I nuovi scanali nella Chiesa

Ci mancava anche il corvo in Vaticano!
I giornali ci riferiscono della sofferenza del Papa e di certe macchinazioni di prelati della curia vaticana che stanno tentando di mettere le premesse per eleggere domani un Papa di loro gradimento.

Ho tentato di capire un po’, ho chiesto a della gente più preparata di me, ma non sono riuscito a cavare un ragno dal buco. Prima la cacciata in malo modo del presidente della banca vaticana con una lista di accuse pesanti, poi il maggiordomo che sottrae documenti segreti non si sa per farne che o consegnarli a non so chi, quindi una commissione di vecchi cardinali che si mettono a fare il mestiere della polizia giudiziaria e i pubblici ministeri! Mi ha dato l’impressione che si ritorni ai secoli di piombo, mentre il Santo Padre appare sempre più fragile, tanto da non riuscire più a fare i quattro passi per percorrere la basilica di San Pietro. Povero Papa, alle prese prima con i preti pedofili, poi con i prelati cospiratori!

Il Papa mi fa sempre più tenerezza e mi desta infinita ammirazione per il coraggio e la determinazione con cui tenta di far pulizia nell’apparato di Santa Madre Chiesa.

Tutti questi guai ci vedono sgomenti, però ci fanno anche sperare in una purificazione profonda che si sbarazzi dei rimasugli di un apparato burocratico, retaggio dei tempi del triregno.

La voce più onesta e più accorata tra le voci lagnose e scontate che ho sentito deprecare l’accaduto ed esprimere solidarietà al Papa, è stata quella di don Gallo, il vecchio prete dei portuali e dei poveri di Genova, il quale ha esclamato in maniera accorata: «Questa non è la mia Chiesa, la Chiesa che amo e per cui vivo!» Mi è parso di notare in quella voce l’auspicio di una “Chiesa in grembiule”, come l’ha sognata don Tonino Bello, il compianto vescovo di Barletta.

I preti e i cristiani, e soprattutto i prelati che non vivono a contatto con i poveri, che non sono in dialogo con gli uomini reali del nostro tempo, diventano fatalmente dei burocrati dell'”azienda Chiesa” e fatalmente sono tentati dalla spirito del “mondo” da cui Gesù ci ha nesso in guardia.

Basta con l’assurda logica delle armi!

Un concittadino che mi onora della sua amicizia, un mese fa mi ha donato un libro di Primo Levi: “La tregua”.

Di questo autore avevo letto, una decina di anni fa, una antecedente opera: “Se questo è un uomo!”, lungo racconto della sua “passione”, durante la guerra, nel campo di concentramento di Auschwitz.

La lettura di quel volume ha segnato profondamente la mia coscienza e turbato il mio animo in maniera talmente forte da farmi rifiutare la guerra in maniera assoluta. Non solo! Ma a farmi provare una repulsione istintiva ed assoluta per tutto quello che si rifà alle armi e alla retorica che avvolge il mestiere più assurdo, che è quello del soldato.

Durante i miei studi di morale, avevo appreso la distinzione tra guerra giusta ed ingiusta, i discorsi sulla legittima difesa a livello personale o nazionale; ora però rifiuto e ritengo disumano e sacrilego ogni scontro armato da qualsiasi ragione sia motivato.

Da bambino sono stato balilla ai tempi del Duce, e durante gli anni della scuola elementare e media sono stato educato da una retorica nazionalista a tutto spiano. Ora però il mio rifiuto della logica delle armi è assoluto, tanto che mi danno fastidio perfino le alabarde e le armature delle guardie svizzere del Vaticano – che in realtà sono poco più che soldati da operetta!

I racconti di Primo Levi, vittima dell’antisemitismo, e poi i successivi approfondimenti, mi hanno fatto capire a quale brutalità e degrado umano faccia arrivare il nazionalismo e la mentalità che anima qualsiasi esercito del mondo.

Già in passato ho scritto del mio rifiuto di festeggiare la nostra repubblica con la parata militare, e l’ho fatto per motivi di carattere economico, ma ora lo faccio soprattutto per la logica che supporta quell’infinito numero di cittadini in armi che sono assolutamente inutili per il bene del Paese, gravano sulla sua economia e, qualora entrassero in azione, non produrrebbero altro che quella barbarie assurda, stupida e nefasta descritta così crudamente nei volumi di Primo Levi, l’ebreo torinese che sopravvisse al Lager, ma non alle conseguenze, tali da portarlo al suicidio.

Anche lo scorso 2 giugno, vedendo la sfilata di tanti concittadini in armi, le loro divise, i loro petti carichi di medaglie, il loro passo marziale e la retorica propria di ogni esercito, ho provato malinconia, rifiuto e persino ribrezzo ed ho sognato che ci capiti un nuovo presidente della repubblica che la sostituisca con un ballo o con una sagra paesana a livello nazionale.

