L’uovo di Colombo

Mio padre, buonanima, specie da anziano, ritornava spesso sugli stessi argomenti. In questi giorni di caldo afoso, per associazione di idee, ne ho ricordato uno che mi spinge ad azzardare un suggerimento molto elementare alla direzione sanitaria dell’Ospedale dell’Angelo per risolvere l’annoso problema del sovraffollamento.

Premetto il raccontino piacevole ed arguto di mio padre. Diceva papà che Cristoforo Colombo, lo scopritore dell’America, era uno spirito arguto ed intelligente, e raccontava con dovizia di particolari il famoso aneddoto dell’uovo: «Colombo invitò alcuni amici a far stare in piedi un uovo posato verticalmente su un tavolo. Provarono tutti, ma inutilmente, l’uovo sbandava a destra e a sinistra nonostante ogni tentativo. Allora gli amici dissero a Colombo: «Provaci tu!” e Colombo, con fare disinvolto, schiacciò leggermente l’uovo, il guscio s’incrinò e l’uovo rimase in piedi fra la sorpresa di tutti».

Vengo all’annoso problema del pronto soccorso. Io mi reco in questo reparto dell’Angelo due volte la settimana per portare “L’Incontro” e lo trovo sempre sovraffollato. Recentemente hanno cambiato la sistemazione interna ed avendo distribuito in luoghi diversi i pazienti in attesa, sembra che ci sia meno gente, ma il problema rimane perché c’è sempre sovraffollamento e i giornali criticano questa situazione ormai endemica.

Pochi giorni fa incontrai Domenico, il caposala del reparto. Domenico è un ragazzo intelligente, pieno di buona volontà, intraprendente e brioso nell’eloquio. Gli chiesi come si potrebbe risolvere questo inghippo. Lui mi ha fatto un’intera lezione sulla dottrina su cui poggia l’accoglienza del pronto soccorso, mi parlò dei codici – bianco, verde e rosso -, del metodo adottato per scegliere i pazienti secondo la gravità: il famoso “triage” della precedenza data sempre al codice rosso che indica il maggior pericolo, e mi disse ancora che chi intasa il pronto soccorso sono i “codici bianchi”, ossia quei pazienti che vanno all’ospedale per uno starnuto, per una puntura di zanzara, pazienti che sono poi costretti ad attendere una, due, cinque ore e più.

Ora sono tentato di suggerire a questo brillante caposala e alla sua direzione la soluzione dell'”uovo di Colombo”. Se si attrezzasse un ambulatorio con un medico intelligente, spiccio e risoluto ed una infermiera di supporto e qui vi si avviassero i “codici bianchi”, ossia i malati immaginari o quasi e questo medico desse ad uno un punto, ad un altro un cerotto, ad un altro una pastiglia – magari placebo – ad un altro ancora una carezza, fissando al medico un tempo massimo per paziente dai tre ai cinque minuti, o si facesse con lui un contratto a cottimo – cinque euro per paziente, credo che “l’uovo starebbe in piedi con sorpresa di tutti. E finalmente il pronto soccorso diventerebbe pronto soccorso e non eterno soccorso.

14.08.2013

I modesti investimenti

Un Paese è ricco quando gente che dispone di risorse decide di investire in quel territorio. Questo vale a livello industriale e commerciale, ma pure a livello sociale e pastorale. Di solito gli investitori impegnano le loro ricchezze in ambienti che offrano delle prospettive vantaggiose, dove siano ben accolti e dove la società offra condizioni di favore.

In Italia, in questo momento, la situazione è preoccupante perché gli investitori fuggono a causa dei costi, della burocrazia, dell’insicurezza sociale (vedi il caso attuale di Marghera che rischia di perdere le commesse di una grande nave a causa della intransigenza della Fiom), anzi pare che essi se ne vadano dal nostro Paese.

Qualcosa del genere mi pare che capiti anche per la pastorale. A Mestre la vita religiosa ristagna perché coloro che potrebbero investire non sono ben accetti, trovano un ambiente chiuso e difficile e perciò dirottano in altri luoghi la loro “ricchezza”. A Mestre le aziende pastorali presenti sono le parrocchie, però sono piccole, poco efficienti, spesso superate nei metodi e con pochissimo personale.

Facciamo alcuni esempi: quali potrebbero essere gli investitori qualificati e specializzati nel settore giovanile?

A livello di congregazioni religiose certamente i salesiani, per scelta e per preparazione, sono i migliori. A Mestre però non c’è un loro oratorio in tutta la città. Attualmente sono presenti alla Gazzera con un’ottima scuola professionale, ma nulla più. Non so se mai la curia patriarcale abbia richiesto un inserimento massiccio di questi preti per i ragazzi e la gioventù, offrendo una parrocchia e favorendo il loro impegno pastorale.

Ci sono pure i Padri di don Orione al “Berna” con un buon istituto, però non di grosso respiro. A livello associativo chi, in questo momento storico, ha ancora molta presa sui ragazzi, è lo scoutismo, però la diocesi investe troppo poco e pochi preti in questo settore e non preme sufficientemente perché le parrocchie si aprano a questa realtà.

Nel settore della carità esiste la Caritas, ma a Mestre è pressoché ininfluente. La San Vincenzo ha avuto negli ultimi decenni uno sviluppo insperato, ma ora pare ripiegata su se stessa, è presente in non molte parrocchie e soprattutto mancante a livello giovanile. Ora c’è un tenero virgulto della “Misericordia” che ci fa sperare, però ad esempio la Comunità di Sant’Egidio non riesce affatto a decollare.

