Il felice incontro con un impresario di pompe funebri, categoria spesso criticata ma che riserva sorprese

Vi sono alcune categorie di persone – non molte in verità – delle quali normalmente si parla bene – vedi pompieri, carabinieri, polizia della strada … mentre di altre categorie normalmente si parla meno bene – vedi banche, politici, finanze … ecc. Tra queste ultime categorie certamente sono annoverate le imprese di pompe funebri.

Quando la stampa parla di queste agenzie, spesso, o quasi sempre, se ne parla male. Credo che vi siano dei pregiudizi, anche se talvolta giustificati.

Anche ultimamente, sia nel meridione – regione specializzata nelle furberie – che nel settentrione – che ha la pretesa di essere più onesto – la stampa ha avuto modo di occuparsene e bollare con parole amare episodi e comportamenti. Io credo che ci sia del buono e del cattivo in ogni categoria, perciò sia giustificato il detto del nostro Veneto “Gli uomini non si prendono a mazzo come gli asparagi!”

Ultimamente, al riguardo, ho avuto esperienze diverse.

Talora ho incontrato sciatterie nei servizi e anche qualche imprenditore mai contento dei risultati ottenuti, anche se in realtà mi sembrava che avessero abbastanza lavoro e perciò non ci fossero motivi seri di lagnarsi. A me pare però che a Mestre si riscontrino raramente comportamenti negativi e che tutto sommato le imprese del settore siano serie e svolgano con professionalità e serietà il loro mestiere, così da non meritare quel certo discredito preconcetto e di maniera del quale ho accennato.

Fortunatamente anche nel settore del lutto ci sono però delle eccellenze. Appena due giorni fa un impresario mi accompagnò a Campalto per benedire delle ceneri prima di collocarle nel loculo destinato. Durante il tragitto di andata o di ritorno conversammo, com’è facile che avvenga in simili occasioni.

Fui veramente edificato e mi hanno fatto quanto mai bene le confidenze di questo giovane e modesto imprenditore del settore del lutto. Mi parlò della sua famigliola, dei suoi bambini, della sua attività che gli permetteva di vivere senza eccessive preoccupazioni economiche, pago del suo reddito pur modesto, per nulla invidioso dei suoi colleghi più fortunati, parlandomi bene di tutti e dicendo che aveva un ottimo rapporto con tutti.

Raccontava tutto con tanta naturalezza, spontaneità e semplicità che sentirlo parlare dei suoi progetti, del proposito di offrire lavoro ad un collega ch’era rimasto senza lavoro per il fallimento dell’impresa in cui era occupato, della scelta di accontentarsi, di essere in pace con tutti, di far bene il suo lavoro dando sollievo e serenità a chi lo richiedeva in occasione del triste evento, mi ha veramente edificato e fatto del bene.

M’è venuto spontaneo confrontarlo con altri imprenditori del settore con i quali il mio servizio mi mette in contatto, constatando che conosco tanta brava gente, anche in questo comparto, che fa bene ed onestamente il proprio lavoro, concludendo che l’opinione pubblica manifesta diffidenza e rifiuto verso questa categoria perché probabilmente la assimila alla realtà amara della morte, da tutti tanto paventata, e della quale si occupa.

Che desolazione l’attuale classe politica in Italia!

E’ proprio vero che “non c’è niente di nuovo sotto il sole. Stamattina la prima lettura della messa conteneva questa “parabola” dell’Antico Testamento: “Gli alberi si misero in cammino per cercarsi un re. Dissero all’ulivo : «Regna su di noi». Rispose loro l’ulivo: «Rinunzierò al mio olio, grazie al quale si onorano gli dei e gli uomini, ed andrò ad agitarmi sugli alberi?». Dissero gli alberi al fico: «Vieni tu, e regna su di noi». Rispose loro il fico: «Rinuncerò alla mia dolcezza e al mio frutto squisito ed andrò ad agitarmi sugli alberi?« Dissero gli alberi alla vite: «Vieni tu e regna su di noi». Rispose loro la vite: «Rinunzierò al mio mosto, che allieta gli dei e gli uomini, ed andrò ad agitarmi sugli alberi?« Dissero tutti gli alberi al rovo: «Vieni tu, regna su di noi». Rispose il rovo agli alberi: «Se in verità ungete me come vostro re, venite, e rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco e divori i cedri del Libano».

Oggi sono politicamente esasperato e disperato, motivo per cui ho tutta la sensazione che noi italiani abbiamo lasciato da parte gli uomini migliori che conducono con saggezza le loro famiglie e le loro aziende, producendo benessere e serenità per tutti e siamo andati a finire a scegliere come governanti “i rovi”, pronti all’inganno e alla sopraffazione. Tra le “fiamme” mi sono apparsi ad uno ad uno i volti che la televisione ci presenta da mane a sera fino alla nausea e allo schifo.

