Un dono non sufficientemente apprezzato e amato

Io, dopo un evento che mi ha coinvolto e che mi ha fatto soffrire, non riesco a voltare pagina facilmente. I mass-media, che per due giorni mi hanno “tormentato” con interviste e domande sulla tragica morte dell’ingegner Cecchinato e di sua moglie, certamente domani saranno alla ricerca di un’altra notizia che possa interessare l’opinione pubblica ma per me le cose non vanno così.

Il sapere che una persona, che ho incontrato e conosciuto anche se superficialmente, si è tolta la vita non mi lascia e non mi lascerà indifferente per molto, molto tempo. Il pensiero poi che questa persona sia “naufragata” perché non aveva l’appiglio della fede, quell’appiglio che tante volte mi ha salvato e per il quale io sono stato scelto come prete per offrirlo a chi mi sta accanto, è qualcosa che mi turba e mi costringe a riflettere.

Ricordo sempre Bernanos che nel suo “Curato di campagna” fa dire al prete protagonista: “Non è colpa mia se vesto da beccamorto (allora i preti portavano la tonaca nera) ma comunque io offro la speranza a chiunque me la chieda”. Io avevo ed ho ancora, per grazia di Dio, quel dono di cui anche l’ingegner Cecchinato aveva bisogno e mi addolora moltissimo non essere riuscito a trasmettergli quel dono a cui avrebbe potuto aggrapparsi in quel triste momento della sua vita.

In questi giorni di turbamento una volta di più ho capito quale ricchezza sia stata offerta a noi credenti, ricchezza che talvolta non apprezziamo e non testimoniamo quanto sarebbe giusto e doveroso.

Proprio ieri mi è capitato di leggere una pagina ingenua e candida che mi ha aiutato a capire ancora meglio quanta sicurezza, coraggio e serenità porti nell’anima la fede in Dio. La offro perciò anche a voi amici perché abbiate quell’appiglio che l’ingegner Cecchinato non è riuscito a trovare.

“Mamma!” una vocina chiama dal bagno. “Sono qui, tesoro”, risponde la madre. Anche se la bambina non la vede si calma subito udendo la voce in cui ha fiducia. Poi, improvvisamente, la porta si chiude sbattendo per una corrente d’aria. Il rumore inatteso scuote la bimba. “Mamma? Sei ancora lì?” dice con voce tremante di paura. “Sono qui, amore! Ti prometto che non ti lascerò”.

Come la bambina, a volte anche noi ci troviamo in situazioni che incutono timore. Non possiamo vedere Dio, non possiamo sentire la sua presenza, cadiamo nel panico, temendo che ci abbia abbandonati in un territorio sconosciuto. Ma quando gridiamo “Abba!” Dio ci assicura: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò”. La fede nella parola di Dio fa cessare le nostre paure. Tra le Sue braccia amorevoli troviamo la forza per affrontare i momenti più difficili della vita, sapendo che Lui non ci abbandona.

Il dramma che mi pesa nel cuore ma non mi toglie la speranza

L’intera città è rimasta sconcertata dal tragico evento che ha coinvolto l’ingegner Ernesto Cecchinato e sua moglie. È stato estremamente difficile per tutti comprendere il gesto del nostro concittadino che, dopo aver ucciso la moglie, ha posto fine alla sua vita ma è stato ancora più difficile capire perché egli si sia fatto portare da Abano a Mestre ed abbia scelto il giardino pensile del nostro ospedale per mettere la parola fine a due esistenze.

Queste domande comunque sono oziose e per nulla utili, l’importante è chiederci come mai nessuno si sia reso conto della disperazione che ha portato a questo dramma e non gli abbia offerto quella solidarietà che forse l’avrebbe aiutato a superare lo sconforto e la solitudine interiore.

I giornali mi hanno descritto come “il suo amico sacerdote”, in realtà non è stato così. L’ingegner Cecchinato l’avevo conosciuto quando mi donò, per il Don Vecchi, prima 150 suoi dipinti accompagnati da 5 milioni di lire e poi lo incontrai nuovamente quando, un paio di anni fa, mi offrì sempre per il Don Vecchi 100.000 euro. Sono certo che nutrisse fiducia e stima nei miei confronti, da parte mia fin dal primo incontro provai simpatia per questo uomo intelligente, generoso ed onesto.

