Aquileia

Ad Aquileia c’ero già stato almeno altre due volte, ma in tempi lontanissimi cosicché, quando il gruppo che al “don Vecchi” organizza la cultura, la ricreazione e il turismo mi ha informato che l’ultima gita-pellegrinaggio della stagione primaverile avrebbe avuto come meta Aquileia, ne fui particolarmente felice.

Il ricordo di quella antichissima basilica, dei resti del porto di quell’insediamento delle popolazioni venete, era abbastanza sfumato, anche se l’avevano un po’ ravvivato le immagini che la televisione ci ha offerto in occasione del grande sinodo per il ritorno alla freschezza ed autenticità della sorgente del cristianesimo dei veneti e per il rilancio di una nuova evangelizzazione della nostra gente.

Martedì 12 maggio partimmo con due autobus capaci di 110 posti gremiti fino all’ultimo seggiolino. Il viaggio, pur piuttosto lunghetto per le nostre uscite, non ci ha stancato più di tanto ed è trascorso velocemente in lieta conversazione. All’arrivo nel grande piazzale verde, ben curato, s’impose alla nostra attenzione la grande e maestosa basilica che ci apparve come qualcosa di sovrumana bellezza. Ebbi la stessa fortissima sensazione quando molti anni fa mi apparve, quasi improvvisamente, ergersi sul prato di un verde scuro la splendida basilica bianca e il battistero di Pisa.

Allora, di fronte alla sovrana armonia e bellezza di quel grande complesso architettonico, ebbi un’emozione che mi lasciò quasi senza respiro. Allora lo sentii come la preghiera profonda di un popolo ricco di fede. Ad Aquileia le pietre e le linee pacate ed armoniche del grande complesso sacro mi apparvero più calde, più in sintonia con i sentimenti pacati con cui le genti venete cantavano le lodi al nostro Dio. Il verde, pure ad Aquileia, forma una cornice quanto mai appropriata alla grande e maestosa basilica.

Una volta entrati in chiesa i nostri occhi furono pressoché incapaci di abbracciare tanta bellezza soave ed accogliente. Celebrai su un altare laterale e nell’omelia tentai con tutte le mie risorse di sottolineare l’importanza del credere, del comunicare con Dio, fonte di vita, di armonia e di amore. “Aquileia, dissi, rappresenta la sorgente ove esce pura e luminosa la fede dei Veneti” rifacendomi alla bella immagine di Silone che ha scritto che per scoprire, per cogliere l’importanza e il dono dell’acqua non si può aprire soltanto il rubinetto ma bisogna andare alla sorgente. Aquileia e la sua basilica rappresentano ancora una sorgente viva.

Però si smorzò un po’ il mio entusiasmo e la mia speranza venendo a sapere da una addetta al culto che il parroco di Aquileia cura quattro parrocchie e perdipiù insegna religione a scuola.

Poi il mio pensiero è andato all’ultimo grande sinodo di Aquileia, per riscoprire e rilanciare il messaggio cristiano.

Ho concluso che la Chiesa ha bisogno di qualcosa di più serio e sostanzioso dei “pannicelli caldi” del sinodo, quale una riforma radicale che apra il sacerdozio alle donne, agli uomini sposati e che coinvolga realmente tutti i fedeli.

Credo però che anche questo sia ancora poco.

26.05.2014

L’origine remota

Ho già raccontato che al liceo ebbi per un paio d’anni un insegnante di storia assai originale nel modo di ragionare, ma che comunque era un uomo assai saggio ed intelligente. Si trattava del professor Angelo Altan, personaggio di cui ho raccontato che comperava il Gazzettino, lo metteva nel suo scrittoio e lo leggeva dopo settimane dicendoci che così aveva modo di valutare l’intelligenza dei giornalisti e la consistenza dell’evento di cui scrivevano. Questo professore, quando faceva lezione su un particolare evento storico, cominciava sempre con l’inquadrarlo citando le ragioni remote e prossime che avevano prodotto quell’evento. Il suo discorso era di certo intelligente e colto, ma noi studenti talvolta, celiando, dicevamo che avrebbe sempre dovuto partire da Adamo ed Eva e dal relativo peccato originale, e lui, stando al gioco, affermava: Perché no! Ogni evento dipende sempre dall’origine da cui è sorto!Ÿ.

Mercoledì scorso, 14 maggio, durante l’inaugurazione del “don Vecchi 5” è intervenuto anche il consigliere regionale Gennaro Marotta, il quale si arrogò un certo merito nei riguardi della nuova struttura per anziani in perdita di autonomia. Ne raccontò la genesi che io avevo totalmente dimenticato.

Le cose andarono così: il dottor Bacialli, direttore dell’emittente “Rete Veneta”, mi invitò a partecipare ad un dibattito sulla residenzialità degli zingari, forse sapendo che io avevo affermato più volte che quella del sindaco Cacciari di costruire a Favaro le casette per gli zingari mettendoli tutti assieme era stata una grossa “castroneria”: ghettizzandoli era come favorire certe loro abitudini malsane.

Lo studio televisivo è alla periferia di Treviso. All’andata mi accompagnò Bacialli stesso e per il ritorno chiese al consigliere Marotta di portarmi a casa, perché da solo mi sarei di certo perso nel labirinto delle strade della Marca Trevigiana.

Nei tre quarti d’ora di strada fu giocoforza parlare e io gli parlai degli anziani, argomento che mi stava a cuore. Marotta mi promise di darmi una mano per come poteva. Infatti qualche settimana dopo accompagnò il dottor Remo Sernagiotto, assessore alle politiche sociali della Regione Veneto, al “don Vecchi”. L’assessore rimase “folgorato” dalla struttura, dalla dottrina da cui nasceva e dall’economicità della gestione. Sposò immediatamente il progetto di affrontare una esperienza pilota per risolvere il problema degli anziani che si trovano in quella zona grigia che sta fra l’autosufficienza e la non autosufficienza. Attualmente le strutture che provvedono alla non autosufficienza, sono strutture costosissime per la società e per di più di stampo, tutto sommato, ottocentesco, che privano il soggetto di ogni rimasuglio di autonomia.