Dico tutto questo, pur provando sommo rispetto per chi ha dovuto pagare con la vita l’insensatezza dei governi del passato e del presente.

La dottrina di Madre Teresa di Calcutta

Proprio in questi giorni ho terminato di leggere il volume che il settimanale “Famiglia cristiana” ha recentemente pubblicato su Madre Teresa di Calcutta, fondatrice di una delle ultime congregazioni che sono nate nella Chiesa di oggi. Questo volume non si può definire “biografia”, perché di essa traspare solamente un po’ dal testo e un po’ dalle note di chi ne ha curato l’edizione. Credo che il volume si possa considerare il testo col quale questa piccola grande donna di Dio espone il suo pensiero e la sua dottrina.

Mi ero illuso di trovarvi dentro quei “pezzi di pregio” che vengono riportati un po’ ovunque nella stampa di carattere religioso, ma neppure questo vi si trova nel corposo volume. Il discorso che Madre Teresa fa, sembra la raccolta di ammonizioni che lei fa alle sue discepole per passar loro i punti fondamentali della sua scelta spirituale.

Madre Teresa ritorna, quasi in maniera ossessiva, su alcuni punti che devono caratterizzare la sua congregazione: vivere in maniera assolutamente povera, porsi al servizio dei poveri più poveri, fidarsi in maniera totale dell’aiuto di Dio e non chiedere aiuti da nessuno, amare e servire Gesù nei più poveri ed abbandonati, far capire che scegliere di aiutare i poveri è un dono ed una grazia, scegliere i loro assistiti tra gli ultimi nella scala della povertà ed abitare edifici semplici e modesti.

Ebbene, pur con questa “dottrina”, che sembra assolutamente ardua o forse impossibile, Madre Teresa ha reclutato in questo momento difficilissimo per le vocazioni religiose, un vero esercito di discepole e di aderenti e ha fondato case in tutti i Paesi del mondo, sia in quelli più poveri, come in quelli più ricchi, case aperte per gli uomini dell’ultimo livello umano e sociale. Con questa dottrina a Madre Teresa si sono aperte tutte le porte di nazioni di cultura cristiana, mussulmana o totalmente laica.

Il volume, confesso, mi ha messo in crisi, ma credo che metterebbe in crisi il Vaticano, i vescovi e le canoniche con i relativi occupanti.

Sono convinto che il messaggio di Cristo oggi possa farsi accettare dagli uomini del nostro tempo solamente quando si manifesta con scelte radicali e contro corrente e sia testimoniato con questa assoluta coerenza.

Il movimento neocatecomenale al Family Day: che bella testimonianza!

Qualche settimana fa ho seguito alla televisione il Family Day di Milano. E’ stato uno spettacolo veramente straordinario! Il cardinale Scola, che aveva fatto le prove generali a Venezia quando è venuto il Papa a San Giuliano circa un anno fa, ha superato se stesso, organizzando uno spettacolo veramente stupendo.

In ogni caso mi pare sia stato quanto mai opportuno riproporre all’opinione pubblica una visione alta e sublime della famiglia.

Io rimango del parere che le guide e i maestri della nostra nazione e dei popoli debbano proporre sempre e comunque i modelli più alti e più nobili, perché l’utopia, benché mai completamente realizzabile, deve costituire sempre una méta, un punto di riferimento a cui puntare, specie in questo momento di irrequietezza e di confusione nel quale non si fa che discutere su modelli più degradati e poveri di questa cellula della nostra società che sta alla base del vivere civile.

E’ stato straordinariamente bello vedere come ci sia un denominatore comune del concetto di famiglia secondo la concezione cristiana che attraversa i popoli di tradizione e di cultura più diversi. La testimonianza offerta da Milano non credo che non possa che far bene, in un mondo in cui i mass-media che costruiscono l’opinione pubblica, spesso danno voce ed immagine alle soluzioni più scadenti e più spesso alle patologie della famiglia piuttosto che alle realizzazioni più felici. Con questo non credo che si debbano dimenticare e non si debba provvedere anche ai modelli non riusciti e sfasciati.

In questa occasione avevo ingiustamente avuto la sensazione che la Chiesa veneziana fosse rimasta piuttosto assente a questo evento ecclesiale quanto mai rilevante, invece ho letto nel periodico della parrocchia mestrina di San Giovanni evangelista, che ben 330 fedeli di quella comunità erano partiti per Milano per dare la loro testimonianza.

Mi fa felice apprendere e segnalare questa partecipazione così numerosa. Io sono sempre stato perplesso, per motivi personali, nei confronti del movimento neocatecumenale, però sono felice di sottolineare questo aspetto positivo, che credo sia uno dei punti di forza di questo movimento ecclesiale.

