Il nuovo carcere a Campalto: perché non farlo?

Qualche giorno fa sono venuto alla conclusione che Marco Pannella, il radicale non credente ed anticlericale, sta guadagnandosi il Paradiso digiunando per umanizzare le carceri del nostro Paese, che hanno raggiunto una brutalità veramente incivile, e sta dimostrandosi un profeta che aiuta la Chiesa fustigando col suo prolungato digiuno noi credenti così maldisposti a pagare anche piccoli “prezzi” per affermare i valori cristiani, soprattutto quelli della solidarietà, nei quali diciamo di credere.

Un proverbio spagnolo afferma che “Dio scrive dritto anche quando le righe sono storte”. Ne ho la riprova in questi giorni dal fatto che provvidenzialmente sono saltati fuori i soldi per costruire a Campalto un nuovo carcere in sostituzione di quello antidiluviano di Santa Maria Maggiore.

Con questa operazione si occuperebbero operai, dando benessere alla zona, si recupererebbero i vecchi magazzini dismessi dell’esercito, si creerebbe una fonte di guadagno per Campalto, ma soprattutto i cittadini che hanno sbagliato potrebbero scontare la loro pena in un luogo civile e vivibile.

No signori! Il solito gruppetto di persone con la testa per aria, monta la testa ad un gruppo di persone un po’ più numeroso e da mesi in Comune di Venezia c’è un tiramolla di proposte e controproposte che paralizza l’operazione, mentre delle povere creature, che pur hanno sbagliato – ma chi non sbaglia mai nella vita? – sono costrette a vivere in maniera disumana.

Ho letto sul quotidiano “Avvenire” che in una cella di sette metri quadrati sono costretti a vivere 6 detenuti, in alcune celle ve ne sono stipati 12-14, bagno e cucinino compresi. Volete che un giorno il buon Dio, nel giudizio finalmente giusto, non ci domanderà: «Dov’era il tuo fratello?».

La partenza del Patriarca Scola

Il Patriarca se ne va. Non ho appreso bene la notizia. La stampa locale, sapendo la logica del “mondo”, ha fatto osservare che la nomina ad Arcivescovo di Milano rappresenta una promozione perché quella diocesi è la più grande e la più florida di tutte le Chiese d’Europa. Questo criterio non riesco ad accettarlo: la “carriera” ecclesiastica è una lettura del servizio pastorale che io rifiuto in maniera radicale.

Quando avevano cominciato a circolare le voci di un probabile trasferimento a Milano del Patriarca Scola, non ci avevo creduto per quattro motivi almeno.

Primo: il Patriarca ha concluso da poche settimane la sua visita pastorale e perciò, avendo conosciuto da vicino la sua gente e il suo popolo, era in grado finalmente di iniziare un servizio con conoscenze dirette e in grado di valutare con obiettività persone, situazioni, carenze e potenzialità che prima non conosceva e la conoscenza delle quali è basilare per un servizio pastorale serio, documentato e positivo.

Secondo: il Patriarca Scola, partendo dalle sue esperienze precedenti e soprattutto dalle sue frequentazioni accademiche, ha dato vita all’università cattolica di Venezia sulla punta della Dogana. Una realtà positiva per la cultura ecclesiastica e per il bene della città. Sarà ben difficile trovare chi accetti questa eredità bella ma infinitamente difficile, senza la clausola del “beneficio d’inventario!” Sto già pregando per il povero Cristo che gli succederà.

Terzo: il Patriarca ha riscoperto e valorizzato la posizione di Venezia quale cerniera tra la vecchia Europa e i popoli slavi e del Medio Oriente. Il Marcianum sta balbettando le prime parole di questo dialogo interculturale. Ora che il sindaco-filosofo se n’è andato e il Patriarca del dialogo con l’islam se ne va, credo che si arrischi che cali il sipario e Venezia riprenda la sua inesorabile decadenza.

Quarto e non ultimo: è appena partito per Vicenza il vescovo ausiliare mons. Pizziol; non c’è e non ci sarà presto un vicario generale e i vertici poi della Chiesa veneziana non mi pare brillino di personalità tanto autorevoli, motivo per cui si ha la sensazione di una Chiesa decapitata e senza guida.

In risposta a questi dati obiettivi, ci sono i discorsi di circostanza, ma questi sono discorsi ai quali non crede neanche chi li fa. Per fortuna il Signore trasforma le pietre in pane e le rocce in sorgenti. Speriamo che faccia un miracolo anche per questa “Venezia si bella e perduta!”.

L’esempio di coerenza di Marco Pannella

Credo che le persone che mi frequentano o che mi leggono sappiano fin troppo bene la mia assoluta allergia per i radicali. Sono convinto che essi abbiano determinato il fenomeno della secolarizzazione e dell’anticlericalismo più di tutti i partiti messi assieme e i movimenti dell’intero arco costituzionale.

Però devo confessare che la loro critica preconcetta e spesso esasperata, almeno per me, ha fatto del bene e vorrei sperare che così sia anche per i cattolici del nostro Paese.