Ora, mentre metto sul foglio bianco le sensazioni che provo dopo la lettura della Bibbia, ho l’impressione di trovarmi nel guado: da una sponda un governo traballante che continuerebbe sul compromesso più spinto, e dall’altra le elezioni con sprechi di tempo e di denaro, mentre ogni respiro dovrebbe essere convogliato alla ripresa!

Comunque vadano le cose, si ripresenteranno di fronte a noi le stesse facce, gli stessi nomi, gli stessi “rovi”, anche se coperti da casacche diverse da quelle portate fino a qualche giorno o qualche decennio fa.

Si discute su una nuova legge elettorale, ma siamo comunque alle stesse perché, qualunque legge venga fuori, non sarebbe tesa a far emergere uomini nuovi, onesti e capaci, ma sempre quelli di un colore cupo.

Alla sera, prima di addormentarmi, ripeto sempre la bellissima preghiera del breviario: “Nelle tue mani, Signore, metto la mia vita”. Da questa sera in poi aggiungerò “anche quella della mia povera Italia”. Credo di non aver altra scelta ed altro appiglio per sperare!

La ragion di Stato non conta più della vita!

E’ morto Cossiga. La stampa e la televisione non sono state colte di sorpresa da questa ferale notizia; hanno avuto tutto il tempo per preparare servizi su servizi. In verità la gente dei mass-media è sempre molto brava e veloce nel fotografare da ogni possibile angolazione il soggetto su cui vogliono informare l’opinione pubblica.

Questa volta ci sono riusciti meglio di sempre, motivo per cui di Cossiga più niente è rimasto nascosto.

La morte di Cossiga ha pure toccato la mia sensibilità e la mia coscienza perché, tutto sommato, in tempi lontani, anche io e lui ci siamo incontrati. Io ho vissuto, come tutti gli italiani, il dramma dell’uccisione del presidente Moro, ed io a quel tempo ho parteggiato per Andreotti, ch’era il Presidente del Consiglio e per Cossiga, che era il Ministro degli Interni, due comprimari in quel dramma e in quella tragedia.

Anch’io sono stato favorevole al cosiddetto “partito della fermezza”. Ho considerato piagnucolose le lettere di Moro e non degne di una persona responsabile della sorte del Paese, perchè convinto che chi si assume il compito difficile di governare una nazione, deve aver il coraggio di sapere anche correre tutti i rischi relativi – la morte compresa – per assolvere il suo mandato. Questo l’ho anche scritto.

A quel tempo, di certo, non sapevo che quella scelta – mentre ora sento che Cossiga ne era ben cosciente – voleva praticamente dire di lasciarlo condannare a morte. Così non condivisi la scelta dei socialisti che erano invece propensi a trattare con le Brigate Rosse.

Qualche giorno fa ho letto, in un giornaletto dei missionari saveriani, due notizie che mi hanno profondamente toccato. Una era la dichiarazione di Boccelli, che raccontava che i medici avevano avvertito, tanti anni fa, una donna in attesa di un bimbo, che il suo nascituro aveva delle anomalie e le consigliarono l’aborto; quella donna era sua madre e il nascituro era lui e si confessava felice della scelta di sua madre.

La seconda notizia conteneva l’ultima lettera di Aldo Moro a sua moglie; Moro era ormai consapevole della sua fine, avendo lottato e supplicato tutti di trattare, appello rimasto inascoltato per quelle che ora anch’io credo stupide ragion di Stato.

La lettera cominciava così: «Noretta, mia adorata sposa …» e poi continuava con infinita tenerezza a parlare dei figli e a prendere amaramente commiato da loro per la barbarie dei suoi carnefici e l’insipienza dei suoi “amici”. Ora, pur da uomo della strada, e col senno di poi, capisco che le Brigate Rosse obiettivamente non costituivano un pericolo per la nazione, pur essendo un cancro civile che doveva essere sradicato.

Oggi più che mai io sono comunque e sempre per la vita e diffido più che mai della retorica, delle ragion di Stato e delle frasi o prese di posizione altisonanti ed irresponsabili. L’uomo va tutelato sempre e prima di tutto, con buona pace di Francesco Cossiga e di quanti l’hanno sostenuto, io compreso!

Don Mazzi, per me un punto di riferimento e di confronto

Io non prendo “Famiglia Cristiana”, un po’ per motivo dei costi, perché prendo già molti giornali, un po’ perché mi sembra un bazar di paese di montagna in cui si trova un po’ di tutto, ma niente di valido. Non posso poi non aggiungere che non condivido la sua svolta politica marcatamente favorevole alla sinistra.

Infine ho l’impressione che la rivista non abbia dei contenuti con inserti pubblicitari, ma sia una rivista di pubblicità con qualche notizia sempre frettolosa sugli argomenti più svariati, ma senza approfondimento alcuno. Forse “Famiglia Cristiana”, ispirandosi a “Grand Hotel” o a periodici similari, sta puntando al vasto mondo delle casalinghe o delle brave donne di Chiesa!

