Ladri da “Don Vecchi”

Quando un luogo è affollato e c’è un continuo andirivieni di persone senza dei controlli attenti e rigidi, si usa dire che quel luogo è un “porto di mare”.

Credo che non ci sia definizione più precisa per definire la vita al “don Vecchi”. Nonostante dei miei cari ed intelligenti collaboratori mi abbiano, specie all’inizio, suggerito e pure invitato ad un presidio più attento e rigoroso, io ho sempre preferito che il nostro “villaggio di anziani” non abbia ponti levatoi, sbarre, chiavi di eccesso e controlli capillari. M’è sempre parso giusto favorire questo andirivieni di anziani, di famigliari, di amici, di operatori e di badanti. Per la gran parte della giornata la porta si apre automaticamente con la fotocellula e quando la fotocellula non permette l’aprirsi della porta, c’è un mondo intero che possiede le chiavi per farlo.

Io sono nato in campagna, la porta di casa era sempre aperta e quando ci si allontanava, la chiave la mettevamo sotto il tappeto. Al “don Vecchi”, per mia volontà, le cose vanno allo stesso modo. Tutto sommato c’è andata anche abbastanza bene. Molti anni fa un drogato del quartiere per un paio di volte ha trovato il tesoretto che i nostri anziani avevano nascosto sotto il materasso. Poi abbiamo avvisato tutti di non tenere i soldi in casa, se no peggio per loro. Pare che i residenti abbiano fatto tesoro di questo avvertimento.

Negli ultimi quindici anni per ben due volte però, nottetempo, hanno asportato la cassaforte della comunità che era in direzione. Credo che abbiano faticato tanto per trovarci dentro due tremila euro soltanto. Nuovo ordine alla direzione: non tenere mai soldi in cassa!

Sennonché l’altro ieri, dalle tredici e trenta alle quindici e trenta, mentre i residenti sono impegnati a fare il “pisolino quotidiano”, nuova incursione in direzione: scassinate due porte, messi a soqquadro tutti i cassetti, però anche questa volta per un bottino ben magro: cento, duecento euro di spiccioli e forse, se gli addetti ai lavori avessero inserito l’allarme che abbiamo collocato dopo il furto, non avremmo avuto neppur questo danno.

Quello che amareggia di più è che i ladri si sporcano le mani tentando di rubare a dei poveri vecchi che hanno le pensioni più modeste, perché questi sono gli anziani che accogliamo nei nostri Centri don Vecchi.

Don Gastone Barecchia, il famoso cappellano militare degli alpini in Russia, ormai centenario, che per quasi mezzo secolo ha fatto il cappellano nel carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia, ci diceva che in carcere erano quanto mai disprezzati quelli che rubavano nelle chiese, tanto che una delle offese più grandi che si facevano in questa prigione era “Sei un ladro da chiesa!”

Spero che d’ora in poi diventi pure un’offesa per i ladri, dire “Sei un ladro da don Vecchi”, perché qui è fin troppo facile rubare e anche se i furti sono pressoché inconsistenti.

22.08.2014

La risposta

Ieri mattina, mentre attendevo l’orario per la celebrazione della messa, m’ha raggiunto, nella sagrestia della mia amata chiesa, una giovane signora. La invitai a sedersi e a dirmi i nomi dei suoi defunti da ricordare. Si trattava invece d’altro. Sua madre, che vive sola nonostante i suoi novantun anni, ha letto su “L’Incontro” dell’apertura del “don Vecchi 5” agli Arzeroni.

Capii subito che la figliola si sentiva estremamente imbarazzata pensando che le dicessi: «Perché non se la porta a casa sua?» e perciò disse subito: «Don Armando, io abito in un guscio di appartamento, ma soprattutto mia madre non verrebbe mai da me perché ama la sua indipendenza e poi non vuole essermi di peso». Continuò raccontandomi che sua madre era ancora totalmente autosufficiente, ma si sentiva sola nel grande condominio nonostante lei andasse a trovarla tutti i giorni e non le passavano mai le ore. Aveva letto su “L’Incontro” uno dei miei innumerevoli interventi a proposito dei nuovi 65 alloggi per chi è in perdita di autonomia e perciò aveva timidamente accennato di averne uno per un’eventuale domanda. Quindi la figlia voleva avere informazioni su come si svolge la vita all’interno di questa struttura, quanto si pagasse ed altro ancora.

Mentre mi parlava, questa cara figliola che ama veramente sua madre, s’é commossa da un lato pensando, con i vecchi schemi mentali, di mettere “in ricovero” sua madre, e dall’altro temendo forse che io pensassi che volesse sbarazzarsi di sua madre.

Le spiegai la dottrina dei nostri Centri, assolutamente convinto che dopo un momento di smarrimento per il cambio dell’ambiente, di certo sua madre si sarebbe trovata bene perché all’assoluta sua autonomia si sarebbe aggiunta la possibilità di incontrare la gente di questo “piccolo borgo” e nel contempo avrebbe goduto la bellezza e la comodità di questo grande albergo quanto mai signorile, che le poteva offrire passeggiate come si trovasse alle Bahamas d’inverno e a Cortina d’Ampezzo d’estate. Le dissi pure che, fatti quattro conti, avrebbe speso molto meno al “don Vecchi” che nel suo attuale appartamento.

