Riuscire a togliere dalla vita gli spazi vuoti per fare più opere buone

Qualche giorno fa stavo percorrendo con passo veloce il “corso” del “don Vecchi”, ossia l’asse viario più importante del Centro, il corridoio dal quale si smistano gli altri corridoi minori sui quali si affacciano gli ingressi del piccolo borgo degli anziani.

Una residente, molto probabilmente influenzata dal fatto che ho subìto una recente operazione chirurgica, mi ha detto: «Ma don Armando, lei è sempre di corsa!» Un dolce rimprovero comprensibile in un luogo in cui tutti vanno piano, spesso appoggiandosi al bastone o al deambulatore, ora molto di moda. «Ho poco tempo, signora», le ho risposto. Difatti ho veramente poco tempo, da un lato perché forse gli impegni che mi prendo sono troppi, e dall’altro lato perché mi pare ovvio che una persona che ha più di ottant’anni deve essere conscia di non avere troppo tempo davanti a sé.

Neanche a farlo apposta l’indomani mi capitò di leggere, durante la messa, quel brano di san Giovanni in cui Gesù dice agli apostoli: «Ancora un poco e mi vedrete, un altro poco e non mi vedrete, perché vado al Padre».

La misura del tempo degli uomini è sempre “un poco”; l’importante però, penso, sia riempire questo “poco” fino all’orlo. Mons. Bosa, mio insegnante di fisica, ci insegnava che se potessimo togliere la distanza che passa fra atomo e atomo, la terra si ridurrebbe ad una sferetta di pochi centimetri. L’importante perciò è togliere dalla vita gli spazi vuoti tra azione ed azione, allora anche nel “poco” ci starebbero un’infinità di opere buone!

La vita senza la Fede in Dio appare inutile, ingannevole ed irrazionale!

Qualche domenica fa ho celebrato, con la mia splendida e numerosa comunità, che si dà appuntamento ogni domenica nella chiesa della Madonna della Consolazione del cimitero, la festa dell’Ascensione. Premetto che ho fatto il proposito, seguendo le indicazioni del prete che cura la messa in onda delle messe festive della Rai, che il mio sermone non deve durare più di otto minuti. A questo scopo ho incaricato suor Teresa, che prende messa in sagrestia, di cronometrare le mie omelie. Sto pensando a delle penalità da infliggermi qualora sforassi questo tempo in cui si dice che gli ascoltatori prestano una vera attenzione.

Una volta accettata questa disciplina, debbo cominciare fin dall’inizio della settimana a pensare alla predica. Da quando comincio a riflettere mi si aprono mille orizzonti, ma ne debbo prendere in considerazione al massimo uno o due e debbo cominciare a scegliere vestiti sobri ed essenziali per vestire questi messaggi; quindi niente divagazioni e parole superflue perché queste mercanzie non stanno dentro gli otto minuti.

Ciò premesso, per la mia omelia, quella domenica ho considerato l’Ascensione come l’addio di Gesù a questo mondo, per raggiungere la splendida aurora del nuovo giorno.

Ma subito mi si è affacciata l’immagine tetra, buia e desolante dell’alternativa proposta dalla cultura radicale e nichilista, portata avanti dagli atei radicali, ma pure in maniera più subdola da non credenti o da credenti a livello solamente formale. Mi sono accorto del baratro della morte che rende beffarda ed assurda la vita, inutile, ingannevole ed irrazionale. Ricerca, fatica, sofferenza, lavoro, sogni, speranze, valori per una concezione laica dell’esistenza, sono quanto di più inutile ed ingannevole si possa immaginare. Io mi tengo di certo l’Ascensione e credo di aver convinto anche i miei fedeli a fare altrettanto!

Voglio spendere tutte le mie energie per dare una vita migliore agli anziani non del tutto autosufficienti

Sto vivendo giorni molto impegnativi, di una ricerca faticosa, perché sto mettendo a punto un progetto affinché i residenti al “don Vecchi” possano vivere fino alla fine dei loro giorni e non siano sepolti anzitempo in una casa di riposo per anziani non più autosufficienti.

La messa a punto del progetto, su cui poi dovrò confrontarmi col Comune, perché lo finanzi, mi sta letteralmente logorando; aprire nuove piste, “scoprire” modi nuovi di impostare la vita, è faticoso quanto lo fu la scoperta dell’America per Colombo. Ti trovi solo, pur avendo delle intuizioni, delle linee di ricerca, spesso sorgono dubbi, perplessità e paure dalle quali è ben difficile liberarti completamente.