I radicali mi hanno aiutato ad impegnarmi perché lo Stato garantisca a tutti la libertà di muoversi, di pensare e di agire come detta la loro coscienza; mi hanno aiutato a rifiutare uno Stato confessionale ed una Chiesa intrigante che si interessi non dei grandi valori, ma si immischi in tresche per ottenere privilegi e vantaggi – e questo non è poco!

Inoltre certe campagne di grande respiro dei radicali, le ho condivise e m’hanno quanto mai entusiasmato. Per esempio: un maggior impegno per i poveri del mondo, per l’abolizione della pena di morte, per la difesa dei diritti civili, in certe nazioni con regimi illiberali, la campagna per il rispetto della costituzione e delle leggi ed infine quella per l’umanizzazione delle carceri.

Al momento in cui scrivo, mi pare d’aver sentito che Pannella è al sessantesimo giorno di digiuno perché i carcerati non siano trattati come bestie in carceri sovraffollate, ma abbiano diritto alle cure mediche, all’assistenza di psicologi e soprattutto perché non siano detenuti per tempi lunghissimi in attesa di processo e possano riscattarsi e vivere una vita più decente attraverso il lavoro.

Non credo che Pannella vada a messa alla domenica e dica le preghiere la sera, ma la sua testimonianza e il suo “digiuno ultraquaresimale” spero gli aprano le porte del Cielo, anzi ne sono certo. Spero ancora che il suo esempio di sacrificio civile ci sproni tutti ad una solidarietà non fatta di parole fatue, ma di impegno concreto pagato con la propria coerenza.

A oltre ottantanni sono ancora felice custode della Casa del Signore!

Quando alle 7,30 precise si apre il grande cancello sul piazzale del cimitero, io sono ogni mattina pronto per entrarvi. Comincio così il mio ministero di prete anziano che fa servizio nelle retrovie della linea del fronte.

Per prima cosa butto uno sguardo compiaciuto e riconoscente per la cornice esterna della mia chiesa, povera ma quanto mai accogliente. Mi fermo un istante a rimirare le aralie, che come una trina verde, ricamano l’interno delle finestre. Mi fermo un altro istante a rimirare la fila continua di vaschette con le begonie rosse giganti che sembrano quasi uno squadrone della guardia svizzera che rende gli onori alla reggia del Signore.

Entro nella frescura mattutina del luogo sacro, raccolto, accogliente e profumato di silenzio. Uno sguardo alla lunga sequenza di sedie bianche che presto accoglieranno i fedeli: sembra che abbiano fatto compagnia per tutta la notte al Padrone di casa che attende di dare udienza dal Suo tabernacolo di marmo bianco, illuminato dalla lampada rossa che fa da sentinella.

Accendo poi le luci davanti ai santi che, ai lati dell’aula, sono già pronti a far catechesi con la loro testimonianza e il loro messaggio specifico. Le orchidee indicano le parole con le quali i fedeli possono chiedere i loro buoni uffici presso il Signore.

La mia chiesa è povera, ma pulita, ordinata ed accogliente e non appena si sono aperte le sue porte, inizia il pellegrinaggio ininterrotto dei fedeli che qui trovano pace e consolazione.

Uscito dalla “cattedrale” vado a riordinare la vecchia cappella che da duecento anni si offre ad accogliere e consolare. Ormai il restauro è completato ed una leggera musica di fondo accompagna la preghiera dei fedeli che entrano dal vecchio cancello di ferro battuto, accendono un lumino rosso e poi vanno a salutare i loro morti.

Ogni mattina si ripete questo rito ed ogni mattina il mio animo si riempie di conforto perché la casa del Signore è sempre viva, sempre aperta ed io, suo povero vecchio prete, sono tanto felice di essere il suo custode.

Un doveroso ringraziamento al prof. Sandro Simionato

Finalmente una buona notizia dal Comune! Qualche giorno fa un funzionario della pubblica amministrazione, che si occupa degli anziani e dei disabili, ci ha telefonato per informarci che nel bilancio approvato il 30 giugno, – l’ultimo giorno utile – il Consiglio Comunale, nel budget inerente al comparto della sicurezza sociale, è stata approvata la proposta di un finanziamento per l’assistenza notturna agli anziani che vivono nei trecento alloggi dei Centri “don Vecchi”, messi a disposizione dalla Fondazione Carpinetum.

Mai nella mia vita ho seguito con maggior attenzione e trepidazione le travagliate vicende inerenti, quest’anno, all’approvazione bilancio della pubblica amministrazione del Comune di Venezia. Ogni giorno leggevo con apprensione le notizie che apparivano sulla stampa locale concernenti i sempre nuovi “tagli” imposti dalla crisi finanziaria che investe l’intero Paese. La “coperta” era ed è veramente corta, per cui cultura, sport, servizi scolastici e tutti gli altri che dovrebbero godere della magra disponibilità finanziaria della pubblica amministrazione di Venezia, tiravano dalla loro parte, lasciando fatalmente scoperte altre parti.