Mentre parlavo mi ritornava alla memoria un episodio simile di alcuni anni fa. Due fratelli mi presentarono la domanda della loro madre che per motivi particolari non poteva più rimanere con la figlia. Lessi il certificato medico e, sfrontatamente, dissi loro: «Con tutte queste patologie vostra madre non può che presentarsi alle porte del cielo». La presentarono lo stesso. In realtà è ancora viva e pur con i suoi 96 anni è perfin troppo vegeta.

Conclusi: «Signora, faccia la domanda sperando che i miei collaboratori non frappongano ostacoli che si dimostrano sempre fasulli».

Mentre la signora se ne andava un po’ consolata, le dissi: «Ma mi conosce?» «Sono stata sua allieva alle magistrali e dopo quarant’anni di insegnamento ora sono in pensione». Fui doppiamente contento.

18.08.2014

Lo staff del Don Vecchi 5

Un medico amico, a cui debbo molto, mi ha segnalato la situazione difficile dei genitori di una collega della specialità di urologia della clinica universitaria dell’ospedale di Padova. Mi ha raccomandato con tanta convinzione questa coppia di coniugi greco-albanesi e mi ha chiesto di poter incontrare la sua giovane e brillante collega figlia di questi signori.

Un mese fa questa giovane donna è venuta al “don Vecchi” e mi ha parlato con tanta tenerezza e convinzione dei suoi genitori assicurandomi che erano disposti a qualsiasi lavoro pur di essere economicamente autosufficienti. Mi disse che il padre, quasi sessantenne, laureato in odontoiatria, ha fatto tutti i lavori possibili ed immaginabili, anche i più umili, ma sempre precari e di poca durata e che il fatto che il suo titolo accademico non sia riconosciuto in Italia gli impedisce di esercitare la sua professione.

Mentre questa cara ragazza perorava la causa dei suoi genitori, ebbi modo di avvertire in maniera toccante il suo affetto filiale, la stima e la disponibilità di questa cara gente.

Se risulta difficile trovare un lavoro per noi italiani qui nel nostro Paese, è pressoché impossibile per gli extracomunitari con una professione non riconosciuta e con una certa età trovare un lavoro che garantisca una certa continuità, seppure con un salario molto modesto.

Ne parlai un po’ a tutti i responsabili della Fondazione i quali ebbero tutti la stessa sensazione positiva, ed essendo quasi ultimata la nuova struttura accettarono l’assunzione. Infatti si avvertiva la necessità di una presenza e di una vigilanza costante.

Questo fu tanto vero che il giorno prima dell’arrivo dei due sposi una squadra di lestofanti, arrivati di notte con un camion, rubarono tutti i divani, quadri, termosifoni e frigoriferi. I nuovi “custodi”, o meglio fratelli, entrarono in punta di piedi nella nuova struttura e in poche settimane essa cambiò radicalmente d’aspetto, tanto è linda, ben curata e, pur non essendo ancora occupata dagli anziani, essa dà l’impressione di un ambiente vivo ed accogliente: i prati sono stati rasati, le piante degli interni curate, i gerani dei cortili interni tutti in fiore e tutti i meccanismi complessi di una struttura moderna sono tenuti sotto controllo.

La nuova grande casa per gli anziani ha così già un cuore che batte e quando i nuovi residenti entreranno nei loro alloggi, pur un po’ smarriti e disorientati, avranno un sicuro punto di riferimento che li accoglierà con affetto e disponibilità.

Ormai lo staff che guiderà questa esperienza pilota per dare una risposta adeguata alle attese degli anziani in perdita di autonomia è quasi al completo.

Dirige lo staff: la dottoressa Rosanna Cervellin, con la sua aiutante di campo: dott.ssa Viorica Dragutan, e i dottori Sergio Balica, Tommaso, coodiuvati dai volontari: Linda, Mariolina, Lorenzo. Oltre un altro gruppetto di volontari addetti alla cucina. A questi operatori s’aggiungono le assistenti di condominio e soprattutto i familiari, la presenza dei quali sarà assolutamente determinante per la buona riuscita di questa nuova sfida della Fondazione Carpinetum.

14.08.2014

La “cena” di Scaggiante

La comunità di San Giorgio di Chirignago ha giustamente deciso di onorare un suo concittadino quanto mai benemerito: Giovanni Scaggiante. La delegazione del gruppo culturale di quella parrocchia sta organizzando una grande mostra antologica della produzione artistica di un’intera vita di questo pittore e mi ha chiesto in prestito la decina di quadri che sono presenti nella nostra galleria che è collocata sulle infinite pareti dei corridoi e della grandi sale dei cinque Centri don Vecchi. E’ stato perfino troppo facile reperire queste opere perché sono quasi tutte concentrate nei Centri don Vecchi uno e due. Infatti a suo tempo si è proceduto alla catalogazione dei quadri presenti appunto nei primi due Centri.

Mi lega all’artista una lunga frequentazione ed un caldo rapporto di stima e di affetto perché Giovanni Scaggiante non è solamente uno dei maggiori pittori viventi della nostra città, ma è pure un gentiluomo dai tratti caldi e signorili ed un cristiano a tutto tondo. Sono quanto mai felice dell’iniziativa della sua comunità perché egli merita questo riconoscimento per la sua statura d’artista, ma pure per la nobiltà del suo animo quanto mai disponibile e generoso.

In una testimonianza che mi è stata richiesta dal comitato promotore di questa grande mostra antologica in cui saranno esposte più di un centinaio di sue opere, ho scritto che il solo dispiacere per me è di constatare che questa iniziativa non è stata promossa dal Comune o dalla Chiesa veneziana, perché molte sono le opere di carattere religioso di questo artista, e neppure dalla municipalità cittadina, ma soltanto dalla sua comunità.