A livello di adulti è molto attivo il movimento neocatecumenale, però è chiuso in se stesso; mi pare che per formazione sia poco disponibile ad aprirsi agli altri ad una collaborazione anche fuori dalla propria “cittadella fortificata”. Mentre “I Focolari” e il movimento carismatico è pochissimo presente e mi pare non attecchisca in maniera seria.

Credo che al punto in cui ci troviamo “il governo” della nostra Chiesa locale dovrebbe impegnarsi di più per attivare questi investitori ricchi di esperienze specifiche, altrimenti arrischiano di morire di inedia.

03.08.2013

Presenze sacerdotali significative

Mi ha sempre colpito quella frase con cui Gesù rimproverava la sua gente perché trascurava ed eliminava “i profeti” per costruire loro, dopo la morte, inutili monumenti.

E’ saggio, anzi necessario, scoprire ed ascoltare le voci profetiche, o perlomeno quelle personalità significative che escono dal gregge per dire, con la loro voce, o meglio con la loro testimonianza, qualcosa di valido che possa essere utile a tutti.

Mi domando: «Nella mia città e, in maniera specifica nel nostro presbiterio, ci sono oggi voci e personalità che abbiano una qualche autorevolezza, che esaltino qualche aspetto del sacerdozio, che offrano qualche punto di riferimento significativo?». M’è dovere ribadire che, nella Chiesa, gerarchia e profezia sono due parabelle che ben difficilmente possono toccarsi perché ognuna ha una sua funzione tutta propria. Io oggi vorrei cercare la profezia, o perlomeno una qualche ricchezza personale, non intendendo affatto metterla in competizione con i rappresentanti della gerarchia. Il criterio poi di giudizio è assolutamente personale, motivo per cui sarei ben felice se altri mi indicassero altre presenze, o meglio testimonianze, valide e stimolanti.

Qualche tempo fa ho dedicato un editoriale a don Franco De Pieri, il prete che a Mestre, in perfetta solitudine, ha abbracciato la causa dei drogati e degli emarginati: per me è una voce forte e fuori coro.

Più di qualche volta la stampa locale ha parlato di don Biancotto, il cappellano delle carceri che ha portato o favorito i giovani a parlar di Dio per le calli di Venezia. Non è da tutti avere tanto coraggio!

Non tanto tempo fa la stampa, pure per un paio di giorni, ha parlato di Torta, il parroco di Dese che s’è schierato apertamente a favore dei poveri. Io conosco don Torta come un’anima libera, trasparente e coraggiosa. Non ho poi mai nascosto la mia ammirazione per monsignor Bonini, il parroco del Duomo che, pur giunto alla parrocchia avanti negli anni, ne ha fatto una realtà complessa e capace di dialogare con la cultura, con la politica e con ogni realtà del nostro tempo.

Pur non battendo la stessa strada, provo profonda ammirazione per don Narciso, il parroco di Santa Maria Goretti, che ha ristrutturato la pastorale parrocchiale in maniera assolutamente innovativa con le sue cellule di base, ma soprattutto con i suoi 400 “adoratori” che notte e giorno danno testimonianza a Cristo dell’Eucarestia.

Non vi nascondo poi la mia stima per mio fratello, don Roberto, parroco di Chirignago, che con una metodica tradizionale ha cresciuto una splendida comunità cristiana e per lei si sta spendendo senza risparmio e per don Gino Cicutto, parroco di Mira puntuale e quanto mai zelante. Come sono profondamente ammirato per don Cristiano Bobbo, parroco di viale San Marco, che con garbo, pietà e silenzio conduce con fedeltà e amore il suo piccolo gregge cresciuto ai margini della città. Così pure ho ammirato il padre, parroco dei Frari, che nel terreno quanto mai arido di Venezia, ha tentato esperienze assolutamente innovative tra i suoi giovani e nel contempo è aperto al bisogno dei poveri.

Questi preti ed altri che non conosco, li addito all’attenzione dei miei concittadini – perché, secondo me, sono segni più o meno grandi di profezia – perché riconosciamo fin d’ora il loro messaggio senza aspettare di riconoscerglielo quando sarà troppo tardi.

27.07.2013

Il nuovo governo della Chiesa veneziana

Questa mattina ho letto sul Gazzettino che il nostro Patriarca ha completato le nomine ai vertici della Curia, quindi il governo della Chiesa veneziana è ormai al completo e nella pienezza delle sue funzioni per i prossimi cinque anni.

Ho l’impressione che questa compagine di promozione del messaggio cristiano, di coordinamento delle forze in campo e dell’attuazione del programma pastorale, sia più snella della precedente e abbia ancora la caratteristica che il governo sia maggiormente accentrato.

Il nostro Vescovo, fin dal suo ingresso, aveva affermato che si sarebbe riservato un anno di tempo per conoscere prima gli uomini e le situazioni. L’unica volta che il Patriarca è venuto al “don Vecchi” di Carpenedo, per un convegno di sacerdoti della zona, avendo io avuto occasione di sedergli accanto a pranzo in qualità di “padrone di casa”, gli chiesi – soprattutto per rompere un silenzio imbarazzante – che cosa ne pensasse dei preti veneziani. Mi rispose, asciutto, che me l’avrebbe detto fra un anno. Con la nomina mi ha puntualmente risposto almeno per quanto riguarda i vertici, ossia i sacerdoti più rappresentativi su cui posa la sua stima e la sua fiducia: mons. Pagan, che è il suo vice, monsignor Barlese, responsabile dell’azione pastorale, monsignor Pistollato che si occuperà dell’aspetto economico ed ora monsignor Perini che continuerà ad occuparsi della catechesi. Questi sono i ministri del governo diocesano. Il Patriarca ha ancora nominato alcuni viceministri, ma questi fanno sempre capo al “governo”.