Una mia vecchia parrocchiana, che conosceva l’ingegner Cecchinato meglio di quanto non lo conoscessi io, avendo saputo del suo dono mi disse: “Don Armando, gli stia accanto perché sta molto male e non ha il conforto della fede”. Molti pensano che una “buona parola” possa “convertire” una persona ma purtroppo so per esperienza che solamente una testimonianza coerente ed un’amicizia sincera forse può generare in un non credente una crisi positiva capace di aprire uno spiraglio di speranza. Ho fatto qualcosa ma non è stato sufficiente, forse perché era gravemente ammalato e sua moglie lo era molto più di lui ma soprattutto perché vivevamo molto lontani l’uno dall’altro e oltre alla stima reciproca non c’era molto altro. Io desideravo offrirgli conforto e speranza lui invece nutriva la curiosità di sapere come procedeva la realtà del quartiere Don Sturzo per il quale aveva lavorato e penato alquanto.

Sono estremamente addolorato per la tragica fine di questi due anziani coniugi ma non ho perso la speranza sia perché condivido il pensiero di Sant’Agostino che afferma che “ci sono uomini che Dio possiede e la Chiesa non possiede” sia perché il Dio in cui credo e che amo ha il volto del padre del figliol prodigo. Queste verità mi offrono la certezza che anche queste due care creature troveranno la pace.

“Nonostante i preti!”

Anche nel mondo della Chiesa circolano battute, barzellette, sentenze ed altro ancora che mettono quasi sempre in risalto i limiti, le fragilità e le debolezze degli uomini di Chiesa. Mi pare che nel passato queste manifestazioni di anticlericalismo, più o meno pungenti, fossero più frequenti e ben più acide. Ricordo di aver letto alcuni volumi di un prete romagnolo, don Fuschini, uomo di lettere e fine intellettuale dalla penna scorrevole, che sapeva “dipingere” in maniera quanto mai incisiva l’anticlericalismo esasperato della sua terra specie del Ravennate, territorio in cui massoni e mangiapreti si “sposavano” totalmente con i repubblicani di un tempo.

Leggendo quei volumi ho appreso quanto pochi fossero i praticanti in terra di Romagna e quanto fossero oggetto degli strali più mordenti quelle poche vecchiette che ancora frequentavano la chiesa e quanto sarcastiche fossero le invettive proferite da una popolazione generosa e sana ma erede di quel dominio pontificio che non ha di certo brillato per buon governo della cosa pubblica.

Nel mio paese natio, che è parte integrante della Vandea d’Italia, la satira non era così mordace ma comunque illazioni sul costume dei preti non erano certamente infrequenti. Ricordo che una battuta, un po’ più seriosa di altre eccessivamente volgari ma però altrettanto devastante, affermava “che se i preti non erano riusciti a distruggere la Chiesa con il loro comportamento voleva dire che essa era fortemente voluta e protetta dal cielo”.

Mi sono ricordato negli ultimi tempi di queste considerazioni anche alla luce cupa del vecchio prete trentino che “comprendeva” la pedofilia, del giovane prete polacco docente in Vaticano che ha rivendicato il suo diritto all’amore con il “fidanzato omosessuale” o peggio ancora la vera o presunta ma comunque verosimile presa di posizione di un gruppetto di cardinali che avrebbero auspicato e richiesto le dimissioni di Papa Francesco. L’altro ieri quando, prima di iniziare la catechesi del mercoledì, il Pontefice ha chiesto perdono alla folla per gli ultimi scandali avvenuti dentro e fuori dal Vaticano, mi sono commosso comprendendo quanto pesanti siano sempre state “le chiavi di Pietro” ma ora che un Papa vorrebbe liberarci da una impalcatura sacrale per aiutarci a vivere una religione da Vangelo il loro peso è tale da schiacciare letteralmente l’attuale successore di Pietro.

I miei dubbi

Qualche tempo fa, pur cosciente di essere un semplice untorello di periferia, riflettendo sulla questione terribilmente complessa dei profughi, anche se in maniera faceta, sono arrivato a proporre soluzioni concrete. In quel momento non ho riscontrato alcuna reazione perché i lettori de “L’incontro”, che sono persone buone ed intelligenti, certamente avevano capito che le mie esternazioni di vecchio prete non avevano la presunzione di far credere che avessi la soluzione del problema in tasca, soluzione che pare non abbiano neppure i massimi responsabili ed esperti sia nazionali che mondiali. Credo che tutti abbiano capito che si trattava solamente di una provocazione per stimolare chi ha competenze e responsabilità a impegnarsi più sollecitamente almeno per approcciare il problema in maniera più seria. Nella mia proposta, come ultimo punto, auspicavo che la Guardia di Finanza, un giorno sì ed un giorno sì, facesse delle verifiche sul comportamento delle cooperative e degli enti pubblici perché non lucrassero più di tanto sulla disperazione dei profughi. Il mio discorso non era poi così ballerino e personale perché ormai l’intera nazione è venuta a conoscenza del comportamento e delle truffe che certe cooperative romane, in odore di mafia, hanno perpetrato ai danni dello Stato e sulla pelle di quei poveri disperati che purtroppo si illudono che l’Europa darà loro accoglienza per trovare finalmente un po’ di serenità.