Scaggiante merita molto e molto di più anche se sono informato che il comitato che promuove questa antologica sta facendo le cose veramente in grande.

La nostra galleria, ripeto, è felice di prestare questa decina di opere di valore, mi rammarico però che non riusciamo a portare a Chirignago l’opera più significativa e forse maggiore di Scaggiante che vent’anni fa gli ho “commissionato” a costo zero: “L’ultima cena oggi”, un’opera di notevoli dimensioni – quattro metri x due e mezzo, che ho collocato, come nei grandi monasteri del passato, nel refettorio del “don Vecchi” uno. L’opera è veramente notevole per l’armonia dell’insieme, per l’impasto dei colori, per la presenza di una trentina di personaggi e soprattutto per il messaggio. Penso proprio che la si possa accostare, pur in chiave attuale, alle grandi tele del Veronese.

L'”Ultima Cena” di Scaggiante ha dentro tutto il nostro mondo e l’evento della cena del commiato, del dono dell’Eucarestia e del testamento di Gesù: diventa un fatto attuale che coinvolge tutti e ci rende consapevoli che la Redenzione non appartiene al passato ma che è viva e presente anche per noi, oggi.

Faticosa conversione

Mi pare di aver scritto un paio di settimane fa che il progetto per la nuova struttura per le urgenze abitative, che la stampa preferisce inserire sulla sequenza dei Centri don Vecchi dandole il numero sei – mentre essa non si occuperà di anziani – nell’iter burocratico ha dovuto passare all’esame della municipalità.

Il parlamentino del quartiere può dare un parere soltanto consultivo, però un po’ per darsi una certa importanza e un po’ perché i membri della sinistra hanno ancora nel loro Dna il peccato originale dei discendenti di Marx, Stalin e Togliatti, hanno avuto a che dire sul nuovo progetto. Se poi non fossero questi due motivi, probabilmente inciderà il complesso che nasce dal constatare che mentre loro chiacchierano sul bene dei meno abbienti, c’è invece chi parla meno e si dà da fare concretamente.

Questa discussione con le relative obiezioni e la trovata salomonica di domandare ad una commissione l’approfondimento della questione, mi ha mandato in bestia. Gente che invece di facilitare i cittadini di buona volontà che fanno quello che dovrebbero fare codesti amministratori, seppur di ultimo rango, invece mette loro i bastoni fra le ruote, è cosa che mi risulta assolutamente insopportabile.

Oggi la “Nuova Venezia” annuncia, in un articolo di sei colonne, che domani la municipalità voterà il progetto che poi passerà alla firma del commissario Zappalorto. Sono assolutamente certo che il progetto passerà. Se votassero contro sarebbe un boomerang a tutto loro danno.

Il presidente della commissione urbanistica municipale, Giacomo Millino, ha saggiamente affermato che questo progetto “è una risposta concreta della Fondazione Carpinetum che da decenni è attenta ai nuovi disagi della nostra città e si occupa stavolta di quella popolazione esclusa dagli interventi dei servizi sociali”. Mentre mi ha alquanto irritato la presa di posizione del delegato del PD Vincenzo Conte che ha affermato: «Non discuto minimamente la bontà di questo progetto. Anzi. Però faccio notare la velocità con cui gli uffici lo hanno approvato a scapito di altri interventi edilizi di privati cittadini.».

E’ persino inimmaginabile che un pubblico amministratore, anche se di infimo grado, critichi la “velocità”, che poi è una “velocità da lumaca” perché sono mesi che abbiamo presentato in Comune la richiesta di concessione edilizia. Comunque, invece di tallonare la burocrazia comunale eternamente lenta e invece di auspicare che gli interventi di ordine sociale abbiano un iter privilegiato, è stupefacente che trovi da dire per l’approvazione del progetto.

Mi auguro che il commissario Zappalorto, che non esce da una sede di partito, sia più saggio e determinato di chi è solito impostare ogni cosa con discorsi inconcludenti. Questi politici sono ben tardi “a convertirsi” alla concretezza e all’efficienza.

27.08.2014

Due scuole di pensiero a confronto

La dottrina che supporta i Centri don Vecchi è frutto di una intuizione felice e positiva sulla quale si è poi lavorato molto di cesello per metterla a punto. Nella “carta dei servizi” di questi Centri non ci sono solamente i motivi ispiratori, ma pure il tentativo di metterli a punto costantemente. Nulla è mai definitivo nella vita e poi, quando lo diventasse, sarebbe la morte certa dell’intuizione che diventerebbe tanto presto un ramo secco e infecondo.

La nascita, ad esempio, degli ordini religiosi, è certamente un fatto che sa di portento, però col passare degli anni, quando questa dottrina si sedimenta senza rinnovarsi il movimento sopravvive ancora per decine di anni e forse secoli, ma diventa sempre più stanco, inerte e spesso inutile.

Tra coloro che seguono lo sviluppo dei Centri don Vecchi ultimamente si è aperto un dibattito quanto mai vivace ed avvincente nel mettere a punto la dottrina dalla quale poi nascono gli orientamenti e le regole. C’è qualcuno, come me, che è orientato a dare agli anziani residenti il più possibile sotto ogni aspetto, per rendere più serena ed agiata la vita a chi è vissuto in tempi difficili ed amari. Mentre altri sostengono che è negativo agevolarli troppo perché essi finiscono per diventare sempre più esigenti e dare per scontato, quasi non costasse nulla, il benessere che ci si sforza di donare loro.