Non avendo la Fondazione “santoli che contano” all’interno del Consiglio Comunale, temevo che proprio la realtà degli anziani residenti al “don Vecchi”, sarebbe rimasta allo scoperto. Invece no! Non so quale “santo” debba ringraziare, comunque ora avremo al “don Vecchi” un portierato sociale durante il giorno e pure degli addetti all’assistenza anche per la notte.

Nel numero consistente di anziani, quali sono quelli residenti al “don Vecchi”, anziani che superano poi tutti ed abbondantemente, gli ottant’anni, i malori notturni sono quanto mai frequenti, tanto che il 118 è di casa al nostro Centro.

Di certo dovrò “accendere una candela” alla dottoressa Francesca Corsi, che da sempre ha perorato la causa degli alloggi protetti in genere e in particolare di quelli del “don Vecchi”, ma un “moccolo” lo accendo pure volentieri all’assessore alle politiche sociali, prof. Sandro Simionato, che spesso è stato oggetto dei miei strali. Ora però, in questa situazione difficile, se non tragica, del bilancio comunale, l’esser stato capace di destinare nuovo denaro ad una voce per l’assistenza notturna, è certamente un merito ed io ritengo doveroso rendere onore a questo merito, seppur parziale e tardivo.

Il ruolo del clero veneto

Credo che tifare per la propria terra e per la propria gente non sia un gran peccato. Quando poi questo “nazionalismo veneto” abbia pure una dimensione pacata e solidale nei riguardi delle altre regioni, penso che esso possa diventare, tutto sommato, anche un merito.

Sono stato spinto particolarmente a questo attaccamento verso il mio popolo una quarantina di anni fa, in occasione di un convegno che si tenne a Gallarate e che aveva come tema lo studio delle problematiche che erano sorte per la consistente immigrazione proveniente dalle regioni del sud.

Al convegno partecipavano operatori pastorali, ma la gran parte eravamo sacerdoti. In quell’occasione ebbi modo di avvertire pesantemente la supponenza dimostrata in maniera plateale dai preti lombardi e piemontesi nei riguardi non solamente dei preti e della religiosità del sud, ma pure nei riguardi nostri, venuti dal Veneto “inerti e polentoni”.

In quell’occasione un prete bergamasco si rivolse ad uno del sud, che parlava delle feste patronali e delle confraternite, osservando in maniera ironica: «Ma voi del sud avete anche voi il nostro Dio?» Da allora non sono solamente guardingo e in difesa, ma in atteggiamento vigile e fiero verso un’arroganza non giustificata.

Ora vengo a sapere che le regioni del nordest stanno trainando l’economia nazionale e che, se estrapolassimo il nostro territorio da quello nazionale, avremmo un’economia forse superiore a nazioni estere quali l’Austria e la Germania.

Questo discorso credo che valga anche a livello religioso. Se il clero giovane non abbandonerà totalmente la tradizione religiosa delle nostre parrocchie, quale la catechesi, i patronati, l’associazionismo e l’impegno e lo sforzo perché la comunità cristiana coincida con quella anagrafica, sono convinto che potremo fare da traino anche a livello ecclesiale, checché ne possa pensare chi ingiustificatamente ci guarda dall’alto al basso.

E’ vero che noi veneti parliamo poco, però lavoriamo molto a tutti i livelli! Sono ben lungi dal proporre separazioni o lo spirito di rivalsa che oggi serpeggia in politica, però credo che la consapevolezza del patrimonio ideale che abbiamo acquisito col tempo e che ancora fortunatamente possediamo, ci debba rendere consapevoli che anche in questo caso “la nobiltà obbliga” e perciò dobbiamo svolgere con responsabilità il ruolo di traino che la provvidenza ci assegna.

Difficili riflessioni sui fatti di questi tempi

Com’è difficile avere un’idea obiettiva e prender posizione in relazione ad eventi che ci coinvolgono, non solamente a livello economico e sociale, ma anche a livello di coscienza.

Quante volte desidero e tento di confrontarmi con persone equilibrate ed oneste, ma questo è quanto mai difficile perché la documentazione dalla quale partono i nostri giudizi è sempre precaria e di dubbia onestà; infatti quasi sempre i mezzi di informazione che ci offrono “la materia prima” per il giudizio hanno un padrone che più o meno scopertamente detta le linee e gli indirizzi a suo vantaggio.

In queste ultime settimane mi sono arrovellato dentro di me a causa di certi eventi che mi hanno turbato ed hanno scosso l’opinione pubblica.

Primo: la battaglia per la Tav in val d’Aosta. Dicono che quest’opera sia necessaria per non essere tagliati fuori dalle vie del commercio e quindi del benessere. E’ comprensibile il disappunto di chi si vede “ferire” i propri prati e i propri boschi. D’altronde non si può pretendere che siano sempre gli altri a pagare; ognuno, prima o poi, deve fare la sua parte. Per quanto riguarda la guerriglia della teppaglia dei centri sociali italiani ed esteri, non so perché non si adoperino tutti quei militari che abbiamo visto sfilare impettiti il 2 giugno lungo i fori imperiali.