Ora vengo al motivo di questa lunga premessa. Il giorno dopo l’invito del Papa, rivolto ad ogni comunità cristiana, di offrire un alloggio ad una famiglia di profughi, si è riunito il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Carpinetum. Io, pur non facendone più parte, ero stato invitato a partecipare a quella riunione di Consiglio. In quell’occasione si è discusso dell’invito del Pontefice e, anche su mia pressione che poi si è rivelata superflua, il Consiglio, seduta stante, ha messo a disposizione due alloggi. Il primo – che è al Don Vecchi – è già stato fatto ridipingere mentre per il secondo, che si trova alla Cipressina, si stanno spendendo euro 20.000 per la ristrutturazione. Di tutto questo mi sento veramente orgoglioso. Ho comunicato al Patriarca la disponibilità della Fondazione però sono passati quasi due mesi e nulla si è mosso. Non vorrei che la mafia fosse giunta anche a Venezia! Tra un po’, in mancanza di segnali positivi, proporrò di ritirare la disponibilità perché per quel che mi riguarda è doveroso pretendere serietà sia dallo Stato che dalla Chiesa!

Il Papa nella burrasca

Credo che pochi Papi nella storia millenaria della Chiesa siano stati così tanto amati quanto Papa Francesco e credo anche che pochi Papi abbiano meritato questo amore e questa ammirazione come il nostro attuale Pontefice. A sancire la validità di questa dedizione al Papa, “venuto dagli estremi confini del mondo”, c’è anche l’antica massima “vox populi, vox Dei”. La voce del popolo semplice e vera supera tutte le analisi dei sociologhi, dei teologi e degli esperti perché equivalente alla voce di Dio.

Ho paura che per Papa Francesco sia terminata “la luna di miele”, non però con il popolo di Dio ma con i suoi “caporali” e soprattutto con i suoi “generali”. Pare che dentro la Chiesa cominci a sorprendere e a infastidire questo “sacerdote” che vive e chiede che i cristiani non riducano la loro fede a mezz’oretta di Messa domenicale e non si “voltino dall’altra parte” di fronte alla sofferenza e al dramma degli ultimi, dei fratelli disperati travolti dalla brutalità, dall’egoismo e dal sopruso. Questo insegnamento è rivolto all’umile popolo di Dio che a causa del peccato originale ha bisogno di conversione ma soprattutto è rivolto a chi occupa posti di privilegio nella gerarchia ecclesiastica e si oppone al venir meno del prestigio che una certa “sacralità” gli assicurava.

Io, che sono l’ultimo della classe, so che un alto prelato che viveva vicino a noi non usciva “da palazzo” se la polizia stradale non gli faceva da scorta perché, secondo lui e secondo una certa tradizione, la sua carica lo equiparava a un principe. Credo che chi è un po’ addentro alle cose della Chiesa sappia che fino a qualche anno fa, quando il Patriarca si recava in visita presso una parrocchia, veniva approntato un baldacchino affinché la sua “maestà” avesse risalto.

Ho la sensazione che certe esternazioni, certe voci spesso piene di falsità fatte filtrare subdolamente, abbiano come causa comune il fatto che Papa Francesco predichi, e in qualche modo pretenda, che i cristiani abbiano come maestro Gesù e imparino a “lavare i piedi e a servire gli ultimi di questo mondo” piuttosto che “pontificare” dall’alto dei loro scranni.

La venticinquesima ora

Qualche giorno fa, come i miei amici lettori certamente ricorderanno, ho steso qualche nota su quello che io ho sempre chiamato “Alto Adige” ma che le popolazioni locali hanno sempre chiamato e continuano a chiamare con forza e ostinazione “Sud Tirolo”.

In quell’occasione ho confessato che le mie conoscenze sono molto vaghe e scarsamente approfondite. Io provengo dalle file dei balilla in cui mi è stato insegnato che le Alpi sono “il sacro confine della Patria”. Con il duce a questo riguardo non si andava molto per il sottile. Ricordo che quando facevo le elementari venne promosso una specie di concorso su di un tema di carattere patriottico. In quell’occasione risultai il primo della scuola e come premio mi regalarono la divisa da balilla che non possedevo e mi portarono a Venezia affinché mi cimentassi con i vincitori degli altri plessi scolastici. Ricordo ancora di aver scritto, con l’enfasi e la retorica fascista, “che se il nemico avesse infranto i confini della nostra Patria noi avremmo spezzato loro le reni”. Forse quella frase l’avevo appena imparata e mi piaceva così tanto da inserirla nel tema come una pietra preziosa. Oggi in merito a queste affermazioni sono un rinnegato e le rifiuto in maniera radicale.