Queste due “scuole di pensiero” finiscono per scontrarsi e capita che ogni Centro, anche a questo riguardo, abbia un suo stile specifico. Qualcuno è arrivato a dirmi che non tengo conto del “peccato originale” che inclina l’uomo al disimpegno. Se fosse vera questa tesi, penso che dovrei far ribattezzare la maggioranza dei residenti perché, come inclinazione all’impegno e al servizio verso il prossimo, lasciano moltissimo a desiderare. E’ tanto difficile trovare giovani impegnati, ma ora sto scoprendo che è altrettanto, e forse più, difficile trovare anche anziani che facciano la scelta del servizio.

L’utopia della solidarietà purtroppo trova tanti ostacoli in ogni tempo e in ogni età.

20.06.2014

Città amica

Ho imparato dal patriarca Roncalli che quando si ha a cuore un problema bisogna parlarne un po’ con tuti, perché da qualche parte c’è di certo qualcuno che è disposto a darti una mano; l’importante è incontrare questo qualcuno. Monsignor Vecchi mi ha poi ripetuto mille volte che i soldi meglio spesi per un prete sono quelli che lui investe nei mass media per passare il suo messaggio.

Penso di aver fatto tesoro di questi insegnamenti. Ho speso una barca di soldi per comunicare ai concittadini i miei sogni e i miei progetti. Ho speso un patrimonio per Radio Carpini, le riviste parrocchiali, il mensile “Carpinetum” e “L’Anziano”, il settimanale “Lettera aperta” ed ora “L’Incontro”. Dire che stampiamo e distribuiamo ogni settimana cinquemila copie del periodico può sembrare quasi una notizia banale; vedere però una pila alta un metro e mezzo di fogli A3 è tutt’altra cosa! Eppure ogni settimana si ripete anche questo “miracolo”.

Le spese sono davvero notevoli, ma il “ritorno” è di gran lunga superiore; se non fosse altro la ventina di miliardi spesi per i cinque Centri don Vecchi ne sono la riprova. Non passa giorno che qualcuno si offra di collaborare, che i funzionari delle varie società non agevolino le pratiche, che qualche altro non offra denaro, piante, mobili, tappeti. La superficie dell’ultima struttura è immensa, perfino troppo grande, però non c’è angolo che non offra qualcosa di bello.

Questo riscontro poi, a livello materiale è solo un aspetto, quello però a livello umano e sociale è di certo di gran lunga superiore. Non c’è luogo dove non incontri gente che mi saluta con affetto e deferenza, forse illudendosi che io sia un personaggio che in realtà non sono. Credo di riconoscermi solamente una certa coerenza, un impegno serio e costante al lavoro ed una disponibilità assoluta alle richieste del prossimo. Ho sempre preso sul serio la parabola della pecorella smarrita perché ho scelto che la sorte di nessuno mi sia indifferente. Sono pure convinto che da ognuno abbia qualcosa da ricevere e a cui donare.

Però, per fare tutto questo, bisogna abbassare il ponte levatoio, abbattere lo steccato attorno alle parrocchie, esser coscienti di avere il messaggio più valido e soprattutto aprire un dialogo con tutti. Io non mi sono mai arreso a pensare che la parrocchia sia costituita da quel 10, 15…… per cento che viene a messa alla domenica, perché tutti gli uomini indistintamente sono figli di Dio e fratelli nostri. Sono immensamente grato ai miei “maestri” e mi piacerebbe tanto poter passare anche ai colleghi vecchi e giovani, queste convinzioni che danno respiro alla vita.

06.07.2014

“La moltiplicazione dei pani”

Rifacendomi al discorso di ieri debbo pur dire che leggo con attenzione, ma soprattutto sento il dovere di “decodificare” da un certo modo di pensare, di descrivere gli eventi proprio di una mentalità e di una cultura molto datata, perché si tratta di fatti avvenuti ben duemila anni fa in un popolo e in una terra tanto lontana dalla nostra cultura occidentale. Mi riferisco alla moltiplicazione dei pani.

Io non sono uno storico, ma ritengo che anche questo miracolo lo si debba rileggere in chiave di attualità. E’ quasi superfluo raccontarlo perché almeno un paio di volte all’anno la liturgia della Chiesa lo offre alla nostra meditazione, però a scanso di incomprensione, lo riassumo in maniera pressoché telegrafica. La folla segue Gesù per due giorni interi per ascoltare i suoi discorsi. Gli apostoli suggeriscono al Maestro di congedarle la gente perché ormai la fame si faceva sentire. Gesù li provoca dicendo: “Date voi da mangiare alla folla”. Il dialogo è quanto mai interessante perché offre infiniti spunti per una seria riflessione. Comunque Gesù si rivolge al Padre e invita gli apostoli a distribuire la merenda di un ragazzino diventata inesauribile: i cinque pani e i due pesci messi a disposizione dal ragazzino si moltiplicano all’infinito.

Purtroppo il mio razionalismo ancora una volta fa capolino e tentenna di fronte a queste modalità e a questi numeri: cinque pani e due pesci da una parte e dall’altra cinquemila uomini, più le donne e i bambini- mangiare a sazietà – dodici sporte avanzate! Però c’è poco da interpretare, i numeri sono numeri!

A questo proposito ho l’impressione che il Maestro mi tiri le orecchie con un fatto che è in atto da qualche mese al “don Vecchi” dove vivo anch’io, fatto che sa di portento e di miracolo facendomi arrossire perché di questo evento io stesso sono coinvolto.