Una volta ancora un giovane caporalmaggiore è tornato dall’Afganistan nella bara, avvolta dal tricolore. Lui è morto e i suoi genitori e la sua giovane sposa piangono mentre laggiù si tratta sottobanco. Comunque tutti noi ci siamo accorti che è semplicemente assurdo pensare di convincere quella gente a vivere come noi; lo faranno di certo, ma ci vorranno ancora altri quattro, cinque secoli perché vi giungano. Allora perché mandare a morire i nostri ragazzi inutilmente?

A Venezia si continua a discutere ove collocare il nuovo carcere. La nostra gente, con le ultime votazioni comunali, ha delegato la maggioranza a governare il Comune, persone che si sono dette idonee a saperlo fare. Lo facciano allora! Se si illudono di ottenere il beneplacito di tutti, sono degli illusi, ed è quindi opportuno che tornino a casa. Nella vita ognuno deve avere il coraggio di fare il suo mestiere, non può rimanere in balia del primo Pincopallino. Governare comporta spesso essere impopolari, ma questo è il prezzo da pagare da parte di chi vuole fare questo nobile mestiere.

Il don Vecchi 4 nasce grazie a tanti gesti d’amore dei semplici

Era nei progetti che fra un paio di mesi – e precisamente alle ore 11 dell’8 ottobre, il Patriarca, cardinale Scola, avrebbe benedetto ed inaugurato il “don Vecchi” di Campalto – altri 64 alloggi per anziani poveri costruiti secondo la formula innovativa e vincente degli alloggi protetti.

Le cose però non andranno così perché a quel tempo il Cardinale sarà già a Milano. Il centro di Campalto si inaugurerà comunque: la benedizione del nostro vecchio patriarca Marco Cè o del giovane vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol, o comunque di monsignor Bonini o del neo monsignor Danilo Barlese, penso sia altrettanto efficace perché i nostri anziani si trovino bene nel nuovo Centro e vivano una vecchiaia serena.

Spesso in queste mie “confidenze”, ho parlato dei guai, degli ostacoli e delle difficoltà incontrate in questo ultimo paio d’anni in cui è compendiata la storia della nuova struttura. Io sono abituato a giocare allo scoperto e a parlare apertamente ai miei concittadini che considero da sempre miei compagni in questa avventura; non vorrei perciò che essi pensassero che io abbia incontrato solamente spine in questo percorso, perché in verità questa storia è stata una bella storia in cui non sono mancate “le rose”; anzi dovrei dire che in questo tempo il sogno è diventato un autentico roseto.

Voglio solamente accennare a qualche “sorpresa” bella, anzi affascinante, colta durante questo percorso. Da quella dello scultore veneziano Enrico Camastri, che ci ha offerto “La Madonna dell’accoglienza”, un altorilievo di due metri per uno in terracotta – impresa quasi leggendaria per uno scultore – alla signora dottoressa Elena Vendrame, mai vista e mai conosciuta, che ci ha regalato cinquantamila euro, alla nonna Rossi di Marghera, che ci ha lasciato un’eredità del valore di quasi mezzo milione di euro, al signor Mario Tonello di Mirano, che ci ha donato il suo appartamento, alla signora Amelia Conte che ci ha fatto un lascito di ventimila euro, all’Associazione “Carpenedo solidale” che ci ha messo da parte mobili pregiati da arredare un castello, all’altra associazione di volontariato “Vestire gli ignudi” che ci ha donato un finanziamento così consistente da portarci fuori dalle preoccupazioni e dai guai.

Accanto a queste “rose” così straordinarie ed esemplari, c’è stata poi un’infinità di “roselline” più modeste ma altrettanto belle e profumate: dalla pioggerella continua di offerte che da mesi continua a cadere dolce come quella “di marzo” del poeta della nostra infanzia, alla signora che s’è tolta i denti d’oro e ci ha mandato l’equivalente (100 euro per Campalto), alla giovane collaboratrice dal cuore d’oro e dalle mani prestigiose che sta restaurando, con una incredibile maestria, i vecchi lampadari che impreziosiranno la nuova struttura.

E’ stato un ininterrotto succedersi di gesti cari e gentili con i quali la città ha dato volto bello e cuore caldo alla nuova dimora per i nostri nonni.

E’ così difficile dare belle notizie?

Il bello e il brutto, il cattivo e il buono, si sono sempre incontrati e mescolati in ogni tempo e in qualsiasi società. Però mentre in tempi lontani, quando i mass-media non facevano la parte del leone nel comunicare alla comunità qualsiasi evento, c’era ugual spazio sia per le belle notizie che per quelle brutte, ora non è più così: la cronaca nera riempie tutti i giornali e tutti gli schermi televisivi, mentre la cronaca bianca è confinata in angoli oscuri e molto spesso non trova spazio alcuno nei mezzi di comunicazione sociale. Per questo motivo la nostra società di magagne e di brutture ne registra così tante da apparire perfino più brutta di quello che è, perché tra “nero” e “bianco” non vige assolutamente più la regola della pari opportunità.