Da quell’incontro nacque la sfida della Fondazione di sperimentare un progetto assolutamente innovativo che rispetti la persona e le permetta di rimanere tale anche nel disagio della vecchiaia. Da quell’incontro nacque la proposta del mutuo a tasso zero in 25 anni e l’offerta di una modestissima diaria per offrire un minimo di assistenza agli anziani che sarebbero stati accolti.

Il mio piccolo sacrificio di dedicare una serata a quel dibattito ha prodotto una struttura del costo di quattro milioni di euro che per almeno cent’anni metterà a disposizione degli anziani poveri di Mestre 65 alloggi. Ne è valsa la pena!

22.05.2014

I proprietari del “don Vecchi 5”

Non sempre i discorsi di carattere legale e giuridico rispettano e dichiarano la realtà. Ritengo però che da un punto di vista morale sia più importante “il reale” che ciò che afferma la legge, anche se per la società i titoli validi sono quelli legali.

Vengo ad un discorso concreto che riguarda il “don Vecchi 5”. Mercoledì prossimo (14 maggio 2014, NdR) sarà festosamente inaugurata la nuova struttura a favore degli anziani poveri in perdita di autonomia. Qualcuno ha chiesto di chi sia la proprietà del nuovo grande manufatto. La risposta, per la mia parte, è molto semplice, mentre da un’altra parte rimane più confusa per la differenza tra titoli di proprietà di tipo giuridico e quelli reali.

Sento il dovere di fare questa precisazione perché è tempo che i cittadini prendano coscienza dei loro diritti nei riguardi delle strutture di carattere pubblico e di quelle “appartenenti al “privato sociale”, ossia quelle realtà che operano in maniera disinteressata a favore della società.

Una parte del “don Vecchi” appartiene alla Regione, che ha fatto un prestito di duemilioniottocentomila euro, soldi che la Fondazione dovrà restituire fino all’ultimo centesimo mediante rate annuali.

L’altra parte della proprietà, cioè l’altro milioneduecentomila euro è di proprietà “reale” dei cittadini che hanno sottoscritto una o più azioni di cinquanta euro ciascuna di che la Fondazione ne ha decretato la cessione per poter realizzare la nuova struttura…

Mercoledì, giorno dell’inaugurazione, la Fondazione consegnerà pure “certificati di deposito” di 100 azioni l’una a concittadini che hanno contribuito in maniera decisiva alla realizzazione del “don Vecchi 5”. Per qualcuno questo discorso potrà forse apparire come un espediente per raggranellare il denaro occorrente, in realtà sotto questa operazione c’è pure la filosofia che tende a far prendere coscienza alla città che le strutture di ordine sociale non sono fruibili a sola discrezione di chi ha il titolo legale di possesso, ma sono autentica proprietà dei cittadini sottoscrittori che con i loro contributi, piccoli o grandi, hanno reso possibile la realizzazione dell’opera. Ci sono dei cittadini che posseggono un’azione ed altri che ne posseggono perfino ottomila, avendo sborsato ben quattrocentomila euro.

L’operazione della cessione delle azioni non è quindi un espediente di ordine finanziario, ma di ordine culturale e sociale per far crescere la consapevolezza del diritto e dovere di essere partecipi a tutto quello che riguarda la comunità.

10.05.2014

Il discorso che vorrei fare

Mercoledì prossimo (il 14 maggio 2014, NdR) verrà inaugurato il “don Vecchi 5” in quel degli Arzeroni, alle spalle dell’Ospedale dell’Angelo.

La nuova struttura è un’opera veramente notevole: quattro milioni di euro, dieci mesi di lavoro pressante, 65 alloggi per anziani in perdita di autonomia. Un passo avanti in relazione agli altri Centri “don Vecchi” nei quali, almeno ufficialmente, vivono anziani autosufficienti, ma che in realtà terminano i loro giorni nell’alloggio dove han trascorso, a loro dire, i giorni più sereni della loro vita, in un ambiente signorile, con infinite agevolazioni a tutti i livelli e soprattutto non dovendo pesare, da un punto di vista economico, sui loro figli. E’ sempre stato un punto d’onore, prima della parrocchia e poi della Fondazione, che anche gli anziani con la pensione sociale potessero vivere con gli stessi confort dei colleghi con pensioni più consistenti.

Questa è la prima volta che non devo presentare alla città e ai suoi reggitori la nuova impresa di carattere solidale: sarà don Gianni, il mio giovane successore, che avrà questo compito che per me è sempre stato faticoso. Non so se mi chiederà di dire una parola, andrà bene in ogni caso, ma se mi fosse richiesta, direi queste cose al sindaco, alla Regione e ai concittadini.

  1. Quest’opera non è costata nulla alla società civile né alla Chiesa. La Regione ci ha anticipato duemilioniottocentomila euro, ma le saranno restituiti fino all’ultimo centesimo. Neppure alla diocesi è costato un solo centesimo perché il milione e duecentomila euro che mancano ai quattro milioni lo ha regalato la popolazione.
    L’opera è stata realizzata in dieci mesi mentre per la “rotonda” del nostro cimitero sono occorsi 14 anni!
    Il costo è stato di quattro milioni, mentre per l’ente pubblico sarebbe costato almeno sei. In conclusione l’ente pubblico dovrebbe sempre avvalersi del “privato sociale” perché più agile, più economo, più veloce.
    Durante questi mesi era una festa vedere trenta, quaranta operai lavorare sereni ed altrettanto le ditte che hanno appaltato il lavoro, perché i soldi sono arrivati sempre puntuali; neppure con un giorno di ritardo.
  2. Questa struttura appare già ora elegante e signorile, ma fra due tre mesi lo sarà molto e molto di più. Arrederemo con quadri, mobili di pregio, tappeti, piante; per i poveri la signorilità non è mai troppa.

