Malinconia per un mondo al tramonto

Al don Vecchi, il mio piccolo mondo, c’è un ricambio ora abbastanza veloce; con la media di 85 anni che impera, le partenze per la Terra Promessa, se non sono settimanali, poco ci manca, comunque due tre volte al mese parte il treno per l’eternità.

Una prima tappa a San Pietro Orseolo per l’ultimo saluto, poi la nebbia dell’oblio avvolge tutto nel mistero, mentre in segreteria si affollano i pretendenti al posto rimasto libero.

Questa è la vita!

Qualche giorno fa incontrai all’ingresso del don Vecchi un volto nuovo di donna anziana. Intuii che doveva essere una nuova inquilina che era appena entrata alla chetichella nel nostro borgo di viale don Sturzo.

Difatti appena le chiesi se era una dei nostri, annuì prontamente. Si trattava di una anziana che stava avviandosi verso la quarta età. Le feci qualche domanda tentando di inquadrare la nuova venuta con cui dovrò condividere casa e destino per i pochi anni che forse avremo ancora da vivere. Si trattava di una donna cordiale, spigliata, una veneziana disinvolta dalla battuta calda e pronta.

Le chiesi dei figli; ottimi, come sempre lo sono per tutte le mamme, ma fu la richiesta di notizie sul marito, che pensavo morto, da noi prevalgono le vedove, che mi stupì alquanto.

“Mi auguro che sia ancora vivo!”

Si erano separati da tempo e il coniuge le era diventato talmente estraneo da non sapere neppure se era ancora vivo. Per fortuna non c’era ne malanimo ne rancore, ma una assoluta e totale indifferenza!

Al don Vecchi siamo tutti anziani e dovremmo quindi rappresentare “il piccolo mondo antico”, mentre purtroppo siamo ormai i protagonisti del “mondo moderno” sempre adoperando le definizioni di Fogazzaro, ma credo che di questo autore abbiamo anche il rimpianto e la malinconia del nostro mondo al tramonto!

“C’è chi semina nel pianto e chi raccoglie nella gioia” e storie di fiori

Durante il mese di novembre mi è capitato più volte di avere la tentazione di inquadrare un evento abbastanza banale con una frase biblica saggia e solenne dell’Antico Testamento: “C’è chi semina nel pianto e chi raccoglie nella gioia”.

La frase non calzava perfettamente perché era lo stesso soggetto, io, che avevo seminato tra tante difficoltà ed ora raccoglievo con sorpresa e con gioia i risultati della mia fatica.

Chiarisco l’enigma e poi come si fa con gli aneddoti e le favole ne tiro la morale.

Nel dicembre dello scorso anno ebbi modo di notare che sia gli operai del cimitero, sia i parenti dei defunti sepolti nel nostro camposanto, buttavano nei cassonetti dei rifiuti, le piante di crisantemo ormai sfiorite e semidistrutte dalle prime gelate dell’incipiente inverno.

Dapprima pensai ai costi di queste piante: 15 – 20 euro all’una, poi mi balenò l’idea di recuperarle per piantarle lungo il viale del don Vecchi.

Ogni mattina caricavo il portabagagli della mia Fiat Uno, sporcando di terra l’abitacolo.

Ebbi tutti contro, chi diceva che ormai erano perdute per il gelo, altri che la terra del don Vecchi era cretosa, altri ancora che il sole di luglio le avrebbe bruciate.

Non badai a nessuno e ne piantai cento, centocinquanta.

Durante l’estate sembrava che i miei oppositori avessero avuto ragione, tanto erano striminzite, ma invece ora tutto il don Vecchi è in fiore. Al don Vecchi sembra primavera.

Nella vita bisogna lavorare, soffrire, avere il coraggio di andare contro corrente, ma soprattutto ascoltare il cuore, perché solo così prima o poi si può raccogliere qualcosa con letizia anche in un settore così marginale conviene ascoltare il buon Dio, Egli ha sempre ragione!

Sulla crisi economica

Mi pare di essere tornato ai tempi dell’ultima guerra mondiale: allora la radio trasmetteva ogni giorno “il bollettino di guerra” che comunicava gli aerei nemici abbattuti, i carri armati distrutti i prigionieri catturati.