Quando mi capita quindi di imbattermi in qualcosa di bello e di positivo, non ho quasi il coraggio di riferirlo perché la legge non scritta, ma assolutamente vigente, è che il positivo non fa notizia e perciò non fa vendere il giornale; tutto ciò quasi mi paralizza, facendomi capire che è fatica sprecata e fuori tempo segnalare quanto di buono avviene ancora nella nostra società.

Recentemente un mecenate del contado s’è fatto carico del restauro della vecchia cappella ottocentesca del nostro cimitero, ridotta in male arnese dall’incuria e dalle infiltrazioni di umidità. M’è parso giusto e doveroso segnalare alla città il nobile gesto di questa persona del contado, mentre la ricca borghesia mestrina se n’è stata, ancora una volta, alla finestra nonostante le ripetute segnalazioni di quel degrado da parte del Centro di Studi Storici di Mestre.

Ho preparato una relazione della benefica operazione e l’ho mandata al “Gazzettino”, alla “Nuova”, al “Corriere del Veneto” e al settimanale della diocesi “Gente Veneta”, con i quali collaboro da mezzo secolo. Con mia amarezza e sorpresa ho potuto constatare che solamente il settimanale ha pubblicato un bel servizio a firma del dottor Paolo Fusco, mentre gli altri se ne sono stati in assoluto silenzio. Evidentemente pare che a costoro non interessi affatto che ci sia ancora qualcuno che abbia una sensibilità sociale ed artistica, mentre in questi ultimi tempi si sono spese colonne su colonne per delitti, imbrogli, soprusi e via dicendo.

Il bene è difficile da farsi e pare che trovi difficoltà anche a proporsi all’attenzione dei cittadini.

Per le scuole oggi si deve chiedere parità!

Qualche giorno fa ho visto alla televisione il vescovo di Treviso che, con parole misurate e precise, ha denunciato ancora una volta la situazione tragica in cui si vengono a trovare le scuole materne, elementari, medie e superiori di indirizzo cattolico. Questo vescovo, dal fare dimesso e dalla parola pacata, ha prospettato l’eventualità che se la Regione e lo Stato non rivedranno i contributi, che già in passato costituivano le briciole del bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione, ma che ora sono stati ridotti ulteriormente ed in maniera consistente, si prospetta la “serrata”.

Quello delle sovvenzioni dello Stato alla scuola, considerata privata, è sempre stato per me un cruccio ed un problema che non ho mai digerito perché è un sopruso di uno Stato illiberale, fazioso, ingiusto e per nulla democratico. Per me il discorso è semplice. Lo Stato stabilisca quanto viene a costare un ragazzo a scuola ed eroghi l’equivalente a qualsiasi ente, associazione o comitato gestisca quella scuola, riservandosi il diritto di verificare la serietà dell’insegnamento, lo sviluppo dei programmi concordati e l’idoneità degli ambienti. Punto e basta!

In Italia, sulla scia di un atavico anticlericalismo, forse anche storicamente meritato – ma questa non è una buona ragione perché lo Stato sia ingiusto e fazioso – non è mai stato così. La scuola di Stato è sempre stata privilegiata sotto ogni punto di vista e questo privilegio non solamente è stato una potente ingiustizia, ma anche ha prodotto una delle peggiori scuole d’Europa e del mondo.

La scuola statale italiana, in tutte le classifiche internazionali, occupa il fanalino di coda, nonostante lo Stato spenda per essa enormemente di più di quanto eroghi alla scuola privata e che in contrapposto risulta tanto migliore di quella pubblica.

Ora lo Stato, condizionato dal suddetto anticlericalismo, dalla sinistra, dal radicalismo e dalla massoneria, che hanno sempre pescato nel torbido di quella scuola, ha deciso di togliere anche le briciole. I vescovi farebbero mille volte bene se attuassero la paventata serrata caricando questo Stato di ulteriori costi e costringendolo ad essere ancor più illiberale, “confessionale” ed autoritario.

Il tragico sta però anche nel fatto che i cattolici in questi ultimi sessant’anni avrebbero avuto più di una volta l’opportunità di far giustizia, ma sempre, per l’eterno senso di pavidità e di sudditanza alla cultura laica, non hanno mai trovato il coraggio di farlo e la Chiesa di pretenderla.

Ancora una volta ripeto che, almeno io, non so che farmene di uno Stato che si mette sul bavero l’etichetta di democratico, perché la democrazia è sostanza e non forma solamente, come la sinistra e i presunti cattolici che le tengono la coda pensano che sia.

Oggi si deve chiedere parità, non elemosina. Se siamo poveri, lo dobbiamo essere tutti in ugual misura.