Aggiungerei con infinita decisione: «Questo luogo è destinato ai poveri, se mi accorgessi che si deviasse da questo scopo, verrei anche dopo morto a “tirare i piedi” a chi facesse altrimenti. La Chiesa ha il dovere di impegnarsi sempre e comunque per i fratelli più poveri e più in disagio».

Infine aggiungerei ancora, con convinzione e con forza, che è tempo ed ora che l’ente pubblico snellisca la sua burocrazia; se il Comune ci mettesse al massimo un mese per rilasciare la concessione edilizia, fra un mese sarebbero nuovamente messe in moto le gru per costruire la “grande casa per i cittadini in disagio”.

Non so se mi sarà data l’opportunità di fare questo discorso, comunque lo porto nel cuore e farò di tutto perché pungoli l’ente pubblico ancora lento, farraginoso e spesso inconcludente.

08.05.2014

“Madonna dI rosa”

Questi giorni di primavera favoriscono alquanto una iniziativa che da anni una piccola ma generosa ed intelligente équipe di amici del Centro don Vecchi ha posto in atto e sta perfezionando nel tempo. La denominazione dell’iniziativa riassume assai bene le finalità che essa persegue: “minigite- pellegrinaggio”.

La proposta, concentrata in un tempo molto limitato, persegue almeno tre obiettivi diversi tra loro, ma che si coniugano assai bene per raggiungere una forma di umanesimo integrale, anche se a livelli abbastanza elementari.

Essa offre:

  1. un’occasione di aggregazione sociale e di fraterno rapporto;
  2. la possibilità di scoprire le realtà di ordine naturale, sociale ed artistico del nostro territorio;
  3. un approfondimento di carattere spirituale di un qualche aspetto specifico della nostra lettura cristiana della vita.

Questi obiettivi, che a livello teorico possono sembrare eccessivamente pretenziosi, abbiamo tentato di tradurli in un’esperienza esistenziale quanto mai semplice e gradevole. Cercato un borgo con una chiesa relativamente significativa e preso contatto con i relativi responsabili, si chiede loro la fruibilità della chiesa e di un salone attiguo. Si prosegue, per tempo, con un annuncio dell’uscita. Partenza in autobus nel primissimo pomeriggio, celebrazione liturgica particolarmente curata e tesa a mettere in luce una verità cristiana che illumini un aspetto reale della nostra vita, celebrazione con presentazione dell’argomento trattato, canti appropriati, quanto mai incisivi sull’argomento prescelto, ed approfondimento mediante una serie di preghiere dei fedeli. Normalmente il rettore della chiesa ne illustra la storia e accenna a come essa si innesti nel territorio e nella sua sensibilità religiosa.

Al momento specificamente spirituale segue una bella e abbondante merenda, con panini imbottiti, vino e bevande a volontà, merenda che quasi sempre si conclude con canti popolari spontanei, quindi una passeggiata turistica nella piazza principale del borgo o di una delle tantissime cittadine del nostro Veneto.

Il fatto poi che l’uscita costi solamente 10 euro, tutto compreso, facilita alquanto le adesioni sempre numerosissime.

L’ultima uscita dell’altro ieri ha avuto come meta San Vito al Tagliamento con il relativo santuario della “Madonna di Rosa”, con 115 partecipanti.

L’eucaristia è risultata quanto mai intensa di spiritualità e aveva come tema: “Prendere coscienza della nostra ricchezza umana”. La merenda è stata piacevolissima e soddisfacente, il giro nella piazza di una bellezza particolare per i suoi palazzi medioevali ben conservati, per la roggia di acque limpide che l’attraversa e per essersi potuti abbandonare sulle sedie fuori dal bar come turisti di lusso. L’entusiasmo ha raggiunto le stelle e la richiesta a gran voce è stata di ripetere presto l’iniziativa in un’altra località.

Mi sono dilungato a descrivere questo evento per proporlo alle parrocchie come soluzione che con poca fatica e meno soldi dà una risposta alle attese globali della persona.

Confesso che a mio parere il risultato di un ritiro spirituale, spesso sopportato e con poche presenze, è di molto inferiore ad una di queste gite-pellegrinaggio che arricchiscono tutta la persona e passano senza fatica, anzi con molto gradimento, valori quanto mai importanti.

29.04.2014

“Il regalo di un Picasso”

Mi pare che sia stata la settimana scorsa quando ho raccontato ai miei cari amici de “L’Incontro” la mia iniziativa di benedire le 64 “case” del Centro don Vecchi di Campalto.

L’età e gli impegni mi costringono a trascurare l’ormai consistente popolo dei Centri don Vecchi di Marghera e di Campalto. Mi sento veramente in colpa, anche se so che il motivo di questa mia scarsa frequenza non è mancanza di amore, né pigrizia o trascuratezza, ma solamente il fatto che ormai sono vecchio e non riesco ad essere spesso presente e a manifestare il senso di autentica fraternità che mi lega a questa mia cara gente.

La visita, come ho riferito, mi ha riempito il cuore per la simpatia e l’affetto che ne ho ricevuto. Abbastanza di frequente mi sono complimentato con i singoli residenti per il gusto con cui hanno arredato l’alloggio e per l’ordine e la pulizia con la quale lo mantengono. Talvolta ho ammirato l’arredo e i quadri con i quali qualcuno ha abbellito le pareti. Di certo non ospitiamo a Campalto collezionisti d’arte, però ognuno ha appeso quello che aveva di meglio. Innamorato dell’arte, anzi “drogato” d’arte quale io sono, qualche volta ho chiesto il nome degli autori.

Ricordo che in uno di questi appartamentini fui attratto da un disegno in nero; capii d’istinto che era qualcosa di particolarmente significativo, tanto che mi complimentai con la padrona di casa. Avevo già voltato pagina su questa “visita pastorale” quando, domenica scorsa, all’ora di messa, si presentò nella sagrestia della mia “cattedrale” quella signora di Campalto con la litografia che avevo notato nella sua casa. Il gesto mi ha commosso, tanto che non ho avuto il coraggio di rifiutarlo perché ho avvertito che era felice di potermelo donare e l’avrei delusa se non l’avessi accettato.

