Solo la partecipazione diretta fa capire davvero il dramma dell’altro

In queste ultime settimane è riemersa nella mia memoria una frase di un anonimo cittadino, intervistato casualmente da un radiocronista della Rai. Si tratta di un vecchio ricordo, tanto che mi sono perfino chiesto come mai sia rimasta traccia nella mia memoria, nonostante da quel tempo lontanissimo essa abbia registrato milioni di altre immagini, di parole e di sensazioni che si sono sovrapposte a quelle poche parole riportate dalla televisione.

I cronisti in quegli anni ormai molto lontani, si davano molto da fare per informare gli spettatori, avidi di notizie, sull’incidente avvenuto sul colle di Superga, quando il grande Torino fu cancellato totalmente dalla vita sportiva, dalla tragedia capitata all’aereo che trasportava l’intera squadra di calcio.

Lo spettatore, era evidentemente uno sportivo, quando il cronista gli chiese che cosa provasse di fronte a quel disastro, egli rispose: “Di fronte alla notizia di un fatto del genere, ti vien da dire che è una grave disgrazia, ma se tra i morti nell’incidente ci sono persone che tu conosci, stimi, gli vuoi bene, allora è tutt’altra cosa!”

Per il mio “mestiere” che svolgo in un cimitero, ho estrema dimestichezza con la morte e con i morti. Però se il defunto è una persona con cui hai vissuto, hai giocato da bambino, ti ha aiutato nei momenti difficili della vita, allora il dolore, la mancanza, la morte, è tutt’altra cosa!

La morte di Amedeo, mio cognato e mio compagno di giochi d’infanzia, ha inciso come mai avrei pensato nel mio animo! Ho visto la morte ghermire pian piano il respiro, l’armonia del corpo, la vita …… è stata ben altra cosa di quello che, pur convinto e partecipe, mi capita di dire durante i funerali!

Una volta ancora il buon Dio mi fa intendere che solamente la partecipazione diretta, il rapporto di amicizia, la compassione, ti mettono nella condizione di partecipare di comprendere, di cogliere la lezione che un evento grave ti trasmette.

Mi par finalmente di aver maggiormente compreso che solamente quando si sceglie di lasciarci calar dentro il dramma dell’uomo, si può capire il povero, la persona sola, il vecchio, l’emarginato, il sofferente!

Amedeo

Qualche settimana fa è morto, stroncato da un ictus, mio cognato Amedeo. Prima che dalla perdita del marito di mia sorella sono stato colpito dalla scomparsa del compagno di giochi della mia infanzia.

Una folla di ricordi sono tornati a galla nella mia memoria, ricordi che pensavo d’aver sepolto nell’oblio ormai da quasi settant’anni. Invece no!

Nella periferia del mio paese eravamo una bella “banda” di bambini e di bambine; si giocava ai banditi, correndo e nascondendoci tra i filari di granoturco. Ricordo l’osservatorio che avevamo costruito ad un paio di metri di altezza, su un vecchio olmo, vicino casa, la rete di telefoni che avevano come filo conduttore una specie di liana vegetale che infestava i campi e come apparecchio ricetrasmittente i coperchi delle scatolette di lucido per scarpe!

Un primo malanno capitatogli trent’anni fa, aveva ridotto, pian piano, alla carrozzella il bravissimo capomastro, lavoratore capace e generoso.

Fortunatamente la Provvidenza mi ha permesso di poterlo accogliere, assieme alla moglie, al don Vecchi, una decina di anni fa. Lui ha legato immediatamente e ogni pomeriggio “dava spettacolo” giocando a carte assieme ad un gruppetto di coetanei e coetanee.

Non appena si apriva il tavolo del gioco, si formava immediatamente un vasto crocchio che partecipava per l’uno e per l’altro dei contendenti e così tutti i pomeriggi dalle 17 alle 19.

I nostri rapporti sono sempre stati cordiali, ma senza troppe confidenze ed intimità; noi gente di campagna siamo schivi, riservati e gelosi dei nostri sentimenti.

Il giorno del funerale è stato il giorno più luminoso della sua vita: la folla degli amici, dei compaesani, dei residenti al don Vecchi e della “stirpe”,

Gli interventi dei figli, affermati professionisti, mi è parso di scoprire valori che mi erano sconosciuti fino al momento della sua morte, tanto che ora scopro una immagine positiva e più bella di quella pur valida che avevo prima!

