L’offerta del “bocolo”

Un professionista serio e devoto quest’anno ha manifestato la sua approvazione alla miscellanea di argomenti con i quali ho intessuto il mio sermone nel giorno di Pasquetta.

Quest’anno il cosiddetto “lunedì dell’Angelo” combaciava con la festa di san Marco, il giorno commemorativo della liberazione e con la tradizionale offerta del “bocolo”, argomenti che normalmente sono considerati dalla maggioranza dei fedeli non attinenti alla fede.

Addussi, come premessa al mio discorso, una tesi teologica di Romano Guardini. Questo teologo di spessore afferma che nella realtà della vita la distinzione fra sacro e profano è soltanto fittizia, perché tutto quello che attinge alla vita appartiene di sicuro al mondo del sacro.

Partendo da questo principio, dedicai un pensiero al nostro san Marco, bandiera unificante della nostra città e della gente veneta. Per passare poi alla liberazione, per sottolineare quanto questo dono sia costato a chi ha sacrificato la vita per garantircelo e quindi la necessità e il dovere di custodirlo, difenderlo e gestirlo con estremo rigore, perché quel dono è stato pagato col sangue degli uomini migliori.

Ho finito il sermone affermando che il bocciolo di rosa della tradizione veneziana è una delle tante componenti di cui si compone il comandamento dell’amore fraterno e che deve essere un segno di stima e riconoscenza per quanto le donne offrono di bello e di umano alla comunità e per esse un invito ad essere autentiche perché solo così sono un vero dono di Dio.

Alla conclusione m’è parso che l’assemblea abbia gradito il discorso e sia stata convinta che tutto quello che c’è di nobile nella vita è sempre sacro e dono del Signore.

Politica e rassegnazione

Nota della Redazione: mai come per questo caso è d’obbligo ricordare che gli scritti pubblicati risalgono a un paio di mesi fa.

Il nostro Comune, fortunatamente, non è interessato dalle attuali votazioni per il rinnovamento delle amministrazioni comunali. In questi ultimi mesi, però, tutta la stampa pubblica le diatribe tra i partiti tradizionali, le liste civiche spontanee e quelle promosse dagli stessi partiti, le altre liste fatte da fuoriusciti dell’uno o dell’altro schieramento, ma comunque mette in mostra il gran numero di cittadini, in qualche modo dediti alla politica, che si contendono “un posto al sole”.

A me pare strano e mi risulta pressoché inconcepibile che tanta gente ambisca oggi al mestiere dell’amministratore pubblico in tempo di crisi economica. Se è sempre stato difficile amministrare, in questo momento è pressoché impossibile, o comunque estremamente arduo farlo.

Parlavo, qualche giorno fa, con un mio amico, più giovane di me, ma che ha vissuto, pure lui, il sessantotto, con la relativa contestazione. Quest’amico, di fronte al discorso della deludente amministrazione del Comune di Venezia e di quelle probabili che usciranno dai pretendenti amministratori – che fin da ora si dimostrano intrallazzatori, transfughi, mestieranti e furbastri – mi disse: «Ai tempi del sessantotto si puntava ad un radicale cambiamento e si tentava di mandare al potere gente di fantasia; ora pare che la tendenza sia quella della rassegnazione, pare che gli italiani siano rassegnati che li amministri gente mediocre e politici di mestiere!».

Purtroppo penso di dover dar ragione a questo mio amico, perché non vedo all’orizzonte neppure un filo di novità. Io rimango aggrappato alla speranza che prima o poi i managers di aziende sane, i professionisti seri e gli operatori commerciali decidano di buttarsi nell’agone della politica dei fatti e ci sbarazzino di tanti arrivisti ed arruffapopoli di mestiere.

Opposti

Nel numero di Pasqua de “L’incontro” ho pubblicato dei pezzi veramente importanti, anche se diametralmente opposti.

Il primo è una poesia del servita, padre David Maria Turoldo. Questo poeta, così forte e appassionato, il frate che ha avuto come convento il nostro Paese e il cui pulpito sono stati i giornali, la televisione e le piazze, immagina, con struggente dolcezza, che chi porta l’annuncio della Resurrezione, passi in silenzio, con grande rispetto, per le strade, ed offra il bel messaggio come un fiore deposto sulla finestra di ogni casa, suoni a festa le campane della vecchia torre, vesta di bianco e doni la grande verità che fa sognare e rende libero e coraggioso l’uomo, con discrezione, rispetto e pudore, non volendo far violenza ad alcuno, ma quasi a dare l’annuncio come una carezza dolce e leggera.