In quest’impegno m’aiutano due immagini, belle e nello stesso tempo tragiche. Quella di una nonnetta che vive vicino a “casa mia” e che ha compiuto 94 anni; di lei ho riferito qualche tempo fa quando rimase male perché il giorno del suo compleanno, quando ero andato a farle gli auguri, aveva ancora i bigodini in testa e perciò non era ancora pronta. Qualche giorno fa disse alla figlia: «Portatemi in casa di riposo, perché qui non mi aiutano sufficientemente!» L’accontentarono. Dopo tre o quattro giorni, con la grinta che le è propria, disse: «Riportatemi a casa, questa è una tomba, un cimitero, non una casa per vivere!»

L’altra immagine è quella di un mio amico che incontrai nel suo emporio di Favaro, ed essendosi accorto della mia malcelata sorpresa perché aveva due occhi grandi, infossati e lucidi per un tumore all’ultimo stadio, mi disse: «Don Armando, voglio che la morte mi incontri vivo, in piedi!»

Quando penso che sto lavorando per uomini e donne, fratelli e sorelle che si trovano in queste condizioni, non posso badare alla fatica, alla stanchezza; per creature in queste situazioni vale la pena di spendere anche l’ultima goccia di forza.

Prediche non più lunghe di otto minuti!

Io leggo molto volentieri per bisogno e per necessità e sono dispiaciuto perché non riesco a dedicare alla lettura più tempo di quanto normalmente faccio.

La lettura mi tiene aggiornato sulle problematiche della società in cui vivo, sugli umori della gente e sul mutare costante della sensibilità e contemporaneamente mi mette al corrente sulle iniziative pastorali, sul modo di proporre il messaggio evangelico e mi è quanto mai stimolante per mettere a punto il mio pensiero, le modalità con cui intervenire per iscritto nella stampa e nei miei “sermoni” feriali e soprattutto domenicali.

Tempo fa ho pubblicato un trafiletto, che avevo trovato quanto mai interessante sul nostro periodico nell’intento di condizionare me stesso e i miei confratelli sacerdoti a tutto vantaggio della Parola di Dio e soprattutto del Popolo del Signore, che spesso deve sorbirsi dai suoi preti dei pistolotti che non finiscono più e che costituiscono una penosa penitenza.

L’articolo aveva come titolo “La predica valida è quella con tre c: ossia quando è corta, convinta, e convincente”.

L’altro ieri leggendo “Vita pastorale” una rivista rivolta soprattutto al clero, un articolo dal titolo un po’ sorprendente: “Il diavolo e l’acqua santa” in cui il sacerdote, che organizza da 25 anni la trasmissione da parte della radiotelevisione italiana le messe domenicali, afferma che la predica non deve superare gli otto minuti. Suddetto esperto diceva che questa era la prescrizione del Sinodo dei vescovi italiani; lui aggiungeva poi altre argomentazioni assolutamente condivisibili.

Ho immediatamente chiesto a suor Teresa quali fossero i miei tempi, lei m’ha risposto che sforo di 3-4 minuti! L’ho pregata quindi che d’ora in poi mi cronometri perché ho tutta l’intenzione di obbedire ai vescovi italiani!

Forse la mia idea non era del tutto sbagliata!

Nota: la redazione, che immette settimanalmente i pensieri di don Armando in questo spazio dando loro la forma di un blog, è felice di aver contribuito indirettamente a questo post!

Oggi mi ha raggiunto prima della messa un giovanotto che fa l’agente di commercio per una azienda che è disposta a finanziare “Piccoli cimiteri” di loculi cinerari da costruirsi in eventuali dependances di chiese o di luoghi sacri. Questo giovanotto, che aveva una busta con i relativi depliants e costi del progetto aveva scoperto sul mio blog che la loro iniziativa corrispondeva alla lettera al progetto che io avevo proposto alla “Veritas” e al comune per finanziare la chiesa del cimitero.

Sono stato contento dell’incontro per vari motivi: a) ho scoperto di avere un blog. A più di ottantanni possedere un “blog”, che non so neppure in che cosa consista, mi fa sentire moderno quasi fossi appena uscito dalla facoltà di informatica, b) la conferma che il mio progetto non era poi tanto peregrino quanto mi vollero far credere se pare che ci sia gente disposta a finanziare progetti del genere, mettendo a disposizione capitali che poi pensa di recuperare in vent’anni esigendo solamente la metà di quanto viene richiesto a chi acquista il loculo!