Ripeto di aver notato uno smagrimento di questa compagine governativa, d’altronde Venezia ha così pochi preti e per di più anziani, per cui è più che comprensibile la volontà di non distogliere quanto possibile i sacerdoti in diretta “cura d’anime” per impegnarle in curia.

L’aspetto più vistoso che mi pare di rilevare in queste scelte è che sembrerebbe scomparso ogni seppur piccolo segno di decentramento, specie per Mestre, mentre nel passato si era pensata perfino una sede patriarcale in terraferma e poi c’era la figura, seppur quasi totalmente formale, di un vicario patriarcale per Mestre, tanto che talvolta qualcuno s’azzardava a parlare di “Chiesa mestrina”. Ora sembra che questo indirizzo sia stato definitivamente abbandonato non solamente a livello civile, ma anche ecclesiastico. Mi pare quindi che Mestre perda definitivamente anche la seppur minima sua identità formale per rimanere la periferia assimilata in tutto alle problematiche di Venezia.

Ogni scelta ha i suoi pro e i suoi contro. Mi auguro e prego perché questo nuovo indirizzo risulti comunque positivo per la nostra comunità ecclesiale.

26.07.2013

Una grazia insperata

Il Banco solidale del “don Vecchi”, gestito dall’associazione di volontariato “Carpinetum solidale”, ha emesso finora circa 900 tessere a livello di famiglia e conta di assistere, con l’erogazione di generi alimentari, circa 3000 persone alla settimana. Le richieste di aiuto sarebbero ben superiori, ma la disponibilità di generi alimentari non è tale da poter soddisfare tutte le richieste.

I generi alimentari sono erogati a persone che abbiano meno di 700 euro di entrate mensili, e tutto questo deve essere documentato con dati ufficiali. Attualmente è sospesa – però almeno fino a settembre – la concessione di nuove tessere, facendo eccezione solamente per chi dimostra di avere bambini piccoli a carico, appunto per la limitata quantità di alimentari che l’associazione riesce a reperire da fonti varie, quali il Banco alimentare di Verona, gestito dalla “Compagnia delle opere” di Comunione e Liberazione, dal discount Dico di Noale e da tante altre realtà di minor consistenza ma che, tutte assieme, fanno giungere una quantità abbastanza rilevante di prodotti.

Da quindici e più anni mi sono battuto strenuamente perché il Comune di Venezia, come tanti altri Comuni della Romagna, del Veneto e del Milanese, stabilisse dei protocolli di intesa con gli ipermercati, detassando i rifiuti ed ottenendo in cambio i generi alimentari non più commerciabili per i poveri.

Con l’assessore Giuseppe Bortoluzzi ero arrivato finalmente ad impostare questo discorso, senonché con l’arrivo dell’assessore Sandro Simionato il discorso si inceppò senza che sia riuscito a farlo procedere. E’ non un peccato, ma un sacrilegio, che ogni giorno vada buttata nella spazzatura una quantità tale di alimenti che sarebbe più che sufficiente a soddisfare tutte le richieste di vecchi, disoccupati ed extracomunitari che attualmente versano in estrema difficoltà.

Il discorso era in stallo da troppo tempo perché potessi sperare in una qualche soluzione positiva, ma per fortuna l’assessore Maggioni, che si occupa di tutt’altre cose ma che, da vecchio scout s’è sentito in dovere di fare “la sua buona azione” come gli ha insegnato Baden Powel, mi ha messo in comunicazione con i responsabili del nuovo ipermercato che la catena Despar ha aperto nella zona commerciale vicina all’Ospedale dell’Angelo. L’incontro di questa mattina è stato estremamente positivo essendosi i responsabili dichiarati disposti non solamente a fornirci gli alimenti non più commerciabili del nuovo ipermercato, ma anche quelli dei loro ipermercati che noi riusciamo a raggiungere con i nostri furgoni.

Scrivo ancora una volta queste cose perché ritengo giusto segnalare alla città sia l’assessore Maggioni che i responsabili della Despar, ma anche perché ognuno prenda coscienza che se ogni cittadino si rendesse disponibile a fare quello che può, molti problemi troverebbero soluzione.

20.07.2013

finalmente un galantuomo

Uno che molti, specialmente tra i burocrati, ritengono un difetto – io lo reputo un pregio – è la fretta, o almeno la sollecitudine nell’affrontare e possibilmente risolvere al più presto possibile i problemi che incontriamo sul nostro cammino.

Ritorno ancora una volta su una cosa che i lettori de “L’Incontro” conoscono, ma lo faccio perché spero di dare un’ulteriore picconata ad un sistema ed una mentalità che io reputo essere almeno una delle cause della crisi finanziaria in cui si dibatte il nostro Paese.

Al Centro don Vecchi di Campalto, dopo due anni di carte e controcarte presentate all’assessore alla viabilità, avv. Ugo Bergamo, e al responsabile dell’Anas, pagando tutto noi della Fondazione Carpinetum, siamo riusciti a mettere in relativa sicurezza la possibilità di salire e scendere dall’autobus di via Orlanda per recarsi in qualsiasi luogo. Rimane però l’inghippo che i nostri 80 anziani residenti al Centro, se vogliono fare quattro passi per sgranchirsi le gambe, non hanno che la possibilità di fare il giro della casa, perché chi imbocca via Orlanda è come se avesse deciso, non di fare una morte dolce, ma metter fine ai propri giorni stritolato sotto un camion. Quindi la pista ciclopedonale per andare a Campalto non è uno sfizio o un capriccetto da amanti del podismo o della bicicletta, ma una assoluta necessità per sopravvivere.