Si tratta di una stampa di Picasso, “La danza della pace sul mondo”. Infatti notai, all’interno del girotondo, la famosa “colomba” che per decenni la sinistra ed i pacifisti di mezzo mondo hanno sventolato nelle piazze contro l’imperialismo americano.

Io che amo l’arte non per il prezzo delle opere, ma per il messaggio e la poesia che esprimono, collocherò in un posto d’onore del “don Vecchi 5” il nostro “Picasso”, però voglio allegare pure il testo della lettera con cui l’anziana signora ha voluto accompagnare il suo dono, perché tutti sappiano la ricchezza del cuore dei nostri anziani e si impegnino perché la loro vecchiaia scorra serena e felice.

07.04.2014

Reverendo Padre don Armando,

La ringrazio ancora sentitamente per la Sua presenza presso la mia casa in occasione della Benedizione.
La mia emozione per l’Evento mi ha impedito di compiere un gesto che avrei voluto fortemente già da allora. Così spero che Lei accolga questo piccolo dono che Le offro con amore, entusiasmo e silenzio nel segno della riconoscenza per tutto ciò che Lei quotidianamente regala a me e a tutti i miei compagni dei Centri don Vecchi e naturalmente non solo!
Il pittore alla fine della vita ha voluto con pochi tratti dipingere alcune opere di forte valore simbolico. La litografia rappresenta “La danza della pace nel mondo”. Sono felice che Lei la tenga e forse troverò il quadro in una delle case da Lei create, donando una vita nuova e serena a coloro che hanno la fortuna di abitarvi.
Sommessamente, con immensa gratitudine,

Maria Rosaria Bellocchio
Campalto, appartamento n° 33

Chiampo

Giovedì 27 marzo era una giornata un po’ freddina, anche se in cielo splendeva il sole, però non nel pieno del suo fulgore; comunque la prima gita-pellegrinaggio dopo i rigori dell’inverno è stata quanto mai positiva.

Queste uscite, con la formula che noi abbiamo brevettato e che sta riscuotendo tanto successo, stanno diventando, un po’ alla volta, un evento a livello cittadino nel mondo della terza età.

Partenza nel primissimo pomeriggio con un cargo di 115 anziani raccolti presso le stazioni del “don Vecchi” di Carpenedo, Campalto e Marghera. Poi una galoppata in autostrada che ci ha offerto il volto più bello della primavera, della nostra campagna e dei colli Berici. Méta la pieve di Chiampo.

Prima fase dell’uscita: un’ora e mezza circa di chiacchiere tra vecchi e nuovi amici. Allo sbarco, nel bellissimo parco di Chiampo, ci ha accolto una rubiconda e loquace suora francescana a piedi nudi nei sandali di san Francesco e dalla parlata calda e vivace di autentica napoletana. La guida s’è dimostrata fin da subito di una estrema simpatia e con altrettanta capacità ci ha fatto un bello e corposo sermone su san Francesco, sulla Madonna e su Domineddio senza che assomigliasse ad una predica.

L’ambiente di Chiampo che incornicia la Pieve, la grotta di Lourdes, la miglior Via Crucis d’Europa e soprattutto il nuovo santuario, è veramente dolcissimo e incantevole.

Bello il discorso sulla grotta di Massabielle, riproduzione felicissima del “mistero” mariano di Lourdes, ma più bella ancora la contemplazione, perché tale è stato il modo con cui il centinaio di anziani, in maggioranza donne – notoriamente chiacchierone – hanno ascoltato la spiegazione ed ammirato gli stupendi mosaici del presbiterio del nuovo santuario, capace di un migliaio di fedeli.

L’autore di questi mosaici moderni è un frate che, come i grandi artisti del passato, conduce “una bottega” di alunni che cooperano con lui, con lo spirito religioso con cui si dipingevano le icone russe. E’ impossibile descrivere la bellezza, la forza, l’armonia, la vivacità dei colori e la dolcezza di questi “dipinti” che attingono armonia e colore non da una tavolozza ma dalla pietra, dai cristalli e dalle vernici speciali. Per tre quarti d’ora si è avverato il miracolo di cento vecchi in silenzio e in contemplazione di questo mistero di bellezza. Credo che appena per l’ascensione di Gesù al Cielo si avverò la stessa estasi spirituale.

Poi una bella messa cantata coralmente ed infine la solita merenda nel refettorio dei frati. Tornando, in pullman, penso che i pellegrini mi avrebbero fatto “santo” per aver loro regalato questa mezza giornata “di Paradiso”.

Spero che il miracolo si ripeta per l’uscita appena dopo Pasqua.

03.04.2014

In trasferta

La scorsa settimana l’ho dedicata a quella che una tradizione ormai secolare ha chiamato comunemente “la benedizione delle case”. In questo caso si è trattato dei 64 appartamentini del “don Vecchi” di Campalto.

Essendo il parroco di Campalto solo, come ormai quasi tutti i parroci della nostra diocesi, ho capito che non avrebbe potuto dedicare un po’ del suo tempo ai nostri anziani. Avendo poi la convinzione che la proposta religiosa passa soprattutto attraverso l’incontro personale, nonostante qualche difficoltà dovuta alla mia età e ad altri impegni, ho ritenuto giusto, anzi doveroso, incontrarmi con ognuno di loro per conoscerli personalmente, per pregare assieme il buon Dio perché conceda ad ognuno tempi sereni e per suggerire loro che la fede va alimentata con la pratica religiosa.

Confesso che sono felice d’aver fatto questa scelta. Per prima cosa ho potuto constatare che averli accolti in questa struttura protetta è stata una vera benedizione perché per molti di loro ha significato una vera “salvezza” da situazioni esistenziali veramente disastrose, e mi sono rassicurato così che l’essermi impegnato a dar vita a questa struttura è stato un vero atto di carità cristiana e, come tale, essi l’hanno inteso. Per me non è proprio poco constatare che la mia scelta è stata veramente in linea col messaggio di Gesù e soprattutto con il comandamento della carità.