Le cose sono andate diversamente, ed io ne sono particolarmente felice perché la soluzione provvisoria è risultata quanto mai economica e positiva per i fedeli e per me. Da qualche tempo sto proponendo un altro progetto al comune per prolungare l’autosufficienza dell’anziano, per offrirgli una vita il più possibile normale ed umanamente rispettosa della sua persona e per abbattere i costi iperbolici che il comune deve addossarsi. So di certo che non la spunterò!

L’amministrazione civica è un pachiderma, spesso sordo alle proposte di chi opera per il prossimo, solamente spinto da ideali, è spendacciona per natura e purtroppo forse anche per scelta! Io faccio un’immensa fatica pensare ai 4600 “lavoratori” del comune che talvolta a taluno sembrano pagati per complicare la vita e creare impedimenti a chi vuol lavorare, ma capisco che mi debbo rassegnare.

La storia della nostra Patria

Da un lato mi ha sorpreso alquanto il patriottismo del nostro Presidente della Repubblica; so che l’area culturale in cui s’è intriso nella sua giovinezza, nella maturità e anche nell’incipiente vecchiaia, considerava la vera patria la Russia, ove prosperava il modello di “democrazia” tanto caro al suo partito, mentre i discorsi patriottici erano avversati e bollati di fascismo da parte della stessa parte politica. Ma da un altro lato mi fa alquanto felice prender atto di questa “conversione”. Ciampi ha riscoperto il tricolore e l’inno nazionale, “Fratelli d’Italia”, Napolitano la Patria! Questo recupero mi fa ritornare alla mia infanzia in cui queste parole e questi ideali letteralmente imperversavano!

Ora però ho veramente paura della retorica, del patriottismo formale e dello spreco di denaro per qualcosa che arrischia d’essere più apparenza che sostanza! Siccome non mi pare d’essere il solo a pensarla così ho fatto un serio esame di coscienza nella preoccupazione di aver preso un’influenza oggi abbastanza diffusa che non si chiama più “asiatica” o “suina” ma “influenza leghista”. No! La mia preoccupazione nasce da altri motivi. Già una trentina d’anni fa mi è capitato per caso, di leggere una storia dell’unità d’Italia vista non con gli occhi del Piemonte, del fascismo o del liberalismo anticlericale, ma con gli occhi dei soccombenti, dei vinti. Quella lettura mi ha fatto nascere i primi dubbi sulla retorica risorgimentale. Ora i dubbi sono diventati certezza; la storia è ben diversa, lo confessano anche i “patrioti” dell’ultima ora: la politica britannica, l’appoggio della mafia, la corruzione pagata abbondantemente da Cavour, i plebisciti farsa, gli interventi espansionistici dei Savoia sono elementi che hanno poco a che fare con l’ideale di Patria, di risorgimento!

Ora, “cosa fatta capo ha!”, ma almeno tentiamo di evitare la commedia o peggio la farsa e tentiamo di fare quello che non s’è fatto per non manomettere la storia o meglio ancora per fare spazio a quella autonomia di cultura, di tradizioni che è ancora possibile fare e per togliere spazio a quelle “animosità” che continuano a creare incomprensioni e dissapori tra i vari ceppi culturali della nostra nazione. Io sono italiano e ci resto, ma sono italiano veneziano, come spero che Napoli sia abitata da italiani napoletani.

Quelli che non vogliono i poveri nelle loro strade!

Molti anni fa, quando ancora facevo l’assistente della San Vincenzo cittadina, parecchie volte ricevetti le rimostranze dei residenti di via Querini perché ritenevano uno sconcio che in una strada del centro e signorile quale essa era ci fosse un continuo andirivieni di poveraglia! È purtroppo ben vero che spesso i poveri della mensa e del magazzino vestiti erano rissosi e disordinati, tanto che non era infrequente che fossimo costretti a chiamare la polizia, i vigili urbani o i carabinieri per ridurli a più miti consigli, ma purtroppo i poveri spesso sono così.