Ora i termini usati sono un po’ diversi perché ogni giorno si parla delle centinaia di milioni di euro di capitalizzazione che sono ogni giorno bruciati, di indici negativi registrati dalle borse d’America, d’Europa o d’Asia.

Dapprima ho fatto un po’ fatica a capire questi “roghi” informatici, poi pian piano, ho finalmente compreso che le valute non rappresentavano più la ricchezza reale, ma rappresentano un mondo fasullo e fumoso, costruito ad arte, da agenti di borsa, pseudo operatori economici e furfanti di ogni risma che campano da nababbi sul sudore dei poveri e succhiano come vampiri i risparmi che la povera gente accumula per la vecchiaia o per i tempi difficili. In mezzo a questa guerra di euro e di dollari, di banche e di borse noi, gente che non conta, siamo come i civili inermi ed impotenti, che sperano aiuto solamente dal cielo.

La mia pensione finora, almeno finché vivo al don Vecchi, mi garantisce una vita relativamente tranquilla, non avendo bisogno né della mercedes, né di viaggi culturali transoceanici, né di vacanze alle Maldive. Quello che però mi preoccupa veramente sono i miei coinquilini dalla pensione di 516 euro al mese, costoro mi sembrano dei naufraghi aggrappati disperatamente al relitto del libretto della pensione.

Non so quanto potranno resistere, o se la guerra di cifre e di perdite in borsa li colpirà ulteriormente?

Prego che il buon Dio mi dia una mano per offrire anch’io a loro una mano, prima che affoghiamo assieme!

Far volontariato oggi è un dovere di tutti!

Una volta ancora il dover presentare ai fedeli il brano evangelico, durante l’Eucarestia domenicale, mi ha creato qualche difficoltà.

Settimane fa la pagina del Vangelo trattava della famosissima frase di Gesù: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”

Di primo acchito mi sentii imbarazzato di dover parlare di un argomento che mi sembrava ormai logoro e scontato.

Nel passato questa frase evocava i problemi dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, con le relative problematiche, degli sconfinamenti relativi che hanno generato, da una parte il cesaro-papismo e dall’altra il clericalismo.

Il problema non pare ancora definitivamente risolto. Ora si sono cambiati i termini per definire questo problema, tanto che è attualmente sulla bocca di tutti la “distinzione dei ruoli”, affermata da una parte e dall’altra, anche se poi si sconfina trattando “i ruoli” come elastici che si allungano o si accorciano a seconda del proprio interesse.

Nell’oratoria religiosa si indugia ancora sul dovere di “pagare le tasse” come se i doveri nei riguardi della comunità civile, in cui si vive, si riducessero al dovere di lavorare più di sei mesi all’anno in maniera che il governo possa sperperare senza eccessiva preoccupazione!

Nella mia riflessione mi è parso invece di capire che la “parte di Cesare” consiste soprattutto nel dovere di interessarsi della cosa pubblica, di partecipare attivamente, di reagire uscendo allo scoperto da un lato e dall’altro di mettersi a disposizione mediante il volontariato per supplire, per aprire soluzioni nuove, per tappare i vuoti che l’organizzazione pubblica non riuscirà mai a tamponare.

Sono arrivato a concludere che far volontariato non è una vocazione di pochi, ma un dovere di tutti, perché il Cesare di Roma è sempre lontano, distratto ed incapace di avere attenzione per i drammi spiccioli dei suoi sudditi!

Scientology

Le trasmissioni della televisione che mi interessano sono veramente poche, quelle di carattere politico mi fanno arrabbiare un po’, perché sono estremamente polemiche e i relativi conduttori sono quanto mai faziosi.

C’è n’è una di carattere sociale ed economico, condotta da una brava giornalista, ma che mi scoraggia perchè mette in luce in maniera cruda e spietata: incongruenze, imbrogli, raggiri di una classe corrotta e con nessuna sensibilità sociale, ma solamente preoccupata di raggiungere i propri interessi. C’è n’è un’altra di costume, condotta da un bel ragazzo, giovane, intelligente, ma spesso si risolve in grosse litigate con l’accavallarsi di interventi a squarcia gola!

Disordinato poi e smemorato come sono non so mai quando questa o quella rubrica vanno in onda e quindi le piglio a caso girovagando col telecomando.