Il secondo pezzo consiste nella lettera di un ergastolano scritta a Gesù, in occasione della Pasqua. La lettera è di un’amarezza sconfinata, quasi un grido disperato di un uomo senza orizzonti, senza domani e senza speranza: Una lettera in cui si denuncia l’insensibilità, la crudeltà degli “uomini buoni” che neppure gli usano la carità di ucciderlo con un colpo solo, ma che lo costringono in gabbia, come un animale selvatico, in un carcere che, come essi affermano, ha il compito di rieducare e di reinserire chi ha sbagliato nella società.

Mentre rileggevo questo messaggio disperato a Cristo, l’unico che può capire tanta disperazione, ho concluso che il vento della Resurrezione trova ancora tante strade chiuse e che il messaggio pasquale fatica ancora tanto ad entrare nel cuore degli uomini della politica, della burocrazia e della magistratura.

Da parte mia ho fatto il mio piccolo tentativo di girare la lettera ai cristiani ai quali compete trattare queste cose, ma nel contempo ho chiesto al Risorto di fare anche Lui la sua parte.

Ricordo di Papa Vojtyla

A Pasqua chiudono il cimitero, luogo del mio ministero, a mezzogiorno, per cui potevo godere di una mezza giornata di riposo.

Nel primo pomeriggio mi sono concesso un’oretta di televisione, potendo così seguire una rubrica, condotta da quel simpatico e intelligente giornalista che io reputo essere Giletti. Ho acceso il televisore dopo il breve “pisolino”, quando ormai il programma era iniziato da qualche tempo, rammaricandomi di aver perso la parte iniziale della trasmissione. Era in corso un’intervista con l’ex direttore della sala stampa del Vaticano, Joaquin Navarro Valls, persona che è stata a stretto contatto con Papa Carol Vojtyla per più di vent’anni.

Giletti è certamente un giornalista sciolto, brillante e intelligente, oltre che ricco di umanità e il suo interlocutore medico e giornalista, altrettanto intelligente e preparato, ma soprattutto capace di tradurre in testimonianza palpitante le sue “confidenze” sulla vita e sul modo di operare di quel meraviglioso Papa polacco, prima immagine splendida di vitalità e poi icona della sofferenza.

Dall’intervista è emersa soprattutto la calda umanità del pontefice e la sua fede forte e capace di determinare ed illuminare la sua vita e il suo ministero.

Più volte mi sono commosso, leggendo nel volto tanto espressivo di questo “servitore della Chiesa” l’ammirazione incondizionata e l’ebbrezza, quasi, di poter offrire agli ascoltatori una immagine così bella e così alta del “Papa venuto da lontano”.

Nei miei ottant’anni di vita ho “incontrato” capi di stato, artisti, uomini di cultura e di scienza, che hanno attraversato, come meteore, il cielo di questo e dello scorso secolo, ma forse la figura più bella, più completa e più positiva è stata quella del nostro pontefice, che ha saputo tradurre il Vangelo di Cristo nell’unica lingua comprensibile e la più amata dagli uomini del nostro tempo l’autenticità.

La Chiesa si è macchiata di mille magagne, ma se è ancora capace di esprimere uomini del genere, rimane la realtà più importante e più positiva del nostro tempo.

Il dramma dei preti di oggi

L’opinione pubblica radicale pensa che il prete sia uno che rappresenta il passato meno nobile e che campa sull’ignoranza e sui pregiudizi di ceti meno acculturati e più retrivi della società attuale. Mentre la gente normale è convinta che il sacerdote sia ancora una funzione sociale tesa soprattutto ad educare le nuove generazioni a valori sani e condivisibili.

Le persone di questo ceto, che tutto sommato amano, in qualche modo, il sacerdote ed apprezzano la sua funzione sociale, immaginano che il sacrificio maggiore che la Chiesa richiede ai suoi preti sia quello del celibato, che pone il prete in una condizione di solitudine pressoché disumana.