Ogni settimana però do una sbirciata abbastanza veloce al numero della settimana prima, che suor Michela, assidua lettrice del periodico, mi passa puntualmente. Sono convinto che i settimanali si possano leggere anche con notevole ritardo, perché non hanno un legame troppo stretto con la “notizia”. Al liceo avevo un professore di storia, mons. Angelo Altan, uomo arguto ed intelligente, che comperava il quotidiano e lo leggeva due settimane dopo, perché le notizie si decantassero o purgassero come le lumache.

Detto tutto questo, per dovere di onestà, confesso che non ometto quasi mai di leggermi la rubrica tenuta da un mio confratello, che è pure mio coetaneo. Anche don Mazzi tiene su “Famiglia Cristiana” una specie di “diario”, dal tono molto personale, con giudizi mai edulcorati e “prudenti”, ma sempre liberi, taglienti e talvolta perfino angolosi. Ho l’impressione che questo prete, ormai anziano, ma sempre in prima linea, si giochi sempre tutto, non abbia mai la paura di sporcarsi le mani o di compromettersi su argomenti che appartengono al nostro povero mondo, non sia preoccupato della carriera o di come possano reagire la destra o la sinistra, i credenti o i laici.

Non credo di poter annoverare don Mazzi tra i profeti del nostro tempo, comunque lo ritengo “un bel prete” che fa onore alla nostra Chiesa e alla mia categoria, spendendo bene la sua vecchiaia. Mi piacerebbe saperlo imitare, comunque lo ritengo sempre un punto di riferimento e di confronto.

Dubbi e timori sull’Angelo

Più di un amico o di un lettore de “L’incontro” mi ha fatto osservare che non capiva o non condivideva la mia ammirazione, per nulla nascosta, per l’Ospedale all’Angelo di Mestre. E’ vero che da un lato ero e sono ancora orgoglioso che finalmente a Mestre, città condannata ad essere un sobborgo e dormitorio – ora del turismo lagunare e, prima, dell’attività industriale di Marghera – si fosse finalmente fatto qualcosa di bello e da un altro lato mi rasserenava che la mia gente ed io potessimo contare su un ospedale di eccellenza come gli “addetti al lavoro” non perdono occasione di farci sapere.

Io frequento spesso l’ospedale, sia per motivi di ordine pastorale, perché due volte la settimana porto “la buona stampa”, sia per motivi di salute perché più di una volta sono stato ricoverato in questo ospedale per i guai che da qualche anno mi affliggono.

Da un punto di vista estetico la mia ammirazione non ha subìto crepa alcuna. La “piramide maya” dell’Angelo, l’oasi verde, ora più che mai rigogliosa ed accogliente, gli spazi di ampio respiro, l’entrata larga e funzionale che ti offre l’alternativa, ai soliti gradini, della scala mobile o del comodo ascensore, la collinetta verde trapunta di cipressi, il laghetto artificiale e il prato verde sempre ben rasato che sembra un soffice tappeto su cui posa delicatamente la struttura, mi pare facciano concorrenza ad un quadro del Pinturicchio. Tutto ciò continua ad incantarmi.

Dall’altro lato la stampa cittadina, che ogni giorno ti mette sott’occhio le scoperte, i primati, i risultati scientifici dei primari che vi lavorano, le eccellenze che si manifestano nelle varie divisioni, mi hanno sempre tenuto lontano e in posizione di rifiuto di certe voci malevole per l’angustia degli ambulatori, per il costo del posteggio, per la poca praticità delle “finestre”, per le critiche dei sindacati o per l’affollamento esagerato del pronto soccorso.

Ora però cominciano a far breccia certi dubbi per voci che non ci possono non preoccupare, quali la fuga dei primari o dei dottori più promettenti, la carenza della strumentazione, il mancato aggiornamento delle macchine. Queste voci, che spero siano solo critiche malevole, non mi possono lasciar tranquillo e cominciano col preoccupare anche me. Sono critiche che io non posso però verificare, ma il fatto che l’ospedale mi appaia come “il deserto dei tartari”, che i negozi non abbiano mai dentro un’anima viva, quando a Padova o il Ca’ Foncello di Treviso sembrano dei mercati brulicanti di gente, che senta a destra e a sinistra concittadini che vanno a farsi curare altrove, mi danno pensiero; mi spiacerebbe proprio scoprire che l’Angelo è una patacca e non un gioiello.

Le “piume” del mio diario

Almeno mi illudo di aver qualcosa da dire, ma vorrei dirlo, questo pizzico di verità che vado conquistando tanto faticosamente, solamente alle persone giuste. Non rifletto, non metto sulla carta le mie povere riflessioni, spendendo denaro o fatica, perché esse giungano alle persone che non sono interessate ai relativi problemi.