Fortuna volle che un consigliere della Fondazione conoscesse l’assessore Maggioni, un giovane professionista al quale, da bambino, gli scout hanno passato la mentalità che vivere vuol dire “servire”. Un mese fa abbiamo avuto un colloquio con l’assessore Maggioni per esporgli il problema. Dopo quindici giorni è venuto un suo funzionario per prenderne visione, dopo un mese è stato predisposto il progetto di fattibilità dal quale ho capito che per fare la pista ci vogliono tanti permessi quanti per costruire la torre Cardin in Piazza San Marco.

Questa mattina c’è stato presentato il progetto, fra quindici giorni l’assessore ha ordinato che i suoi funzionari prendano contatto con l’Anas. Quindi comincerà l’iter per la costruzione. Si spera che nella prossima primavera si dia l’avvio a questa pista indispensabile, anzi improrogabile.

L’incontro mi ha fatto quanto mai contento sia perché sembra che finalmente si sia imboccata la strada giusta, sia soprattutto perché spero d’aver finalmente incontrato un amministratore intelligente, concreto e determinato. Di questi tempi questo non è sicuramente poco!

18.07.2013

Alla ricerca delle cause

Ho appena letto sul settimanale della diocesi un ottimo servizio del dottor Paolo Fusco, il brillante giornalista di questo periodico. Il servizio di Fusco è quanto mai documentato e mette il dito su una piaga aperta e sanguinante. Già il titolo fa rabbrividire chi ha a cuore la Chiesa di Venezia: “Il battesimo non è più scontato” e segue l’occhiello ancora più amaro: “Nella nostra diocesi per due bambini su dieci niente fonte battesimale”. Ciò significa che già un quinto dei nostri bimbi, da un punto di vista rituale e sacramentale, non è più cristiano!

Per il matrimonio siamo sotto il cinquanta per cento, ora la frattura fra Chiesa e cittadinanza locale comincia ben prima e questo divario è una prospettiva molto più grave, perché mentre i novelli sposi in qualche modo hanno ricevuto una catechesi, con il mancato battesimo si arrischia che venga meno anche questa cultura di fondo.

Sono profondamente grato al giornale della diocesi che ha fatto suonare questo campanello d’allarme. Quello di “Gente Veneta” è una scelta di onestà ed è un servizio che il giornale fa alla Chiesa veneziana per svegliarla dal torpore tipico dell’acqua cheta della laguna. Spero, ma con un certo margine di dubbio, che finalmente questa denuncia la scuota da quell’atteggiamento di rassegnazione abbastanza diffuso e dall’accontentarsi dei grandi paroloni, ubriacandosi con toni altisonanti quali: “Anno della Fede”, “Nuova evangelizzazione”, ecc, quando poi tutto resta fermo come prima.

Il periodico riporta poi i rimedi suggeriti dagli esperti e dagli attuali primi responsabili. Ho letto con attenzione le analisi, le soluzioni dettate dal vicario generale don Pagan, dal provicario don Barlese, dal responsabile dell’evangelizzazione don Perini, da don Berton, vicario per Marghera ed infine da monsignor Bonini, che un tempo era responsabile per Mestre ed ora non so più cosa sia, ma che comunque è una voce autorevole. Ognuno dice delle cose valide, anche se da vecchio parroco avrei qualche dissenso su alcune di esse. Pur non interrogato, mi permetto di aggiungere qualche parere concreto che potrebbe, spero, marginare il fenomeno.

  1. Manca in moltissime parrocchie il presidio, seppur minimo, del territorio. Ricordo a questo proposito un signore che mi ha chiesto di andare a benedire la sua casa perché non era riuscito a convincere il suo parroco a farlo: “Vede don Armando, mi disse, abito da 25 anni in questa strada; qui sono nati bambini, dei giovani si sono sposati, alcuni sono morti, ma in questa strada nessun prete, in 25 anni, ha mai messo piede”.
  2. Molte parrocchie hanno totalmente trascurato l’associazionismo. Mi scuso ancora una volta per il mio peccato di autoreferenzialità, ma nella mia vecchia parrocchia avevo 100 chierichetti, 200 scout, 60 cantori, 400 volontari e, se non avessi avuto l’opposizione di qualche cappellano, avrei avuto anche il coro dei ragazzi e con l’ACR poi ogni anno portavamo almeno 250 ragazzi e 400 anziani in vacanza. Almeno 150, 200 sposi facevano parte dei gruppi di spiritualità familiare, 50 giovani più gli adulti della San Vincenzo.
  3. Quasi tute le parrocchie mancano di strumenti di comunicazione o di informazione, eccetto qualche eccezione i “foglietti” parrocchiali fanno pietà per numero di copie e soprattutto per contenuti.

In parrocchia avevo una rivista mensile con l’obiettivo di una proposta cristiana, rivista che mandavo per posta ad ogni famiglia, ed un settimanale che stampavamo in 3500 copie. Avevamo inoltre un altro mensile, “L’Anziano”, diretto alle persone che avevano superato i sessant’anni e che veniva spedito anch’esso a domicilio. Per vent’anni, con duecento volontari, abbiamo gestito “Radiocarpini” con contenuti esclusivamente pastorali, che poi ho passato alla diocesi perché ero convinto che dovesse avere un bacino di utenza più vasto e perché costava troppo per la parrocchia.

Non ho per nulla la pretesa di insegnare agli altri, ma avevamo in parrocchia il 42 per cento di presenze al precetto festivo e i non battezzati li contavo sulle dita di una mano.

14.07.2013

Appaltare anche il sindaco e il governo

Mio padre era un artigiano che gestiva una bottega da falegname e noi, suoi figli, siamo nati a cavallo della seconda guerra mondiale – chi un po’ prima, chi durante e chi un po’ dopo. Tempi difficili! Si può facilmente immaginare quale sia stata l’economia familiare: sobrietà, risparmio, riutilizzo di ogni cosa.