Se usassi le parole di Gesù…

Forse soltanto oggi capisco il perché Gesù sia stato così categorico e mi verrebbe da dire, spietato, con l’ipocrisia dei farisei. Ho l’impressione che la teologia, la Bibbia e l’esegesi, abbiano trascurato alquanto questo aspetto del comportamento di Cristo durante la sua vita terrena nei riguardi dell’ipocrisia della Chiesa e delle istituzioni ecclesiastiche del tempo, mettendo in sordina parole e comportamenti del Maestro.

Qualche giorno fa, mentre una volta ancora riflettevo sul come dar volto oggi a Gesù, a livello personale ed ecclesiale, mi veniva da pensare che se adoperassi lo stesso linguaggio, la stessa veemenza che Cristo usò nei riguardi dell’ipocrisia farisaica, da un lato mi buscherei una denuncia per “oltraggio alle istituzioni” e dall’altro lato una “sospensione a divinis” o una “condanna al confino” in una parrocchia “alla Barbiana”, come toccò a quel profeta del nostro tempo chiamato don Lorenzo Milani, che da fiorentino e da sacerdote, ascoltava la propria coscienza piuttosto che le convenienze sociali della società e dell’apparato ecclesiastico.

Pare che criticare i comportamenti, anche i più incoerenti, di coloro che sono al potere, sia un “delitto” di lesa maestà, che gli “ultimi” non debbano permettersi.

Oggi voglio riferirmi ad un episodio recente e da tutti conosciuto, ma lascio ai miei amici di applicare il criterio di Gesù nei riguardi di tutti coloro che in qualche modo e per i motivi più diversi rappresentano l’autorità e la gestiscono con comportamenti poco coerenti.

Che siamo sull’orlo del precipizio, tutti ce lo ripetono e il nostro presidente della Repubblica, che dovrebbe rappresentare la nazione e per scelta politica di un’intera vita dovrebbe essere “la voce degli operai” e dei più poveri, lo grida un giorno si e l’altro si. Eppure, nonostante che tutti dicano che le istituzioni stanno perdendo il raccordo col popolo, nonostante ci siano almeno cinque milioni di pensionati che vivono con 500 euro ed un’altra quindicina con mille euro al mese, che gli imprenditori si suicidino per il fallimento delle loro aziende, il nostro presidente ha voluto, con ostinazione di miglior causa, la parata militare del 2 giugno e il relativo rinfresco per le alte cariche dello Stato.

Quanto avrà speso? Io non lo so, però io che quest’anno volevo far contenti i miei vecchi, ho incaricato il catering per il rinfresco per cento persone ed ho speso 700 euro; penso che il rinfresco del Quirinale sia costato qualcosetta di più.

Quando poi penso che l’appannaggio di Napolitano è superiore a quello della regina d’Inghilterra e del presidente degli Stati Uniti d’America, mi chiedo se questa non è l’ipocrisia che deve essere bollata con le parole roventi di Cristo.

Di cose di questo genere sono ancora piene zeppe le classi dirigenti del nostro Paese; purtroppo, se invece di Grillo, ci fossero persone più serie, quanto sarebbe opportuno condannarlo da tutti i pulpiti.

“Il sintomo del domani”

Il Sommo Pontefice, quando è venuto a Venezia lo scorso anno, ed è andato alla Madonna della Salute – più che per venerare la “Madonna di Venezia” per vedere il Marcianum, la “perla” che il vecchio Patriarca Scola lasciava alla città e alla Chiesa – riferendosi alle acque alte costantemente mosse della nostra laguna, ha parlato del pensiero “liquido” del nostro tempo.

Quello della “liquidità” dei valori fragili, irrequieti e mobili del nostro tempo, è una formula di pensiero che credevo fosse una locuzione alla “moda”, pur intuendo che le grandi verità, i principi metafisici, i valori portanti, la legge naturale e via di seguito, soffrono oggi di notevoli crepe; ma non pensavo che si fossero ridotti in “magnifiche rovine del passato” da visitare come si visita Ostia o Pompei!

I derivati, l’indotto poi di queste reliquie del passato, quali la democrazia, la rappresentanza dei cittadini, il mandato elettorale, parlamento, istituzioni e codici, hanno subìto non un maremoto, ma uno tsunami che sta rovesciando un po’ tutto e portando alla deriva, come rottame, tutto un impianto che è crollato sotto l’ondata di monta della nuova società.

Io mi sono quasi sorpreso di essere rimasto legato ai vecchi schemi mentali, alle vecchie categorie di pensiero, mentre il mondo nuovo ha già tutto messo in crisi e spesso travolto, da uno sviluppo complessivo del pensiero umano che oggi corre enormemente più veloce che nel passato. Il “sistema copernicano” è superato checché ne dicano i Soloni del nostro tempo!

Scrivo queste righe avendo appena assistito al programma televisivo “Mezz’ora”, condotto dalla Annunziata. Questa intelligente, ma altrettanto faziosa giornalista, ha intervistato Orlandini, il segretario della Fiom, che io avevo semplicemente detestato al tempo in cui Marchionne uscì dalla Confindustria per scrivere un nuovo contratto tra la Fiat e i suoi dipendenti, e ho avuto la riprova di quanto siano assolutamente liquidi i supporti del concetto di democrazia, di rappresentanza politica, di legalità, di rapporto tra lavoratori ed impresa.