Purtroppo le cose vanno poche volte così, le mie “scoperte” spesso giungono alle persone meno interessate o nei momenti meno opportuni. Mi capita assai di sovente che anime candide e delicate leggano certi miei morsi rabbiosi che avrei destinato a furbastri, a burocrati indolenti, a “cristiani” che dovrebbero appartenere alla sinagoga piuttosto che alla Chiesa, mentre talaltra giungono invece a qualche concittadino smaliziato i motivi di qualche nota lirica, colta con compatimento da gente che non apprezza per nulla il sentimento o la poesia.

Spesso ho l’impressione che un monito fatto ad un “nemico” sia interpretato come critica amara fatta ad un “amico” e viceversa. Quando mi capita di riscontrare che le note del mio diario vanno a finire a destinatari sbagliati, mi viene in mente la storiella del penitente di san Filippo Neri, il quale confessava a questo prete santo, ma sornione, d’aver fatto della maldicenza, e questi gli rispondeva che per penitenza spellasse un pollo nelle strade di Roma in cui soffiava il ponentino e poi andasse a raccogliere tutte le piume che il vento aveva portato in ogni dove. Questa immagine mi preoccupa e talora mi spaventa, finora ho pregato il mio angelo custode che accompagni i miei pensieri alle persone giuste e nei momenti propizi. Mi sono sempre fidato del mio accompagnatore celeste, al quale il buon Dio mi ha affidato; non so però se soltanto questo basti e se il mio angelo custode abbia fatto il suo dovere. Se non fosse così, sarei alquanto triste e amareggiato perché “predico” solamente nella speranza di far del bene. Vorrei che almeno questo sapessero coloro a cui giungono , forse per sbaglio, le “piume” di questo diario!

La festa del Redentore ha ancora senso?

Anche quest’anno Venezia e il popolo veneto hanno celebrato il 18 luglio la festa del “Redentore”. Questa volta però, come non avevo fatto seriamente nel passato, ho voluto accertarmi degli ingredienti, degli effetti di questo evento religioso. Non mi basta assolutamente più l’etichetta cristiana; ho bisogno e sento il dovere di verificare i contenuti, i dosaggi delle diverse componenti. Sono sempre più preoccupato della valenza religiosa di certi eventi, perché mi viene sempre più il terribile sospetto che contengano ingredienti “placebo” o di folklore e non abbiano più nulla in comune con la redenzione e la salvezza offerta da Cristo.

La festa del “Redentore” è nata dal fatto che i nostri padri si sentirono veramente impotenti contro la peste e ricorsero al Signore per essere salvati. Ora la “peste” è più grave e più diffusa che nel passato e i rimedi della farmacopea sociale odierna sono assolutamente nulli!

Traduco. La peste di oggi è denominata droga, disordine sociale, cattiva politica, operatori economici bari confessi, mafia diffusa, disfacimento della famiglia, assoluta mancanza di valori, ecc… Rimedi? Una volta scartati quelli offerti dai “medici” ufficiali (sociologi, psicologi, politici), perché assolutamente inefficaci – anzi spesso nocivi – la nostra gente si rivolge al Redentore. Però, in che modo, con quale fede, con che spirito? Qui la risposta mi mette in crisi. Il ponte di barche, i “foghi”, una mangiata in barca, baldoria con gli amici, attesa di Febo al Lido, processione delle congregazioni del clero, alla quale molti preti sono costretti a partecipare per avere il dividendo, sindaco con la fascia tricolore, lezione magistrale del Patriarca!

Mi domando sempre più spesso e con più preoccupazione “che ha a che fare tutto questo col Vangelo, col messaggio di Gesù?” Quasi niente!, anzi diventa pericoloso perché questo “memoriale” svuota dei contenuti proprio l’evento religioso e può indurre gli ingenui a pensare che questa “devozione” si possa chiamare ancora “fede”.

Non sarebbe il caso di “chiudere baracca” e lasciare pure che il Comune organizzi con figuranti, per motivi turistici, la ricostruzione storica, ma cessi finalmente questo inquinamento della religione con il folklore lagunare, e introduca ulteriori elementi pagani ad una celebrazione cristiana? Sono contento di non esser io a fare questa scelta, ma prego per chi “gli tocca” che il Signore gli doni la grazia di stato!

L’arte al don Vecchi, un altro frutto dell’insegnamento di mons. Vecchi

Io ho avuto una fortuna, che però sarei propenso di reputare perfino una disgrazia: ho avuto dei maestri intelligenti e preparati che mi hanno educato al bello. Monsignor Vecchi, al tempo del liceo, faceva l’assistente dell’UCAI (Unione cattolica artisti italiani) e a quel tempo Venezia brulicava di pittori ed artisti di gran valore.