Ancora una volta la natura e la Provvidenza tentano di insegnarmi ad apprezzare e valorizzare tutto quello che si dà per scontato e che invece è dono autentico del Signore!

I Politici, i media e il sentire della gente comune

Ho capito che gli esponenti dei partiti ed i loro ammiratori sono soddisfatti quando anche un uomo, che conta ben poco come me, dice qualcosa di critico nei riguardi dei loro avversari politici, mentre sono estremamente sensibili e reattivi, quando qualche critica, seppur non troppo acida, riguarda loro.

Ho notato poi che anche gli organi di stampa reagiscono immediatamente quando, un prete, seppur vecchio e fuori corso come me, si piglia la libertà di fare delle osservazioni nei riguardi di qualche movimento politico.

Mi è capitato recentemente di aver osservato che mi disturbava, come cristiano, la querelle tra l’UDC locale e il Partito della Libertà e della Lega litigassero così a lungo e pubblicamente per la questione di uno o due seggi promessi e forse dopo la vittoria non assegnati.

Ho confidato al mio diario queste mie povere e miti considerazioni.

Il Gazzettino, mediante una mia vecchia (si fa per dire) parrocchiana, che si diverte a leggere i brontolamenti del suo anziano prete, ripresenta, dandogli una cornice giornalistica, il mio sbottare, chiamandola “bacchettata”. La televisione mi intervista, telefona il segretario comunale e quello provinciale di suddetto partito. Una burraschetta estiva in un bicchiere d’acqua!

Suddetti signori non pensino che la chiesa, un grande elettore, il clero o chi so io, abbia preso posizione!

Sono soltanto io vecchio ed insofferente che dice con franchezza: “Io e la gente comune siamo veramente stufi di queste commedie, che per quanto facciate non coprono le vostre vergogne e gli interessi di parte!”

Lavorate assieme costruite, trovate convergenze, risolvete i problemi. Questo conta, non che cresciate o diminuiate, possiate offrire più o meno poltrone ai vostri sostenitori!
Non credo che per dire queste cose ci sia bisogno di un Solone!

Io non ho nulla contro Casini, ma mi pare che il suo parlare, perfino struggente, sulla famiglia, sia interessato e che col suo “Grande Centro” finisca per perdere tempo e stancare anche chi, tutto sommato, lo stima!

Non tutti i preti capiscono che la fede senza le opere è sterile

Qualche giorno fa un signore, che non credevo di conoscere, mi chiese il mio diario del 2008.

Pensavo di non averne più una copia, invece ne trovai fortunatamente una.

Il signore che aveva manifestato questo suo desiderio alla figlia, abita a Padova ed è un mio coetaneo, probabilmente il fatto dell’età costituisce già un minimo denominatore comune, per leggere la cronaca e il sentire della gente del nostro tempo.

La domenica successiva suddetta figlia, si presentò puntualmente dopo la messa, celebrata tra le tombe, per recuperare il diario e per portarmi una generosa offerta.

Si sa, una parola tira l’altra tanto che pian piano sono riuscito ad inquadrare la personalità del richiedente padovano, le sue figlie, una delle quali era una ragazzina di San Lorenzo, da grande aveva adottato due bimbi e l’altra una mamma a cui avevo battezzato due o tre figli.

Bella gente, dal cuore grande, ricco di umanità e di fede semplice e concreta! Mi sovvenne durante il colloquio, anche questo anziano imprenditore, sollecitato dalle sue care figliole, aveva sognato e tentato di coinvolgere il suo parroco a costruire in un suo terreno un qualcosa di simile al don Vecchi per gli anziani di Padova. La cosa non procedette perché il suo parroco aveva ben altri progetti per la testa. Scopro ogni giorno di più quanto sia estranea dalla coscienza dei preti la solidarietà.

Un giorno c’è stato un parroco della marca trevigiana che mi invitò a parlare, durante una congrega di preti della sua foranìa, delle mie esperienze caritative in parrocchia. Man mano che procedevo ad illustrare queste esperienze, mi accorsi che prima si avvertiva noia tra i presenti, poi disagio ed infine insofferenza! La cosa non interessava loro per nulla.