Mia madre era una “amministratrice” molto saggia ed inflessibile. Solamente con un regime del genere è stato possibile vivere e prendere, ognuno di noi, la propria strada.

Quando mi viene sott’occhio il modo di amministrare del Comune, della Regione e dello Stato, sono portato a confrontare tale amministrazione con il criterio e il sistema economico a cui si rifaceva soprattutto mia madre, che in famiglia fungeva da “ministro delle finanze e dell’economia”.

Qualche giorno fa mi è capitato, mentre impaginavo “L’Incontro”, di seguire il dibattito in Parlamento, che aveva come ordine del giorno l’acquisto di un certo numero di velivoli da combattimento del costo di quindici miliardi di euro. I parlamentari più decisamente contrari sono stati i grillini e l’estrema sinistra.

Sono rimasto allibito! Sdegnato! Che la maggioranza, nonostante la crisi sempre più grave che attanaglia il nostro Paese, e lo “Stato” che non ha neppure i soldi per pagare i debiti contratti con le aziende, si permetta di scialare tanto denaro per macchine così costose, inutili e soprattutto destinate solamente a far del male!

Non sono riuscito nemmeno a immaginare quanto consumano simili aggeggi, quanto ci costano i piloti e gli stati maggiori; il tutto solamente perché questi apparecchi vadano a spasso inutilmente per il cielo! Non riesco a capire che i nostri governanti, Napolitano compreso, che già ci costano terribilmente cari, spendacchino tanto denaro per qualcosa di così inutile, improduttivo e pericoloso!

Grillo non mi è simpatico e neppure i suoi “soldatini di piombo”, però in questa questione sono completamente con loro e mi meraviglio enormemente che si sottragga alla decisione del Parlamento una questione del genere, per delegarla ad un gruppo di ufficiali superpagati ed inutili per il bene del Paese.

Il nostro Comune però non è da meno. In questi giorni, non so da quale balordo sia partita l’idea di fare una nuova strada in mezzo al parco antistante il “don Vecchi”, rovinando il verde, senza il quale in passato parve che i cittadini di viale Don Sturzo non potessero vivere. Il Comune, che non sa come tappare i buchi del suo bilancio, sta sperperando soldi per una strada inutile ed assurda. Sempre più spesso mi viene da chiedermi se non sia opportuno dare in appalto ad una azienda seria ed efficiente: il Comune, il Parlamento e lo stesso Presidente della Repubblica.

09.07.2013

L’utopia

Qualche tempo fa mi ha telefonato una signora che, almeno dalla voce, sembrava molto giovane, la quale mi diceva che da tempo stava cullando un progetto a favore dei ragazzi e degli adolescenti in genere e che desiderava confrontarsi con me. Le risposi subito che, per l’età che ho e per il “mestiere” che faccio, io conosco meglio il problema dei vecchi che non quello dei giovani.

Non riuscii però a dirle di no e quindi ci incontrammo il giorno dopo qui al Centro. In realtà mi parve che fosse davvero “una ragazzina”, anche perché vestiva un abito vezzoso alla zingara che le arrivava fino alle caviglie.

Si presentò dicendomi che era sposata, con due figli, che era impegnata nella sua parrocchia e che da vent’anni insegnava religione nella scuola pubblica. Capii subito che era una donna intelligente, spigliata e cristiana convinta ed appassionata del mondo giovanile.

Questa “catechista” aveva constatato che nel pomeriggio i ragazzi delle elementari e gli adolescenti delle superiori rimanevano tanto tempo soli in casa perché i genitori lavoravano, passando così molte ore davanti al televisore, ma soprattutto davanti al computer che, a parer suo, è ancora più pericoloso. A questi ragazzi manca il dialogo, non hanno manualità non facendo la minima esperienza a livello di “apprendistato professionale”.

Partendo da questa premessa, sognava che qualche parrocchia o la curia potesse mettere a disposizione delle sale ove questi ragazzi, guidati da anziani, artigiani o esperti in qualcosa, potessero fare i compiti ed apprendere quelle nozioni pratiche e quelle esperienze di aggiustaggio e manutenzione di cui ogni persona ha bisogno, soprattutto per avere un rapporto non istituzionale con gli adulti. Ella aggiunse che nella sua parrocchia, quella di Santa Maria Goretti, la cosa non è possibile per carenza di spazi.

Io, pur sembrandomi un bel progetto, le dissi che le attuali parrocchie sono troppo piccole ed assolutamente incapaci di realizzare progetti del genere. Bisognerebbe che “il Governo” – e mi riferivo alla curia o agli organi ecclesiali preposti alla gioventù – si impegnassero per promuovere dei centri interparrocchiali o cittadini.

A questo proposito ci dovrebbero essere i vicariati ad affrontare problematiche del genere, ma essi temo che appartengano a quegli “enti inutili” che sopravvivono stentatamente, ma che sono assolutamente improduttivi. Il mio pensiero è andato quindi all’esperienza del “Comune dei giovani” di Bassano, che a livello cittadino dà risposte alle più svariate attese del mondo giovanile. Ma da noi questa è un’utopia che l’esasperato individualismo veneziano relega nel mondo dei futuribili!

Dissi alla signora che sarebbe stato giusto rivolgersi al responsabile della pastorale giovanile, però mi è parso che fosse piuttosto scettica sull’efficienza di simile organismo, ed io più di lei, per le mie esperienze del passato da parroco.

08.07.2013

Enti statali, parastatali e a partecipazione pubblica

Le mie filippiche contro la burocrazia statale, parastatale e quella degli enti a partecipazione pubblica, credo che cesseranno solamente con la mia morte.