Spesso qualcuno, anche dei preti miei colleghi – non so bene per quali motivi – ha trovato da dissentire e da criticare quanto io ho ritenuto giusto fare, mettendomi in crisi sulla validità di questa mia scelta.

Inoltre ho avuto modo di constatare quale disastro umano sta determinando il venir meno della stabilità della famiglia così com’era concepita da noi cristiani. Lo spirito radicale e libertario non solamente ha scardinato uno dei punti di forza della nostra società, la famiglia, ma ha portato pure a delle situazioni economiche veramente gravi per cui famiglie che vivevano discretamente si sono ridotte quasi alla miseria.

Infine ho potuto cogliere una messe di calda ed affettuosa riconoscenza, cosa che mi ha commosso e ripagato in maniera sovrabbondante dei sacrifici e delle preoccupazioni che ho dovuto affrontare per realizzare questo progetto di offrire una risposta alle situazioni di disagio di molti anziani.

Ripeto quello che ho affermato la scorsa settimana: che Gesù è, come sempre, di parola ed ogni atto di solidarietà lo ricambia col “centuplo e la vita eterna”.

24.03.2014

Tassa sulla spazzatura

Ho una tale confusione in testa sui nomi delle nuove tassazioni, tanto mi sono sembrati strani e di contenuto incomprensibile, che mi è rimasta in mente solamente una semplificazione che qualche giornalista caustico e burlone ha sintetizzato in modo purtroppo vero: “paga e tasi!”. Io però non sono assolutamente di questo parere.

Comunque la vicenda del “don Vecchi” in proposito è veramente strabiliante. Pare che non si sappia ancora come e quando e quanto si dovrà pagare. La solita burocrazia, che pare non abbia assolutamente scrupoli su quanto devono pagare gli altri, ci ha mandato cartelle esattoriali per ben novantamila euro.

Confrontando queste cifre ripartite per i singoli alloggi dei residenti al “don Vecchi”, che abitano in appartamentini graziosi e belli quanto si vuole, ma che in fondo hanno una superficie che va dai 18 metri quadri a un massimo di 49, è risultato che proporzionalmente avrebbero finito per pagare più di chi abita in una villa o un castello.

Non appena il ragionier Candiani, che si occupa di queste cose, mi ha riferito questo triste discorso, gli imposi per prima cosa: “Ferma tutto!”, ed avendo inteso che avevano pagato già quarantamila euro, non solo gli chiesi di rimandare le cartelle al mittente, ma di studiare il modo di recuperare almeno un po’ del maltolto.

Dopo infiniti discorsi venne fuori che la Veritas ci aveva inserito nel settore “commerciale”, così poveri vecchi con una pensione di cinquecento euro ed un alloggio di venti venticinque metri quadri di media finirebbero per pagare proporzionalmente più degli Agnelli per la Fiat.

Non è stato facile venirne a capo: primo perché è più facile contattare Papa Francesco che non il funzionario della Veritas, secondo perché, a detta di qualcuno di questa azienda controllata dal Comune, la soluzione “don Vecchi” è in anticipo di almeno vent’anni sulla cultura della burocrazia dell’Ente, motivo per cui per loro è impossibile trovare la “casella” adatta per la nostra realtà.

Qualche telefonata concitata e qualche incontro piuttosto vivace con alcuni subalterni e soprattutto la minaccia di costringere la Veritas a tassare ogni singolo residente, ha fatto si che l’ente pubblico si decidesse a considerare i trecentocinquanta appartamentini dei quattro Centri come qualsiasi altra abitazione di ogni cittadino italiano.

Questo però è ancora poco: proprio per il fatto che noi concediamo gli alloggi agli anziani più poveri non vedo perché essi dovrebbero pagare le tasse come tutti gli altri cittadini, mentre i numerosi appartamenti che il Comune concede a 20 euro al mese a povera gente sono esonerati da qualsiasi tassa.

Una volta ancora capita che chi aiuta il Comune non solo non viene preso in considerazione, ma viene tassato per questo aiuto offertogli. Una volta di più mi viene da sognare e da desiderare una riforma ed un aggiornamento della burocrazia statale e parastatale quanto gli ebrei hanno desiderato e sognato la Terra Promessa. Temo però che, come Mosè, sarò costretto a vedere questa riforma solamente dall’alto, ma di non poterci mettere piede.

06.03.2014

Una bella batosta!

La nostra tipografia stampa diversi periodici: il settimanale “L’Incontro”, l’altro settimanale “Il messaggio di Papa Francesco” e l’altro ancora di carattere liturgico “L’incontro domenicale col Padre”, il mensile “Sole sul nuovo giorno” ed almeno un paio di volumi l’anno, oltre un libro di preghiere del quale siamo giunti alla trentesima edizione. Questa tipografia occupa due stanze dell’interrato del “don Vecchi”. Col tempo ha preso una certa consistenza; dispone infatti di due macchine da stampa a due colori, di una fotocopiatrice che stampa in quadricromia, una macchina piegatrice, una taglierina industriale ed un’altra macchina ancora per la confezione dei volumi ed un impianto computerizzato. Praticamente disponiamo di una struttura, sempre a livello artigianale, ma quanto mai funzionale ed efficiente. Soprattutto essa può contare su una dozzina di tecnici volontari ormai esperti e fedeli.

Senonché, alcune settimane fa, una delle macchine per la stampa ha cominciato ad incepparsi (stampava sei sette fogli e poi uno in bianco). Abbiamo chiamato al “capezzale dell’infortunato” il signor Denis della Veneta duplicatori, che è un po’ un mago di questi strumenti: pulì il rullo, sostituì qualche aggeggio, poi dopo un lungo auscultare e premere il fatidico “33”, esaminò il contacopie ed emise infine la sentenza per noi angosciosa, ma per lui lieta: “E’ saltata la centralina elettronica che è il cervello della macchina”. Gli chiediamo preoccupati: «Ma non si può sostituire?». «No, la centralina è il cuore della macchina, ha fatto un infarto, ma era la sua ora!».

