Una rondine al Centro don Vecchi

Annotai nel mio diario della scorsa estate, quanto fossero contenti gli anziani del Centro per il servizio al pranzo offerto da due ragazzine di Santa Maria Goretti.

Terminata la scuola, due ragazze, una bionda esuberante ed estroversa, ed una morettina piuttosto silenziosa e riservata, scelsero di offrire due, tre ore al giorno per servire al seniorestaurant, ove ogni giorno, una novantina di anziani del Centro, poco amanti dell’arte culinaria, o poco in sesto con la salute, mangiano al ristorante del Centro con tre euro e cinquanta al pasto.

Era piacevolissimo vedere queste due fanciulle, veloci e sorridenti, aggirarsi vezzose tra i tavoli, scambiando qualche battuta, rispondendo ai desideri dei vecchi commensali, ritirare i piatti sporchi ed offrire quelli con le pietanze sfornate dalla cucina, dove, ogni giorno, una decina di volontarie cucinano, scodellando chiacchierando a ruota libera. Penso sia difficile trovare in città un ristorante con tanto personale quanto quello che lavora al Don Vecchi!

Con l’inizio della scuola le due rondini presero il volo e tra i tavoli ricomparvero tanti camerieri anzianotti, traballanti e con poco o nessun fascino. Fortunatamente ha preso coraggio ed è uscita dalla sua riservatezza, Rita, l’adolescente che al sabato sera serve Messa e che, alla domenica, inizialmente con un po’ di rossore, ma ora più sicura e consapevole del suo fascino primaverile, giostra con destrezza tra i tavoli dei nonni e bisnonni, quasi danzasse un valzer.

Rita parla poco, sorride meno, ma ora pian piano sta aprendosi, avvertendo forse nel suo inconscio, che agli anziani è quanto mai gradevole la sua grazia e il suo modo gentile e cortese di porgere le vivande, accompagnando finalmente il gesto con un principio di timido sorriso. Il servizio di Rita è quanto mai utile, ma forse sarebbe pure gradito se porgesse agli anziani anche solamente piatti vuoti! Beata giovinezza!

La Chiesa è in attivo

Qualche giorno fa (l’articolo risale a giugno 2007, NdR) “la capo” dei miei chierichetti (sono due in pianta stabile e qualcuno di avventizio) ha fatto la prima comunione.

Francesca, che tutti chiamano Franceschina perché minuta di statura e con la voce di topo Gigio, da quando siamo al don Vecchi non manca una volta e non perde un colpo nella simpatia perché porta tutto il brio e la freschezza dell’infanzia.

Francesca mi ha portato, come ormai fan tutti, i confetti, però anche in questo gesto gentile c’è il tocco cristiano della sua famiglia; i confetti erano stati confezionati dal gruppo delle adozioni a distanza della parrocchia e certamente di parte del costo beneficiano i ragazzi di lontani villaggi dell’India con cui la comunità di Carpenedo è collegata.

La chiesa oggi forse soffre di un deficit numerico, ma certamente è in attivo nella sostanza, almeno su certi aspetti!

La città dei vecchi

Quando ero poco più di un bambino, mi ha fatto sognare il film “La città dei ragazzi”. Era appena terminata la guerra ed arrivavano in Europa pellicole americane, con storie da “nuova frontiera”, piene di ottimismo, in cui gli eroi positivi la spuntavano sempre. Ricordo “La mia via”, in cui Bill Crosby, in tonaca da prete, convertiva la parrocchia cantando assieme ad una bella ragazza che non era la perpetua o la presidente delle Figlie di Maria.

Tornando alla “Città dei ragazzi”, fatta da brigantelli, scugnizzi, e piccoli malandrini che sfasciavano tutto e scappavano, guidata da un prete, che mi ha fatto sognare per trent’anni, pian piano è diventata una splendida realtà ordinata e positiva. Il film ha avuto un eco tale che, anche in Italia, fiorirono per tanti anni esperienze del genere; ad esempio, a Bassano, fino a qualche anno fa, esisteva il Comune dei ragazzi con tanto di elezioni e sindaco e consiglio comunale!