Cari amici, avete tutto il diritto di essere increduli come san Tommaso, però venite pure al “don Vecchi” e verificate quanto vi sto riferendo. Dal 18 febbraio di quest’anno al 27 giugno di questo stesso anno, ben diecimilaottocentosessantacinque persone in difficoltà sono venute al “don Vecchi” a ritirare gli alimenti che i sette supermercati della Catena Cadoro hanno messo a disposizione della Fondazione Carpinetum e che essa ha ritirato e distribuito. Tutto è partito dall’insistente richiesta di un volontario, Danilo Bagaggia, che ha ottenuto ascolto presso la direzione di Cadoro e dalla fiduciosa collaborazione di un gruppetto di volontari.

Credo che se un tempo ho nutrito qualche dubbio sul miracolo della moltiplicazione dei pani e qualche riserva sul modo di “leggere” il miracolo, ora il Signore “mi ha tagliato l’erba sotto i piedi” ripetendo anche a me, come a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e non essere incredulo ma credente”.

04.07.2014

Paradiso

Qualche giorno fa Rolando Candiani, il ragazzino che quasi sessant’anni fa ho incontrato a San Lorenzo e che da vent’anni controlla i conti e la vita dei Centri don Vecchi, avendolo incontrato nel “corso” principale del “don Vecchi” di Carpenedo, si lasciò andare ad una espressione da innamorato: “Questo è un vero Paradiso!”.

Dalle ampie vetrate si intravedeva il parco con il lungo filare di oleandri tutti in fiore, si avvertiva un’atmosfera veramente serena. Non solo condivisi la sua espressione, perché anch’io da quasi dieci anni risiedo in questo piccolo borgo ai margini della città e godo di questa dolce e cara atmosfera, ma ni ha fatto felice l’espressione del mio “ragazzo” perché mi rassicura che il progetto nato da un sogno è veramente riuscito.

Più di una volta mi sono lagnato perché non riscontro una collaborazione attiva da parte di tutti, ma poi penso che io sono uno stacanovista che pretende troppo da sé e pure dagli altri. Del progetto iniziale è forse saltato un pezzo che, per troppa ingenuità, avevo ritenuto un componente essenziale, ossia che al “don Vecchi” risiedessero solamente autosufficienti; infatti nello statuto abbiamo fissato delle norme perentorie per chi perdesse il bene di essere autonomo.

Queste clausole prevedono ancora che qualora uno perdesse l’autonomia, i famigliari lo debbano trasferire in una struttura adeguata alle sue condizioni. Ciò però non è avvenuto, non solamente perché ci siamo accorti che nonostante si sia studiato un contratto con delle clausole legali ben decise, abbiamo in realtà constatato che se un residente si rifiuta di uscire, non è moralmente possibile “sfrattarlo” ricorrendo ai carabinieri.

A questo motivo se n’è aggiunto uno ancora più consistente. La dottoressa Francesca Corsi del Comune, donna intelligente e veramente attenta ai bisogni e ai diritti degli anziani, un giorno mi disse: «Questa è la loro casa e perciò, se lo desiderano, hanno diritto di morirvi dentro». Questa cara donna mi convinse; perciò al “don Vecchi” abbiamo ora un po’ di tutto e constato che la vita, come l’acqua, finisce per trovare il suo rivolo e perciò tutto è andato a sistemarsi, per cui l'”autosufficienza” si raggiunge sempre con l’aiuto di qualche supporto sempre più consistente che in ogni caso viene trovato.

Ritengo che al “don Vecchi cinque”, nonostante i problemi che la struttura sta creando a quelli che si aggiunge un’ulteriore difficoltà perché stiamo accogliendo anziani che sono in perdita di autonomia fin da subito, finiremo per sistemare le cose in maniera conveniente. Non pagando affitto, ma solo i costi condominiali e le utenze, ed avendo invece in cambio un alloggio più che confortevole, spazi per la socializzazione perfino esagerati ed un minimo di monitoraggio offerto dalla Fondazione, l’espediente dell'”assistente di condominio” – o meglio “di comunità” – finirà per rendere possibile la permanenza anche per i meno abbienti e meno autonomi.

Questa è almeno il mio obiettivo e la mia speranza, anche se si avesse tanto più in considerazione l’esperienza pregressa, si sarebbe agevolato il cammino di questa speranza.

02.07.2014

Le bandiere

I miei viaggi – non molti in verità – sono sempre stati strettamente legati al mio impegno di ordine pastorale.

L’uscita più significativa, a questo riguardo, l’ho fatta una quarantina di anni fa, assieme a monsignor Vecchi che era sempre alla ricerca delle esperienze pastorali che si stavano facendo in quel tempo in Europa. Il viaggio, su un’automobile prestata da Coin, ha toccato la Svizzera, la Francia, l’Olanda e la Germania. In una decina di giorni visitammo parrocchie, incontrammo molti preti e ci accertammo del loro piano liturgico, di catechesi e della carità per renderci conto di quali fossero le esperienze e i nuovi obiettivi di un contesto parrocchiale così variegato in quel momento in cui la contestazione aveva messo a soqquadro tutto ciò che verteva sulla pastorale.

Credo di poter affermare, con tranquilla coscienza, che il viaggio fu molto proficuo e che l’indirizzo pastorale del dopo contestazione nella nostra parrocchia è stato quanto mai positivo, tanto che sulle macerie della vecchia impostazione pastorale nacque una serie di iniziative di avanguardia che s’imposero all’attenzione anche di altre diocesi su quanto andavamo facendo nella parrocchia che ora è denominata come quella del Duomo.