Una gran parte delle guerre fratricide, più o meno recenti, sono state causate da quei “trattati di pace” spesso artificiosi ed egoisti che la vecchia Europa per secoli ha ratificato non tenendo conto delle specificità di ogni popolo che ha il sacrosanto diritto di vivere all’interno della propria terra conservando la propria cultura e le proprie tradizioni. Ricordo d’aver letto un romanzo terribile “La 25ª ora” (credo sia stato scritto da Gheorghiu), quell’ora fuori dal tempo e dalla logica nella quale i prepotenti di turno spostano a piacimento ed a loro vantaggio milioni di schede che rappresentano milioni di persone collocandole con sadismo ed egoismo aldilà o al di qua di confini artificiosi sradicandole dalla loro terra e dai loro costumi. In questi anni, in cui la globalizzazione e le migrazioni di massa stanno trasformando il nostro mondo in società multietniche, diventa sempre più importante per ogni popolo imparare a conoscere e a rispettare culture e tradizioni diverse dalle proprie perché queste differenze si trasformino in opportunità di arricchimento e cessino di generare conflitti.

Il ristorante Serenissima

Quando usciranno queste mie note, le sorti della nuova e pressoché unica esperienza di un ristorante vero e proprio destinato alle famiglie e ai singoli che con dignità affrontano il loro disagio economico saranno già segnate, mi auguro di tutto cuore in maniera assolutamente positiva. Mi pare però opportuno fare il punto e tirare le conclusioni della fase preparatoria. Nel momento in cui sto scrivendo mancano meno di una manciata di giorni alla sua inaugurazione. Devo sottolineare che in questa avventura le cose positive sono moltissime però vi sono anche delle lacune abbastanza deludenti che spero si risolvano nelle prossime settimane. Credo che di ogni impresa in cui si cimenta l’uomo sia doveroso sottolineare il bianco e il nero: il bianco per offrire speranza e positività e il nero per combattere i demoni dell’indifferenza e del disimpegno. Comincio con il sottolineare le positività di questa avventura

Ritengo doveroso ricordare a tutti la prontezza e l’assoluta disponibilità con le quali la famiglia Putin di Vicenza, che gestisce la grande impresa “Serenissima Ristorazione”, ha risposto alla richiesta di questo vecchio prete, a loro sconosciuto, che chiedeva 110 pasti al giorno gratis per i poveri.

Quando si è posto il problema dello staff di governo ho richiamato in servizio Graziella e Roberto Candiani, ormai “pensionati” dopo 20 anni di assoluta dedizione al prossimo, e il sì è stato immediato ed entusiasta.

L’esigenza di reperire “manovalanza”, dopo il deludente comportamento degli scout sui quali, avendone fatto l’assistente per mezzo secolo contavo in maniera assoluta, si è risolta quando mi sono rivolto direttamente alla città e in una settimana ben 60 volontari di ogni ceto e di ogni età si sono offerti per svolgere questo servizio.

Infine desidero ringraziare per la splendida collaborazione ricevuta i giornali e le emittenti locali: sono stati veramente magnifici e non avrebbero potuto fare di meglio.

Tra le note dolenti mi duole annoverare la mancata risposta delle parrocchie, delle assistenti sociali, della Caritas, della San Vincenzo e della Municipalità, soggetti che dovrebbero essere gli specialisti del settore.

Mi auguro che alla sordità e alla lentezza iniziale segua un impegno serio, positivo ed efficiente. Purtroppo non tutte le ciambelle riescono con il buco.

Efficienza e bellezza

Io sono molto orgoglioso che Mestre, il brutto anatroccolo di Venezia matrigna, abbia finalmente un ospedale che s’impone da un punto di vista architettonico ed estetico. “L’Angelo” è forse l’unica struttura costruita nel dopo guerra che colpisce chi è dotato di un pizzico di gusto estetico.