Se questa è la civiltà dell’Europa…

La gran parte degli aiuti alimentari che “Carpenedo solidale”, l’associazione di volontariato che ruota attorno ad “don Vecchi”, eroga ogni settimana a più di duemila concittadini in difficoltà, proviene dal “Banco Alimentare”. A sua volta il “Banco Alimentare”, che opera in tutta Italia e che per noi ha sede a Verona, ritira suddetti prodotti dalle grandi catene di distribuzione di generi alimentari e dalle fabbriche relative.

Si tratta quasi sempre di prodotti non più vendibili, o di produzioni eccessive che il mercato non riesce ad assorbire, o di prodotti che hanno qualche difetto nell’involucro o nei contenitori. Però la gran parte degli alimenti più importanti e più necessari, quali la pasta, il latte, il riso, il formaggio, ecc., provengono dalla Cee, organismo europeo.

Il banco alimentare, organismo collegato alla Compagnie delle Opere, a sua volta emanazione di Comunione e Liberazione, ha avuto una felice intuizione ed ha realizzato una poderosa ed efficiente organizzazione, gestita da volontari, la quale recupera migliaia e migliaia di tonnellate di generi alimentari più diversi e li distribuisce attraverso enti che si consorziano con questa organizzazione e che a loro volta distribuiscono direttamente alla popolazione in difficoltà quanto il Banco riesce a raccogliere dalle grandi aziende alimentari e soprattutto dall’Europa.

Qualche giorno fa, il responsabile della “agenzia del don Vecchi” mi ha comunicato, con preoccupazione, di aver saputo che a causa della crisi economica, l’Europa aveva deciso di tagliare di un terzo l’erogazione di questi prodotti di prima necessità e mi pregava di sensibilizzare, per quanto mi fosse stato possibile, l’opinione pubblica di questo pericolo incombente.

La notizia mi ha amareggiato quanto mai perché altro è parlare dei poveri in astratto, altro è vedere ogni giorno la lunga fila multietnica di persone che, pazienti e silenziose, scendono nell’interrato ove ci sono i magazzini e risalgono con le borse piene di quanto si riesce a dar loro.

Dopo l’amarezza è subentrata però la delusione e la rabbia: “Perché questa vecchia Europa, panciuta e mai sazia di rapinare le ricchezze ai popoli in via di sviluppo, arrogante per la sua presunta civiltà che dice che trae origine dal messaggio di Cristo, non ha pensato di ridurre i suoi eserciti, di tagliare sulle armi, di smobilitare i suoi aerei da guerra costosi e dispendiosi piuttosto che togliere il piatto dei suoi “rifiuti” non solamente alle nazioni che ha sfruttato, ma perfino alla sua gente meno fortunata?”.

Se questa è civiltà, credo che i poveri, che non sono pochi, non sappiano proprio cosa farsene della civiltà dell’occidente e alla prima occasione presenteranno il conto, che non sarà di certo leggero.

Il matrimonio del principe di Monaco

Credo che tutti l’abbiano capito che il mio diario è atipico sia nei tempi che nella forma. Nel tempo, perché fermo sulla carta sensazioni, riflessioni, reazioni e denunce, quando mi urgono dentro e perciò le butto giù anche con notevole anticipo sul tempo nel quale esce il periodico che le ospita. Nella forma, perché per me il diario è solamente uno strumento, o meglio un “pretesto” per offrire un apporto veloce e non troppo impegnativo sugli eventi della vita e sul modo con cui vi reagisce questo prete anziano.

Premesso questo, perché sono ben conscio che quando queste brevi note saranno pubblicate il fatto e le reazioni dell’opinione pubblica, recepite dalla stampa, saranno già roba vecchia buttata alla rinfusa in quell’enorme soffitta che accoglie i rifiuti ancora più consistenti delle tonnellate di “monnezza” di Napoli e della Campania.

“All’epoca” di quanto sto per annotare nel diario, mi è capitato di sentire un paio di battute tra due donne residenti al “don Vecchi”, persone che notoriamente hanno più di ottant’anni: «Puoi fermarti un po’ per sostituirmi nel servizio al bar?». «Mi dispiace, ma sono di fretta!». «Cos’hai da fare?». «C’è il matrimonio, e io sono già in ritardo!»

Ci misi un po’ per capire, pensavo che avesse un nipote o qualche parente che si sposasse. Ma poi, nel proseguo della conversazione della signora che richiedeva aiuto, compresi che si trattava delle nozze del principe di Monaco con la nuotatrice del sud Africa.

Questa conversazione, colta al volo, mi rese più attento all’evento. Da quanto ho capito il “principe”, grassottello e attempato, è stato uno scapolone impenitente, che ha lasciato sul suo sentiero due o più creature. Le nozze, si dice che siano state un’operazione di marketing, da un lato per rilanciare l’economia del principato di Monaco, dall’altra per avere un erede legale prima che fosse troppo tardi. Pare che la ragazza dello sport si sia trovata impigliata in queste nozze da operetta non riuscendo però più a tornare indietro.

La cosa non mi ha interessato per niente, anzi mi ha schifato quanto mai. Almeno i due principini inglesi erano giovani e capaci ancora di sognare, ma a Monaco non c’è stato neppure questo!