Di questa esperienza ho riportato un aspetto del tutto marginale, che però ancor oggi mi ha spinto a fare un piccolo dono al Centro don Vecchi degli Arzeroni.

La Svizzera mi sorprese per la sua festa di bandiere poste ovunque a simbolo della nazione e dei suoi Cantoni. In Francia le bandiere le ho incontrate persino all’interno delle chiese – cosa che in questo Paese non mi sorprese più di tanto perché è proverbiale il senso patriottico della Chiesa francese. Pure in Olanda e nei paesi dell’Austria mi accorsi dell’abitudine di esporre abbondantemente le bandiere.

Questa tradizione mi diede un senso di festa, di comunità e di appartenenza, tanto che col passare del tempo e avendo la possibilità di poter decidere io, piantai a Carpenedo un pennone in patronato, un altro alla Malga dei Faggi, su cui issai un gonfalone della “libera repubblica di Carpenedo” – inventato naturalmente – rifacendomi a quello assai più noto di San Marco.

Per l’inaugurazione del “don Vecchi” degli Arzeroni il consigliere della Fondazione, il signor Rivola, imbandierò la nuova struttura dando la sensazione di qualcosa di vivo e quasi segno di orgoglio. Questo ha fatto riaffiorare dal fondo del mio animo un po’ di quel sentimentalismo che non ho mai perso totalmente, spingendomi ad offrire tre pennoni con le relative bandiere d’Italia, di San Marco e dell’Europa, sperando che l’ininterrotta fila di automobili che passa di fianco al Centro si accorga che anche in questo lembo di terra destinato agli anziani c’è un segno visibile della civiltà e della solidarietà della nostra gente.

25.06.2014

“Gallerie gratis”

In questi giorni il ministro dei beni culturali, Franceschini, ha annunciato, con una certa enfasi, una serie di provvedimenti che facilitano l’accesso e la fruibilità di quell’immenso tesoro di opere d’arte che l’Italia possiede.

Io non ho una buona memoria, però mi pare di ricordare che per anziani, studenti e ragazzi l’ingresso a musei, gallerie d’arte e siti archeologici ed altro ancora, sia gratis e pure lo sia, una volta al mese, per tutta la cittadinanza.

Per Mestre il nostro ministro potrebbe essere anche maggiormente generoso, perché purtroppo non vi è alcuna struttura di questo genere, a meno che non sia considerato un bene paesaggistico lo scorrere lento delle acque fangose e maleodoranti dell’Osellino appena “scoperto” dall’intelligentia del nostro Comune, oppure non si voglia mostrare il progetto ultra zebrato del futuro museo.

Perché invece non offrire l’ingresso gratis nelle gallerie del “don Vecchi” nelle quali sono in mostra più di duemila opere di artisti contemporanei?

Pensavo ai provvedimenti di Franceschini mentre in questi giorni ho scelto i quadri con i quali arredare i corridoi e i soggiorni del “don Vecchi” degli Arzeroni. La nuova struttura degli Arzeroni offre già più di trecento opere di artisti, specialmente locali. Se per esempio uno vuol conoscere e godere del miglior Felisati, non ha che da visitare la galleria del “don Vecchi 2” che ne possiede ben cento. Felisati lo si trova anche al Centro don Vecchi di Marghera, ma soprattutto nel salone dell’ultimo “don Vecchi” agli Arzeroni. Al “cinque” sono esposti una ventina di paesaggi di Vittorio Felisati, incorniciati in maniera del tutto particolare ed innovativa, con larghe cornici nere che, appese alle pareti bianche della grande sala, offrono una visione quanto mai gradevole, valorizzando al massimo i colori vivi ed intensi del nostro artista concittadino.

Sono convinto che nessuna delle tante mostre organizzate per questo artista sia mai stata capace, come quella del “don Vecchi” degli Arzeroni, di offrire un Felisati così inebriante per gli scorci del nostro territorio che egli ha ritratto con grande maestria e per l’impasto di colori così vivi che “escono” quasi dal quadro e che s’impongono all’attenzione del visitatore.

Chi vuol conoscere l’arte contemporanea espressa dagli artisti del nostro territorio in questo ultimo mezzo secolo, non la può trovare se non nei Centri don Vecchi sulle pareti dei quali sono esposte, come dicevo, più di duemila opere, non tutte dello stesso pregio, però tutte capaci di documentare la produzione artistica degli artisti nati nel nostro tempo e nella nostra terra.

19.06.2014

Un terno al lotto!

Un proverbio afferma – credo, tutto sommato, giustamente – “cosa fatta capo ha!”.

Il “don Vecchi”, così come è stato realizzato, forse non è il top di come avevo sognato la nuova struttura per anziani in perdita di autonomia, comunque ora sono straconvinto che debba essere messo in funzione al più presto e che debba essere al completo egualmente il prima possibile.

Nell’intento dell’assessore Sernagiotto, ma anche nostro, questa struttura deve diventare un’esperienza pilota per dare risposta a quella grande fascia di anziani che non sono totalmente autosufficienti, ma contemporaneamente godono ancora di una certa autosufficienza.

La bozza di risposta che nacque immediatamente fu quella di una struttura adeguata alla non perfetta autonomia e doveva essere compendiata con un servizio offerto da un contributo della Regione, di gran lunga inferiore ai cento euro che l’ente pubblico o l’anziano devono versare alle strutture per anziani non autosufficienti.