Nella trasmissione c’è stato poi un intervento di un economista italiano che vive a Londra, che il nuovo sindaco “grillino” di Modena ha nominato come consulente economico della sua giunta, che ha dato un colpo di grazia all'”ancient régime”.

Ho l’impressione che tutto quello che fino a ieri mi aveva convinto che fosse “il pericolo” e la negatività per la società e per la Chiesa, sia invece “il sintomo del domani”.

Almeno per quello che mi riguarda starò molto più attento nel rifiutare “per principio” l’innovazione, anche la più radicale.

Il ministro Severino

Io non conosco particolarmente il nuovo ministro della giustizia del “governo tecnico” di Monti, ma confesso che l’avv. Severino mi è quanto mai simpatica e d’istinto mi ispira fiducia.

Credo di avere inoltre alcuni motivi validi che giustificano e supportano la mia simpatia.

Innanzitutto ho saputo che è una professionista assai affermata e benestante, tanto che ha denunciato al fisco una somma assai consistente. Ora, una persona benestante, stimata e ricca, che mette da parte il suo studio legale avviato per salvare il Paese allo sfascio e per trovare un rapporto più corretto con la magistratura – che, ormai l’abbiamo appreso da molti anni, è una gatta difficile da pelare – è certamente degna di stima e di riconoscenza. Sono ormai mesi che per suo merito non si avverte più la continua e scandalosa querelle tra il ministro e la “congregazione” dei magistrati, abituati a comportarsi sempre come “prime donne” suscettibili e capricciose.

Poi, pur avendo la Severino una menomazione fisica evidente, disabilità che credo sia particolarmente pesante per una donna, la vedo sempre presente a tutti gli appuntamenti in cui si dibattono i problemi della giustizia e sempre puntuale, pacata ed autorevole, tanto che raramente la sento criticare da quel sindacato di magistrati che precedentemente non era mai contento di niente.

Mi pare poi che le sue proposte, per la modifica del codice, per lo sfollamento delle carceri, per le pene alternative alla detenzione, ed ora soprattutto per il progetto di impiegare i carcerati nella ricostruzione degli edifici danneggiati o distrutti dal terremoto, siano quanto mai sagge ed opportune. Dissentirei solamente sul numero: per me dovremmo impiegare non cinquecento, ma cinquantamila cittadini in carcere per lavori di utilità sociale. Non ho mai capito perché la società debba pagare il mantenimento in carcere di tanta gente che ha sbagliato; sarebbe elementare che essi, come avviene per tutti, si guadagnassero il pane col sudore della loro fronte, anzi fossero costretti per legge, al fine di espiare i loro errori, a destinare alla società una grossa parte del loro guadagno, perché lo si destini alle categorie in difficoltà.

Se il ministro della giustizia continuerà a rinnovare radicalmente l’apparato, la mentalità, le leggi che hanno regolato questo settore così importante della vita civile, piuttosto che litigare con certi legulei arrivati, credo che sarà benemerita ed apprezzata da tutti.

Tre letture impegnative

Ora credo di essere impegnato su troppi fronti. I miei cari amici, apprendendo dal diario che continuo a leggere, che mi lascio mettere salutarmente in crisi dalle mie letture, facendole conoscere al prossimo e confidando le reazioni che esse provocano nella mia coscienza, continuano a regalarmi volumi su volumi. Ognuno mi passa dei testi che a lui interessano e che pensano possano essere utili alla comunità attraverso la mia mediazione.

Ora però sono quasi risucchiato da un gorgo, perché questi volumi mi interessano quanto mai, ma procedo con estrema lentezza nella lettura per mancanza di tempo. Quando mai avrei immaginato che da pensionato avrei avuto ancora poco tempo per cercare la verità? Eppure è così! E devo aggiungere che mentre in giovinezza leggevo romanzi e pensavo che essi mi aprissero gli occhi sul pensiero del nostro tempo, ora leggo volumi che mi spalancano gli stessi occhi su nuovi orizzonti più vasti ed infinitamente interessanti.

Credo opportuno confidare agli amici cari che oggi sto cominciando a leggere dal volume più facile, ma non meno pungolante per la testimonianza estremamente pregnante che vi è contenuta: “Tutte le sfide dell’Abbé Pierre”, un testimone di Cristo del nostro tempo che si lascia coinvolgere e partecipa a tutte le sfide della cultura e dei problemi degli uomini del nostro tempo. L’Abbé vive sempre in prima linea portando il suo contributo perfino ardito ed azzardato. Questa lettura mi mette in crisi come uomo, come cristiano e soprattutto come prete.