La mia rabbia contro queste realtà lente, dispendiose, superburocraticizzate ove s’annidano i politici di serie B, quelli riciclati dopo bocciature elettorali o quelli che si sono meritati le cariche o per aver organizzato le campagne elettorali, o per aver fatto per lungo tempo i portaborse, cresce di giorno in giorno.

Vi racconto una delle ultime. Il signor De Faveri, un brillante imprenditore che spesso viene a visitare le tombe dei suoi morti sepolti nel nostro cimitero, da buon cristiano mise il naso dentro alla vecchia cappella ottocentesca, scoprendo così l’estremo degrado in cui si trovava. Questo signore, mosso da un sentimento di pietà per i suoi defunti, s’è offerto di restaurare la chiesetta della quale, quest’anno, ricorre il secondo centenario essendo sorta, appunto duecento anni or sono, con la costruzione del cimitero.

Non riferisco l’iter burocratico per ottenere i permessi dalla Veritas e quindi dalla Sovrintendenza, avendo avuto i tecnici della prima la malaugurata idea di chiedere il permesso alla seconda! Non sono bastati sei mesi di lettere e controlettere, quasi che questo concittadino volesse restaurare la basilica di San Marco.

Il restauro è risultato quanto mai oneroso, dato che la consulente artistica nominata dalla Sovrintendenza non la finiva più di pretendere pignolerie di ogni genere. Comunque: cosa fatta capo ha!

Il benefattore si è dichiarato disposto a far ripulire la facciata e almeno un pezzo del tetto del porticato che s’appoggia alla parete nord della chiesa. Avendo ottenuto un rifiuto, perché era in programma della Veritas il restauro dell’intero porticato, ora transennato per caduta di calcinacci, ci siamo messi il cuore in pace. Senonché i canali delle tegole e i pluviali intasati dalla caduta di fogliame e dagli aghi dei cipressi antistanti la chiesa, hanno prodotto delle infiltrazioni, con conseguenti macchie di umidità e di muffa sulla parete appena ridipinta.

M’è stato consigliato di segnalare la cosa al tecnico responsabile del Comune e a quello della Veritas. Cosa che ho fatto, ma il “morto” non ha battuto un colpo. Ora poi, che il mancato introito dei 120 milioni di euro che dovevano arrivare dalla Torre di Cardin, ha procurato un buco relativo nel bilancio comunale, credo che le mie lettere siano perfettamente inutili.

Il comico e il tragico della vicenda è che se mi permettessero di intervenire, io con una dittarella in regola con le carte, me la caverei al massimo con due o trecento euro. Signor no! Le sacre regole della burocrazia non lo permettono!

15.06.2013

Cesarino, una vita da protagonista

Oggi il figlio mi ha annunciato che Cesarino è morto.

Dapprima non compresi bene il nome, poi mi è parso impossibile, perché Cesarino fu parte della mia vita e della mia comunità per più di 40 anni.

Ricordo che quando giunsi in parrocchia – tempo quanto mai tribolato – il mio appiglio più sicuro nella bufera del ’68, fu il gruppo degli uomini di Azione Cattolica, che poi corrispondeva quasi esattamente al gruppo della San Vincenzo. Essi fecero quadrato e mi protessero da quel vento infido e impetuoso della contestazione che filtrava da ogni fessura della vita della parrocchia. Cesarino è stato decisamente un protagonista, per la sua battuta facile e arguta, per la sua intelligenza immediata e per la sua calda umanità.

Ricordo che per una delle prime riunioni della San Vincenzo, ci ospitò in Villa Grimani, ove abitava; di villa, allora, quella dimora portava solamente il nome, perché ormai come casa era una nobildonna decaduta, però nei vasti androni si muoveva con vivacità la sua numerosa nidiata di figli, sotto l’occhio affettuoso di Nada, la moglie, serena, imperturbabile e saggia.

Seppi dei trascorsi di Cesarino in politica: allora aveva appena smesso di fare il segretario della DC e farlo non era la cosa più facile, perché a quel tempo a Carpenedo imperava la cellula agguerrita e maggioritaria della sezione del PCI, radicale quanto Stalin.

Poi iniziò l’epopea, prima dell’AVIS e poi di quella in cui Cesarino, assieme al professor Rama, fu decisamente protagonista: l’AIDO. Rama fu la mente, ma Cesarino, oltre la mente, fu il braccio operativo.

Credo che sia difficile enumerare tutte le “trovate” per passare la cultura della donazione delle cornee. Dico, senza enfasi, che non solo Mestre, il Veneto, ma l’Italia, deve a questa accoppiata non solo la legge, ma soprattutto la cultura della donazione.

Ricordo ancora Cesarino come il cantore della “naia” e della sfortunata guerra d’Africa, ricordo come riuscì a riunire i vecchi commilitoni. Fu quindi il cantore della storia patria del nostro borgo ai margini della città, fu un operatore instancabile a livello del paese e della parrocchia. E ricordo ancora Cesarino come quel bell’uomo che sapeva parlare ai ragazzi come alle assemblee dell’AVIS; e ricordo più ancora i suoi articoli brillanti ed arguti.

Se ci sarà qualcuno che avrà voglia di fare la storia di Carpenedo della seconda metà del secolo scorso, non ha che da aprire l’archivio della parrocchia che conserva un’infinità di interventi ed almeno due o tre suoi libri.

Poi iniziò il tempo della prova e del tramonto di questa vita brillante e da protagonista, con la morte della sua amata Nada, il saggio e affettuoso contrappeso alla sua esuberanza. Quello di Cesarino è stato un decadimento lento, amaro, lungo e inesorabile, che ha tarpato le ali alla sua intelligenza e alla sua esuberanza umana. Finalmente la liberazione per sentirsi dire: “Ero senza pane, senza luce per i miei occhi, senza amicizie, senza ideali e tu mi hai aiutato, entra nel gaudio del tuo Signore!”