Mi piace la torre Maya che si offre allo sguardo dello spettatore nel contesto della nostra bella campagna senza però incombere su di essa, mi piace la collinetta verde con i suoi piccoli cipressi affusolati che sembrano pungere l’orizzonte, mi piace anche l’interno dell’ospedale così accogliente e riposante. Entrando l’impatto che se ne riceve è ben diverso da quello che si prova in un nosocomio dove l’odore pungente di disinfettanti ti colpisce sgradevolmente e dove non puoi fare a meno di notare il trascinarsi delle anime stanche dei pazienti. Il nostro ospedale offre la sensazione di un giardino ben curato, riposante per gli occhi e per l’anima. L’Angelo poi ogni giorno si presenta come nel giorno dell’inaugurazione: squadre di dipintori rinfrescano continuamente le pareti, i giardinieri curano il giardino pensile e i prati mentre gli operatori ecologici raccolgono fino all’ultima cicca o carta di caramella abbandonata per terra dai soliti maleducati di turno.

Il governatore Zaia ha brontolato più volte contro la bellezza dell’Angelo ma Zaia è della scuola di Salvini, lo zoticone sboccato e volgare segretario della Lega. Sarebbe però giusto e doveroso che alla bellezza si accompagnasse anche l’efficienza e l’eccellenza dei professionisti che vi operano. Io, non sono in grado di esprimere giudizi perché non ne ho la competenza però, per quello che riguarda le mie esperienze personali, non posso dire che bene. Credo comunque che sia convinzione comune che la bellezza non guasti mai e se fosse accompagnata anche dalla bravura degli operatori sanitari saremmo vicini a quell’optimum a cui naturalmente tendiamo.

Scampato pericolo

Credo di non essere il solo ad auspicare che ognuno faccia il proprio mestiere. Mio padre, che per buona parte della sua vita ha guadagnato il pane per la sua numerosa nidiata di figli facendo il falegname nella sua piccola bottega d’artigiano, ce l’aveva a morte con quelli che egli chiamava “ruba mestieri”, ossia con quei falegnami che, senza essere andati a bottega “nella loro giovinezza”, si improvvisavano nell’arte di San Giuseppe e di mastro Geppetto “rovinando il mercato” e facendo castronerie. I politici in genere appartengono, quasi sempre, alla categoria dei “ruba mestieri” perché avvalendosi di una “sbattola” infinita, senza alcuna esperienza pregressa, si improvvisano amministratori provetti, capaci di condurre le aziende più difficili di questo mondo quali sono gli enti statali e parastatali.

La catastrofe economica del Comune di Venezia deriva in gran parte dall’aver avuto sindaci senza capacità imprenditoriali, di conduzione del personale, di finanza e di economia e la cui preparazione professionale poco o nulla aveva a che fare con l’amministrazione di un Comune il cui bilancio ha una serie infinita di implicazioni. Io, nelle recenti elezioni amministrative, non ho avuto il seppur minimo dubbio nel non votare Casson preferendogli Brugnaro. Non so se il nuovo sindaco ce la farà per cui non cesso di fare novene a Santa Rita, la Santa degli impossibili, ma ritengo che Casson difficilmente avrebbe saputo cavarsela. Tutti affermavano che Casson era stato un magistrato integerrimo, ma che cosa ha a che fare questo con la capacità di amministrare un Comune? La fortuna ha voluto che questo ex magistrato non sia stato eletto anche se, non contento di aver fallito a Venezia, pare che ora stia cercando maggior fortuna a Roma. Qualche giorno fa ho letto che egli fa parte di quella piccola pattuglia di parlamentari irriducibili del P.D. che hanno tentato di opporsi alla riforma del Senato.

Gli angeli dalle trombe d’argento

Proprio un paio di giorni fa ho dichiarato la mia fede senza tentennamenti nella presenza degli angeli e nel grande supporto che essi possono offrire a noi poveri e fragili mortali. Si, è vero che ho manifestato più di qualche perplessità e riserva sull’angelo anatroccolo del giardino pensile del nostro ospedale, spero però che, a differenza di quanto avviene nelle migliori famiglie dove spesso capita di incontrare qualche pecora nera, l’angelo dell’ospedale sia almeno tanto brutto quanto buono perché il suo servizio tra le corsie è quanto mai indispensabile.

Veniamo però al mio rapporto personale con questi spiriti celesti e in particolare con l’Angelo a cui il Signore ha affidato l’impegnativo incarico di farmi da custode. Tutti i miei amici conoscono già da tempo l’ultima impresa in cui mi sono impegnato nonostante i miei quasi novant’anni: ossia l’apertura al Don Vecchi del “Ristorante Serenissima” a favore delle famiglie e delle persone in difficoltà che non si presentano alle porte del Comune o delle parrocchie in atteggiamento lagnoso e senza pudore ma preferiscono portare la loro croce amara in silenzio e con molta dignità.