C’è stata subito tra di noi discussione sul tipo di servizio possibile con i 25 euro promessi. Sennonché la velocità della realizzazione della struttura – 10 mesi – ha sparigliato le carte e noi ci siamo trovati, per motivi di costi, a dover introdurre gli anziani senza poter contare subito sul contributo promesso.

Inizialmente la cosa mi ha turbato alquanto e messo in ambascia. Ora però sono felice che sia avvenuto così perché la sperimentazione diventa più avanzata e più realistica per la nostra società. Infatti con poco più di 300 euro al mese, circa, offriamo un alloggio personale di quasi 30 metri quadri, comprensivo di bagno attrezzato, angolo cottura, grande terrazza; ed in aggiunta spazi immensi ed attrezzati perché gli anziani vivano in compagnia: servizio di portineria, lavanderia, parrucchiere ed ambulatorio per il medico di famiglia, palestra, parcheggi a volontà, verde pubblico, servizio di catering per il pranzo. Inoltre offriamo un servizio di monitoraggio costante, giorno e notte, e possibilità di poter utilizzare un servizio di assistenza condominiale (quindi a basso costo in quanto una sola assistente scelta secondo il proprio gradimento potrà badare a più anziani contemporaneamente).

Perciò sono convintissimo che con questo “pacchetto di offerte” ultraconvenienti possiamo sfidare qualsiasi altra struttura similare e possiamo inoltre ospitare anche anziani centenari purché siano coscienti, non allettati e non siano bisognosi di un presidio medico costante.

Le perplessità e le preoccupazioni non mancano finché la struttura non sarà a regime, però se l’anziano potrà contare, come è assolutamente doveroso, sulla presenza e l’aiuto della famiglia, anche chi “gode” della pensione minima, fruendo della “accompagnatoria” che gli è dovuta, potrà non pesare sulla famiglia, vivere una vita autonoma e in una “reggia” con tutti i confort e potrà scegliere a piacimento gli amici tra i 65 residenti. Ditemelo voi se questo non è un terno al lotto ed una vincita sicura al totocalcio!

18.06.2014

Non sempre “i poveri sono santi”

La mia campagna in favore degli anziani in difficoltà sta per finire a motivo dell’età incalzante. Consapevole di ciò, già un paio di anni fa ho chiesto e ottenuto dal Patriarca che affidasse ad un sacerdote più giovane la presidenza del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Carpinetum che gestisce i Centri don Vecchi. Ho pensato che questo fosse l’unico modo perché l’impegno della Chiesa veneziana nei riguardi di questo nuovo tipo di povertà – ossia l’estremo disagio degli anziani in difficoltà – potesse avere un seguito.

Attualmente il mio impegno è ormai marginale, però mi sta ancora a cuore perfezionare la “dottrina” che fa da supporto a questa esperienza pilota. Le problematiche aperte sono molte, ma man mano che affiorano, prima rifletto e poi suggerisco, a chi sta mettendo a punto questa dottrina, le soluzioni che ritengo più opportune, in modo che chi vuole approfittare della nostra esperienza possa avere un modello quanto mai valido.

Ma fra i tanti problemi affiorati in questi vent’anni di sperimentazione c’è anche questo: coinvolgere attivamente gli anziani che hanno ottenuto un alloggio al “don Vecchi” nella gestione del Centro, non solamente per tener bassi i costi di gestione, ma anche per costruire una comunità solidale di mutuo aiuto. La proposta viene fatta in maniera quanto mai esplicita al momento dell’accettazione della domanda e purtroppo non viene mai evasa se non da un gruppetto sparuto di beneficiari. Una volta ancora rimane vera la battutaccia meridionale “grazia ottenuta, gabbato lo santo!”.

Tanti residenti si impegnano per figli e nipoti, che praticamente li hanno cacciati di casa, altri si danno alla bella vita oziando e pensando ai fatti loro. Si, ci sono “i soliti”, ma sono pochi e, poverini, sono sempre quelli!

Mio padre, di fronte a questa constatazione che sono stato costretto a fare già da parroco in altri tempi, mi disse: «Armando, non preoccuparti, su un centinaio di persone ce ne saranno tre o quattro che hanno la “mania” di lavorare, punta su quelle».

Mi ero illuso che il “don Vecchi”, a livello religioso, fosse una specie di convento, ma presto è scoppiata questa bella bolla di sapone. M’ero pure illuso che i Centri diventassero delle grandi famiglie in cui ognuno collaborasse per il bene comune: “Illusione, dolce chimera sei tu!”. I miei maestri però, don Mazzolari e Madre Teresa di Calcutta, mi insegnano che devo impegnarmi comunque, anche se gli altri non lo fanno, anche se chi ne beneficia ne approfitta in maniera potente.

07.06.2014

La galleria

Chi legge “L’Incontro” di certo è venuto a sapere che da fine anno è chiusa la “Galleria san Valentino” che ho aperto qualche anno fa presso il Centro don Vecchi di Marghera e presso la quale sono già state organizzate più di sessanta mostre.

La dottoressa Cinzia Antonello, che l’aveva diretta per un paio di anni, a causa di difficoltà di ordine professionale, non ha potuto continuare la sua collaborazione. Non avendo più chi organizzava il calendario delle mostre – e per far questo bisogna avere una buona conoscenza nel mondo degli artisti, con mia grande amarezza dovetti, almeno provvisoriamente, chiudere i battenti.