Monsignore aveva un debole per l’arte e perciò ne parlava volentieri. Noi studentelli in erba avevamo capito “il debole” del nostro insegnante di filosofia e perciò tentavamo di rallentare il programma “inducendolo in tentazione”, facendogli domande su Cesetti, Carena, Guidi o Carrer… Il nostro peccato di tentatori forse avrà indebolito la nostra conoscenza di Spinosa, Kant, Cartesio, però, fortunatamente, abbiamo acquisito il gusto del bello. Credo che, tutto sommato, la storia della filosofia, con tutte le astruserie dei suoi protagonisti, sia meno interessante della storia dell’arte; la produzione artistica è più facilmente godibile delle trovate filosofiche “Penso, quindi esisto”, “Tutto scorre”, “L’uomo è una monade senza porte o finestre”, “L’uomo è un lupo per gli altri uomini”, e cose del genere!

Questa esperienza esistenziale mi ha portato a preoccuparmi di raccogliere quadri e mobili d’arte, ancor prima che si gettassero le fondamenta del “Don Vecchi” di Campalto. Non mi pare più che i miei concittadini residenti al “Don Vecchi” apprezzino più di tanto i quadri che ornano tutte le pareti della struttura, ma forse per giustificare la mia avidità del bello, voglio illudermi che l’armonia di tante opere pittoriche li renda migliori.

Oggi sono particolarmente felice perché è ritornata dal restauro una tela del `700 inglese, di notevoli dimensioni, rappresentante una scena bucolica. Già sogno la parete bianca ove s’imporrà all’attenzione questo quadro o il comò del seicento fiorentino – seppur molto probabilmente rifatto – che esso andrà a impreziosire.

La vita è fatta anche di queste gioie modeste ed io ne godo quanto mai, sognando che dei poveri vecchi accolgano parenti ed amici in una struttura che molti credono sia ricca e lussuosa. Mi fa felice che della povera gente, almeno si illuda di vivere in una casa nobile e signorile i loro ultimi anni.

Se solo l’amministrazione pubblica aiutasse chi offre una vita più dignitosa agli anziani…

In questi ultimi mesi il tormentone che agita i responsabili del “Don Vecchi” sono gli anziani in perdita di autosufficienza. Un tempo i residenti, felici per l’ambiente signorile e gradevole, per i conforts che scoprivano nel nostro Centro e soprattutto per la retta a portata perfino di chi fruisce soltanto della pensione sociale, dicevano: «Ci avete offerto il Paradiso in terra!» Ciò mi gratificava e mi faceva immensamente felice. Al “Don Vecchi” di Marghera, aperto solamente un paio di anni fa, l’atmosfera è ancora quella da Paradiso, ma in quello di Carpenedo siamo arrivati almeno al Purgatorio.

Qualche giorno fa, in una delle mie visite sempre più rare in quel di Marghera, ho trovato un ambiente veramente idilliaco: ambienti comuni climatizzati, poltroncine moderne ed accoglienti, prato verde e ben rasato, quadri, ordine, pulizia e l’efficiente e completa autogestione m’hanno dato un po’ l’impressione di quel mondo bello che ognuno sogna. A Carpenedo però, la sempre più alta marea degli anni sta provocando lo stesso disagio che l'”acqua alta” provoca a Venezia. Ormai ci avviciniamo all’età media degli 84-85 anni, con tutti gli inconvenienti che quest’età comporta.

Stiamo studiando come rallentare l’invecchiamento o, semmai, puntellare l’autosufficienza che viene meno. Noi qualche idea l’avremmo, anche il Comune è totalmente consenziente, però in pratica l’operazione vorrebbe fosse a costo zero, e qui i conti non tornano!

Mi hanno riferito di qualcuno dei nostri che ha dovuto trasmigrare in casa di riposo. I racconti di questi “esuli” sono stati veramente raccapriccianti: pochissimo personale, nessuna possibilità di decisioni autonome, seppur marginalissime, pannoloni con funzione di latrina da svuotarsi solamente quando possibile, automi in attesa della “morte”, anche se non fisica, ma dello spirito e della persona umana. Il tutto al costo di cento euro al giorno.

Purtroppo, a causa dei regolamenti dell’apparato sociale, in pratica l’amministrazione pubblica scuce la borsa per queste soluzioni infernali, piuttosdto che aumentare l’euro e venticinque centesimi che finora mette a disposizione per ogni residente del “Don Vecchi”.

Potremmo trovare anche soluzioni alternative, però dovrebbero lasciarci liberi dagli schematismi di una burocrazia costosa ed insufficiente. Ora siamo nel guado, chi vivrà vedrà!

Non tutti vanno in vacanza

Tutta la stampa sottolinea i riflessi che la crisi finanziaria provoca anche sul comparto delle vacanze.

Premetto che il fatto che molti concittadini quest’anno abbiano accorciato i giorni di vacanza o debbano eliminare la voce “ferie”, com’è generalmente intesa, è però un “dramma” che non mi tocca più di tanto. Si può vivere benissimo senza doversi tuffare in luglio e in agosto in quella bolgia dantesca costituita dalle spiagge o dai cosidetti luoghi di villeggiatura. Far vacanza a quel modo non può che provocare nevrosi, perché di certo essa non ristora né il fisico, né lo spirito.