Il secondo volume è di Adriana Zarri. Pensavo di aver chiuso con questa teologa del dissenso, con questa creatura che scruta la Chiesa per scoprire la sostanza, l’elemento portante della fede. Il volume che sto leggendo, “Teologia del quotidiano”, è una specie di antologia di suoi saggi d’ordine religioso, mette a fuoco miei dubbi sopiti, le mie intuizioni azzardate, le mie preoccupazioni e i miei sogni sulla fede e sull’essere cristiano. La Zarri è una pensatrice cattolica ben più grande di quanto avessi supposto.
La lettura però procede a rilento perché è difficile. La Zarri sta mettendo la mia religiosità in un crogiolo e mi fa prendere coscienza che ben poco oro esce da un mucchio enorme di spazzatura culturale che ho accumulato in tanto anni di vita.

L’ultimo fronte aperto è quello offertomi dall’antico filosofo greco Epiteto. Il suo modo di ragionare mi mette, ad ogni pié sospinto, con le spalle al muro, facendomi constatare la mia superficialità, la mia insipienza e la mia gestione sconclusionata ed assurda delle risorse spirituali che posseggo.

Non ricordo se sia stato Aristotele o Platone ad affermare che “la sapienza vera è sapere di non sapere”. Ebbene, Epiteto me lo ricorda ad ogni riga! Povero me che mi trovo ad ottant’anni con un pugno di mosche in mano!

Un altro punto di vista sulla questione dei cristiani divorziati

Il Sommo Pontefice, durante l’incontro oceanico del “Family day” di Milano, ha manifestato, ancora una volta, l’attenzione, la comprensione e l’amore della Chiesa verso i cristiani che per i motivi più diversi hanno divorziato, e li ha invitati a sentirsi parte integrante della comunità cristiana e a partecipare alla sua vita.

Però, in quella stessa occasione, ha ribadito che questi fedeli non possono accostarsi ai sacramenti, cioè a vivere in pienezza la vita della comunità dei credenti.

Il Papa è il Papa, ossia il successore di Colui al quale Gesù ha consegnato le “chiavi pesanti” della Chiesa, mentre io sono ben cosciente di essere un povero vecchio prete, poco colto e soprattutto poco santo, ma nonostante questo da decenni continuo a pregare perché gli uomini di Chiesa, quelli che “sanno” e che comandano, riescano a scoprire e a convincersi che qualche soluzione possibile ci deve pur essere e perché lo Spirito Santo li illumini in maniera più forte e risolutiva.

Fino a poco tempo fa mi sono aggrappato ad una frase di Gesù che ha detto, a chi gli obiettava che “il padre Abramo” aveva concesso il divorzio in casi particolari, che all’inizio non fu così e che Abramo aveva fatto una deroga al progetto illuminato di Dio “a causa della durezza dei loro cuori”. Motivo per cui mi veniva da suggerire a chi conta nella Chiesa che “la durezza delle coscienze degli uomini dei nostri tempi non è di certo meno dura di quella degli uomini del tempo di Abramo!”

Sennonché qualche mattina fa ho sentito a Radio Rai un prete che ha scritto un libro su questo argomento, che affermava che quando un divorziato pentito si fosse confessato del peccato di non aver mantenuto un patto che aveva sottoscritto davanti al Signore, era perdonato e così poteva convolare a nuove nozze. Il prete continuava affermando che così avveniva nella Chiesa primitiva, così avviene nella Chiesa ortodossa e in molte “confessioni” protestanti.

L’argomentazione m’è parsa convincente. Spero che qualcuno faccia pervenire il volume al Papa o alla congregazione dei sacramenti. Chissà che lo Spirito Santo non si serva di questo prete, di cui non ricordo il nome, per riaffrontare positivamente questa annosa questione. Noi preti dobbiamo assolvere anche il peggior delinquente. Perché non dovremmo concedere il perdono di Dio anche a chi ha sbagliato moglie o marito?

I titoli ecclesiastici e l’immagine della Chiesa di oggi

Mi è capitato recentemente di leggere un trafiletto su “Famiglia Cristiana” in cui un certo Giorgio D. riteneva esagerati ed anacronistici certi titoli ecclesiastici, quali “santità”, “eminenza”, “eccellenza”, “monsignore”.

Con mia sorpresa il curatore della rivista cristiana risponde con moderazione e con garbo, che lui pure è del parere che questi titoli oggi siano anacronistici e arrischino di far apparire la Chiesa “un pezzo di antiquariato” sopravvissuto ai tempi.

E’ da molto, che quando sento queste locuzioni – che pure io adotto per non apparire irrispettoso verso chi le porta, non so se per convinzione o solamente per tradizione – ho la sensazione di un retaggio spagnolesco che mi evoca, per associazione di idee, Don Chisciotte.