Di certo anche questo è un problema, ma almeno per me, non il più grave. Da parte mia il peso maggiore per un sacerdote oggi, è quello di avere un messaggio, delle verità, delle proposte, una lettura della vita, e non possedere parole, schemi mentali e motivazioni facilmente comprensibili dalla nostra gente. Io ho spesso la sensazione di avere una proposta, ma di essere quasi un “muto” che non ha suoni per passarla agli uomini che ancora vengono in chiesa per attingere speranza e coraggio per vivere.

In occasione dell’ultima Pasqua, ancora una volta ho sofferto e penato molto, senza forse riuscire, almeno a mio parere, a spiegare che oggi possiamo fare incontrare gli uomini del nostro tempo col Risorto, nella misura in cui riusciamo a formare cristiani capaci di assimilare il discorso di Gesù, che con le parole e con l’esempio ha proposto l’uomo nuovo del Vangelo, l’uomo rigenerato, l’uomo della resurrezione, che ha vinto la prepotenza, la meschinità, la paura, l’egoismo avendo creduto in Dio amore, verità e vita.

Nel profondo del mio spirito baluginava quel giorno questa verità, ma credo d’aver faticato, con scarsi risultati, a donare la verità di questa proposta che superava positivamente “il miracolo della risurrezione” poco incidente nella vita dei fedeli. Questo per me è il più grosso dramma del prete, oggi.

Le preghiere del nostro tempo

Ormai da tre anni sto curando l’edizione di un opuscolo mensile che ha come titolo di copertina “Sole sul nuovo giorno”. Nella sostanza si tratta di un’antologia di pezzi d’autore noti o meno noti, ma che hanno in comune la capacità di un forte impatto sulla coscienza del lettore. Li pubblico con la speranza che i miei concittadini, aiutati da questi scritti, densi e forti, prendano posizione di fronte agli eventi quotidiani.

Raccolgo questi brani tra le mie letture vagabonde dei periodici e dei volumi che mi capitano sottomano. Quando verso il 20 del mese il signor Novello, che riordina e impagina, stampa questo periodico, rivedo il risultato di una scelta e di un lavoro fatto molto tempo prima, per cui anch’io sono sottoposto all’impatto esistenziale che spero coinvolga i lettori.

Ultimamente mi sono accorto che molti di questi “pezzi” sono scritti a mo’ di preghiera, tanto che con piacere leggo queste pagine insolite, ma sempre ricche. E mi sono accorto che queste “preghiere” del nostro tempo sono preghiere esistenziali. M’è parso che l’uomo moderno, piuttosto che lasciarsi andare ad espressioni di contemplazione, è alla ricerca di una preghiera che abbia come corde di violino i fatti del vivere quotidiano, dei rapporti con gli uomini piccoli, piccoli e grandi.

Ho la sensazione che le parole e i sentimenti espressi tendano a voler manifestare col vivere di ogni giorno la riconoscenza, la richiesta di perdono, l’impegno a fidarsi del Padre e vivere in pace con i fratelli.

La preghiera più autentica, e quindi quella più gradita al Signore, è quella scandita con i fatti, le scelte e i comportamenti più conformi alla volontà del Padre.

Un sogno nell’arte!

Quest’anno m’ha fatto particolarmente felice l’ottima riuscita della prima mostra concorso della “Galleria San Valentino” di Marghera. Il coraggio, un po’ artisticamente “incosciente” della nuova responsabile della Galleria e la sua assoluta e totale dedizione, il mio struggente desiderio di far decollare nel paese-dormitorio di Marghera un centro d’arte e la generosa disponibilità di Luciano, hanno fatto il miracolo.

L’accorrere di più di cento artisti, con opere di un buon livello, soprattutto pensando alla difficoltà obiettiva del difficile tema “il volto”, l’inaugurazione in un ambiente signorile, la serietà della gestione dell’evento e soprattutto la cornice della struttura che, più di una residenza, appare come una bella hall di un albergo di categoria e la presenza vivace del mondo dei giovani, hanno fatto il resto. Tutto splendidamente bene!

L’avvio della Galleria è stato piuttosto faticoso, ma ora ho la sensazione che in poco tempo diventerà una proposta d’arte tra le più coraggiose e di alto livello della nostra città.

