Oggi il figlio mi ha annunciato che Cesarino è morto.
Dapprima non compresi bene il nome, poi mi è parso impossibile, perché Cesarino fu parte della mia vita e della mia comunità per più di 40 anni.
Ricordo che quando giunsi in parrocchia – tempo quanto mai tribolato – il mio appiglio più sicuro nella bufera del ’68, fu il gruppo degli uomini di Azione Cattolica, che poi corrispondeva quasi esattamente al gruppo della San Vincenzo. Essi fecero quadrato e mi protessero da quel vento infido e impetuoso della contestazione che filtrava da ogni fessura della vita della parrocchia. Cesarino è stato decisamente un protagonista, per la sua battuta facile e arguta, per la sua intelligenza immediata e per la sua calda umanità.
Ricordo che per una delle prime riunioni della San Vincenzo, ci ospitò in Villa Grimani, ove abitava; di villa, allora, quella dimora portava solamente il nome, perché ormai come casa era una nobildonna decaduta, però nei vasti androni si muoveva con vivacità la sua numerosa nidiata di figli, sotto l’occhio affettuoso di Nada, la moglie, serena, imperturbabile e saggia.
Seppi dei trascorsi di Cesarino in politica: allora aveva appena smesso di fare il segretario della DC e farlo non era la cosa più facile, perché a quel tempo a Carpenedo imperava la cellula agguerrita e maggioritaria della sezione del PCI, radicale quanto Stalin.
Poi iniziò l’epopea, prima dell’AVIS e poi di quella in cui Cesarino, assieme al professor Rama, fu decisamente protagonista: l’AIDO. Rama fu la mente, ma Cesarino, oltre la mente, fu il braccio operativo.
Credo che sia difficile enumerare tutte le “trovate” per passare la cultura della donazione delle cornee. Dico, senza enfasi, che non solo Mestre, il Veneto, ma l’Italia, deve a questa accoppiata non solo la legge, ma soprattutto la cultura della donazione.
Ricordo ancora Cesarino come il cantore della “naia” e della sfortunata guerra d’Africa, ricordo come riuscì a riunire i vecchi commilitoni. Fu quindi il cantore della storia patria del nostro borgo ai margini della città, fu un operatore instancabile a livello del paese e della parrocchia. E ricordo ancora Cesarino come quel bell’uomo che sapeva parlare ai ragazzi come alle assemblee dell’AVIS; e ricordo più ancora i suoi articoli brillanti ed arguti.
Se ci sarà qualcuno che avrà voglia di fare la storia di Carpenedo della seconda metà del secolo scorso, non ha che da aprire l’archivio della parrocchia che conserva un’infinità di interventi ed almeno due o tre suoi libri.
Poi iniziò il tempo della prova e del tramonto di questa vita brillante e da protagonista, con la morte della sua amata Nada, il saggio e affettuoso contrappeso alla sua esuberanza. Quello di Cesarino è stato un decadimento lento, amaro, lungo e inesorabile, che ha tarpato le ali alla sua intelligenza e alla sua esuberanza umana. Finalmente la liberazione per sentirsi dire: “Ero senza pane, senza luce per i miei occhi, senza amicizie, senza ideali e tu mi hai aiutato, entra nel gaudio del tuo Signore!”
O5.07.2013