L’altra sera mi sono fermato su una rubrica particolare, stravagante che mette a confronto truffati con i truffatori, la conduce un signore chiacchierone e simpatico, che lascia trapelare abbastanza palesemente le sue simpatie, prendendo le difese della povera gente raggirata dai numerosi lestofanti che campano a spese degli sprovveduti e degli allocchi.

Quella sera erano di turno i Scientology, con cui ebbi a che fare quando presentai il libro della Gardini che ha raccontato la sua “costosa” esperienza all’interno di quel movimento che, non so perché, si definisce religioso.

Un signore di Padova, evidentemente membro del movimento americano, mi chiese ripetutamente di incontrarmi per confutare delle cose non dette da me, ma dalla Gardini, per fortuna sono riuscito ad evitare l’incontro.

Finalmente ho capito di che gente si tratta e mi guarderò bene dall’aprire un dialogo con loro.

Ammiro il Cardinale Martini

Un mio amico, mi ha passato un ritaglio di giornale in cui appare il volto smunto e sofferente del Cardinale Martini, già vescovo di Milano, in occasione della presentazione di un suo libro circa il problema della morte.

Tutti sanno che dopo il tempo del raggiungimento della pensione, il cardinale, biblista provetto, si è ritirato in Palestina, in un ambiente in cui si respira il profumo della Bibbia ed in un paesaggio che offre una cornice adeguata alle Sacre Scritture, per continuare i suoi amati studi biblici.

Colpito dal male, è ritornato in un convento milanese dei Gesuiti per prepararsi alla morte. In quest’ultimo tempo della vita, questo grande vescovo, della più grande diocesi d’Italia, ha rivolto la sua ricerca e la sua riflessione su un tema che lo tocca molto da vicino e che non lascia alcuno indifferente, anzi che coinvolge in maniera drammatica tutti coloro che si trovano coscientemente nella sua stessa condizione.

Io ho sempre seguito con attenzione l’azione pastorale di questo vescovo, le sue prese di posizione, non sempre allineate al pensiero teologico corrente e anzi spesso, seppur in maniera garbata e prudente, anticipatrici degli orizzonti nuovi che si affacciano all’orizzonte della chiesa.

Ho sempre ammirato la sua pacatezza, il senso di responsabilità e prudenza e nello stesso tempo la sua intelligenza di precursore e il suo coraggio dall’uscire dalle file.

Ora mi trovo di fronte ad un uomo, ad un credente che però si fa domande, ha timore e forse paura del mistero della fine. E’ vero che Quattrocchi disse ai suoi uccisori “Vi farò vedere io come un italiano sa morire!”, però ogni uomo reagisce a modo suo di fronte al mistero, l’intellettuale sopraffine accetta la prova con più consapevolezza e meno ribalderia!

Io? Credo di non saper fare ne questo ne quello, per questo domando aiuto al Signore.

Una soluzione che non mi convince per l’ospedale dell’Angelo

Credo che la mia esperienza e la mia marginale collaborazione al servizio pastorale nei riguardi degli ammalati del nuovo ospedale siano definitivamente terminate.

In verità, da come erano impostate le cose, pensavo che la fase di transazione e di provvisorietà sarebbe durata molto più a lungo. Invece la soluzione è arrivata improvvisa, dall’oggi al domani, anche se del definitivo mi sembra non ne abbia neanche l’ombra.

Un sacerdote polacco, in Italia per motivi di studio e con una destinazione ben precisa è stato pregato di coprire per un anno la funzione di sacerdote assistente religioso nel nuovo ospedale.

La soluzione a me non convince per nulla, tutto mi fa pensare che essa sia una toppa, forse nuova, forte, intelligente e generosa, però sempre una toppa in un vestito talmente lindo e leggero, da ricordarmi il monito evangelico che mette in guardia da soluzioni del genere e che invita a metter il vino nuovo su otri nuovi.

Non voglio però minimamente imbarcarmi su discorsi del genere che riguardano il governo della chiesa e dei “generali” che predispongono le strategie pastorali; io sono vecchio, io non centro e se ho un ruolo è quello di pregare, soffrire e semmai riflettere a voce alta o con la penna.

Mentre mi fa riflettere e soffrire il fatto che il clero mestrino non si sia fatto carico di questo problema, così delicato ed importante e rimanga alla finestra a guardare, come capita per la cultura, l’arte, lo sport, la politica, il mondo del lavoro, la scuola e i mass-media, rinchiudendosi nel fortino della sacrestia, del catechismo e della liturgia.