Credo che tutti ormai sappiano che il “Catering Serenissima Ristorazione”, del signor Mario Putin, ha offerto gratuitamente 110 pasti serali, ogni giorno dal lunedì al venerdì di ogni settimana, e che la Fondazione dei Centri Don Vecchi ha messo a disposizione la sala e tutto quanto necessario. La ricerca del personale a cui affidare il servizio di sala è stato l’ultimo ostacolo da superare. Ho quindi pensato di rivolgermi agli scout dei quali, senza vanagloria penso di essere stato a Mestre uno dei “padri fondatori” e il cui obiettivo è il servizio ma, con mia grande delusione, hanno nicchiato e non hanno aderito con prontezza alla mia richiesta.

Io non sono uno che ha l’abitudine di elemosinare le cose che ritengo essere un dovere e mi sono ricordato della preghiera di don Zeno Saltini, il prete romagnolo che fondò Nomadelfia “la città dei fratelli e dei figli di Dio”, e mi sono rivolto direttamente a queste creature celesti con queste parole: “Angeli suonate le vostre trombe d’argento per chiamare a raccolta gli uomini di buona volontà, voi conoscete i loro nomi, dove abitano e i loro numeri di telefono: Angeli ho veramente bisogno di voi”. Ebbene amici, volete sapere come è andata a finire? In una settimana si sono offerti una sessantina di volontari, vecchi e giovani, professionisti e operai, uomini e donne! Volete dunque che non creda agli angeli?

Non accetto d’essere etichettato

Don Gianni, parroco di Carpenedo e presidente della Fondazione dei Centri Don Vecchi, ha annunciato la decisione del Consiglio di Amministrazione di aderire all’invito, esplicito ed accorato, di Papa Francesco, rivolto ad ogni comunità cristiana d’Europa, di mettere a disposizione dei profughi almeno un alloggio. La Fondazione ha quindi destinato loro due alloggi. Nel frattempo don Gianni ha annunciato anche che la felice opportunità di poter offrire ogni sera la cena a 110 persone, al prezzo simbolico di un euro per gli adulti e gratuitamente per i bambini, si è concretizzata. La stampa ma soprattutto molti faziosi hanno interpretato questa opera benefica come una compensazione all’impegno nei confronti della gente che fugge dalla guerra, tanto che a migliaia, leghisti ed assimilati, hanno applaudito convinti che don Gianni avesse fatto propria la loro pretesa egoistica di preoccuparsi “prima degli italiani e semmai poi degli altri!”.

In questi giorni, per lanciare la proposta delle cene nel nuovo “Ristorante Serenessima”, ho avuto modo di incontrare più volte giornalisti di tutte le testate e di varie emittenti locali, cogliendo così l’occasione per ribadire con forza che gli uomini onesti sono cittadini del mondo e fratelli di ogni persona che abita questo mondo. Spero di aver colto nel segno.

Tante volte nel passato mi hanno etichettato di destra, di sinistra o di centro e altrettante volte ho ribadito con forza che io sto con tutti e con nessuno perché mi preoccupo per ogni uomo, qualsiasi sia il colore della sua pelle, il suo credo e la sua provenienza. Non accetto etichette di sorta. Ho fatto mie da decenni le parole di don Lorenzo Milani a Pajetta, il comunista impegnato contro i “padroni”. “Pajetta oggi sono con te per creare nel nostro Paese più giustizia però sappi, caro Pajetta, che il giorno in cui tu dovessi abbattere le cancellate dei ricchi e diventassi un despota proletario io allora sarei dall’altra parte, dalla parte dei più deboli e degli sconfitti e ti combatterei con tutte le mie forze”.

Io mi sono sempre trovato bene attenendomi a questi principi, ho sempre tirato dritto e ho sempre affermato che riconosco un’unica padrona di casa: la mia coscienza.

C’è ancora desiderio di pregare

Da molto tempo vado affermando che la gente prega poco per molti motivi, non ultimo perché non conosce più le formule delle bellissime preghiere che la tradizione cristiana ci ha tramandato.

Un tempo a catechismo s’imparavano a memoria le domande e le risposte del catechismo di San Pio X ma soprattutto s’imparavano le preghiere fondamentali con cui ci si rivolge al Signore in ogni occasione e per qualsiasi motivo. Ora invece a catechismo si dipingono cartelloni e si fanno recite. Quando ero parroco chiesi a suor Michela di prendersi cura dei bambini della prima elementare dicendole che sarei stato contento anche se, oltre al segno della Croce, avessero imparato il Padre Nostro, l’Ave Maria, l’Angelo di Dio, Il Gloria al Padre, l’Eterno Riposo, il Salve Regina e l’Atto di Dolore. Suor Michela le insegnò per anni ai più piccoli che hanno la coscienza pulita e che non dimenticheranno mai quanto hanno imparato da bambini, insegnò tutto questo e molto altro ancora.