O5.07.2013

Un posto nella storia patria

Facendo per moltissimi anni l’assistente degli scout, ho assimilato una massima del fondatore dello scoutismo il quale insegna ai suoi ragazzi: “Vivete la vita come un bel gioco!”. Il lord inglese aveva ragione: pigliando la vita da questo verso, essa diventa davvero divertente.

Vengo al motivo di questa premessa. Un paio di settimane fa ho ricevuto una lettera intestata “Ministero per i beni e le attività culturali – Biblioteca Nazionale Marciana” – con sopra lo “stellone” d’Italia – con cui la dottoressa Maria Michieli mi chiedeva di inviare “L’Incontro” alla Biblioteca Marciana perché potesse essere inserito nella sezione “Periodici”. La dottoressa continuava affermando che la biblioteca è frequentata da tantissimi studiosi di cose patrie.

Stando a quello che io reputavo pressoché un gioco o uno scherzo di qualche birbone che si divertisse a prendermi in giro, inviai “L’Incontro” a quell’indirizzo, accompagnando la copia con una lettera in cui affermavo che ero ben conscio dell’umiltà del nostro periodico, una piccola rivista che, sì, va a ruba in città, ma che non ha alcuna pretesa a nessun livello. Senonché questa mattina, tornando dalla messa in cimitero, ho trovato una seconda lettera, manoscritta, proveniente dalla Marciana, di questo tenore, lettera che trascrivo letteralmente:

Gentile don Trevisiol,
La ringrazio della Sua sollecita risposta e dell’invio del giornale.
Sarà cosa molto gradita poter ricevere la raccolta rilegata de “L’Incontro”: lo scopo principale di questa biblioteca è, oltre ad aiutare gli studiosi nelle loro ricerche, raccogliere e conservare testimonianze per i posteri. Ed è spesso nelle cose modeste e umili che gli storici trovano notizie ricche e significative per i loro studi.
Mi farà molto piacere, quando Le sarà possibile, venire a conoscerLa di persona e visitare il Centro don Vecchi.
La ringrazio ancora e saluto cordialmente.
Maria Michieli

La cosa sta divertendomi alquanto, da un lato perché mi è venuto da pensare: “Vuoi vedere che mi capita di venir ad occupare un posticino nella cultura del nostro Paese?”, e dall’altro lato perché il “ragazzino” che è rimasto in fondo ai miei 84 anni mi spingerà di certo a pubblicare, prima o poi – ma forse prima che poi – un talloncino di questo tenore: “Avvertiamo i lettori che desiderano leggere qualche numero pregresso de “L’Incontro” di rivolgersi alla Biblioteca Marciana ove, nella sezione `periodici’, si può trovare tutta la raccolta de “L’Incontro”, in volumi annuali rilegati in tela verde, a partire dal 2005 fino ad oggi”.

Non ho fatto tanta carriera ecclesiastica, comunque mi sono conquistato un posto nella storia!

26.06.2013

Un “sacrilegio” senza reazioni di sorta

Qualche giorno fa ho letto su “Gente Veneta”, il settimanale del patriarcato di Venezia, un servizio intelligente, puntuale e, perché no?, tragico su quanto va buttato dagli ipermercati, dalle botteghe, dai ristoranti e dai centri cottura e distribuzione alimentare della nostra città.

Siccome sono particolarmente sensibile a questo problema che spesso è denunciato dalla stampa cattolica, ogni volta che vedo un titolo su questo argomento leggo con avidità l’articolo e provo rabbia. Questa volta la reazione è stata ancora più forte perché lo spreco denunciato non avviene in America, ma proprio a casa nostra.

Io credo d’aver fatto quanto era nelle mie possibilità per ottenere quello che avviene in tante altre città, però confesso di sentirmi sconfitto; tanto che mi sono ormai arreso senza condizioni.

Su questo argomento la storia è stata lunga e quanto mai tormentata. Sto mendicando un aiuto dall’assessore della sicurezza sociale del Comune di Venezia almeno da quindici, venti anni, da quando ho aperto la “bottega solidale” per la distribuzione dei generi alimentari per i poveri. Avendo letto poi quanto si è fatto a Bologna prima, ma poi a Milano, Verona, Vicenza, non c’è stato amministrazione comunale di Venezia che si sia succeduta in questo tempo a cui non abbia bussato la porta, perché il problema rimane sempre quello: le catene della distribuzione sono disponibili a concedere i viveri in scadenza solamente a patto che il Comune sia disponibile ad abbattere, almeno per un po’, la tassazione sui rifiuti.

Le società, per organizzare lo smaltimento dei generi in scadenza, devono sopportare un costo e, secondo la logica ferrea delle leggi di mercato, non sono disposte a sopportarlo se non lo recuperano con lo smaltimento dei rifiuti.

Con l’assessore Giuseppe Bortolussi pareva che questo processo si stesse avviando, senonché con l’assessore che gli è succeduto, il dottor Sandro Simionato, tutto s’è bloccato nonostante le mie suppliche. E si che costui è del PD, partito che a differenza del reazionario Berlusconi, afferma di essere aperto socialmente!

A questa insensibilità comunale si aggiunge quella della Caritas diocesana che dovrebbe essere l’organo che promuove la solidarietà nella Chiesa veneziana e che dovrebbe muoversi in questo settore come il rappresentante del Patriarca il quale, nella Chiesa, si dice sia il presidente della carità, ma che su questo fronte pare che essa sia assolutamente assente!