So che lo Spirito Santo arriva improvviso e forte, solamente mi piacerebbe avere tempo per vederlo arrivare e squarciare le mura del cenacolo!

La bella scelta di due settentenni

Nella vita si incontra sempre tanta gente, ma spesso questi incontri assomigliano al solco che una imbarcazione lascia dietro a sé; dopo qualche minuto i bordi delle onde divisi dalla prora si riuniscono e la superficie ritorna piatta come se nessuno sia passato su quella rotta. Altre volte, però, per motivi particolari, di un incontro rimane un segno profondo, pressoché indelebile, che ti ricorda la sensazione e il motivo di quell’ approccio.

Qualche tempo fa sono venuti a salutarmi due cari e vecchi amici, con i quali abbiamo aperto una strada originale nel turismo parrocchiale; le uscite che avevano qualcosa della gita e qualcosa del pellegrinaggio, ma il cui assemblaggio, ben dosato di questi due elementi, diventava quasi un corso di esercizi spirituali condotti in forma piacevole, moderna, ma per questo non meno efficaci della soluzione suggerita da quel grande maestro di spirito che è stato Ignazio di Loyola.

“Don Armando siamo venuti a salutarla prima di partire per un pellegrinaggio al Santuario di San Giacomo di Compostela”. Normalmente di questo percorso i giovani ne fanno qualche chilometro a piedi, mentre gli anziani raggiungono l’antica meta dei pellegrini o in pulman o meglio ancora in aereo; del percorso dei pellegrini si limitano a leggerne la storia.

“Come ci andrete?” – “Evidentemente a piedi, ma ci limiteremo a fare del percorso solamente 200 km, abbiamo raggiunto i settant’anni e vogliamo chiederci, con questo cammino di fede, che cosa il Signore vuole da noi?”

Mi piace immaginare questi due coniugi, con ai piedi le pedule e lo zaino in spalla, riflettere come impegnare l’ultima trance della loro vita!

Quanta gente vive alla giornata, non valuta, non programma, non domanda a Dio luce e aiuto per centellinare giudiziosamente questi ultimi dieci, venti anni che forse rimangono loro da vivere?

La scelta di questi due settantenni mi costringe a pensare sul tempo che per me è certamente più breve!

Il rito religioso, a volte simbolo pressoché indecifrabile

Talvolta mi sorprendo che solo ora, dopo più di cinquant’anni di militanza sacerdotale, emergano dalla mia coscienza religiosa certe problematiche che nel passato non avevo avvertito o non avevo ritenuto così importanti come le sento ora.

Il problema che in questo ultimo tempo mi sta interessando quanto mai è la modalità con cui la religione traduce ed alimenta la religiosità o meglio ancora la fede.

La religione per me ha sempre rappresentato tutta quella impalcatura che ha lo scopo di aiutare l’uomo a scoprire la presenza di Dio in mezzo a noi, a cogliere il suo amore ed il suo messaggio e a dar modo al credente di sviluppare dentro il suo cuore e la sua coscienza: l’adorazione, la fiducia, la riconoscenza e tutto quello che una creatura deve sentire verso Colui che gli ha dato tutto e che continua a dargli la possibilità di vivere degnamente la sua vita e di tendere “ai cieli nuovi alle terre nuove”.

La religione adempie a queste funzioni mediante le norme morali, l’ascetismo e soprattutto il culto che traduce questo rapporto con Dio.

Ora, col passare dei secoli, il rito si è costantemente schematizzato, inscheletrito, diciamo pure “disumanizzato”. Tanto da diventare quasi un simbolo pressoché indecifrabile ed estraneo alla sensibilità e alla modalità del vivere.

Da ciò nasce nel mio animo l’urgenza e il dovere che il rito diventi più comprensibile, più ancorato al vivere quotidiano, più vicino al modo comune ed attuale dell’esprimersi della gente del nostro tempo; gesti, parole, segni devono riavvicinarsi maggiormente al modo comune che le persone hanno di esprimere i loro sentimenti.

Picasso dicono è un gran pittore, però solamente lo è per pochi addetti al lavoro non certamente per il popolo.