Sapevo che la “moda catechistica” aveva preso ormai altre direzioni ma io però ho sempre seguito la mia coscienza e il buon senso piuttosto che la moda. Io, in occasione della Cresima, quando il parroco m’interrogò, m’inceppai sul Credo ed egli giustamente mi rimandò per due settimane affinché lo imparassi alla perfezione. Per molti anni anch’io ho fatto l’esame ai bambini della parrocchia prima di ammetterli ai sacramenti della Comunione e della Cresima, poi però, avendo affidato la loro formazione a vari cappellani succubi della moda, con mio grande dispiacere ho dovuto smettere e questo mi ha provocato qualche rimorso di coscienza.

Alcuni anni fa entrai in una chiesa vicina al Don Vecchi e curiosando sul banco della stampa notai un libretto piuttosto sgangherato con alcune preghiere, nel mio animo si accese immediatamente una luce, rubai l’idea e con l’aiuto dei miei tipografi stampai un fascicoletto che in copertina, sotto una bella immagine, riportava il titolo: “Libro delle preghiere, delle principali verità e delle regole morali per un cristiano”. In diciotto paginette riuscii ad inserire tutto il necessario per vivere una vita cristiana e per poter andare in Paradiso. Voi non ci crederete, però è documentabile, che siamo giunti alla trentatreesima edizione, che abbiamo stampato sessantamila copie e che ogni due o tre settimane ne ristampiamo altre due-tremila. La gente non crede e non prega? Forse le parrocchie e noi preti aiutiamo poco a credere e a pregare ma come afferma un vecchio detto: “L’uomo è religioso per natura”.

I cattivi maestri

Qualche tempo fa ho scritto che il nostro Parlamento è l’università, ossia il livello più elevato di insegnamento della maleducazione, della volgarità, della faziosità e del disinteresse per il bene della nazione. È ben chiaro che anche in quel luogo, così malfamato e popolato da persone inaffidabili e dai cattivi costumi, ci sono certamente anche uomini perbene che fanno il loro dovere con scrupolo e onestà ma purtroppo la visione d’insieme che se ne trae è davvero desolante.

È anche vero quanto sosteneva Carnelutti, principe del foro veneziano, che scrisse che bastano alcuni papaveri rossi perché tutto il campo di grano appaia scarlatto mentre la presenza di una miriade di viole passa inosservata perché sono fiori umili che l’erba nasconde.

Temo però che in Parlamento i papaveri purtroppo siano molti e il malcostume, l’insolenza, la mancanza di creanza non siano solamente una illusione ma una triste realtà. Chi si offre per governare il Paese dovrebbe sottoscrivere un codice di comportamento e la legge dovrebbe prevedere l’immediato decadimento dall’incarico di rappresentare la nazione per chi dovesse venir meno a questo codice etico. Questo fatto mi indigna però ve n’è un altro che mi sorprende e mi meraviglia ancor di più.

Pare, e speriamo sia vero, che in Italia ci sia una “ripresina” ossia che aumenti il PIL, che diminuisca la disoccupazione e che le fabbriche producano di più però, da quanto osservo alla televisione e leggo sui giornali, pare che i sindacati siano i primi a dispiacersi per questa crescita. A volte ho l’impressione che in Italia le forze sindacali siano reazionarie, disfattiste e non si preoccupino delle difficoltà degli operai ma se così non fosse mi aspetto che le varie sigle sindacali e tutte le altre parti coinvolte inizino a collaborare seriamente per il raggiungimento di quella pace sociale tanto necessaria.

Gli angeli dei nostri giorni

Un paio di anni fa, o forse più, mi hanno invitato all’inaugurazione di quel brutto “angelo dalle vesti color argento” che uno scultore veneziano ha donato alla ULSS 12 perché fosse collocato nello splendido giardino pensile del nostro ospedale. L’invito a questo evento forse mi è stato rivolto per il ruolo di assistente religioso presso le corsie che ricoprivo o che avevo appena lasciato.

In quell’occasione fece la presentazione Cacciari che allora era ancora nostro Sindaco. Egli tenne una conversazione dotta sul tema dell’angelologia e lo tenne da persona veramente esperta. Seppi in quell’occasione che il nostro Sindaco filosofo aveva appena fatto una pubblicazione sul tema degli angeli, cosa che mi stupì alquanto ma che rafforzò la mia fede nella presenza degli angeli in questo nostro mondo. La cosa mi sorprese assai perché sapevo che Cacciari è un libero pensatore che, anche se estremamente attento e rispettoso nei confronti della fede, non ha mai fatto mistero di non essere credente.