Un esito così felice e riuscito mi sta spingendo a sognare che se “La cella” lascia cadere la Biennale d’Arte Sacra che ho avviato una trentina di anni fa, la Galleria San Valentino possa ereditarne la sigla e soprattutto il contenuto: aiutare l’arte moderna a dare volto e colore d’attualità ai misteri cristiani.

Questa possibilità già mi fa sognare di poter riprendere quel dialogo che ha già prodotto tante amicizie e simpatie tra gli artisti e il mondo ecclesiastico, oltre una serie di opere quanto mai significative, delle quali la città può già godere, perché esposte nella più grande galleria cittadina che i centri “don Vecchi” offrono a Mestre con le quasi millecinquecento opere presenti nelle pareti dei quattro centri esistenti a Mestre.

“Aiutami Signore ad essere testimone credibile della tua resurrezione”

Un tempo ero assai preoccupato per la ripetitività della celebrazione dei fondamentali “misteri” cristiani, concepiti come eventi o riferimenti più importanti della proposta evangelica, quali le feste fondamentali – Natale, Epifania, Pentecoste, Ascensione, ecc. – che finivano per diventare tappe scontate, poco significanti, quasi monotone ed incapaci di suscitare sentimenti vivi e forti.

Nulla di più sbagliato, perché se la preparazione e la meditazione sono attente ad approfondite, la stessa verità si manifesta in un contesto sempre diverso, “il mistero”, ossia l’evento – si tratti della vita di Cristo o di un suo discorso o parabola – vengono ad assumere sempre un volto nuovo, sempre “fresco” ed interessante.

La verità, quella vera, è sempre nuova, ha sempre riflessi diversi e suscita nel cuore del discepolo tensioni, sensazioni e stimoli veramente fecondi.

Quest’anno, per la copertina di Pasqua de “L’incontro”, pensando alla Maddalena che, inebriata dalla scoperta della resurrezione di Cristo, torna felice ad annunciare questa meravigliosa novità agli apostoli, ho scelto il bel volto sorridente di una giovane donna e le ho messo in bocca le soavi parole di una poesia di padre David Maria Turoldo.

La mia folgorazione, per Pasqua, è stata il bisogno e il dovere, oltre che il dono e il privilegio, di fare l’annuncio della resurrezione con una voce, un volto veramente bello e felice, che odori di ebbrezza e di gioia indicibile. E’ semplicemente meraviglioso poter dire ai fratelli che incontro: «Cristo ha vinto la morte, io so di camminare verso il mattino di un nuovo giorno, più bello di tutti i giorni che ho vissuto e che potrò vivere.

La mia preghiera ardente ed appassionata per Pasqua è stata questa: “Aiutami Signore ad essere testimone credibile della tua resurrezione”.

Ho tentato di vestirmi a festa, di indossare finalmente gli abiti belli dell’ottimismo, della speranza e del coraggio di vivere. Spero e voglio riuscire a mantenere questo volto!

Dove sono i valori cristiani nella politica italiana?

Tangentopoli fu la punta di spillo che dissolse la “balena bianca”. La vecchia Democrazia Cristiana, che ebbe però l’immenso merito di far evitare al nostro Paese la squallida e terribile esperienza comunista, punta da questo spillo, mostrò tutte le sue vergogne e le sue divisioni interne. Il partito democratico, che ereditò la parte più consistente dei comunisti, resse per ulteriori due decenni, ma ora sta facendo la stessa fine, mostrando le varie anime: marxista, liberale, laica e cristiana. Forse anch’esso sta marciando verso un’ulteriore dilacerazione.

A me non è che non interessi tutto quello che riguarda la mia nazione ma, com’è comprensibile, sono più direttamente interessato a quello che riguarda i membri della mia Chiesa, ossia i cittadini che si rifanno alla cultura e alla tradizione cristiana.

Con la morte del partito dei cattolici è avvenuta ufficialmente la grande diaspora che covava già da parecchi anni all’interno della Democrazia Cristiana. Questo fatto non mi meraviglia né mi rattrista, perché in politica valgono le soluzioni che si ritengono più valide per raggiungere le mete di ogni comunità civile: il benessere, la libertà, la giustizia, la perequazione dei beni, la vera democrazia.