E’ ancora molto diffusa tra i preti l’idea che la carità sia un’opzione piuttosto che una componente essenziale della vita cristiana.

Moltissimi preti pare che non credano che la fede senza le opere è sterile, anche se ciò è stato detto da un esponente autorevole della chiesa ben venti secoli fa!

Pensieri e amarezza nel giorno di San Lorenzo

Questi pensieri sono nati nel mio spirito in prossimità dell’epicentro delle ferie estive: ferragosto; precisamente il 10 agosto, giorno in cui la chiesa ricorda San Lorenzo martire.

Al mattino ho ascoltato, come all’inizio di ogni giorno, la rubrica del “Santo giorno”, tenuta da un vescovo della Curia romana. Penso che la Rai dia al commentatore circa un minuto ed in un minuto ci stanno ben poche notizie e meno ancora commenti!

L’eccellentissimo presule ricordò che Lorenzo era un diacono, amministratore della carità della chiesa di Roma, ricordò che, all’invito del prefetto di consegnargli l’indomani i tesori della chiesa, Lorenzo gli presentò una folla di derelitti, e per questo atto irrispettoso e deludente per il funzionario pubblico, lo condannò alla terribile morte d’essere bruciato sulla graticola.

Il cronista ci risparmiò la solita battuta della tradizione: “Voltami dall’altra parte che da questa sono già cotto!”

La televisione dedicò qualche attimo alla diceria popolare “delle stelle cadenti” ma nulla più.

Con quattro parole s’è voltato pagina Io però non sono riuscito a voltar pagina tanto facilmente perché non mi sono liberato tanto presto dall’ immagine ormai dimenticata e non sufficientemente perseguita “delle ricchezze della chiesa”.

Ho trovato un po’ di sollievo al pensiero che da novembre, potrò dedicare ogni centesimo che non chiederò per la chiesa del cimitero, dal costo preventivato di cinque milioni di euro, al don Vecchi di Campalto per alloggiare altri 60 poveri vecchi di Mestre.

Mi è rimasto però nel cuore la spina di non saper orientare il mio popolo cristiano a ritenere ricchezza la povertà dell’ultimo!

Cambio di orario per la Messa feriale in cimitero

Dal 5 ottobre è entrato in vigore l’orario invernale per la celebrazione della S. Messa feriale nella cappella del cimitero di Mestre.

Perciò la Santa Messa nei giorni feriali sarà celebrata alle ore 15 (non più alle 9.30) mentre quella festiva rimane alle ore 10.00.

Ricordiamo che da novembre sarà pronta la nuova chiesa prefabbricata del cimitero, più capiente e climatizzata.

Come in una scena del film “Lo spretato”

Tantissimi anni fa ho avuto modo di vedere un film che mi è rimasto impresso particolarmente nella memoria e soprattutto nella coscienza.

Il titolo era “Lo spretato”.

A quel tempo erano ben pochi i preti che “appendevano la tonaca al chiodo”, ma dal ’68 in poi questo fatto non fece quasi più notizia perchè cominciò da allora una “emorragia” che non si è ancora bloccata del tutto.

Di quel film ricordo soprattutto tre o quattro scene che non dimenticherò mai.

Questa mattina ne ho ricordata particolarmente una per una strana associazione di idee.

Lo spretato era accompagnato alla tomba di uno dei tanti cimiteri dell’anonima periferia di Parigi, dal solito furgone funebre, senza alcun segno religioso, dietro al furgone due o tre persone soltanto, uno squallore inconcepibile, per me abituato ad Eraclea vedere l’intero paese seguire il defunto al camposanto in due interminabili file, ma anche a San Lorenzo, quasi sempre una folla attraversava Piazza Ferretto mentre si chiudevano rapidamente le serrande dei negozi, quando si portavano i morti in cimitero.

Sono passati appena quarant’anni e stamattina ho aperto io il corteo funebre, c’erano poi i quattro becchini con la bara su un carrello e Cristiano il capoufficio della Vesta, che pur faticando, ha voluto rendere onore al concittadino, che dopo essere rimasto sei mesi nel congelatore della cella mortuaria, riceveva finalmente sepoltura sotto una piccola croce bianca regalata dall’amministrazione comunale.

Povero Gino, povero Paese, povera cristianità che non si accorge neppure più della scomparsa di un suo membro!