La macchina ha stampato quattro milioni – dicasi quattro milioni! – di copie. Fu giocoforza ordinarne una nuova se volevamo continuare a contattare e dialogare ogni settimana con almeno ventimila concittadini.

Il costo della macchina nuova? Tredicimila euro!
Sono tanti e poi tanti, tredicimila euro, però se l’è guadagnata. Sono convinto che se già si sta pensando al “don Vecchi sei” e se ora più di cinquecento anziani possono vivere in appartamenti comodi, potendo fruire di tanti spazi di socializzazione e soprattutto alla portata delle loro limitate risorse economiche, questo lo si deve anche a quella povera macchina che s’è spenta lavorando sodo. Mestre pian piano sta diventando una città sempre più solidale perché pure quella macchina ha dato volto al nostro messaggio.

Lunedì scorso sono sceso per salutare i meravigliosi operatori e fin dalle scale ho sentito il tipico rumore della nostra nuova “rotativa”. Mi è sembrato di sentire una delle più belle sinfonie di Beethoven!

01.02.2014

“Ho pazienza, aspetto volentieri”

Pare che il “don Vecchi” favorisca la longevità. Sarà che l’ambiente è confortevole, sarà per la certezza che nessuno ti manderà via, sarà perché si ha la sensazione di vivere in un borgo, come una volta quando gli anziani si sedevano su una panchina a fumar la pipa e le vecchie a ricamare al tombolo o all’uncinetto raccontandosi le cose di casa, comunque sta di fatto che attualmente l’età media ha superato abbondantemente gli 84 anni e che gli ultranovantenni non sono proprio rari.

Un paio di settimane fa, dopo aver portato l’Eucaristia a nonna Gianna, che ha già compiuto novantanove anni, dato poi che avevo un po’ di tempo, mi sono fermato a conversare con lei. In pratica è stata lei a tenere il bandolo del discorso, perché io, piuttosto di essere un buon parlatore, sono cosciente di essere un ottimo ascoltatore, offrendo via via all’interlocutore nuovi indirizzi al discorso quando esso sembra stia per esaurirsi.

La veneranda signora mi ha raccontato delle figlie che sono sempre presenti, dei nipoti che pur essendosi affermati nella vita non dimenticano mai la loro nonna e la coprono di attenzioni e di affetto. Mi ha riferito delle sue abitudini alimentari, del cioccolato che prende ogni pomeriggio come tonificante, della birretta analcolica che non si fa mai mancare, del pranzo che le portano dal catering, ma che le basta per il mezzogiorno e per la sera. Mi ha detto di Tania, la sua assistente, che la coccola con tenerezza e che è meglio di una figlia. Mi ha pure descritto come passa la giornata tra riposini, ora in poltrona ora a letto, ascoltando la radio per non sentirsi sola. Ed essendo quasi cieca segue i dibattiti alla televisione riconoscendo dalla voce i principali protagonisti della vita politica. Mi ha raccontato dei suoi fiori dei quali gode accarezzandoli dolcemente con le mani.

E ad intervalli ritornava a ringraziare per l’appartamentino che le è stato assegnato più di vent’anni fa, ripetendo con commozione: “Qui mi trovo veramente bene, io sono pronta, ma se il Signore mi vuol tenere qui qualche tempo ancora, ci rimango contenta”. Poi ha concluso, con un tono un po’ sornione e divertito: «Io ho pazienza e aspetto volentieri, anche se il Signore ritarda a chiamarmi in Cielo!»

Al “don Vecchi”, come tutti possono immaginare, non è “tutto rose e fiori”, però credo che, tutto sommato, questo sia il clima e l’atmosfera che si respira generalmente, perciò penso che valga la pena di sopportare qualche croce pur d’avere la soddisfazione che gente che ha sofferto, patito, lottato tutta la vita, possa viverne così serenamente il vespero. Sono sempre stato convinto che la vita sia “una cosa buona”, ma se ci mettessimo un po’ di buona volontà potrebbe essere più bella ancora.

02.02.2014

La nostra piccola “cattedrale”

Domenica, prima della messa delle dieci, un fedele che puntualmente viene a visitare la sua amata Concetta Lina che riposa nel nostro camposanto, mi ha portato in sagrestia la raccolta degli articoli che in tempi ormai lontani scrivevo per “Il Gazzettino” e che la sua amata consorte aveva raccolto in una cartella.

Curioso di ricordare ciò che pensavo allora, presi un foglio a caso: era il “Diario di un prete” della fine del secolo scorso, un quarto di secolo fa. L’ho letto con curiosità ed ingordigia. M’è parso di prendere in mano una fotografia di quando ero giovane: freschezza, poesia, sogno, coraggio! Lo ricopio, nel desiderio che da un lato gli amici sappiano che c’è stato un tempo in cui non ero scontato, prolisso ed aggrovigliato come ora, e dall’altro lato perché non mi dispiace che la città venga a conoscere i protagonisti e le vicende che accompagnarono quella bella realtà che oggi a Mestre sono i Centri don Vecchi.

Spero che mi si perdoni questo soprassalto di nostalgia di tempi andati.

Domenica 9 settembre 1990

Qualche anno fa, assieme ai miei anziani, ho avuto modo di fare il giro della Toscana. Porto ancora nel cuore le dolcissime sensazioni di quei caldi paesaggi fatti di colline arate di fresco, di quegli orizzonti trapunti dal verde scuro dei cipressi, ora solitari, ora in fila come fraticelli oranti, di quelle cittadine raccolte, intime e belle di una bellezza pudica e gentile.

La Toscana è una terra benedetta dall’arte, dalle pietre e dalla parlata sonora, veloce e pungente.