Al “don Vecchi” si aiutano quasi 3000 persone la settimana, però se ci fosse una qualche collaborazione da parte del Comune e della curia, potremmo fare cento volte di più.

Sant’Antonio a Ca’ Solaro

Io finisco sempre per innamorarmi delle cose che faccio. L’ultimo “amore” è il borgo di Ca’ Solaro. Il fatto che una piccola comunità immersa nel verde della nostra campagna non si sia rassegnata a vivere senza prete e senza momenti religiosi comunitari, è qualcosa che mi tocca profondamente.

Io mi reco a Ca’ Solaro una volta al mese, il primo venerdì. Di questo piccolo borgo mi piace un po’ tutto: la chiesetta pulita e ordinata, il signor Papa che funge da “diacono” e da punto di riferimento per le funzioni religiose, i fiori colti nel campo che trovo freschi sull’altare per la messa, le tovaglie bianche e lavate da poco, le signore che leggono i passi della sacra scrittura e cantano come se tutto il mondo le stesse ad ascoltare, e la piccola comunità di una trentina di persone – donne, anziani e qualche giovane – che ogni mese si presenta puntualmente senza bisogno che suoni la campana, visto che ora è a riposo perché si è rotto il castelletto. E poi mi piace quel clima familiare e discreto che incontro ogni volta, che mi offre un senso di intimità e di famiglia.

Il giorno di Sant’Antonio poi c’è stato quasi un pontificale: ha celebrato il parroco, don Michele, ed io ho fatto da assistente. Il coro, formato da elementi di San Pietro Orseolo, di Favaro e di Ca’ Solaro, ha animato la messa, la chiesa si è riempita come non mai di parrocchiani di Ca’ Solaro e di oriundi.

Dopo la messa il rinfresco sul sagrato con dolci fatti dalle donne del paese e vini dei vigneti di questa campagna fertile e generosa. Ho ritrovato finalmente il clima dei tempi andati, quando il mio vecchio parroco mi portava come chierichetto nelle frazioni del mio paese natio per la celebrazione della santa messa.

Le parrocchie della città, almeno quelle che io conosco e frequento, sono belle, efficienti ed animate, ma a Ca’ Solaro trovo qualcosa di più caro; sembra proprio una comunità al naturale per la cordialità, il clima affettuoso e semplice, una religiosità elementare e genuina, senza fronzoli e sofisticazioni. Ringrazio ogni volta il buon Dio che mi riporta alle esperienze lontane che hanno maturato la mia fede e la mia vocazione.

I miracoli della sagra

Sono ormai passati quasi dieci anni da quando sono uscito dalla parrocchia. Tante cose sono cambiate, comunque sono molte ancora le “vestigia” del vecchio mondo che ho lasciato; vestigia rimaste non come “magnifiche rovine”, ma come “piante” quanto mai cresciute e frondose.

In occasione della sagra, che festeggia quest’anno i ventun anni dalla nascita, m’è venuta voglia di visitare il padiglione nel quale è stata allestita una mostra fotografica che documenta l’impegno della comunità a favore del terzo mondo: India, Filippine ed Africa.

Ho incontrato alcuni veterani di quello splendido gruppo che ha realizzato delle opere imponenti e straordinarie e che ha continuato ad estendersi sia dal punto di vista geografico nel soccorso ai poveri del terzo mondo, che da quello del numero dei soccorritori.

Ho chiesto a Gianni Scarpa, veterano del gruppo e uno dei “padri fondatori” del gruppo per il terzo mondo di Carpenedo, quante siano attualmente le adozioni a distanza. Mi ha risposto che le adozioni a distanza in atto sono circa tremila, poi mi ha mostrato con legittimo orgoglio, misto a vera commozione, il primo ragazzino indiano che Edy, sua moglie, e lui, hanno adottato vent’anni fa, ora laureato e docente universitario.

Ho continuato a scorrere rapidamente le moltissime fotografie disposte in quell’ordine perfetto e pignolo che è proprio di Gianni. Ho rivisto il grande dormitorio annesso al college, costato 80 milioni di lire, costruito in India mentre ero ancora parroco, e le cucine, i pozzi, le scuole, le tante costruzioni che ora non si contano più.

Visitata la mostra m’è venuta voglia di fare quattro passi nel terreno della sagra tra i padiglioni, i giochi per i bambini, la piattaforma per il ballo, le cucine e mille altre cose ancora. Erano le 18,30 e c’era già una lunga fila in coda per prenotare la cena e un profumo quanto mai invitante di crosticine. M’è parso tutto tanto grande, tanto complicato, con tanti operatori, molti dei quali li ricordavo, ma tanti altri m’erano del tutto sconosciuti. Mi son sentito quasi smarrito in quella confusione festosa, tanto da chiedermi se io sarei mai capace di mandare avanti una “baracca” così imponente e complessa.

Poi, d’istinto, riandai alla radice di quella “quercia” tanto solida e fronzuta, al motivo che mi aveva spinto vent’anni fa a piantare il piccolo “seme di sagra”. La comunità, a quel tempo, era nettamente spaccata in due: da una parte la chiesa, dall’altra il bar della piazza e la sede del PCI in via Ligabue. Ognuno aveva i suoi fedeli, ognuno, pur battezzato, credente e sposato in chiesa, camminava per la sua strada. Quelli del prete e quelli della piazza, due binari nati con la fine dell’ultima guerra. Le salsicce ai ferri, la piattaforma e la pesca fecero “il miracolo”. Si, la sagra ha fatto il miracolo che tutti si ritrovassero assieme per alcuni giorni di festa e di cordialità.

Tornando al “don Vecchi”, un po’ stordito per quel “marchingegno” così complesso ed animato, mi son detto: «Spero proprio che la sagra continui a far miracoli!».