La famiglia sfaciata

Alla notte dormo sempre molto poco e sempre più male. Vado a letto sempre più tardi e mi pare che non arrivino mai le 5,30 del mattino, l’ora in cui mi alzo.

Forse sbaglio comunque verso le 13,30, ora in cui rientro nel mio alloggio dopo il pranzo consumato con i miei anziani coinquilini, mi siedo in divano con l’intenzione di schiacciare un pisolino di recupero.

La televisione ha la capacità di addormentarmi; normalmente mi risveglio mentre la televisione, che rimane aperta, presenta da qualche tempo un nuovo programma. Conduce la rubrica uno sbirulino di ragazza, un po’ sofisticata, che cambia vestito ogni giorno, ma che è veramente intelligente e bravina.

Il programma consiste in una specie di processo con tanto di giudice, di giuria popolare, di avvocati e soprattutto dei due litiganti che sempre sono marito e moglie o un uomo e una donna che sono appartenenti alle infinite varianti del convivere familiare: sposati in chiesa, in municipio, divorziati, risposati.

I motivi del contendere sono svariatissimi: denaro, educazione dei figli, separazioni, affido dei minorenni.

Normalmente si tratta di coppie o meglio di ex coppie o in procinto di separazione, giovani, intelligenti, agguerrite e con grande facondia e dialettica, spesso appassionate nella difesa della propria tesi e nello sforzo di combattere la tesi dell’altro.

Non ho ancora capito se il giudizio sia un vero giudizio, oppure una costruzione scenica, comunque il dibattito e la passione sono vere.

La rubrica mi interessa, però mi deprime, mi sconforta; siamo allo sfascio della famiglia, al disastro più completo.

La semina dei radicali, dei liberali, della sinistra è stata veramente rovinosa e micidiale.

I figli sono ridotti sempre più a dei relitti in un mare in tempesta, che vanno irrimediabilmente alla deriva. Povera famiglia! Poveri uomini! Povera Italia!

Un’angoscia mortale mi colpisce ogni giorno di fronte a queste espressioni dello sfacelo che avanza ineluttabile e che sta riducendo il nostro Paese ad un immondezzaio.

Per qualcuno la carità fa le ferie d’Agosto!

Questa sera ho ricevuto una fucilata al cuore! Mentre cadevo si sono riaffacciate alla memoria, scontri duri ed amari di una ventina o trentina di anni fa.

Mi sono ricordato di “eventi bellici” che puntualmente un tempo si ripresentavano ogni anno in occasione delle ferie estive. I responsabili della mensa di Ca’ Letizia, e della San Vincenzo, in genere, associazione di volontari cristiani impegnati a favore dei poveri, di cui per decenni fui assistente religioso, mi proponevano un calendario per la chiusura della mensa per un certo numero di giorni per dar modo ai volontari di andare in ferie!

La discussione era serrata, spesso dura, talvolta perfino polemica. Io sostenevo che i poveri, erano cittadini, anzi fratelli, che non potevano andare in vacanza, e noi su questa loro ferita buttavamo sale privandoli anche della colazione al mattino e della cena alla sera. Un anno arrivai a dire: “Andate pure in vacanza ed io mobiliterò le suore della città perchè preparino loro la cena!” fu un flop totale, le suore risultarono più insensibili e più borghesi degli stessi vincenziani.

Fui sempre sconfitto, tanto che finii per andarmene, aprendo a Carpenedo nuovi fronti di solidarietà.

Non riesco proprio comprendere una carità mozza, quasi un modo per passare il tempo, perché sono convinto che la carità che non costa non è neppure carità.

La fucilata?
Una e-mail da parte della vice presidente della San Vincenzo cittadina: “Caro don Armando, dato che ad agosto molti volontari vanno in vacanza abbiamo deciso di sospendere l’uscita di “Coraggio” (il quindicinale dedicato agli ammalati) nel mese di agosto.

Speravo che in questi ultimi anni la San Vincenzo mestrina, con la guida del giovane dottor Stefano Bezzi e con il giovane e bravo assistente don Cristiano Bobbo, avesse fatto dei passi in avanti e fosse arrivata ad una carità di qualità. Invece purtroppo no!

