Il discorso che vorrei fare

Mercoledì prossimo (il 14 maggio 2014, NdR) verrà inaugurato il “don Vecchi 5” in quel degli Arzeroni, alle spalle dell’Ospedale dell’Angelo.

La nuova struttura è un’opera veramente notevole: quattro milioni di euro, dieci mesi di lavoro pressante, 65 alloggi per anziani in perdita di autonomia. Un passo avanti in relazione agli altri Centri “don Vecchi” nei quali, almeno ufficialmente, vivono anziani autosufficienti, ma che in realtà terminano i loro giorni nell’alloggio dove han trascorso, a loro dire, i giorni più sereni della loro vita, in un ambiente signorile, con infinite agevolazioni a tutti i livelli e soprattutto non dovendo pesare, da un punto di vista economico, sui loro figli. E’ sempre stato un punto d’onore, prima della parrocchia e poi della Fondazione, che anche gli anziani con la pensione sociale potessero vivere con gli stessi confort dei colleghi con pensioni più consistenti.

Questa è la prima volta che non devo presentare alla città e ai suoi reggitori la nuova impresa di carattere solidale: sarà don Gianni, il mio giovane successore, che avrà questo compito che per me è sempre stato faticoso. Non so se mi chiederà di dire una parola, andrà bene in ogni caso, ma se mi fosse richiesta, direi queste cose al sindaco, alla Regione e ai concittadini.

  1. Quest’opera non è costata nulla alla società civile né alla Chiesa. La Regione ci ha anticipato duemilioniottocentomila euro, ma le saranno restituiti fino all’ultimo centesimo. Neppure alla diocesi è costato un solo centesimo perché il milione e duecentomila euro che mancano ai quattro milioni lo ha regalato la popolazione.
    L’opera è stata realizzata in dieci mesi mentre per la “rotonda” del nostro cimitero sono occorsi 14 anni!
    Il costo è stato di quattro milioni, mentre per l’ente pubblico sarebbe costato almeno sei. In conclusione l’ente pubblico dovrebbe sempre avvalersi del “privato sociale” perché più agile, più economo, più veloce.
    Durante questi mesi era una festa vedere trenta, quaranta operai lavorare sereni ed altrettanto le ditte che hanno appaltato il lavoro, perché i soldi sono arrivati sempre puntuali; neppure con un giorno di ritardo.
  2. Questa struttura appare già ora elegante e signorile, ma fra due tre mesi lo sarà molto e molto di più. Arrederemo con quadri, mobili di pregio, tappeti, piante; per i poveri la signorilità non è mai troppa.

Aggiungerei con infinita decisione: «Questo luogo è destinato ai poveri, se mi accorgessi che si deviasse da questo scopo, verrei anche dopo morto a “tirare i piedi” a chi facesse altrimenti. La Chiesa ha il dovere di impegnarsi sempre e comunque per i fratelli più poveri e più in disagio».

Infine aggiungerei ancora, con convinzione e con forza, che è tempo ed ora che l’ente pubblico snellisca la sua burocrazia; se il Comune ci mettesse al massimo un mese per rilasciare la concessione edilizia, fra un mese sarebbero nuovamente messe in moto le gru per costruire la “grande casa per i cittadini in disagio”.

Non so se mi sarà data l’opportunità di fare questo discorso, comunque lo porto nel cuore e farò di tutto perché pungoli l’ente pubblico ancora lento, farraginoso e spesso inconcludente.

08.05.2014

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