, né temette l’impopolarità. Finché visse a Venezia ci fu il seminario. Poi fu un’altra cosa!

Desidero ricordare questi preti saggi e coraggiosi quando quasi tutti si illusero di stare a galla scendendo a compromessi pericolosi che poi li travolsero!