I miracoli della sagra

Sono ormai passati quasi dieci anni da quando sono uscito dalla parrocchia. Tante cose sono cambiate, comunque sono molte ancora le “vestigia” del vecchio mondo che ho lasciato; vestigia rimaste non come “magnifiche rovine”, ma come “piante” quanto mai cresciute e frondose.

In occasione della sagra, che festeggia quest’anno i ventun anni dalla nascita, m’è venuta voglia di visitare il padiglione nel quale è stata allestita una mostra fotografica che documenta l’impegno della comunità a favore del terzo mondo: India, Filippine ed Africa.

Ho incontrato alcuni veterani di quello splendido gruppo che ha realizzato delle opere imponenti e straordinarie e che ha continuato ad estendersi sia dal punto di vista geografico nel soccorso ai poveri del terzo mondo, che da quello del numero dei soccorritori.

Ho chiesto a Gianni Scarpa, veterano del gruppo e uno dei “padri fondatori” del gruppo per il terzo mondo di Carpenedo, quante siano attualmente le adozioni a distanza. Mi ha risposto che le adozioni a distanza in atto sono circa tremila, poi mi ha mostrato con legittimo orgoglio, misto a vera commozione, il primo ragazzino indiano che Edy, sua moglie, e lui, hanno adottato vent’anni fa, ora laureato e docente universitario.

Ho continuato a scorrere rapidamente le moltissime fotografie disposte in quell’ordine perfetto e pignolo che è proprio di Gianni. Ho rivisto il grande dormitorio annesso al college, costato 80 milioni di lire, costruito in India mentre ero ancora parroco, e le cucine, i pozzi, le scuole, le tante costruzioni che ora non si contano più.

Visitata la mostra m’è venuta voglia di fare quattro passi nel terreno della sagra tra i padiglioni, i giochi per i bambini, la piattaforma per il ballo, le cucine e mille altre cose ancora. Erano le 18,30 e c’era già una lunga fila in coda per prenotare la cena e un profumo quanto mai invitante di crosticine. M’è parso tutto tanto grande, tanto complicato, con tanti operatori, molti dei quali li ricordavo, ma tanti altri m’erano del tutto sconosciuti. Mi son sentito quasi smarrito in quella confusione festosa, tanto da chiedermi se io sarei mai capace di mandare avanti una “baracca” così imponente e complessa.

Poi, d’istinto, riandai alla radice di quella “quercia” tanto solida e fronzuta, al motivo che mi aveva spinto vent’anni fa a piantare il piccolo “seme di sagra”. La comunità, a quel tempo, era nettamente spaccata in due: da una parte la chiesa, dall’altra il bar della piazza e la sede del PCI in via Ligabue. Ognuno aveva i suoi fedeli, ognuno, pur battezzato, credente e sposato in chiesa, camminava per la sua strada. Quelli del prete e quelli della piazza, due binari nati con la fine dell’ultima guerra. Le salsicce ai ferri, la piattaforma e la pesca fecero “il miracolo”. Si, la sagra ha fatto il miracolo che tutti si ritrovassero assieme per alcuni giorni di festa e di cordialità.

Tornando al “don Vecchi”, un po’ stordito per quel “marchingegno” così complesso ed animato, mi son detto: «Spero proprio che la sagra continui a far miracoli!».

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