Non mi meraviglia e non sono dispiaciuto che i cattolici siano andati a finire un po’ dovunque: nel PD, nell’UdC, nel PdL e in tutta la meteora di fazioni scaturite dai maggiori partiti politici, anzi questo mi fa felice perché questi cattolici possono così lievitare di spirito cristiano i relativi partiti politici in cui militano. Quello che invece mi preoccupa e mi delude è che quando si tratta di scegliere su ciò che riguarda i valori fondamentali, quali la persona, la solidarietà, la libertà, la vita, la morte, ecc., tutti i seguaci di Gesù, indipendentemente dalla bandiera di partito, dovrebbero trovarsi unanimi a difendere e promuovere i valori cristiani.

Finora però non ho visto niente di tutto questo e purtroppo in ogni occasione è emerso più l’interesse di parte che la fraternità e la coerenza cristiana. Per quanto mi riguarda starò estremamente attento a favorire il contenuto piuttosto che il distintivo del contenitore.

Vorrei una Chiesa fatta di Vangelo e semplicità!

Sono del tutto d’accordo con coloro che continuano a ripetere che l’abito non fa il monaco, però resto ancora convinto che una certa qual importanza, anche se non rilevante, la fa pure “l’abito”.

Partendo da questa convinzione fui tra dei primi, assieme a don Vecchi, che smisi la tonaca per il clergyman, però non condivido la scelta dei preti che si sono sbarazzati in maniera disinvolta da ogni segno che indichi la loro appartenenza al clero.

Non sono certamente i “termini” che qualificano le scelte e le persone, ma i contenuti. I comunisti, in proposito, hanno tagliato corto e sono stati quanto mai radicali, sostituendo ogni denominazione dell’autorità con il termine “compagno”, ma la loro è stata solamente ipocrisia, perché certi “compagni” lo erano più degli altri, così da diventare despoti e dittatori.

Prima dei comunisti anche la Rivoluzione francese aveva tentato di risolvere il problema dell’eccessivo peso dei gradi coniando il termine “cittadino”, ma pure la loro fu solamente un’ipocrisia.

Gesù tentò anche lui una riforma radicale introducendo il termine “fratello”, ma i suoi seguaci nel tempo non sono stati assolutamente fedeli a questo termine, e gli hanno preferito l’ampollosità spagnolesca di altri quali, Monsignore, Eccellenza, Eminenza, Santità e via dicendo.

A me in verità non disturbano più di tanto queste locuzioni, ma mi sembrano stonate, fuori tempo o, perlomeno, fuori moda. Mi interessa di più che le persone definite da questi termini siano paterne ed operino in spirito di autentico servizio piuttosto che di governo, ma confesso che non mi dispiacerebbe che certe parole scomparissero dal vocabolario ecclesiastico, come certi segni, sacri palazzi, fasce e bottoni rossi, cuffie e vesti dalle fogge strane, stemmi araldici e cose del genere sono qualcosa che penso sporchino la semplicità; ad essi preferisco segni e parole che sappiano di Vangelo piuttosto che di cerimoniale.

Il mio augurio a mons. Beniamino Pizziol

In queste ultime settimane è stata annunciata con grande rilievo la nomina di mons. Beniamino Pizziol a vescovo di Vicenza, una delle più grandi ed importanti diocesi del Veneto.

Vicenza, con Bergamo e forse Padova, sono sempre state considerate come la Vandea d’Italia, come serbatoio dei voti della Democrazia Cristiana, delle vocazioni alla vita religiosa, dei “cattolici”, dell’associazionismo.

Il Papa e il nostro Patriarca hanno dimostrato di avere una notevole stima di questo confratello per avergli affidato uno dei “gioielli di famiglia” della Chiesa del Nordest.

La “carriera ecclesiastica” di don Beniamino s’è sviluppata un po’ in sordina: cappellano a San Lorenzo Giustiniani, alla scuola dell’intellettuale don Antonio Moro, parroco della miniparrocchia di San Trovaso, vicario generale di un Patriarca dal respiro internazionale, vescovo ausiliare di primo pelo e quindi vescovo di Vicenza “la bianca”, ora un po’ meno immacolata, ma ancora tendente al bianco!

Sono convinto che l’equilibrio, la semplicità, l’umiltà e la moderazione di “don Beniamino”, cresciuto in una Chiesa tranquilla, tra un clero individualista e sornione, libero ma fedele, l’aiuteranno ad essere un buon vescovo.