Dove viviamo tutti i giorni troviamo più facilmente ristoro, comodità, silenzio, distensione e perfino una ristorazione più confortevole. Ciò detto, so di non poter pretendere che l’universo intero, che normalmente si comporta secondo certi luoghi comuni imposti dall’opinione pubblica, possa arrivare alle mie conclusioni, perciò provo un senso di compassione per tutte quelle famigliole di operai e di impiegati che non si possono permettere qualche giorno diverso dai ritmi sempre uguali e da quel quotidiano che per molti finisce per diventar monotono. Provo perfino compassione per tutti quei miei concittadini che ingabbiati e condizionati dai mass-media, non possono soddisfare quella che il nostro vecchio Goldoni chiamava, già secoli fa, “la smania della villeggiatura”.

Siamo sommersi in maniera ossessiva e perfino drammatica da un mare di notizie riportate da giornali e televisioni su questo argomento, ne ho però colta una che, confesso, mi ha fatto piacere. Quest’anno il nostro caro Papa ha scelto di non andare in vacanza. L’avrei stimato comunque e gli avrei pure voluto bene, anche se si fosse preso un paio di settimane a Lorenzago o in val d’Aosta, perché di grane, in quest’ultimo tempo, ne ha avute fin troppe, a causa dei preti, dei governi e di come va il mondo.

Il Papa ha qualche anno più di me e quindi capisco bene quanto siano pesanti “le sue chiavi”- Confesso comunque che provo piacere che si conceda un po’ di tempo a Castelgandolfo per scrivere su Gesù. Io gli farò compagnia assieme a tutti i poveri del mondo, e lui farà compagnia a tutti quelli che forse non potranno far vacanze, ma che “di loro è il Regno dei Cieli”.

“Signore, mandaci preti folli!”

Chi mi conosce un po’, sa che sono impegnato da un paio di anni in un’altra impresa editoriale, oltre la pubblicazione de “L’incontro” e del quindicinale per gli ammalati “Coraggio”, cioè quella del mensile “Sole sul nuovo giorno”.

A quest’ultimo periodico sono particolarmente affezionato, come un padre al più piccolo dei figli, all’ultimo nato. Il mensile è costituito da una raccolta che offre ogni giorno “un pezzo” di autore, più o meno noto, sugli argomenti più disparati, ma sempre dal contenuto molto sostanzioso e dall’involucro dai colori smaglianti. Immagino quasi che un raggio del sole nuovo del mattino illumini un aspetto vero, cruciale ed estremamente significativo della vita sempre diversa e poliedrica. Mi è sempre più impegnativo scoprire riflessioni nuove, soprattutto espresse in maniera intensa, coinvolgente, con termini ed immagini che ti prendano per il bavero e che ti mettano colle spalle al muro. Io amo tanto questo tipo di letteratura, tagliente, che ti toglie il respiro e la pace.

Qualche giorno fa mi sono messo a sfogliare un numero pubblicato mesi fa nel quale c’era questa preghiera: “Signore, mandaci preti folli!” Riecheggiava le parole di san Paolo: “Nos stulti proter Christum”, noi accettiamo di essere considerati della gente folle perché seguiamo “lo sconfitto” vincitore: Gesù.

Non so ripetervi le parole e le argomentazioni di questa singolare preghiera, perché la bellezza specifica sta proprio nella scelta dei termini e dei concetti.

Pensavo, durante la lettura, che la Chiesa veneziana ebbe, soprattutto nel passato, delle splendide figure di preti con questa “pazzia”, che in definitiva è la ricchezza spirituale ed umana espressa in modi diversi, ma sempre ricca, sebbene spesso fuori dalle righe di una ordinarietà stanca e monotona.

Mi vengono in mente figure sacerdotali come don Barecchia, il cappellano della ritirata del Don, don Dell’Andrea, che accompagna fascisti e partigiani all’esecuzione capitale, monsignor Scarpa, col suo sigaro in bocca, ma col pensiero lucido e tagliente, don Vecchi, capace di tirar giù dalle nuvole i sogni più impossibili, don Da Villa, il cappellano dei nostri soldati nella fallimentare vicenda bellica dell’Africa settentrionale, don Giuliano Bertoli, il rettore del seminario che rimane impavido sulla barricata di fronte alla contestazione e salva il seminario, don Giorgio Busso, il prete sorridente che, contro tutti, crede che il Signore chiami ancora i nostri ragazzi, don Mezzaroba, che spalanca il suo cuore e la sua casa ai parrocchiani, don Spanio, che crea “i ragazzi di don Bepi”, don Niero, che recupera in maniera arguta ed intelligente la pietà popolare della nostra gente ed altri ancora.

Pensando a queste figure sacerdotali così diverse, ma così originali ed intense, ho ripetuto, quasi sillabando, la preghiera “Signore, mandaci preti folli!”, perché ho un sacrosanto timore di incontrare preti come soldatini di piombo immobili ed insignificanti!

