Venerdì scorso ho salutato Emma Busso, la signorina novantenne che ha vissuto i dieci anni più belli della sua vita al “don Vecchi”. Avendole dovuto affiancare una badante part-time, lei che è sempre vissuta poveramente, rammendando vestiti alle dipendenze di sua madre quanto mai autoritaria, s’è perfino illusa di essere “una signora” che aveva alle sue dipendenze una “serva” a cui poter comandare.
La signorina Emma me la sono portata in dote da Carpenedo, diventando per lei, che non aveva parenti, ma solamente qualche cognata con cui non aveva rapporti a causa del suo carattere un po’ scontroso e diffidente, sono diventato quasi l’unico, il suo unico punto di riferimento, ma anche l’amministratore delegato dei beni provenienti dalla sua pensione di 480 euro mensili!
Prima che partisse “per una cura speciale in clinica”, “le ragazze” l’avevano portata dal parrucchiere e le avevano messo il vestito migliore del suo guardaroba di vecchia sarta, tanto che prima che Bepi della San Vincenzo, confidente e autista di fiducia, l’accompagnasse nella “clinica specialistica” degli “Anni azzurri” di Quarto d’Altino, per rimetterla a nuovo, m’è parsa persino più bella. Confesso che ho avuto un attimo di commozione e di tenerezza.
Spero di averla messa in buone mani, avendola affidata a Bruno, il responsabile degli infermieri di quella casa di riposo e nostro caro amico e al parroco di Quarto d’Altino, che le aveva mandato una volontaria ad accoglierla.
Farò di tutto perché ci sia qualcuno che l’accompagni con affetto nell’ultimo tratto di strada, sperando poi che il Signore me la mandi buona, avendo firmato “come parente prossimo” un sacco di carte, con cui “l’azienda che commercia in vecchi” sia garantita da ogni rischio di qualsiasi genere.
Fortunatamente possiamo contare su tanti collaboratori motivati, intelligenti e generosi, ma trasferire dal “don Vecchi” ad una casa di riposo per non autosufficienti un nostro residente è “un’impresa impossibile”, per gli infiniti inghippi posti dall’una e dall’altra sponda.
Al pensiero che abbiamo almeno un’altra decina di residenti che dovrebbero fare questo “passaggio”, senza però il minimo impegno dei parenti, mi viene veramente da rabbrividire, ma la carità spicciola concreta, non quella soprannaturale o da prediche, purtroppo pretende tutto questo, anche se è molto più prosaica.