Ho pregato e continuerò a pregare per lui che ha accettato un “servizio” che a me metterebbe angoscia per le difficoltà immani che il cattolicesimo veneto dovrà affrontare se non vuole scomparire dalla scena. Spero che lo Spirito di Dio lo sorregga e l’aiuti ad essere un pastore buono, paziente ed esemplare. Mi fa ben sperare il fatto che, se è riuscito a farsi amare da un prete irrequieto, intransigente e polemico quale reputo di essere io, gli sarà più facile guidare un popolo ed una Chiesa che ritengo più quieta ed allineata.

Auspico per l’Italia una rivoluzione morale!

Più volte ho confessato in queste pagine che ogni giorno dedico un qualche tempo per un aggiornamento sugli eventi della vita del nostro Paese.

Al mattino, prima di prendere la strada che porta al luogo ove svolgo il mio ministero, sfoglio Il Gazzettino per un quarto d’ora: do una scorsa ai titoli e leggiucchio qualcosa che mi interessa maggiormente. Vedo poi il telegiornale delle 13,30 e delle 20. La risultante? Una vera desolazione!

E’ vero che i giornali si stampano e si vendono quasi esclusivamente per la cronaca nera, perciò per trovare qualcosa di positivo debbo cercarlo come Diogene col lanternino anche in pieno giorno.

E i telegiornali? Ancora peggio! Imbrogli, delitti, raggiri, scandali, volgarità, e chi più ne ha più ne metta. La politica, che nei mass-media la fa da padrona: peggio di peggio. Il parlamento, che dovrebbe essere la scuola che educa i cittadini ad un vivere civile, sembra l’università in cui le varie facoltà insegnano in maniera specifica il peggio del comportamento umano; l’insulto, l’arroganza, la mancanza di rispetto, la demagogia, il perditempo, l’ipocrisia, il fariseismo, la furbizia, ecc. Per non parlare della condotta morale dei docenti di queste tristi facoltà. Sono arrivato alla conclusione che le riforme tanto auspicate sono perfettamente inutili.

L’Italia ha invece bisogno di una rivoluzione morale per insegnare e soprattutto per testimoniare il rispetto, la pacatezza, l’onestà, la buona educazione, il dialogo, la ricerca della verità e lo sforzo di collaborazione nel cercare il bene comune.

Temo però che, almeno i “capi popolo” siano ormai irrecuperabili.

Davanti agli occhi miei ogni giorno Dio allestisce galleria d’arte più bella!

Il mio minialloggio è tanto piccolo, ma anche così confortevole da avere perfino un terrazzino con la balaustra, ove suor Teresa in ogni stagione mette le piante in fiore e che si affaccia su un grande prato che si veste, in ogni stagione, di splendidi colori diversi.

Quando mi affaccio a questo terrazzino per contemplare il cielo e la terra, le piante e gli uccelli, il mio animo ritorna spesso alle parole cariche di nostalgia con cui Celentano rimpiange i prati di via Gluck. Per fortuna io ho la grazia straordinaria di non dover rimpiangere alcunché, anzi posso incantarmi e non stancarmi mai di stupirmi e di contemplare il manto con cui si veste il grande campo. Di certo né Gucci, né Stefanel, né Cristian Dior potrebbero suggerire tinte così delicate e smaglianti quanto quelle che il buon Dio fornisce gratuitamente alla terra incolta del mio grande prato, amico di ogni stagione.

Tante volte, pressato dalle richieste, ho sognato e tentato di costruirvi un’altra dimora per i miei anziani e tante volte il Signore si è servito dell’insipienza o forse della gelosia dei miei concittadini per impedirmi di destinare agli anziani poveri qualche appezzamento di terra, perché voleva che rimanesse uno splendido prato godibile da tutti.

Ora il prato è tutto coperto di piccoli fiori color oro, fiori che da bambini chiamavamo “le scarpette della Madonna”. Chagall sarebbe stato affascinato da tanto giallo-oro che riflette i raggi tiepidi del sole di primavera.

Credo che la regina di Saba non ebbe mai un vestito così bello come quello del prato oltre il terrazzo del mio soggiorno, né mai l’avrà la principessina d’Inghilterra appena sposata. L’artista divino, con una fantasia ineguagliabile, ci offre un quadro sempre nuovo che diventa ogni settimana la galleria più bella della nostra città.