Io sono rimasto del parere che chi è in ospedale durante il mese di agosto, abbia bisogno e diritto ad una parola di conforto come chi si ammala in dicembre ed ancora, se panifici, banche, ipermercato, tengono aperto anche di agosto come può la carità che ha scopi e motivazioni più consistenti chiudere?

Mi sento molto vicino ad una seconda divaricazione di strada!

Il primo deve essere l’ultimo, se è un credente!

Ho letto recentemente una dichiarazione di Ernesto Oliviero, il famoso fondatore del Sermig di Torino, in cui confessava come si è innamorato della Bibbia. Un incontro col “Sindaco santo” di Firenze, Giorgio La Pira, gli ha aperto il cuore e lo spirito alla conoscenza del testo sacro.

Una dichiarazione del genere dovrei farla anch’io, soprattutto per quanto riguarda il Nuovo Testamento e in particolare del Vangelo. Più di una volta ho sentito il bisogno di ripetere con Sant’Agostino: “Tardi, Signore, ti ho scoperto, tardi ti ho amato o mio Signore!”

Io però, nonostante questo amore vero, ma tardivo, ho mantenuto ancora uno spirito critico da vecchio razionalista, per cui la lettura non mi desta sempre emozioni spirituali mistiche e sublimi, anzi talvolta, soprattutto di fronte a certi fatti dell’antico testamento.

Sappiamo come David si sbarazzò dell’incomodo del marito della donna di cui si era innamorato.

La conclusione mistica di questa “Sacra Lettura”?
Eccovi che cosa sono riuscito a concludere e con fatica: Chi ha un’autorità, un messaggio non può farlo diventare un comodo paravento per nascondere le sue incongruenze, la propria meschinità, le ambizioni o le cupidigie, illudendo ed ingannando la buona fede di chi si rifà alla sua autorità per vivere.

Questo è un imperdonabile sacrilegio che ha bisogno di più di un “miserere” per essere perdonato!

Nella chiesa di Dio il primo deve diventare l’ultimo, il servo di tutti, perché Gesù affermò: “Sono venuto per servire, non per essere servito!”

Due splendide madri

In queste ultime settimane un dramma gravissimo ha funestato la vita del nostro splendido litorale.

I giornali e la televisione, per alcuni giorni, sono ritornati sull’argomento illustrando in lungo e in largo un incidente che ha coinvolto due donne, due madri.

Una nonna aveva accompagnato in spiaggia il nipotino e mentre ritornava a casa è stata investita da un automobilista.

Questo è il nudo e tragico fatto, che purtroppo, data la notevole frequenza di fatti del genere, correva il pericolo di non fare quasi più notizia, perché non si contano ormai più gli incidenti, tanto che mentre l’uccisione di uno delle tante migliaia di soldati, che abbiamo in giro per il mondo, mette a soqquadro lo Stato, fa intervenire il Capo dello Stato e l’intero parlamento, “la guerra della strada” che fa ogni anno migliaia di morti e di feriti, pare quasi che non meriti più l’attenzione di alcuno.

Il modo in cui è avvenuto l’incidente di Jesolo, ha aggiunto in questo caso, un tocco di sacralità al dramma. La nonna, nell’ultimo istante prima dell’impatto, ha intuito quello che stava succedendo e con gesto eroico s’è sacrificata dando una spinta alla carrozzina e mettendo così in salvo il nipotino e perdendo lei la vita.

Il giorno dopo s’è presentata al comando del vigili un’altra donna dicendo ch’era stata lei a provocare l’incidente mortale del giorno prima. Ci volle però poco ai vigili per scoprire ch’ella voleva salvare il figlio, poco più che ventenne, il vero investitore della sfortunata nonna.

Due belle, splendide figure di madri, in posizioni diverse, ma ugualmente generose testimoni di un amore sublime.

Ho pensato lungamente a queste due madri, con ammirazione e commozione, volendo scoprire quasi nel mio cuore questi volti belli e sacri, perchè so di aver bisogno estremo di queste immagini per non avvilirmi di fronte all’imperversare nei giornali, di vicende squallide e deludenti che hanno come protagoniste e comprimarie femmine fatue, volubili ed indecenti che destano solamente sentimenti di squallore e tristezza per la leggerezza con cui profanano il dono della loro femminilità.

Un pizzico di anarchia

Uno degli slogan del Centro Destra è certamente quello di “Meno Stato!”