C’e però un’emozione intensa che non potrò mai dimenticare anche se campassi, mill’anni. Un giorno dal cielo cupo, carico di odore di pioggia imminente, in un silenzio greve, sbucai quasi improvvisamente in quello spiazzo d’erba verde cui sono raccolti, come gioielli, la cattedrale, il battistero, il cimitero e la torre pendente: eravamo arrivati a Pisa!

Mi si mozzò il fiato, la gola mi si rinchiuse e a stento trattenni le lacrime. Non ho mai visto tanta bellezza in uno spazio così ristretto: il biancore dei marmi, l’armonia totale delle linee, maestà e dolcezza, bellezza e poesia, sogno e realtà. La cattedrale pisana e gli edifici che la circondano sono veramente l’apice di una cultura, la punta di diamante di un popolo colto e laborioso che seppe pregare Dio sommo con la pietra, gli archi, le colonne e la poesia. Ricordo come fosse un istante fa che in quel momento nell’ebbrezza di quella visione, mi dissi, quasi sognando: «Anche noi dobbiamo costruire la nostra cattedrale, testimonianza del nostro tempo, della nostra cultura e dei nostri ideali».

Il «don Vecchi», per cui solamente giovedì scorso il sindaco mi ha consegnato la concessione edilizia, sarà la nostra piccola cattedrale; sorgerà ai margini di un parco erboso, là dove le pietre si raccordano con la terra e il presente industriale tende la mano al passato agricolo.

La nostra piccola cattedrale nascerà con la fatica e l’intelligenza dell’intera città. Già le sue fondamenta sono state poste con il concorso di tutti: politici, amministratori, donne del popolo, vecchi, operai, preti, socialisti e democristiani, destra e sinistra. Come non ricordare l’assemblea dell’antica Società dei 300 Campi che decretò il dono del terreno, Cesare Campa che raccolse il consenso dei fieri e liberi cittadini di viale don Sturzo, il prosindaco Righi che con pazienza certosina pose le premesse legali per l’assegnazione del terreno, la scelta coraggiosa del socialista Pontel che ne propose in giunta l’assegnazione, la telefonata del sindaco Bergamo, che dopo una notte insonne a qualche ora dall’elezione mi disse «Non si preoccupi don Armarndo, gliela diamo la licenza», gli incontri agostani di Salvagno e di Pavarato che misero attorno ad un tavolo una turba di funzionari più desiderosi di legittime vacanze che di lavoro e le tessiture intelligenti e puntuali di Santoro e della Miraglia, la pazienza di Chinellato nello sfornare progetti su progetti, e le preghiere delle nonnette e gli incoraggiamenti dei parrocchiani fedeli ed «infedeli»?

Nelle fondamenta della piccola cattedrale che sorgerà ad onore di don Valentino Vecchi, il prete che sognò una città migliore e solidale, ci siamo tutti, proprio tutti, e tutti insieme abbiamo vinto: il comune e la parrocchia, la stampa e la preghiera, la poesia e la politica.

Se non riuscissi, a mettere neppure una pietra, sarei comunque contento perché un’intera città, una volta tanto, s’è trovata unita e concorde per progettare un qualcosa di nuovo e di più umano per i propri anziani.

don Armando Trevisiol

30.01.2014

Cadoro

Spero proprio che la crepa prodottasi nella diga che sembrava impenetrabile, stia felicemente aprendosi sotto la richiesta pressante delle persone che hanno a cuore la sorte dei concittadini in maggiore difficoltà a causa della crisi economica che imperversa nel nostro Paese.

Gesù ci aveva insegnato, già duemila anni fa, come fare per ottenere quello di cui il nostro mondo ha bisogno: “Bussate e vi sarà aperto, domandate e vi sarà dato…” Purtroppo noi siamo, sì, suoi discepoli, però non abbiamo imparato ancora molto dal nostro Maestro.

E’ risaputo ormai da venti, trent’anni, che gli ipermercati e le aziende che trattano i generi alimentari devono buttare una notevole quantità di cibo, pur essendo esso ancora perfettamente commestibile: questo a motivo delle norme attuali che ne proibiscono la vendita. I giornali infatti, periodicamente, denunciano questo scandalo.

Non è sempre per cattiveria che questi generi non sono messi a disposizione di chi ne ha bisogno, ma vengono buttati; spesso è l’organizzazione della distribuzione – che deve essere la più agile e la più economica possibile – che sconsiglia queste elargizioni perché diventano un costo per l’azienda.

Noi del Polo Solidale del “don Vecchi”, ne abbiamo parlato mille volte ed abbiamo fatto quanto mai pressione presso il Comune che avrebbe strumenti per risolvere il problema. Purtroppo il nostro Comune s’è dimostrato tanto insensibile a questo problema: preferisce preoccuparsi delle “grandi navi” piuttosto che dei poveri.

Comunque, tanto abbiamo fatto che prima il “discount di Noale”, più di un anno fa, ha cominciato a consegnarci questi prodotti, poi sono arrivate alcune pasticcerie, quindi, da due mesi, la “Despar”, ed ora finalmente la “Cadoro”.

Il signor Bagaggia, direttore di una delle associazioni di volontariato del “don Vecchi”, ha bussato per un intero anno alla porta della direzione di questa catena di ipermercati e finalmente la richiesta ha superato la muraglia burocratica ed è arrivata al signor Bovolato, nostro concittadino, proprietario dei magazzini della catena della “Cadoro”.

Abbiamo avuto un incontro in cui questo signore ha dimostrato una assoluta disponibilità, anzi entusiasmo nel poter collaborare a quest’opera di bene, Ora stiamo imbastendo un’organizzazione per il ritiro dei prodotti, impresa non facilissima perché almeno due volte al giorno per sei giorni la settimana i nostri volontari dovranno passare per tutti i cinque ipermercati per il ritiro dei prodotti alimentari.

Avremmo bisogno di almeno un’altra quindicina di volontari per il ritiro e la distribuzione. Comunque sono convinto che riusciremo a farcela pensando che il numero di giovani pensionati è davvero notevole. Ai pensieri vecchi se ne aggiungono di nuovi, però la soddisfazione di poter aiutare qualcuno che è in difficoltà è già una ricompensa più che sufficiente per continuare questa bella avventura.