Ho incontrato anch’io una Veronica, anzi due.

Dopo l’ultimo intervento chirurgico, non è finita la mia “via crucis”, che continuerà fino a che, prima o poi, dovrò giungere, come ogni essere umano, all’epilogo. Questa è la “dura lex” della vita per tutti!

Nel tratto di strada che sto percorrendo, come avviene nel pio esercizio della liturgia della passione, ci sono le varie stazioni: il Cireneo, la caduta, la Veronica, ecc., perché anche a noi poveri cristiani capita di percorrere la stessa via dolorosa di Gesù e fare le sue stesse esperienze. Volesse il Cielo che le superassimo come Lui!

Questa mattina ho incontrato nella clinica patavina “la Veronica”, anzi, a differenza di Gesù, due “Veroniche” nelle persone che m’hanno fatto l’instillazione mensile di chemioterapia.

Io appartengo al vecchio mondo e in più al vecchio mondo sacerdotale in cui la riservatezza, il pudore erano regole sacrosante. Ebbene ho incontrato nelle due infermiere addette a questo intervento una delicatezza, un’amabilità ed un rispetto per questo vecchio prete, che non solo non ho sofferto più di tanto, ma non mi sono sentito per nulla a disagio. Anzi, ringrazio il Signore di questo incontro che ai miei occhi e nel mio cuore ha riscattato quel vecchio mondo di dottoroni freddi e sapientoni, il mondo degli avidi, dei burocrati e degli indifferenti alle difficoltà degli altri.

Gesù certamente si rincuorò quando quella dolce creatura che fu per lui la Veronica gli asciugò il sudore ed Egli riprese con più coraggio e serenità il suo cammino verso la croce. Io sono tornato a casa col cuore in pace con me stesso e con l’umanità.

Il buon Dio manda sempre a tempo debito quei raggi luminosi di sole che ti  rassicurano; fortunatamente ci sono in ogni settore delle splendide creature che fanno da contrappeso al grigiore della mediocrità e della cattiveria e che ti aprono il cuore alla speranza e al bene.

Amo l’arte!

I miei debiti nei riguardi di monsignor Valentino Vecchi sono davvero pressoché infiniti. Io sono nato in un paese in riva al Piave dove ho visto biondeggiare il grano sui campi, i grappoli d’uva delle viti, ho sentito i grilli cantare nelle sere in cui il cielo brillava tutto trapunto di stelle. Ho visto file di buoi arare le zolle e sentito i contadini cantare mentre zappavano la terra.

Nel mio piccolo paese di campagna ho imparato tante cose interessanti ed utili per vivere. Ma per quanto riguarda l’arte, ho visto solamente vecchie foto di famiglia, qualche oleografia con la Sacra Famiglia, ma nulla più.

Di Giotto, Cimabue, Pinturicchio, Chagall, De Chirico o Cesetti, Guidi o Carrà e dell’infinito popolo di pittori e di artisti, mai ho sentito parlare, neppure nella vecchia scuola, che un tempo doveva ospitare delle monache, e che tutti chiamavano “il convento”.

Don Vecchi mi ha introdotto nel mondo magico ed affascinante dell’arte, mi ha fatto conoscere la tavolozza, le tele e la bellezza dei colori e delle forme.

Don Vecchi mi ha aperto gli occhi a questo mondo così vario ed affascinante, che mi ha letteralmente fatto innamorare. Da questo amore è nata la galleria “La Cella”, la “Biennale di arte sacra”, la conoscenza e l’amicizia con i tanti artisti veneziani e mestrini e da questo amore è nata pure la secondogenita, la “Galleria san Valentino” del “don Vecchi” di Marghera.

Con l’aiuto, prima, di alcuni critici, poi di un’esperta di itinerari d’arte, infine di una giovane signora, pure innamorata della bellezza, ed esperta nel settore, si è avviata questa bella avventura artistica che ha già promosso molte mostre e che è arrivata perfino ad organizzare un concorso su un tema specifico, che sta riscuotendo notevole successo.

Vivere nel senso più vero del termine, è cogliere tutta la ricchezza del creato, e per un cristiano ciò diventa perfino preghiera e adorazione di quel Dio che si manifesta a noi in mille modi – e quello dell’arte è uno di questi; forse uno dei modi più privilegiati.