Di certo non mi sono dato per vinto; ho chiesto al dottor Giulio Gasparotti, che in città è il principe dei critici d’arte, di darmi una mano, ho battuto la porta della “concorrenza” chiedendo ai responsabili della Galleria parrocchiale di San Pietro Orseolo, di quella di San Lorenzo e di quella di Carpenedo, ma per un motivo o per l’altro non ho ottenuto il sospirato aiuto. Mi sono rivolto quindi alla diocesi perché nell’annuario che pubblica il suo organigramma vi sono in bella vista degli uffici e delle organizzazioni che affermano di occuparsi dell’arte in genere e di quella sacra in particolare.

Ho scritto, riscritto, telefonato a ripetizione, ho ottenuto al massimo qualche promessa, però nella realtà nulla in assoluto. Tutto questo mi ha fatto persino dubitare – ma il mio non è un dubbio del tutto nuovo – che tutta la bella impalcatura che appare nell’annuario sia piuttosto ad “uso esterno”, ma che almeno in questo settore risulti inconsistente.

Qualcuno si chiederà il perché di questa mia insistenza per una realtà che può apparire del tutto marginale per i bisogni degli anziani… ed ha ragione! Comunque l’arte crea un’atmosfera positiva, le mostre aiutano a coniugare la vita del Centro con la città, rompono un isolamento che a Marghera è veramente incombente e soprattutto le mostre contribuiscono a vivacizzare l’ambiente e a far conoscere al mondo cittadino il “don Vecchi” che moltissimi conoscono solo di nome, ma che in realtà non hanno mai visto e, tutto sommato, lo immaginano come una casa di riposo.

In questi ultimi giorni finalmente il cielo si è schiarito e pare che ci stiamo avviando ad una soluzione positiva. Il vecchio patriarca Roncalli mi ha insegnato che quando ad uno sta a cuore un problema ne deve parlare un po’ a tutti perché, prima o poi, salta fuori la persona giusta che è disposta a darti una mano. Io mi avvalgo sempre di questo insegnamento che trovo assai positivo.

La Provvidenza, in questo caso, mi è stata particolarmente generosa, offrendomi non una ma tre galleristi esperti: la signora Rina Dal Canton, notissima gallerista del Trevigiano e la signora Silvia Borsali pure ottima conoscitrice del mondo dell’arte e da ultimo il signor Raffaele Bianco.

Più di una volta ho affermato che il tempo dei miracoli non è ancora concluso. Questo, di aver trovato aiuto per la conduzione della Galleria San Valentino, penso sia almeno un miracoletto.

31.05.2014

Il don Vecchi 5

Dietro i discorsi ufficiali e le pagine che incorniciano certi eventi importanti e significativi per la nostra città, c’è una storia che non sempre è fluita dolce e tranquilla. Di solito il prodotto finito è la risultante di situazioni, tensioni ed opinioni che si amalgamano e si compongono con una certa difficoltà. Penso che ciò sia normale per ogni evento di una qualche importanza.

Ultimamente ho avuto modo di accorgermi che negli ultimi quarant’anni le opere, pur belle ed interessanti, che si sono realizzate nella comunità in cui sono rimasto per tanto tempo portano in qualche modo un marchio di fabbrica: il mio. Sono sempre stato convinto di aver ascoltato tutti, di non aver deciso nulla da solo, di aver cercato di interpretare il pensiero della maggioranza. Ora però, che non sono più il protagonista e che vivo in maniera un po’ marginale le ultime imprese, mi rendo conto che forse non fu sempre così e che, convinto quanto mai delle soluzioni che proponevo, probabilmente avevo finito per imporle.

Avevo deciso in maniera lucida e determinata di offrire soltanto la mia collaborazione lasciando alla nuova leadership le decisioni, però ora, vedendo la difficoltà con cui cerco di accettare soluzioni un po’ diverse da quelle che io avrei ritenuto opportune, mi rendo conto che probabilmente fu sempre così e che, nonostante abbia rinnovato propositi su propositi, sono ancora tentato di premere oltre il lecito perché si adottino soluzioni che a mio parere sono le più valide.

Mentre razionalmente comprendo lo spazio necessariamente ristretto del mio ruolo, emotivamente non sempre sono stato capace di rimanere nell’ambito dell’opportuno. Fortunatamente i componenti del Consiglio di Amministrazione della Fondazione sono persone estremamente care e intelligenti che finora non mi hanno fatto pesare certi miei sconfinamenti.

Il “don Vecchi 5” è un’opera che pian piano sta venendo fuori dal grosso blocco di cemento che contiene “in fieri” l’opera d’arte, ma che ha bisogno ancora di tante e tante scalpellate perché emerga in tutta la sua importanza. La nuova struttura per anziani in perdita di autonomia non si rifà ad una “bottega”, non può essere confrontata con qualcosa di simile, ma essendo un’opera prima in assoluto ha bisogno dell’apporto di tutti per emergere in tutta la sua novità.

I Centri don Vecchi hanno aperto una strada nuova rifacendosi ad una dottrina mai sperimentata prima, ossia mantenere l’anziano nel suo habitat naturale, non privandolo della sua autonomia nativa, ma aiutandolo solamente a sopperire ai suoi deficit dovuti all’età con un supporto discreto e rispettoso. Il “don Vecchi 5” porta all’estremo limite questa filosofia e questa esperienza.

Sono già quanto mai gratificato se riesco a non imporre mie soluzioni, ma a dare suggerimenti che mi vengono da una certa esperienza. Spero che i nuovi protagonisti della Fondazione mi perdonino certe incursioni non lecite ed accettino proposte date con responsabilità ed amore.

28.05.2014