Sulla falsa riga di questa tipologia sociale, io, persona a cui non manca proprio la fantasia, ho pensato alla senior city del Don Vecchi in questi termini: al centro don Vecchi di Carpenedo c’è una toponomastica con relativa segnaletica stradale, per cui il complesso ha delle denominazioni precise che definiscono le strade, le piazze, gli slarghi e i vicoli. Gli anziani, però, sembra non siano entrati troppo nel gioco. C’è stata solamente una vecchietta, appena entrata, che Suor Teresa ha incontrato piangente perché non sapeva più trovare il suo alloggio. La Suora le chiese: “Dove abiti?”, e l’anziana con le lacrime agli occhi: “In vicolo dei Merli 21” tutti ora sanno solamente i numeri civici.

Stamattina sono stato al don Vecchi di Marghera e sono stato veramente entusiasta della situazione: ordine, pulizia, entusiasmo, partecipazione; mi è parso veramente di scoprire il soggetto per una nuova pellicola: “La città dei vecchi”.

A Marghera non abbiamo alcun dipendente; tutti sono padroni, tutti sono dipendenti, perchè vige sovrana l’autogestione. Lino con la sua aria tranquilla da ottimista, regna da sovrano illuminato e costituzionale, non ha bisogno di chiavi, di ordinanze, né di circolari; la sua fede e la sua bontà gli sono più che sufficienti per governare la Nomadelfia delle ciminiere!

A proposito dell’inaugurazione del Don Vecchi ter

Don Danilo mi aveva detto che in occasione della inaugurazione del Don Vecchi Marghera, avrebbe detto due parole; era giusto che il padrone di casa, il nuovo don Vecchi, infatti, è pure proprietà della Parrocchia di Carpenedo, prendesse la parola per inquadrare questa scelta parrocchiale.

La comunità di Carpenedo, si qualifica come una delle parrocchie più impegnate sul versante della carità, soprattutto sul settore abitativo per anziani poveri. Sono poche, meglio è dire che non c’è alcuna parrocchia della Diocesi abbia 250 alloggi protetti, una villa ad Asolo per le vacanze degli anziani; un club “Il ritrovo” per gli incontri quotidiani, una serie di alloggi: Cà Teresa, Cà Dolores, Cà Elisabetta, Il Piavento ed altre strutture che attendono di essere aperte: perciò il responsabile della Parrocchia era giusto che inquadrasse la nuova struttura nel progetto pastorale perseguito dalla Comunità.

Chiesi al dottor Boldrin di prendere la parola a nome della Fondazione per i illustrare la dottrina e i progetti che, nel breve lasso di tempo in cui vive ha già posto in atto. Non mi pareva fosse opportuno aggiungere un altro intervento ai tanti in programma, inoltre mi sembrava giusto, ora che la Chiesa sembra voglia valorizzare l’apporto dei laici, che noi preti ci accontentassimo ad annunciare il Vangelo.

Mi è parso sia stato bene fare così, però poiché più di uno degli amici mi aveva detto fosse doveroso un mio intervento. Mi ero tenuto pronto due pensieri e nel caso fossi stato costretto, avrei detto: primo: da una vita ho inseguito l’utopia di una città solidale, ora, il toccare con mano che i poveri, i più poveri, gli extracomunitari, avevano contribuito per un terzo alla costruzione del Don Vecchi, mi aveva dato la prova che la mia utopia non era una chimera. Secondo, ho sempre sognato di tirar giù dalle nuvole e soprattutto quelle dell’incenso, nelle quali i cristiani la hanno relegata la solidarietà, il don Vecchi ne era un piccolo anticipo.

Non ho avuto la necessità di dire queste due idee; forse è stato meglio, ma continuo a perseguire!