Io ormai ho un’età avanzata e qualche “anima candida” ritiene quasi impossibile che io non mi possa fregiare almeno del titolo di monsignore, data l’inflazione che c’è a questo riguardo, e perciò si rivolge a me appellandomi in tal modo; confesso che mi provoca un po’ di fastidio perché so che non appartengo alla categoria e, peggio ancora, non sono un fan della stessa.

Confesso inoltre che, pur accettando le vesti liturgiche, sempre che non siano troppo sgargianti ed ampollose, quando sacerdoti e vescovi compiono i sacri riti, non sono invece favorevolmente impressionato quando gli ecclesiastici che partecipano a cerimonie civili o semplicemente di carattere sociale, abbondano in tonache rosse o nere con filettature rosse in mezzo a persone in giacca e cravatta o semplicemente vestite come tutti.

Non sono per nulla convinto che il bene della Chiesa e l’affermarsi del messaggio evangelico dipenda da questo folklore ecclesiastico, ma è pur vero che provo lo stesso sentimento e sono tentato di valutare alla stessa maniera certe vecchie signore o onorevoli signori che si rifanno nel vestire più all’ottocento che al terzo millennio.

La Chiesa che sogno veste più poveramente e in maniera più simile alla gente del nostro tempo.

Ripeto che questo aspetto della vita della Chiesa è estremamente marginale, però arrischia che l’opinione corrente non la collochi nel presente, o peggio ancora nel futuro.

Elemosina o non elemosina?

In merito all’elemosina – perché l’offrire 5 o 10 euro a chi ti chiede di aiutarlo non credo che possa essere considerato un gesto che fa parte della carità cristiana o della virtù civile della solidarietà – finora ho sempre agito rifacendomi a due punti di riferimento che, a livello formale, si contrappongono, criteri che mi sono stati donati da due persone che meritano stima perché autorevoli.

La prima “sponda” è quella offertami dal mio “maestro” a livello pastorale. Mi diceva mons. Vecchi, prima mio insegnante e poi mio parroco: “Vedi, don Armando, fare l’elemosina al povero che ti chiede aiuto è certamente buona cosa, ma se tu costruisci un’opera a favore di chi è in difficoltà, non aiuti solamente una persona e per una sola volta e in maniera esaustiva, ma offri aiuto a chi ha quello specifico bisogno per almeno cento o duecento anni e in maniera più consistente e più esaustiva”.

Questa dottrina, e soprattutto l’esempio, di mons. Vecchi, mi ha dato la possibilità di offrire 315 alloggi per 99 anni con la possibilità di aggiungere altri 99 anni ai concittadini che hanno bisogno di alloggio.

La seconda “sponda” me l’ha offerta “una piccola sorella di Gesù” che io un giorno ho invitato a pranzo. Quel pranzo, almeno due o tre volte, è stato interrotto da questuanti che chiedevano l’elemosina. Chiesi a quella donna di Dio che aveva scelto di condividere la condizione di vita dei più poveri, che cosa pensasse in merito all’elemosina. Questa splendida religiosa si schernì dicendo che io avevo più esperienza, ma su mia insistenza mi disse: “Vede, padre, anche un piccolo gesto, che pur non risolve il bisogno, rappresenta sempre un segno di amore e di fraternità che fa sempre del bene a chi lo riceve e a chi lo offre”.

Non aveva torto neanche lei. Motivo per cui mi trovo nella situazione dell’asino di Bulidano. Alla mia tarda età non so ancora quale soluzione prendere. L’ultimo imbroglio in cui sono caduto è stato l’altro ieri, quando un signore in malearnese mi supplicò di dargli qualcosa, dicendomi che abitava nella mia vecchia parrocchia in via Sappada. Gli diedi 20 euro, un po’ malvolentieri perché sto risparmiando per il “don Vecchi 5”. Ho fatto delle ricerche, ma in via Sappada nessuno ha mai visto il mio “povero”.

Dovrei aver ricevuto una buona spinta per la prima soluzione, sennonché ieri, ad un postulante a cui do 15 euro settimanali, quando mi chiese un’aggiunta per una medicina, rifiutai. Ma ho detto messa con un magone, quasi che Gesù, che tenni tra le mani, fosse imbronciato perché non l’avevo accontentato.

Una splendida gita-pellegrinaggio a Caorle

A fine maggio sono andato a Caorle, con gli anziani del “don Vecchi” e non, utilizzando una “scoperta pastorale” del tempo in cui mi occupavo degli anziani della parrocchia. Chiamavamo, e continuo a chiamare queste uscite pomeridiane verso una delle mete che ci offre il nostro Veneto, “gite-pellegrinaggio”. La soluzione risulta economica, poco faticosa per gli anziani, assai gradita e ricca di proposta spirituale.

Partenza alle ore 14,30, dopo il pranzo e il riposino, due pullman gran turismo, la possibilità di una bella chiacchierata per raggiungere la meta, messa con un messaggio ben preciso con presentazione, preghiere dei fedeli ad hoc, canto, intervento culturale per rendersi conto della storia e dell’arte della ridente cittadina che s’affaccia sulla sponda dell’Adriatico, merenda casereccia a base di pane e salame, prosciutto e formaggio, vinello bianco e bibite assortite. Il tutto per la “misera moneta” di 10 (dieci) euro!