Del matrimonio regale io ho visto solamente qualche carrellata durante il telegiornale, che non potevo scansare, ma questa mi è stata sufficiente per vedere coinvolto nella sceneggiata un vescovo, parecchi sacerdoti e soprattutto delle formule sacre. Il tutto mi è sembrato una celebrazione folkloristica, opera di un regista che poteva spendere a volontà; però quanta tristezza nel vedere la chiesa e i suoi ministri coinvolti in questo spettacolo di cui la gente è ancora purtroppo ghiotta. Quanto senso di dissacrazione dell’amore e che cattiva lezione di vita per la gioventù!

I “misteri dolorosi” del nostro povero Stato!

Capisco sempre meno i comportamenti dello Stato e degli enti pubblici ai quali pure io appartengo. Più volte ho riflettuto a voce alta sugli sprechi colossali di queste strutture sociali, mentre siamo in una crisi economica tra le più gravi. Capisco sempre meno e mi indigno inutilmente sempre di più avendo coscienza di dover gridare ai miei concittadini la mia ribellione. Se ci penso m’accorgo che gli esempi di questo mal governo e gli sprechi del pubblico sono come i grani di un rosario.

Comincio a sgranare il primo mistero:

  • L’assessore alle politiche sociali, dottor Sernagiotto mi ha informato che la realizzazione di un posto letto per un anziano non autosufficiente costa alla Regione Veneto centotrentamila euro, mentre io informo i miei concittadini che la costruzione di un appartamentino al “don Vecchi” costa cinquantamila euro, quasi un terzo di meno.
  • Un anziano in casa di riposo per non autosufficienti costa alla Regione cinquanta euro al giorno ed altri cinquanta, circa, al Comune, mentre al “don Vecchi” un anziano costa alla Regione euro zero e al Comune un euro e venticinque centesimi (euro 1,25).
  • Le auto blu in Italia non si contano nemmeno, mentre in Germania, in Francia e in Inghilterra se ne usano meno di un decimo.
  • La regina d’Inghilterra con la sua corte e i suoi castelli e il presidente degli Stati Uniti costano forse metà o meno di Napolitano, il nostro presidente della Repubblica di nota estrazione politica, sensibile alle difficoltà dei poveri.
  • I graduati del nostro esercito, che sono talmente tanti da poter collocare un generale su ogni chilometro delle coste della nostra penisola, due giorni prima di andare in pensione vengono promossi di un grado superiore perché abbiano una pensione congrua.
  • Santoro, il conduttore della famigerata rubrica “Anno zero”, uomo di sinistra ed appassionato fustigatore dei ricchi e difensore dei poveri, riceve dalla Rai, ente di Stato, una liquidazione di due milioni e mezzo, il costo del “don Vecchi” di Campalto.
  • I nostri parlamentari e i consiglieri regionali sono i più pagati, non solo di tutta l’Europa, ma di tutto il mondo.
  • I magistrati all’inizio della carriera mi dicono che percepiscano cinquemila euro al mese.
  • Negli ospedali privati il costo di un degente viene riconosciuto e rimborsato dalla Ulss è di molto inferiore a quello sborsato per i degenti degli ospedali, in eterno passivo, gestiti dalla stessa Ulss.
  • I managers degli enti pubblici, che pur sono passivi e in condizioni fallimentari, percepiscono delle buonuscite da Paperon dei Paperoni.
  • Le intercettazioni telefoniche, delle quali la Magistratura italiana ha un bisogno dieci volte superiore a quello degli altri Paesi, hanno un costo abissale, mentre ci sono milioni di processi inevasi ed altri che durano decenni. Ho letto l’altro ieri sul Gazzettino che ad una vedova del Cadore si è fatta giustizia dopo 36 anni di attesa.

Potrei continuare, ma chi volesse avvelenarsi il sangue non ha che da leggere i volumi primo e secondo de “La Casta” del giornalista Stella che è più documentato di quanto non lo sia io.

Questa è solamente la prima decina dei grani dei misteri dolorosi, ma il rosario intero è composto da duecento grani!

Donne soldato

Non so fino a quando la televisione e la stampa continueranno ad incrementare la morbosità degli italiani con la triste e squallida vicenda di quel caporale che ha tradito e probabilmente assassinato la moglie, ha disonorato l’esercito e che sta rendendo ridicola la magistratura.

Tutti affermano che per diventare magistrato si deve studiare molto ed essere molto intelligenti, infatti la carriera forense è molto ambita per il prestigio e, temo, anche per la paga cospicua.

Questa campagna di stampa, anche se incrementa l’audience delle televisioni e la tiratura dei giornali, di certo erode ulteriormente la pubblica moralità, la sacralità della famiglia, la parola data, il senso dell’onore, la bellezza dell’amore, tutti valori che sono già fin troppo scossi ed intaccati.