Ogni volta che mi reco in ospedale non riesco a non gettare uno sguardo su quell’angelo mal riuscito che stona alquanto inserito com’è nella bellezza di Madre Natura così ben espressa dal giardino pensile della “Torre Maya”, gioiello architettonico della nostra città così povera di belle strutture.

Quest’anno, non so rendermi conto del perché, il 2 ottobre, festa liturgica degli Angeli Custodi, mi sono trovato a riflettere con attenzione su queste creature celesti tentando di interpretare in chiave attuale questo tema che nel passato rientrava nell’iconografia di una certa “mitologia cristiana”. A Ca’ Solaro, dove ho tenuto la mia breve riflessione durante la Messa del primo venerdì del mese, ho iniziato il sermone spiegando che il termine angelo significa messaggero e nel contesto cristiano messaggero di Dio. Ho proseguito affermando che è estremamente vantaggioso essere più attenti a quegli impulsi e a quelle folgorazioni interiori che offrono al nostro animo la possibilità di una maggiore apertura al bene, alla verità e alla solidarietà, intuizioni e folgorazioni che altro non sono se non i suggerimenti di un messaggero, quindi di un angelo del buon Dio.

Meglio ancora però quando scopriamo che il Signore spessissimo si avvale anche di “angeli” senza ali che testimoniano il bene e con la loro presenza ci invitano a farlo. Ricordo un bel romanzo del Cronin dal titolo “Angeli nella notte” che parla delle infermiere al capezzale degli ammalati che riordinano le lenzuola e che offrono parole di conforto e di affetto. Quel romanzo sugli angeli in carne ed ossa mi ha fatto capire che gli “angeli” esistono davvero e sono più di quanti noi posiamo immaginare perché riempiono il mondo intero con la loro cara e provvidenziale presenza.

L’Alto Adige

Forse i lettori de “L’incontro” ricordano una certa maretta che è nata e che si è manifestata sul nostro periodico tra una nostra cara collaboratrice e due coniugi anch’essi nostri preziosi collaboratori.

La prima, pur passando lunghissimi mesi in Alto Adige, terra che ama ed ammira, contemporaneamente nutre forti sentimenti patriottici che le rendono difficile accettare quel rifiuto per gli italiani che si respira ancora oggi tra quei monti.
I secondi, nati tra quei monti, si sentono fortemente partecipi delle aspirazioni di quella gente di montagna che ama quanto mai la propria lingua, le proprie tradizioni e la propria cultura.

La prima sottolinea quelle aspirazioni di autonomia e quegli atteggiamenti che negli anni sessanta hanno generato scelte anche violente che hanno mietuto vittime innocenti e che non si possono giustificare in nessun modo né in Alto Adige né in altre parti del mondo, scelte che tuttora evidenziano forti riserve nei confronti di chi, italiano come loro, ha il torto di non essere nato in quel territorio.
I secondi invece rivendicano con forza la loro cultura e le loro tradizioni, nate da percorsi ed esperienze diverse dalle nostre, che affondano le radici nella storia della popolazione del Sud Tirolo anche se vivono in un territorio al di qua delle Alpi.

Qualche tempo fa questi secondi amici mi hanno regalato un volume di Sebastiano Vassalli dal titolo “Il confine – cento anni del Sud Tirolo in Italia”. La lettura molto interessante, piacevole e mi pare imparziale mi ha offerto una visione più obiettiva facendomi conoscere torti e ragioni degli uni e degli altri ma soprattutto mi ha riconfermato la convinzione che ogni popolo ha il diritto di rivendicare la propria autonomia stabilendo rapporti rispettosi con tutti.

Credo comunque che sia ora di smettere di rimpallarsi le responsabilità dei torti reciprocamente subiti nel passato e di cui, nessuna delle due parti è immune da colpe, e ricordare invece che per contendersi quel lembo di terra di grande bellezza naturalistica, molti giovani d’altri tempi e di varie nazionalità sono stati mandati a vivere prima una vita di stenti e poi a morire.

Questo è l’anno in cui ricorre il centenario della Grande Guerra e probabilmente è l’anno giusto per uscire da ogni spirale retorica e imboccare la strada della comprensione reciproca e della pacifica convivenza accettando le differenze come un patrimonio di ricchezza globale. In questo mondo globalizzato come è ancora attuale il tema del volume “La venticinquesima ora”, che ho letto molti anni fa e che stigmatizza il triste costume dei popoli più forti di imporre confini!