Concentrare tanti vantaggi in una sola mezza giornata e con la spesa di 10 euro, rappresenta un miracolo veramente gradito dagli anziani.

Anche il tempo è stato benevolo e ci ha permesso di fare tutto. In più ci ha dato la possibilità di una passeggiata fino al piccolo santuario della Madonnina dei pescatori per dire una decina di rosario, ricordando alla Vergine i nostri vivi e i nostri morti, i problemi e i progetti. Concludendo abbiamo intonato “Madonnina del mare”, un canto dolce ed esaltante sul ritmo di un valzer non troppo lento, che ha portato con dolcezza in cielo la nostra preghiera.

Poi abbiamo potuto concederci una passeggiata percorrendo il corso ed inoltrandoci nelle stradine strette dell’antico borgo di pescatori, ora arricchiti col turismo, le cui case si rifanno alla tavolozza di quelle di Burano, ma in una cornice molto più ricca ed intensa.

Qualcuno dei nostri vecchi si è concesso il lusso di sedersi al bar e farsi servire il caffè come i signori o i turisti; qualche altro s’è preso i calamari bollenti al cartoccio, passeggiando ed intervallando le chiacchiere con quel pesce fresco e prelibato.

Al ritorno poi la signora Laura e Gianni si sono avvicendati in uno show a base di barzellette, per cui non è mancato neppure il cabaret!

Siamo tornati e anche i vecchi più brontoloni hanno convenuto che il mondo è più bello di quanto pensassero, la vita più cara e gli amici più simpatici.

Ditemi se questo non è un “miracolo”. E a soli dieci euro!

Devo ripensare al mio giudizio sul Movimento cinque stelle

Un paio di settimane fa, nel piano della campagna elettorale per le amministrative, avendo visto alla televisione ed ascoltato qualche momento e qualche battuta di un comizio di Beppe Grillo, il comico genovese, ho provato un sentimento di totale rifiuto. Grillo m’è parso un istrione, un vendivento, un ciarlatano da fiera.

Anche ora, pensando al suo modo di arringare la numerosa folla che assisteva al suo spettacolo da circo, provo la stessa sensazione di fronte al suo modo assolutamente insolito di tenere un comizio.

Forse frettolosamente mi sono accodato ai politici professionisti che hanno tentato di squalificarlo affibbiandogli l’etichetta di leader dell’antipolitica.

Ero e sono preoccupato che si diffonda l’idea che il dedicarsi alla politica sia un’attività losca, quasi da magia, e che in assoluto sia una cosa sporca. Mentre il dedicarsi al servizio di interessi della cosa pubblica e non solamente personale, è una scelta veramente nobile ed altruista. Almeno su questo sono d’accordo con Napolitano, pur con tutte le precisazioni ch’egli sempre non manca di fare.

Poi è venuto il successo del Movimento a cinque stelle e il trionfo a Mira dove un “ragazzino” poco più che ventenne ha soffiato il posto al sindaco della roccaforte rossa nella quale i comunisti hanno regnato indiscussi da più di sessant’anni.

Stamattina (quando è stata scritta questa riflessione, NdR) su “Il Gazzettino” c’era la foto dei componenti della nuova giunta: mi è sembrata l’immagine di una squadretta amatoriale di calcio che immortalava una vittoria ottenuta nel campetto della parrocchia: volti giovanili, aperti, sorridenti, nei quali non si scorgevano per nulla le preoccupazioni per il bilancio, le alleanze e le scelte politiche.

L’apprendere poi che i costi della campagna elettorale assommavano a qualche centinaia di euro, che la festa della vittoria s’è fatta consumando qualche panino; apprendendo che si attiveranno la riduzione dei funzionari comunali, la riduzione dello stipendio del sindaco e dei suoi assessori, mi sono trovato a ripensare ai miei giudizi frettolosi e forse condizionati dal modo di fare dei volponi della politica malsana.

Certo questi ragazzi ne avranno di ostacoli da superare, di tentazioni da vincere. M’è tornato alla mente, con preoccupazione, il protagonista del romanzo “E le stelle stanno a guardare”, un minatore che riesce a farsi eleggere parlamentare del Regno Unito, ma viene fatto ricacciare dai furbi, sconfitto, nelle viscere della terra, mentre le stelle, fredde e beffarde, guardano dall’alto la sua sconfitta.

Non sia mai così. Ho deciso di dire una preghiera assieme a don Gino, il parroco di Mira, perché questo non avvenga ai ragazzi della sua parrocchia.