Qualche mese fa la stampa ha pure parlato di qualche disordine che i clienti della mensa dei frati creavano nei dintorni del convento dei Cappuccini che, fedeli all’esempio del poverello d’Assisi, s’impegnano per i poveri! D’altronde è la società che produce questi “rifiuti umani” e alla stessa società spetta quindi il compito di “smaltirli” nel modo migliore possibile!

Ricordo che suddetti residenti arrivarono a incaricare un avvocato perché imponesse alla San Vincenzo di spostare la mensa in periferia, perché essi non disturbassero una via signorile del centro.
La cosa svanì come una bolla di sapone e noi vincenziani continuammo a riparare i danni della società opulenta e dei consumi.

Dopo tanti anni la cosa si sta ripetendo purtroppo nel nostro quartiere, per la seconda volta un cittadino protesta solamente per il sogno che io voglia dar vita alla “cittadella della solidarietà”.

Suddetto cittadino ha denunciato questa “infamia” ai responsabili civili e religiosi della città e della Regione, non contento oggi ha aggiunto una postilla che suona un autentico sacrilegio affermando: “L’intera parrocchia si opporrà con ogni mezzo”.
Come mai? Non sono i poveri la ricchezza della chiesa?

La bella sorpresa che riserva sempre il Don Vecchi a chi lo visita

Qualche giorno fa, con un gesto di squisita gentilezza, un mio “compagno di sventura” m’ha fatto visita al don Vecchi assieme alla moglie, il cognato e due altre cognate.

La sorte ci ha assegnato la stessa camera e per una decina di giorni siamo convissuti nello stesso luogo, lui per la prostata ed io per il rene. Il “nemico” oggi non dà tregua e continua a “sparare sul mucchio”, a chi tocca tocca!

Durante le ore infinite, perché in ospedale le ore non durano solamente sessanta minuti, ma eternità, abbiamo avuto modo di scambiarci qualche confidenza e di parlare del mondo da cui provenivano e del quale ci occupiamo. Usciti ambedue un po’ malconci, qualche telefonata ha mantenuto aperto il dialogo tanto da spingere questo “amico di sventura” a farmi una visita assieme ai suoi famigliari al don Vecchi.

L’incontro è iniziato con la partecipazione alla messa in cimitero, con la visita al Centro e all’indotto dei magazzini per gli indumenti e dei mobili e col pranzo assieme ai miei colleghi anziani.

Io sono ormai abituato alla vita negli ambienti del don Vecchi, sono orgoglioso della struttura che è certamente leader nel settore degli alloggi protetti, do per scontata la galleria di quadri, i mobili in stile, ma mi ha particolarmente reso felice il senso di sorpresa e di ammirazione di chi viene pensando di trovare una casa di riposo maleodorante, sciatta e convenzionale, scoprendo invece un “albergo di qualità”. È stato così anche per i miei amici padovani, ma spero e voglio che sia così almeno fin che io avrò respiro per imporlo! I nostri vecchi meritano questo e altro!

“Ad arrabbiarsi non è bene ma forse è l’unico modo per venire a capo di ciò che sembra impossibile altrimenti!”

Ho incontrato questa mattina i due funzionari del comune più importanti per quanto concerne l’assistenza agli anziani.

L’incontro aveva tutte le premesse per essere burrascoso, però finimmo per capirci. Io ho compreso che l’amministrazione comunale non è duttile quanto io vorrei, in quanto deve attenersi a delle norme che altri hanno stabilito e molto poco è lasciato all’iniziativa del singolo funzionario. Loro hanno compreso che le mie impennate non sono determinate da capricci e meno ancora da interessi, ma dal desiderio di un servizio quanto mai puntuale nei riguardi degli anziani in difficoltà.

Convenimmo che solamente il dialogo costante e fiducioso e lo sforzo di tradurlo in scelte concrete può risolvere i problemi sempre nuovi in cui ci imbattiamo in una navigazione che avviene quasi sempre a vista.

Il motivo del contendere è sempre quello: quando l’anziano s’avvia sempre più verso la non autosufficienza tanto più la nostra struttura si rivela fragile ed inadeguata perché improntata sulla quasi totale autosufficienza.

Come fare a risolvere questo problema che spesso diventa un dramma umano?
Da un lato le case di riposo per non autosufficienti non dispongono di posti letto adeguati, infatti ben seicento anziani sono in fila per poter essere accolti, da un altro lato gli alloggi protetti quali il don Vecchi sono un’invenzione troppo recente perché le pachidermiche amministrazioni della Regione e del comune possano dotarli di soluzioni adeguate.