Non vorrei che la messa, la preghiera divenissero pian piano un dipinto di Picasso incomprensibile alla maggioranza degli spettatori che affermano che “è sublime” non sapendo però perché sia così sublime.

Per quanto mi è concesso di fare tenterò che la religione non scivoli sul magico, ma invece traduca fedelmente il pensiero e i sentimenti di chi sente il bisogno di parlare al Creatore.

Speranze per la presenza cristiana all’ospedale dell’Angelo

Il buon Dio è un grande artista ed un insuperabile architetto di uomini; ha pensato proprio a tutto!

Io ho ottanta anni e dovrei pensare soprattutto al tramonto e al passaggio della frontiera; eppure mi accorgo che un istinto profondo mi porta ancora a sognare, a far programmi, a progettare nuove avventure.

Questo fermento interiore forse sorretto solamente da speranze e da illusioni, mi aiuta però a non ripiegarmi in me stesso e a non ridurmi a passare il tempo tra la poltrona ed il letto.

Ho terminato da poco l’ultima avventura dell’ospedale; è stato un servizio modesto, parziale e limitato nel tempo e dalla volontà del responsabile, di questo settore pastorale, ma questa esperienza mi ha posto nella condizione di constatare le magnifiche e splendide prospettive che la chiesa veneziana ha anche in questo momento storico apparentemente poco favorevole alla proposta religiosa.

D’istinto la mia mente ed il mio cuore hanno cominciato ad elaborare progetti, linee pastorali, orizzonti per la pastorale della sofferenza.

Sono convinto che ci sono ancora delle splendide possibilità di lievitare cristianamente anche questo luogo della prova. Due mesi sono pochi e soprattutto offrono ancora meno possibilità quando il tuo compito è limitato da indicazioni precise, però credo che i sedici numeri del periodico “L’Angelo” abbiano aperto un varco, abbiano fatto sentire una presenza, abbiano offerto parole e sentimenti per dialogare con Dio.

La cappella con la sua splendida collocazione, la S. Messa vespertina, le due stanze annesse, un numero abbastanza consistente di volontari di salda matrice cristiana, potrebbero accendere una presenza cristiana calda e vitale, punto di riferimento per ammalati, medici, infermieri e familiari.

Credo che ci siano tutti i presupposti per un’azione di evangelizzazione efficace e costruttiva. Io avrei anche sognato che il giovane e il vecchio clero di Mestre si fossero fatti carico, con un po’ di buona volontà, anche di questo settore così delicato e significativo, ma andrà anche bene se il nuovo giovane sacerdote straniero potrà coagulare persone ed opportunità per realizzare il Regno anche in questo piccolo mondo della prova e della sofferenza.

L’epopea settimanale de L’Incontro

La rete di distribuzione de “L’incontro” è un po’ precaria. Chi va a portare il settimanale nella sessantina di luoghi in cui i lettori lo vanno a cercare, è sempre un volontario, che agisce quasi sempre di sua iniziativa personale, sia nel prelevare il numero di copie, sia nel giorno del prelievo.

I volontari poi del nostro Veneto e specie quelli veneziani o della gronda lagunare, sono per natura o per vocazione individualisti e perciò agiscono solamente spinti dall’istinto e dall’estro, ma meno che mai dalla disciplina o da regole ferree.

Da ciò nasce che i primi giorni della settimana soffro per la preoccupazione che un numero eccessivo di copie non giunga a destinazione, mentre il sabato e la domenica soffro pure perché sono preoccupato che la gente non trovi più il periodico perché ormai esaurito.

Mi pare un miracolo che ogni settimana ben quattromila copie del periodico giungano tutte a destinazione senza che mai ci sia una resa da mandare al macero come avviene per la stragrande maggioranza delle riviste e dei giornali.

L’economia poi de “L’incontro” è così precaria e risicata per cui riterrei quasi un sacrilegio che anche una copia non giunga a destinazione e d’altra parte il desiderio che questa proposta cristiana rivolta a più di dieci-quindicimila lettori è così forte per cui il problema della diffusione credo che rimarrà una preoccupazione per sempre.

Talvolta capita che qualche anima bella legga il settimanale e quando ha accumulato un certo numero di copie me le porti nella chiesa del cimitero perché dispiaciuto di buttarle nel cestino. Allora ne faccio un pacchetto con la dicitura “numeri pregressi” e quasi, per una strana magia, scompaiono ancor più rapidamente del numero della settimana.