Non ho mai abbracciato totalmente questa verità, come non ho pure aderito a quella del Centro Sinistra.

Soprattutto nel passato, si auspicava uno Stato onnipresente, che col suo poderoso apparato burocratico, doveva presiedere ad ogni attività produttiva, ad ogni processo sociale e doveva regolare la vita del singolo e delle comunità.

Questo regime è fallito perché illiberale e soprattutto capace solamente di produrre passività e miseria.

L’alternativa però facilita l’emergere di caste di furbi ed ingordi che s’arricchiscono in maniera smoderata incuranti della miseria dei più deboli, e dei meno spregiudicati.

Il tragico è però che anche chi, come la Democrazia Cristiana, che si riproponeva di moderare queste due dottrine, scegliendo il “giusto mezzo” è fallita anche quella, motivo per cui la nostra società procede a saltoni, zoppicando, ora facendo un passo in una direzione, ora un altro passo nella direzione opposta.

Mi auguro e prego che la Provvidenza faccia nascere uno statista o meglio ancora un movimento politico capace di contemperare in maniera armoniosa questi due sistemi, favorendo contemporaneamente la libera iniziativa e l’intervento dello Stato, per proteggere e favorire i più deboli che altrimenti sarebbero lasciati alla loro sorte.

Qualche giorno fa a causa del non funzionamento del semaforo dell’incrocio di Via Vallon con via San Donà, ebbi la sensazione che senza semaforo il traffico fosse più scorrevole, senza attese e senza incidenti, mi ha fatto pensare che l’aver fiducia nell’intelligenza e nella libertà dei cittadini, non è proprio la cosa peggiore!

Uno Stato vigile, presente e una difesa dei più deboli è certamente un fatto positivo, purché non soffochi con carte, provvedimenti e circolari la libertà e l’intelligenza dei propri sudditi e non interferisca troppo sia nella vita economica che in quella personale, perché un pizzico di anarchia rende più scorrevole e piacevole il vivere.

Combattenti del Sol Levante

Mi reco due volte la settimana a rifornire, della buona stampa, gli espositori dell’Angelo.

Non ci sono più sacerdoti a servizio a tempo pieno “della cittadella della sofferenza”; che almeno il messaggio di speranza offerto da Cristo giunga attraverso i nostri periodici!

Ogni settimana portiamo cinque/seicento copie de “L’incontro”, un centinaio di copie del mensile “Il sole sul nuovo giorno”, ottocento/novecento copie di “Coraggio”, un centinaio di copie settimanali delle preghiere del cristiano e un centinaio di copie de “L’albero della vita”, per la lettura positiva del mistero della morte.

Con questi contributi non risolviamo certamente il problema della pastorale degli ammalati, ma almeno la nostra diventa una presenza, umile finché si vuole, ma gradita.

Infatti non solo i nostri periodici non rimangono sugli espositori, ma anzi li aumentiamo di settimana in settimana.

L’altra sera facendo il giro degli espositori del primo piano, forse la visione delle grandi palme dello splendido giardino pensile, per associazione di idee, mi fecero venire in mente il fatto di alcuni combattenti del Sol Levante, che non essendo stati avvertiti della fine della guerra perché in servizio all’interno della giungla, anche dopo vent’anni dalla fine si consideravano ancora in armi.

Guardando suor Teresa, che mi accompagnava, mi venne da chiedermi: “Ma non saremo anche noi come i soldati giapponesi, sopravissuti al mutare degli eventi?” Un tempo le suore di San Paolo, organizzavano tavole della buona stampa, le Figlie della Chiesa passavano di casa in casa, per l’apostolato del libro. Pare che tanti forse troppi, cattolici si siano ritirati, accontentandosi della routine, della prassi religiosa.

S’è celebrato l’anno di San Paolo, ma pere che all’infuori di qualche sermone di maniera abbia inciso ben poco la sua testimonianza del “combattente per la fede per antonomasia!”

Certo che fare i combattenti, quando è calata la fase secolare costa e costa molto, sarebbe molto più facile e perfino meno costoso andare in vacanza come ogni buon cristiano!

Il nuovo stadio di Mestre

Qualche tempo fa “Il Gazzettino” ha dedicato, per più giorni, colonne su colonne ad un nuovo dramma che ha colpito la nostra città.