La conclusione è stata che il comune ci fornirà personale in aggiunta che la fondazione gestirà in maniera più autonoma perché questo intervento possa essere efficace. Ora si studieranno le modalità per aggirare gli ostacoli burocratici e raggiungere lo scopo.

Andreotti, da quella volpe che è sempre stato, diceva: “A pensar male è sbagliato ma spesso si indovina!” Io parafraserei che: “Ad arrabbiarsi non è bene, ma forse è l’unico modo per venire a capo di ciò che sembra impossibile altrimenti!”

Il Signore mi ha impartito una pesante lezione di vita!

Il Signore anche questa volta mi ha impartito una severa lezione di vita, tirandomi le orecchie per bene!

Ho già confidato a questo diario che qualche giorno fa avevo dato, stizzito, ad un povero diavolo, mandatomi da un mio collega, 10 euro, ma malvolentieri.

La cifra era ben modesta ma, il modo di porgerla ancor più grave perché poco garbato e per di più controvoglia, da un lato perché questo prete continua a fare lo scaricabarile nei miei riguardi ed ogni volta che gli capita l’opportunità tenta di mettermi a disagio, pur sapendo che sono pensionato e che ormai non svolgo più alcun ruolo attivo nell’esercizio della carità all’interno della diocesi e dall’altro lato perché, come presidente della fondazione, sono il primo a dovermi impegnare per racimolare il denaro per pagare il don Vecchi di Campalto.

Per questi motivi avevo fatto quel misero gesto di carità nel peggiore dei modi, pur ricordandomi quello che, un tempo una piccola sorella di Gesù di padre de Foucauld mi aveva detto: “Anche un piccolo gesto di fraternità nei riguardi di un povero è sempre un gesto positivo”.

Un senso di disagio mi stava accompagnando, quando un paio di giorni dopo mi telefonò due – tre volte, un signore che pensava che io mi trovassi ancora in Via del Rigo nel cenacolo degli anziani e non riusciva a trovarmi; finalmente riuscì a raggiungermi al don Vecchi mentre stavo accompagnando alcuni signori a visitare la struttura “Le chiedo solamente mezzo minuto!”. Mi consegnò una busta piena di denaro. Tentai inutilmente di farmi dire il nome e di dirgli come l’avrei speso. Nella busta, contai, un po’ più tardi 5.000 euro.

Se n’è andato svelto, vedendomi impegnato. Subito ebbi la nitida percezione che fosse il buon Dio a punirmi per quella carità mancata di un paio di giorni prima.

Mi sto sempre più convincendo che il Signore non ha alcuna difficoltà a finanziare alcunché, ma desidera che io mi fidi e creda comunque e sempre nel comandamento dell’amore!

Spero che l’ulteriore lezione, questa volta ben pesante finalmente, mi giovi!

Un regalo bello che riconferma l’importanza della gavetta

Talvolta ricevo delle attenzioni che veramente mi fanno arrossire, perchè non ho mai avuto sentimento di una gran autostima.

Mi sono sempre ritenuto un povero uomo ed un povero prete che persegue sì qualche utopia, che crede in certi valori e si batte decisamente per vederli realizzati, che si oppone alle ipocrisie e ai formalismi per affermare le cose che veramente contano, ma nulla più!

Al mio ritorno dall’ospedale ho ricevuto una infinità di espressioni d’affetto da parte di concittadini che neppure credevo di conoscere, a cominciare dal Patriarca, al vescovo ausiliare, ai primari dell’urologia, della cardiologia e dell’anestesia che in tempi diversi s’erano presi cura della mia salute. Sono stato sorpreso e felice da tante attenzioni, che sono certo di non meritare e che fanno onore alla sensibilità e all’umanità di questi personaggi.

Qualche giorno fa il primario di anestesia, che tante volte ha prestato la sua opera durante tanti miei interventi, è venuto a trovarmi e con grande amabilità mi ha perfino donato il catalogo della mostra di Cima da Conegliano.