Sono portato così a pensare che sono molti i concittadini che facciano la raccolta de “L’incontro”.

Qualche tempo fa un signore di una certa età mi chiese un numero di qualche settimana prima perché se n’era andato in montagna; io ne conservo tre quattro copie che a fine anno faccio rilegare per i tempi della nostalgia. Questo affezionato lettore, vedendo il mio dispiacere di non riuscire ad accontentarlo, mi consolò dicendomi: “Non si preoccupi, don Armando, me lo vado a leggere su internet!”

Il nostro tempo è sì pieno di cose brutte e di tristi figuri, ma fortunatamente accanto alla zizzania permette di crescere anche al buon grano!

Ateismo e crisantemi

Mi pare di avvertire che qualche cattolico e perfino qualche prete si senta quasi imbarazzato e confuso di fronte a certe dichiarazioni di ateismo fatte in maniera perentoria e costante sicumera da parte di qualche “luminare” della cultura del nostro Paese e per non far nomi mi riferisco al giornalista Augias, all’astrologa fiorentina, al professor Veronesi, al fondatore di “Repubblica” Scalfari.

So che la listarella è un po’ più lunga, perché ci sono sempre dei caudatari, ma non credo che in realtà sia proprio infinita.

Questi liberi pensatori, questi devoti della presunta dea ragione, ostentano una assoluta disinvoltura e si sentono, a buon mercato, le mosche cocchiere della emancipazione da un mondo credulone ed oscurantista!

Mentre io, che per cultura, sono un anatroccolo, vi confesso che non solo questi personaggi mi fanno pena per la loro prosopopea, ma faccio perfino fatica a compatirli per la loro presunzione!

Ricordo un’espressione dell’entomologo Faber che affermava: “Io non credo in Dio perchè lo vedo nell’istinto degli animali!”

Proprio in questi giorni passeggiando per il parco del don Vecchi, facevo una riflessione vedendo le centinaia di piante di crisantemi, piantati tra fine novembre e metà dicembre dello scorso anno, sul ciglio della passeggiata che abbraccia la grande struttura. Avevo raccolto i ceppi gelati dei crisantemi che la gente buttava nei cassonetti del cimitero, perché rovinate dalla pioggia e dal gelo. Questi ceppi se ne stettero raccolti nel grembo della terra durante l’inverno e a primavera iniziarono a germogliare, affrontarono impavidi, pur soffrendo, le calure dell’estate e poi a fine settembre cominciarono a metter bocci, ed ora, a metà ottobre, a fiorire tutti assieme, come obbedissero ad un ordine perentorio ognuno con la forma e il colore dello scorso anno. Non sarà mica il caso a metter d’accordo queste centinaia di piante, silenziose e modeste, che dico, questi milioni di piante e a comportarsi tutti allo stesso modo, umili ed obbedienti?

Caro Veronesi, caro Scalfari un po’ di sapienza e umiltà vi farebbero fare più bella figura!

Le preghiere che nessuno conosce più

Circa un anno fa entrando in una chiesa della città, trovai un opuscoletto, stampato artigianalmente, dal titolo abbastanza scontato dato il luogo ove l’avevo trovato: “Le preghiere del mattino e della sera”.

Il libretto era povero di contenuto e più povero ancora a livello tipografico. Comunque questa scoperta mi offrì l’opportunità di riflettere sul fatto che moltissimi cristiani oggi ignorano anche le più elementari formule di preghiera.

Da quando si è abbandonato il catechismo di San Pio X e da quando a scuola non si imparano più le poesie a memoria, la gente di quaranta o forse cinquanta anni in giù, non solo non conosce più una formula di preghiera, ma ignora ogni verità religiosa, non sa più scrivere una lettera e forse non riesce neppure a fare una dichiarazione d’amore.

La tecnica e la cultura del nostro tempo ci hanno ridotto a questo stato di povertà intellettuale e di capacità di esprimere i propri sentimenti in modo diverso dai monosillabi o dagli americani ok e ko!

Per me tutto può insegnarci qualcosa, se non in positivo, almeno in negativo.

Nel caso del libretto trovato in parrocchia, l’insegnamento è stato perfino doppio: in positivo, l’idea di raggruppare le principali e più semplici preghiere assieme al concentrato del pensiero evangelico rielaborato lungo i secoli della tradizione cristiana; in negativo, l’adoperare uno stile più dignitoso.