Di tempo ne hai, usalo!

Michel Quoist ha composto una bellissima preghiera sul tempo. In pratica questo sacerdote francese, morto una ventina di anni fa, offre la parola a nostro Signore per dire a noi poveri uomini che spessissimo affermiamo “non ho tempo”, perché siamo convinti di non averne a sufficienza per aiutare gli altri, per ascoltare un po’ di musica che rassereni lo spirito, per visitare una persona in ospedale, per pregare, per meditare e per mille altre cose che sarebbe bello ed opportuno fare.

Quoist mette in bocca al Signore la risposta per chi si nega affermando ad ogni pié sospinto “non ho tempo”: «Non è vero che tu non hai tempo. Io infatti ti garantisco ogni anno tutti i 365 giorni, ogni giorno con tutte le 24 ore, ore con tutti i sessanta minuti, minuti con tutti i loro sessanta secondi… Non è vero che non hai tempo, forse è più vero che non lo sai usare bene o forse lo sprechi per cose di poco conto!»

Un paio di settimane fa ho trovato, in una delle tante riviste che sfoglio ogni giorno, una bella storiella a proposito di questo argomento. Un insegnante mostra un grosso vaso di vetro e lo riempie di palle da tennis. Poi domanda agli allievi: «E’ pieno il vaso?» Tutti rispondono di si, ma l’insegnante butta dentro sassolini che riempiono gli interstizi e poi domanda: «E’pieno?» «Si» rispondono. Al che egli versa della sabbia e richiede ancora «Ora è pieno?» Il “si” diventa ancora più convinto e definitivo. Allora l’insegnante tira fuori due birre e le versa affermando : «Vedete, ci vuole saggezza per occupare bene e fino in fondo il proprio tempo. A chi usa bene il proprio tempo resta perfino la possibilità di bere due birre con gli amici!»

Come si fa a dire al Signore che ha torto? Come mi posso giustificare dicendo “non ho tempo”? Ho ricordato più di una volta che il cardinale Urbani, nostro Patriarca, diceva al proposito: «Quando hai bisogno di un piacere, non chiederlo a chi è sempre libero, perché di certo ti dirà di no, chiedilo invece ad uno che è molto occupato, perché lui troverà un po’ di tempo anche per te».

Ora, ogni volta che sarei tentato di dire “non posso, non ho tempo”, mi calano avanti queste due sbarre che mi impediscono di passare. Ho scritto tutto questo nella speranza che queste sbarre si calino anche per gli altri.

La maggioranza silenziosa

Io ho scoperto la realtà della “maggioranza silenziosa” ai tempi ormai lontani in cui dominava negli stabilimenti e nelle piazze la CGIL e in Parlamento una coalizione di sinistra.

Sembrava che qualcuno avesse dipinto di rosso l’intera Penisola e che ormai fossero prossimi i giorni della dittatura del proletariato, senonché quasi per incanto e sorprendentemente, ci fu una marcia silenziosa di circa quarantamila cittadini che espressero in maniera civile il loro dissenso dalla politica del Governo e dagli indirizzi del sindacato.

Quella manifestazione pare non avesse alle spalle i partiti e non fosse pagata da alcuno, come invece sempre avviene quando gli operai scendono in piazza intruppati e finanziati dai sindacati che sono una potenza economica e per di più non presentano bilanci e non pagano tasse. Da allora ho capito che all’interno del Paese, della Chiesa o di un qualsiasi tipo di realtà sociale molto consistente, quasi sempre c’è una maggioranza silenziosa che raramente si oppone ai pochi scalmanati che si impadroniscono della scena e che danno l’impressione che tutti la pensino come loro.

Sono ritornato a questi ricordi e a questi convincimernti sentendo un signore che non era riuscito a trovare neanche una copia de “L’incontro”, il quale mi confidava che leggeva con estremo interesse il periodico perché sempre si ritrovava nelle convinzioni che io vado esprimendo.

Non passa giorno che qualcuno non mi esprima il suo gradimento e d’altronde il fatto che in piena estate si stampino quattromila copie del periodico e che già nella prima mattinata della domenica non se ne trovi neppure una, è una conferma non oppugnabile di tale gradimento.

Tutto questo mi aiuta a credere che non sia solo a pensarla in una determinata maniera, ma che sia presente nella nostra città e nella nostra Chiesa “una maggioranza silenziosa” che condivide i miei convincimenti. Questo, anche se può sorprendere i benpensanti, mi fa molto piacere.

Il punto sui Centri don Vecchi

La soluzione di alloggi accessibili anche agli anziani più poveri, e con qualche lieve servizio di supporto, per almeno un decennio si è dimostrata una soluzione ottimale, non solo innovativa, ma pure pilota nei riguardi delle residenze per la terza età.

Mezzo mondo è venuto a vedere i “Don Vecchi”, ad informarsi su questo nuovo modello che egregiamente allontana il tempo della casa di riposo, offrendo una maggior qualità di vita e a costi infinitamente minori, tanto che in più luoghi si sono create strutture simili.