Avevo sentito parlare molto bene della mostra, avevo invidiato questi Comuni del contado che finiscono per surclassare la vecchia e superba Venezia, assai manchevole nei riguardi della cultura e dell’arte. Avevo visto qualcosa di questo pittore, però il catalogo m’ha fatto spalancare gli occhi sorpresi e sbalorditi sulle opere di questo artista che io erroneamente avevo considerato un minore. Cima da Conegliano appartiene ad un tempo lontano, ad una sensibilità artistica diversa dalla nostra, ma se lo confronto con infiniti pittori del nostro tempo non posso che concludere che egli è un sommo, mentre molti artisti spesso improvvisati, senza cultura, senza mestiere e senza “bottega” sono dei lillipuziani, che nascondono la loro imperizia con gli sgorbi e le macchie disordinate di colore.

Gli uomini d’oggi che operano in qualsiasi settore della vita non hanno ancora imparato che il genio è una cosa, ma senza apprendistato, senza ricerca e senza “bottega” neppure il genio riesce a fare qualcosa che appartenga al mondo della poesia e del bello!

Riflettendo sulla magistratura

Un signore mi ha mandato una e-mail piuttosto pepata circa delle mie valutazioni sulla magistratura, valutazioni espresse su “L’incontro” di qualche settimana fa.

Suddetto signore evidentemente condivideva le posizioni della sinistra e in particolare di Di Pietro, che ha fatto della difesa della posizione di una certa magistratura il suo punto di forza e il suo cavallo di battaglia.

Una volta tanto rinunciai alla tentazione della polemica e tentai la strada del dialogo ammettendo i miei limiti e soprattutto dichiarando convinto che pure io sogno una magistratura saggia, discreta e non schierata, ma non vedevo purtroppo ancora realizzato il mio auspicio.

Dopo qualche giorno m’è giunta una risposta garbata in cui s’avvertiva il dispiacere di un intervento angoloso e pungente.
Evidentemente il mio interlocutore s’è trovato nella situazione di aver dato una forte spallata verso una porta totalmente spalancata.

A parte questo incidente molto marginale, la situazione è molto grave per tre motivi: Primo, l’ organizzazione della giustizia è certamente farraginosa e antiquata; secondo, il rendimento, per i motivi più diversi, non è assolutamente vicino agli standard della giustizia non solamente dei paesi europei, ma anche di quelli dei paesi del terzo Mondo, pur essendo, i magistrati, i professionisti più pagati, sono la categoria che rende meno in assoluto; terzo, a motivo delle polemiche da parte dei politici e degli interventi extragiudiziari e spesso apertamente faziosi oggi i magistrati in genere, anche quelli più saggi e operosi, sono meno apprezzati dei pompieri, dei poliziotti o semplicemente dei metalmeccanici che prendono poco più di mille euro al mese.
I politici sono sempre stati poco valutati dall’opinione pubblica, ma i magistrati invece giustamente no.

Un tempo pensavo d’essere una voce isolata e perciò ero preoccupato d’essere, come spesso mi avviene, fuori del coro. Ora però che, pur con parole più compassate, ben oleate ed attente è d’accordo anche il Capo dello Stato, spero che anche la giustizia italiana riprenda quota!

Un edificante esempio di senso del dovere insegna a non preoccuparsi per niente

Stanotte, un po’ perché ho sempre avuto un sonno difficile un po’ perché credo di non aver ancora smaltito la grossa dose di anestesia che mi tenne addormentato per più di un giorno intero, mi sono girato e rigirato sul letto scompigliando coperte e lenzuola tra mille incubi.

A questi due motivi, che non dipendevano certamente dalla mia volontà, se ne aggiunse un terzo, che mi punzecchiò per l’intera nottata sia nel sonno che nel dormiveglia.

Ieri pomeriggio il tecnico del suono, chiamato per mettere a punto l’amplificazione sonora della chiesa del cimitero, per rendersi conto di come stessero le cose, smontò l’intera apparecchiatura, tanto che mi parve qualcosa di assomigliante alle casette di legno d’America scompigliate dall’uragano; un vero groviglio di fili, di spine e controspine.

Dovevamo chiudere e perciò il tecnico prima disse “tornerò domani” poi soggiunse, quasi preoccupato per non aver il tempo sufficiente per riordinare alla meglio l’apparato: “Spero che domani non abbia funerali!”, mentre ne avevo proprio uno e alle nove.

L’idea di dover parlare senza l’amplificazione sonora, senza musica di fondo in una circostanza pure difficile a causa delle idee del defunto e dei suoi congiunti mi mise veramente in una situazione di panico, tanto che diventò l’incubo notturno!