Certi “passaggi” sono davvero impegnativi

Venerdì scorso ho salutato Emma Busso, la signorina novantenne che ha vissuto i dieci anni più belli della sua vita al “don Vecchi”. Avendole dovuto affiancare una badante part-time, lei che è sempre vissuta poveramente, rammendando vestiti alle dipendenze di sua madre quanto mai autoritaria, s’è perfino illusa di essere “una signora” che aveva alle sue dipendenze una “serva” a cui poter comandare.

La signorina Emma me la sono portata in dote da Carpenedo, diventando per lei, che non aveva parenti, ma solamente qualche cognata con cui non aveva rapporti a causa del suo carattere un po’ scontroso e diffidente, sono diventato quasi l’unico, il suo unico punto di riferimento, ma anche l’amministratore delegato dei beni provenienti dalla sua pensione di 480 euro mensili!

Prima che partisse “per una cura speciale in clinica”, “le ragazze” l’avevano portata dal parrucchiere e le avevano messo il vestito migliore del suo guardaroba di vecchia sarta, tanto che prima che Bepi della San Vincenzo, confidente e autista di fiducia, l’accompagnasse nella “clinica specialistica” degli “Anni azzurri” di Quarto d’Altino, per rimetterla a nuovo, m’è parsa persino più bella. Confesso che ho avuto un attimo di commozione e di tenerezza.

Spero di averla messa in buone mani, avendola affidata a Bruno, il responsabile degli infermieri di quella casa di riposo e nostro caro amico e al parroco di Quarto d’Altino, che le aveva mandato una volontaria ad accoglierla.

Farò di tutto perché ci sia qualcuno che l’accompagni con affetto nell’ultimo tratto di strada, sperando poi che il Signore me la mandi buona, avendo firmato “come parente prossimo” un sacco di carte, con cui “l’azienda che commercia in vecchi” sia garantita da ogni rischio di qualsiasi genere.

Fortunatamente possiamo contare su tanti collaboratori motivati, intelligenti e generosi, ma trasferire dal “don Vecchi” ad una casa di riposo per non autosufficienti un nostro residente è “un’impresa impossibile”, per gli infiniti inghippi posti dall’una e dall’altra sponda.

Al pensiero che abbiamo almeno un’altra decina di residenti che dovrebbero fare questo “passaggio”, senza però il minimo impegno dei parenti, mi viene veramente da rabbrividire, ma la carità spicciola concreta, non quella soprannaturale o da prediche, purtroppo pretende tutto questo, anche se è molto più prosaica.

Il villaggio globale della solidarietà

Ai nostri giorni parlare di “villaggio globale” va di moda. Questa affermazione è entrata pure nel linguaggio delle realtà ecclesiali, però mi pare che siano pochi gli enti ecclesiastici ad indossare “questo abito alla moda”. Spesso si preferiscono la mentalità, il vestito e le abitudini del cattolicesimo veneto di mezzo secolo fa.

Eppure il mondo moderno non parla per vezzo della globalizzazione, ma ormai ha impostato l’economia, i rapporti sociali e politici su questo parametro che non è una moda, ma una realtà concreta di cui non si può e non si deve non tener conto.

Qualche giorno fa mi ha telefonato un certo signor Cesare (non ricordo il cognome), che abita a Roma, per chiedermi la conferma se era giusto il numero del codice fiscale della Fondazione, volendo destinarle il cinque per mille. Questo signore in verità, più di una volta ci aveva inviato dei bonifici consistenti a favore della Fondazione.

Mentre mi chiedeva questa informazione, ho notato che mi parlava con una certa confidenza, quasi mi conoscesse assai bene e conoscesse altrettanto bene le cose di cui cerco di occuparmi. Mi venne allora voglia di chiedergli in che occasione mi avesse conosciuto. Lui, con un tono familiare, come se parlasse di qualcosa nota a tutti e scontata, mi disse che leggeva ogni settimana “L’incontro” su internet e perciò gli erano ben note le “mie avventure solidali”.

Da questo ho scoperto che il nostro periodico non raggiunge solamente i quindici-ventimila concittadini, ma si fa leggere anche da gente che abita lontano: di ciò ho avuto più di un riscontro.

C’è una signora di Lecco che spesso mi fa celebrare messe per i suoi defunti e quando le sue offerte per il “don Vecchi” tardano ad essere pubblicate, mi chiede come mai ciò non avvenga, temendo che non siano giunte per un qualche disguido.

Un paio di mesi fa una signora che abita negli Stati Uniti d’America mi ha mandato 100 dollari per il “don Vecchi 5” ed una parrocchia di Nuova York, avendo notato, sempre su internet, che non abbiamo una organizzazione di solidarietà simile alla loro, mi chiedeva riscontri e consigli e mi mandava fotografie che documentavano la loro attività.

Tutto questo per non parlare dei lettori dei paesetti vicini a Mestre e delle cittadine del Triveneto

Il vituperato uomo d’oggi a chi ha un po’ d’iniziativa e di zelo, offre anche delle splendide opportunità di “apostolato missionario”.