29.01.2014

L’esperienza dello spreco

Lo studio teorico dei problemi dell’uomo e della società è certamente importante, però finché uno non ci si cala dentro e non ne fa diretta esperienza, difficilmente ne diventa veramente consapevole.

Il volume che contiene la “dottrina” di uno degli ordini religiosi più recenti, quello dei “Piccoli fratelli di Gesù”, fondato da Charles De Foucauld, ha come titolo “Come loro”. Il testo, che può essere considerato “la Regola” o “la Magna carta” di questo ordine, prescrive a questi religiosi del nostro tempo di condividere le condizioni esistenziali degli ultimi della nostra società, vivendo come loro, nelle stesse abitazioni, con le stesse condizioni di vita. Soltanto la condivisione reale permette una conoscenza vera dei loro problemi e rende possibile la solidarietà per la quale può passare il messaggio evangelico.

Anche recentemente mi è capitato di affermare che altro è parlare dei poveri, pregare e operare a loro favore, e altro è vederli nella sofferenza della loro condizione e condividere con loro i disagi che la povertà comporta.

Io ormai da molti anni seguo le notizie riportate dai giornali circa le migliaia di tonnellate di generi alimentari e di frutta e verdura che vanno sprecate ogni giorno e buttate nella spazzatura, mentre potrebbero sfamare un numero consistente di poveri. Vedere con i propri occhi gli alimenti che solo un ipermercato o un semplice negozio destina alla spazzatura ogni giorno, è un qualcosa che turba in maniera profonda, qualcosa che mette veramente i brividi e fa nascere un senso di indignazione verso la nostra società dell’opulenza, del consumo e dello spreco.

Grazie alla mediazione di un giovane assessore del Comune di Venezia siamo riusciti a farci dare ogni giorno i generi alimentari che l’ipermercato Despar della nostra città non può più mettere in commercio per i motivi più disparati, ma che sono assolutamente mangiabili senza ombra di pericolo.

Mai avrei immaginato che un solo ipermercato fosse costretto per legge a buttar via ogni giorno tanto ben di Dio!

Circa un mese fa una signora è venuta a conoscenza che nelle pasticcerie ogni sera le paste con la crema devono essere buttate perché perdono un minimo della loro freschezza e quindi non sono più proponibili alla difficile e viziata clientela. Da allora, tramite l’intervento di questa cliente, i proprietari di due pasticcerie della città donano ai nostri Centri queste “bontà” che altrimenti andrebbero perdute. Ebbene, a queste due pasticcerie se ne sono aggiunte altre due. Penso che i cinquecento residenti dei Centri don Vecchi nella loro vita mai abbiano mangiato così tante leccornie.

Se più gente si impegnasse per i fratelli in difficoltà e ne condividesse il disagio, credo che potremmo fare ancora miracoli e operare per cambiare questa nostra società semplicemente assurda.

17.01.2014

La dottoressa Corsi

Attendevo da un paio di settimane con trepidazione questa telefonata, e purtroppo ora mi è giunta: la dottoressa Francesca Corsi, funzionario di alto livello del Comune di Venezia, è morta.

A motivo dei Centri don Vecchi in questi ultimi vent’anni il rapporto con questa donna è stato frequente, stretto e quanto mai collaborativo. Ho sognato e mi sono battuto con fatica e molta determinazione per la soluzione che col tempo è stata identificata nel Centro don Vecchi a favore degli anziani, ma ero sprovvisto di esperienza e conoscenza degli ingranaggi degli enti pubblici, mentre lei, che ha speso una vita all’interno di queste realtà, intelligente e determinata com’era, ha condiviso con me e mi ha offerto frequentemente soluzioni determinanti a livello legale e burocratico che da solo non sarei mai stato in grado di risolvere.

La dottoressa Corsi in questi ultimi vent’anni, all’interno dell’assessorato alle politiche sociali del Comune di Venezia, ha ricoperto ruoli di alto livello nel settore che riguarda gli anziani e i disabili, io l’ho conosciuta sui banchi della scuola quando insegnavo alle magistrali e lei era ancora una ragazzina.

Nacque, fin da allora, un rapporto di simpatia e di condivisione. Forse sono stato un docente anomalo, perché ho sempre tentato di passare valori piuttosto che aride nozioni dottrinali. Onestamente penso che i miei alunni abbiano colto e condiviso il messaggio di solidarietà in cui ho sempre creduto e che rappresenta il cuore del messaggio evangelico.

Francesca, da quanto ho potuto riscontrare, fu una delle alunne che recepì in maniera più seria e sostanziale questa proposta e l’attuò in maniera del tutto personale attraverso un suo itinerario spesso sofferto, ma sempre coerente.

Sulla testimonianza umana e sociale della dottoressa Corsi spero di ritornare con più calma e serenità. Ora la notizia della sua scomparsa mi turba troppo, anche perché sento rimorso per non averle detto più spesso e più apertamente il mio affetto, la mia ammirazione e la mia riconoscenza. Un sentimento di pudore e di rispetto reciproco ha sempre caratterizzato il nostro rapporto, tanto che io stupidamente le ho sempre dato del lei, nonostante le volessi tanto bene e condividessi tanto a fondo il suo modo di operare e la sua reale dedizione al prossimo, dedizione che superava in maniera abissale il suo dovere professionale.

Chi mi ha annunciato la morte della dottoressa Corsi, mi ha riferito che lei ha chiesto ad un suo collega a cui era legata da sentimenti di stima e di condivisione, che fossi io a celebrare il suo funerale. Questo mi assicura che l’intesa fu vera e profonda, nonostante il diaframma di un pudore che, soprattutto da parte mia, ha impedito un rapporto più caldo ed affettuoso.

Ora la piango, ma sono certo che la comunione di ideali con questa bella creatura mi aiuterà nel mio impegno a favore degli anziani e che assieme potremo fare ancora qualcosa di buono per i fratelli più fragili.

17.01.2014