Questa mattina alle 7:30 il tecnico era sul “luogo del delitto” assieme ad un suo collaboratore. Alle 9 funzionava tutto e meglio di prima! Una volta ancora ho dovuto constatare quanto sia sciocco preoccuparsi e soffrire per un male solamente ipotetico. In queste situazioni, nel peggiore dei casi è certamente meglio soffrire o provare pena, nel momento in cui ti capita il malanno, ma non prima!

Mi chiedo: “Ma quando diverrò saggio, temo di non arrivare ad esserlo almeno nel tempo in cui sarebbe opportuno diventarlo!

Il funerale di un uomo che la chiesa non possedeva ma Dio sì

Ho ribadito spesso che nella mia chiesa tra i cipressi mi capita di celebrare i “funerali poveri”, quelli che riguardano vecchi ormai dimenticati nelle case di riposo, quelli di persone emarginate, quelli ai quali presenziano sì e no cinque o dieci persone.

Lo faccio molto volentieri perché sono convinto che anche questi poveri funerali sono la vera ricchezza della chiesa e talvolta mi sento come Draghi che amministra questo grande patrimonio della comunità cristiana.

Qualche giorno fa il figlio del caro estinto sentì il bisogno, su mia sollecitazione, di farmi uno schizzo essenziale della personalità del padre, ma mentre certi parenti smussano gli angoli e vanno alla difficile ricerca di qualche aspetto positivo, questo signore mi disse che il padre non solo non era praticante, ma quasi certamente non era neppure credente, e come rinforzo aggiunse che era stato molto critico con la chiesa. La moglie e pure i loro figli avevano deciso di chiedere il funerale religioso perché riscontravano nella condotta del padre delle contraddizioni che li portava a pensare che egli non fosse proprio ateo, ma un deluso dalla chiesa, una scontento del modo di vivere dei praticanti.

Forte della frase di Sant’Agostino, che per me è una bussola sicura che segna il nord “Ci sono uomini che la chiesa possiede e Dio non possiede ed altri che Dio possiede mentre la chiesa non possiede” ed avendo ben presente che il mio Dio non è certamente quello dei teologi, ma quello della parabola del prodigo, procedetti tranquillo ad affidarlo alla misericordia di Dio ed a rinnovare il sacrificio della croce in cui Cristo paga lui il debito e il biglietto d’ingresso nella casa del Padre!.

Mi è parso che i fedeli fossero d’accordo con me, perché pregarono a voce alta e molti s’accostarono pure all’Eucarestia, alla moglie poi venne perfino voglia di fare un versamento per il don Vecchi di Campalto!

Tornare alla sorgente

Molti anni fa ho letto il bellissimo libro di Ignazio Silone sulla vita e sulla rinuncia al pontificato di Celestino V°, “L’avventura di un povero cristiano”.

Ho l’impressione che il testo di Silone, cristiano senza chiesa e socialista senza partito, come amava definirsi, sia un po’ romanzato, comunque l’autore abruzzese fa delle affermazioni veramente significative e racconta episodi che fanno pensare su questo papa ch’ebbe “la velleità” di essere autentico cristiano, ossia vero discepolo di Gesù. Non so se il discorso e le affermazioni di questo letterato sulla vita ascetica di celestino V°, che fece il “gran rifiuto”, siano rispettose della storia, io sono propenso a crederlo, sapendo quanta fatica Francesco d’Assisi fece per ottenere dal pontefice l’approvazione della sua regola che si rifaceva al dettato letterale del Vangelo.
Umberto Eco nel suo grandioso romanzo “In nome della rosa” scive pagine su pagine sulle difficoltà che gli alti prelati della chiesa facevano ai gruppi di cristiani radicali che si rifacevano alla parola viva e diretta del Vangelo.

Tornando a Silone ricordo una frase che mi ha sempre aiutato e mi ha fatto molto del bene: “Altro è aprire il rubinetto e veder scorrere l’acqua, altro è andare alla sorgente e veder scaturire la polla d’acqua limpida e fresca iniziare il suo lungo cammino verso la valle”.

Pensando a questa immagine mi capita spesso di sentire il desiderio e il bisogno di andare al Vangelo, sorgente del pensiero di Cristo, perché là trovo la freschezza del messaggio, mentre la prassi, il libro, la mediazione culturale hanno impoverito e banalizzato il mistero della “buona notizia”!