Credo che anche se l’ultimo degli italiani fosse invitato ad indossare la toga e a sedersi in tribunale, sentenzierebbe la colpevolezza di quel bellimbusto, senza far perdere tanto tempo, spendere un’enormità di denaro e provocare un ulteriore danno alla pubblica moralità. Purtroppo anche lo Stato ha i suoi riti, spesso inutili e costosi e perciò continuerà ad osservarli anche se risultano platealmente superflui.

In occasione di questa triste e, ripeto, squallida vicenda, la televisione che ha un insaziabile bisogno di immagini sempre nuove, per illustrare le scappatelle coniugali del marito infedele e presumibilmente omicida, ci ha fornito più volte delle carrellate inerenti al “lavoro” di quel caporalmaggiore. Più volte mi è capitato di vedere delle giovani e belle ragazze, infagottate nelle tute mimetiche, marciare pestando i piedi, emettendo grida guerriere, o pancia a terra con i fucili spianati.

Io sono orgoglioso del nostro tempo che sta rivalutando la dignità e i ruoli della donna, ma mi sento avvilito per come essa stia rinnegando e soffocando la sua femminilità, la grazia, la leggiadria del suo corpo e del suo spirito.

Non mi si dica passatista se quello del mestiere di soldato lo ritengo un abbrutimento della donna piuttosto che una emancipazione. Anche però se me lo dite io non posso cambiare opinione e tacere. Povere donne! Che si preparano a uccidere piuttosto che a donare la vita, che si abbrutiscono piuttosto che ingentilire maggiormente il loro tratto e il loro cuore!

Già mi ripugna il pensiero di un uomo che uccida un altro uomo senza motivi. Mi basti andare al romanzo di Remarque “Nulla di nuovo sul fronte occidentale”, e ricordare l’episodio di quel soldato che salta dentro una buca, vi trova un altro soldato “nemico” e pensa in un attimo “Se non lo uccido io, lui uccide me!” e lo colpisce perciò con la baionetta ferendolo mortalmente, costretto poi a rimanere con lui rantolante per ore; gli toglie il portafoglio e vede la foto della moglie e dei figli che attendono il papà e il marito che lui ha ucciso senza mai averlo conosciuto! Per una donna ciò mi ripugna ancor di più.

Smettiamo di sprecare i soldi in armi e privilegi!

Ci sono certi pensieri che mi ronzano attorno come quei calabroni che ti tolgono la pace col loro ronzio fastidioso e soprattutto con l’insistenza con la quale tentano di posarsi vicino a te.

Qualche tempo fa scrissi che la sfilata militare del 2 giugno, piuttosto di riempirmi d’orgoglio come italiano, e piuttosto di unirmi ai ventimila romani che hanno applaudito la costosa sfilata voluta da Napolitano, mi hanno spinto a pensare di come sarebbero stati spesi meglio quei milioni di euro se fossero stati impiegati per aumentare le pensioni dei vecchi pensionati, per incrementare l’energia rinnovabile, o per sostenere il volontariato che avrebbe centuplicato il frutto di un eventuale investimento.

Ogni giorno di più ammiro il Lussemburgo che ha venduto per ferro vecchio cannoni e carri armati, facendo un atto di fede sul buon senso dei popoli. Non mi si dica poi che popoli più grandi e più ricchi di noi investono di più sull’esercito e sugli armamenti! Perché assai spesso i più ricchi sono quasi sempre i meno saggi. La parabola del Vangelo che racconta i progetti faraonici del signorotto di campagna, sta lì a ricordare agli uomini di tutti i tempi: “Stolto, stanotte morrai!”.

Io sono profondamente convinto che il Figlio di Dio è venuto in questo mondo per insegnare non solo ai singoli, la retta via, la sapienza e il bene, ma anche ai popoli e soprattutto ai loro capi. E sono ancora più convinto che Cristo è mille volte più saggio di Berlusconi, Napolitano, Obama o Putin e quindi bisogna ascoltare più Lui che dice: “Beati i pacifici! Riponi la spada nel fodero perché chi di spada ferisce di spada perisce!”. O la Bibbia che invita a “trasformare le spade in vomeri”, invece di chi sta perpetuando il disordine, le guerre e le ingiustizie.

Io, tra l’altro, non mi intendo di finanza o di economia, né sono un fan di Bossi o della Lega, però se Tremonti afferma che si devono reperire quaranta miliardi in poco tempo per non ridurci alla miseria, credo che “i padani” abbiano ragione quando dicono di smetterla di buttar bombe sulla Libia, perché esse non producono grano ma macerie. Quando dicono di iniziare a smagrire l’esercito, a licenziare generali, colonnelli e a mandare a casa una buona parte di quei politici rissosi ed inconcludenti, di ridurre gli stipendi a calciatori, managers degli enti statali e magistrati, perché le loro necessità sono le stesse di quelle degli operai e dei pensionati e perché il mestiere di ognuno è altrettanto importante e necessario sia esso quello del capo dello Stato che dell’ultimo netturbino.

So che mi si dirà che sono un sognatore; si, spero di continuare ad esserlo perché altrimenti sarei un disperato, o un cretino.