Risultato di questa operazione pastorale; abbiamo stampato cinque edizioni per complessive sei-settemila copie.

Credo che i cittadini di tutte le comunità cristiane della città, abbiano beneficato di questo povero, ma essenziale strumento di preghiera e tutto fa pensare che la richiesta continui perché le copie continuano ad andare a ruba. Unico neo dell’impresa pare che i parroci neppure s’accorgono dell’iniziativa o peggio la snobbino con atteggiamenti di superiorità teologica!

“Quando non riesci a pregare come vorresti, prega come puoi, ma prega!”

Le nuove congregazioni religiose, i movimenti e le associazione dei laici, che nonostante la grossa crisi religiosa che sta attraversando la chiesa e la religione in genere, continuano a nascere, hanno come componente costante un tempo cospicuo da dedicare alla preghiera.

Recentemente una giovane signora che appartiene alla comunità di Sant’Egidio, mi diceva che il momento forte della vita di questo movimento era l’ascolto e la meditazione della Parola e soprattutto la preghiera; lo diceva con tale convinzione che ero portato a crederle.

“I piccoli fratelli di Gesù”, che è uno dei movimenti più significativi dell’ ascetica attuale, pone l’accento sul tempo e sulla necessità di una preghiera prolungata. Queste affermazioni ricorrenti e generalizzate, mi creano un certo disagio ed un certo imbarazzo perché credo di non essere mai stato un grande orante.

Spesso durante la recita del breviario, che per un prete rappresenta un dovere importantissimo, mi scopro tra i pensieri e le immagini più impensate e lontane dalle parole che pronuncio con le labbra.

Anche durante la celebrazione dei divini misteri, sono costretto ad aggrapparmi spesso a qualche passaggio più significativo e importante. Per non parlare del rosario, la cui cantilena rappresenta per me un’occasione particolarmente soporifera.

Qualche giorno fa per fortuna ho letto una frase durante la meditazione che mi ha confortato un po’ e che trascrivo semmai ci fosse qualche altro cristiano che incontra le mie stesse difficoltà: “Quando non riesci a pregare come vorresti, prega come puoi, ma prega!”.

Mi auguro tanto che anche il buon Dio la pensi allo stesso modo, perché solamente così potrei riscattare i breviari, le messe e i rosari di tutta la mia lunga vita!

Come finì il mio incarico all’ospedale dell’Angelo

Date le premesse, pensavo che la mia supplenza all’Angelo sarebbe durata molto più a lungo, invece una telefonata e poi una visita di mons. Pistollato, ha messo improvvisamente fine al mio servizio a part-time presso il nuovo ospedale.

Fin dal primo momento il responsabile diocesano, per la pastorale nel mondo della sofferenza, aveva tracciato con molta precisione dei limiti molto precisi e stretti al mio servizio.

Dovevo dir messa e semmai dare l’estrema unzione a qualche ammalato “già morto” nella sostanza.

Forse questa preoccupazione del monsignor della Caritas si rifaceva alla sua esperienza di giovane prete a Carpenedo e alle mie affermazioni, ribadite più di una volta, che desideravo collaborare su un progetto serio e condiviso, mentre per ora all’Angelo non c’era neanche l’ombra di tutto questo e si navigava a vista, sperando che il tempo potesse in qualche modo portare delle soluzioni. Più volte ho pensato che se anche mi avessero chiesto di guidare questo servizio, cosa che credo non sia passata per l’animo di alcuno dei miei capi, sarebbe stato assolutamente un azzardo imbarcarmi in un’avventura così impegnativa e difficile a ottant’anni di età.

Fare il prete oggi, predicare il Regno e testimoniare il messaggio di Cristo, in un mondo secolarizzato e pochissimo interessato ai problemi religiosi, è particolarmente difficile, farlo in ospedale, quando ci sono preoccupazioni per la sopravvivenza e carenza di serenità, diventa ancora più tragico.

Forse è per questo che ritengo che lo staff che si occuperà della pastorale in ospedale, dovrà essere particolarmente coeso, impegnato, serio e generoso.

Spero proprio che il giovane prete, che arriva da un paese lontano e ancora ricco di fede possa riuscirci.