Lo spazio, i titoli, l’insistenza mi hanno quasi costretto ad accertarmi sulla nuova calamità che s’è aggiunta all’acqua alta, al degrado urbanistico ed ai contraccolpi della crisi economica. Quando poi ho visto che anche il nostro sindaco filosofo s’è fatto coinvolgere dall’evento, ho sentito il dovere come cittadino d’informarmi su questa sventura che sta colpendo la nostra città.

Non ho letto tutto, perché il giornale vi ha dedicato pagine intere, ma ho potuto finalmente comprendere che “Il Venezia” dovrebbe partire, sempre se riesce a trovare qualche allocco disposto a buttare soldi dalla finestra, che gli darà fiducia e finanzierà la squadra che da qualche anno colleziona sconfitte una sull’altra.

Comunque il cronista sportivo assicura che il progetto del nuovo stadio di tessera si farà.

Questa rassicurante notizia, che apre il cuore al sole dell’avvenire, mi ha fatto venire in mente l’intervento al Laurentianum di uno dei fedeli tipografi de “L’incontro”, a quel tempo egli era pressoché ragazzino, perché si tratta di discorsi di più di quarant’anni fa. Anche allora si parlava del nuovo stadio. Tatino lo chiamavano tutti così, in realtà si chiama Massimo, prendendo il tono dell’imbonitore del mercato di paese cominciò col dire: “Forse uno stadio da cinquantamila è un po’ esagerato!” e poi pian piano cominciò a scendere come Abramo con i giusti di Sodoma e Gomorra, arrivando a concludere: “Anche se fosse uno stadio da mille persone, accettiamolo pur che si faccia!”.

Sono passati più di quarant’anni e a Venezia si continua a parlare di un mega stadio che dovrebbe servire a non so chi, dato che i verdi-arancione, non si sa neppure se riescono a trovare i quattro soldi per iscriversi al campionato dei “pulcini”.
“Povera Venezia, sì bella e perduta!”
Il guaio poi è che ciò non avviene solo per il calcio!”.

Spero in una rinascita dei patronati

A Milano li chiamano oratori, i luoghi dove i ragazzi e i giovani della parrocchia s’incontrano, giocano e vengono educati alla vita cristiana. Pure i ricreatori dei Salesiani si chiamavano oratori.

Quando ero ragazzino ho frequentato per due anni l’oratorio dei salesiani di San Donà di Piave. Era un luogo frequentatissimo e ne riporto un ricordo semplicemente meraviglioso.
Da noi questi luoghi invece sono chiamati patronati.

A Milano avevano, nel passato, una organizzazione poderosa, mentre da noi, anche nei tempi migliori, sono sempre stati ben poca cosa.

Ricordo che ai Gesuati, ove fui cappellano, il patronato era costituito da una vecchia bicocca, seppur restaurata di recente, e lo scoperto consisteva in un cortiletto di pochi metri quadrati, condiviso coi Cavanis, e circondato da ogni parte da una rete metallica perché il pallone non finisse nelle cucine o nelle camere da letto delle case circostanti.

Quando giunsi a Carpenedo nel 1971, c’erano vere folle di ragazzi, un po’ selvaggi e poco desiderosi della parola di Gesù, ma comunque erano tantissimi. Poi con i decenni la cosa andò scemando, riducendosi ultimamente, nonostante notevoli investimenti, al luogo della raccolta dei rompi tutto!

Tutto questo perché non ci sono quasi più giovani cappellani e quando ci sono pare che non reputino più giusto perdere il loro tempo stando insieme ai ragazzi perché impegnati altrimenti con il computer, convegni, incontri, università e quant’altro!

In questi giorni ho letto che i pochi futuri preti faranno un giro di tre settimane col Patriarca in Brasile per conoscere le realtà di quel Paese.

Spero tanto che vedano giovani preti animare la gioventù e i ragazzi, anche se mi rimane qualche dubbio, da un lato perché il Brasile è un po’ lontano e queste esperienze pastorali spero che si trovino, pur se rare, anche nel nostro Paese e dall’altro lato perché immaginavo che l’America latina fosse un Paese importatore piuttosto che esportatore di esperienze pastorali!

La nota positiva, che mi apre il cuore alla speranza, è la buona riuscita dei “grest” di alcune parrocchie della Terraferma, spero proprio che sia una prima nota della rinascita.