Ma il nostro mondo corre molto in fretta, sicché ogni giorno mi convinco sempre più che la soluzione ha bisogno di aggiornamenti abbastanza consistenti e per nulla marginali. I motivi sono questi:

1) I residenti si accorgono e approfittano di tutti i vantaggi come fossero non il frutto di sacrifici di qualcuno, ma loro diritti sacrosanti.
2) Con mille sotterfugi tentano di beneficiare dei costi bassissimi per metter via o, più ancora, per poter aiutare figli o nipoti.
3) Abbastanza presto si accorgono degli aspetti convenienti, se ne approfittano a piene mani, ma sono molto restii ad una collaborazione generosa.
4) I figli sono sacri, guai disturbarli perché lavorano, han diritto di riposarsi, andare in vacanza; mentre pretenderebbero che giorno e notte la direzione provvedesse ai loro bisogni. C’è stato perfino chi avrebbe preteso che vendessimo i quadri per pagare più personale a loro servizio.
5) Naturalmente per via degli acciacchi e l’età avanzata quasi tutti scoprono prestissimo la previdenza offerta da Comune e Regione, intascano silenziosamente e poi, altrettanto silenziosamente versano in banca o, più ancora, ai figli.
6) Il ricorso alle badanti, pagate in nero, è una tentazione; infatti le lingue prevalenti al don Vecchi sono il rumeno, il moldavo e l’ucraino.
7) Infine, il passare degli anni ha innalzato non solamente l’età media, ma soprattutto gli acciacchi ed ha diminuito l’autonomia.

Ormai venti-trenta dei nostri anziani avrebbero bisogno della casa di riposo, ma le esistenti non hanno posti disponibili. Il Comune insiste, per motivi sociali ed economici, per la domiciliarità al “Don Vecchi”, offrendo una qualche ancora incerta disponibilità a far gestire dal Centro il costo dei servizi che esso eroga agli anziani. Questa soluzione esige scelte notevoli, assunzioni di responsabilità maggiori, modifica dello statuto e soprattutto il consenso dei singoli residenti.

Speriamo che il tempo porti consiglio e che a settembre siamo in grado di fare le scelte più opportune.

L’essere cristiani non è solo questione di termini!

Mi accorgo sempre di più che il nostro linguaggio è estremamente grossolano e poco specifico, e pure i termini che usiamo sono quanto mai equivoci ed illusori. Motivo per cui dietro ad un certo termine religioso puoi trovare tutto e l’opposto di tutto.

Qualche tempo fa citavo Pittigrilli, che afferma che certe parole fascinose sono come dei paraventi dietro i quali si nasconde la banalità e perfino il marciume. Ma nello specifico della religione esiste lo stesso fenomeno; ad esempio, i termini “religioso, cristiano, cattolico, praticante, cristiano impegnato” sono terribilmente equivoci, sono dei comuni denominatori che hanno quasi nulla del comune e invece tanto del diverso.

È, o almeno dovrebbe essere, evidente, che questa disquisizione lessicale, non è puramente teorica, ma esprime la copertura di situazioni concrete che provocano nel mio animo stupore, sdegno, ribellione, perché certe mistificazioni sono amare.

Ho incontrato nel passato una persona aderente al movimento dei focolari, che non esprimeva un pensiero, un discorso, una preghiera, se non la condiva mille volte con la salsa dolciastra e stomachevole della parola “amore”. Conoscendo poi il comportamento di questa persona nella sua vita di relazione, era chiaro che non avrebbe mai mosso neppure il dito mignolo della mano sinistra per aiutare il suo prossimo. Contemporaneamente avevo incontrato una di quelle persone che nel nostro ambiente ecclesiastico chiamiamo “lontano”; non so se fosse credente o meno, comunque non era assolutamente praticante, so che alla richiesta di un piacere, il sì è giunto immediato, continuativo nel tempo, tanto da sembrare che il piacere glielo avessi fatto io e non lui.

Sarei tentato di richiamare ancora una volta sant’Agostino col suo “ci sono uomini che Dio possiede e la Chiesa non possiede, ed altri che la Chiesa possiede, ma che Dio non riconosce come suoi discepoli”.

Purtroppo ci sono persone più papiste del Papa, che hanno la bocca impastata di terminhi pseudoreligiosi, ma che sono settari, egoisti, menefreghisti nei riguardi di quelli che non sono “dei loro”.

Sarà ormai un ventennio che sono quanto mai scettico su distintivi, confraternite, registri, gruppi impegnati di ogni specie; ed invece sono quanto mai interessato ad altri elementi qualificanti quali l’onestà, l’autenticità, la generosità, il coraggio, la solidarietà, la libertà di giudizio ed altri ancora. Talvolta questo mi provoca incomprensioni e rifiuti, ma mi ci trovo bene e sono contento nonostante tutto.