La fede e la religione devon essere respiro dell’anima, non solo riti!

So che può diventare noioso e ripetitivo ritornare di frequente su certi argomenti, eppur c’è un qualcosa dentro di me che mi costringe quasi a ritornarvi, perché passati un po’ di giorni dall’ultima precisazione, ho la sensazione di non essermi spiegato bene, di non aver illustrato a sufficienza il problema che mi sta a cuore. Sempre gli uomini hanno corso il pericolo di ridurre la fede, soprattutto la religione che la esprime concretamente, ad una serie di pie pratiche, di osservanza di determinate norme morali, di cerimonie, preghiere e gesti di culto che non si coniugano profondamente con la vita reale, con i sentimenti, le attese e i bisogni più veri della nostra umanità.

Io non rifiuto i riti, le gestualità di religione, le vesti e tutta la coreografia cultuale perché fa parte delle esigenze della nostra sensibilità, ma tutto questo deve essere non solamente povero, sobrio, essenziale, in linea con i costumi e i gesti del tempo, ma soprattutto debbono esser profondamente coniugati con la vita, il bisogno di speranza, di valori, di autenticità, di assoluto, di immenso, di verità, altrimenti il tutto si riduce ad un solenne ed ipocrita formalismo privo di anima e di respiro spirituale.

Le mie classi di un tempo alle magistrali erano costituite quasi sempre da una stragrande maggioranza di ragazze, dai quattordici ai ventanni. Allora non avevo assolutamente bisogno che mi confidassero se erano innamorate o meglio ancora fidanzate perché era un dato che coglievo di primo acchito, c’era nel volto, nel portamento un incanto, una soavità, che faceva tutt’uno con la loro bellezza ed armonia di adolescenti che sbocciavano alla primavera della vita. L’amore illuminava i loro occhi, l’avvertivi nel tono della voce, nella flessuosità dell’incedere, nella luce del sorriso.

L’amore cantava nel cuore, ma pure nelle membra di queste giovani donne.

La fede e la religione se non diventano respiro dell’anima, sogno, speranza, certezza di essere amati, ebbrezza del dono della vita, gioia di scoprire un mondo sempre nuovo e popolato da fratelli da amare e con i quali camminare, si riduce fatalmente ad un armamentario da soffitta, o da costumi o scene da palcoscenico!

Oggi mi pare di aver finalmente detto quanto penso, ma sono certo che domani, di fronte ad un rito sontuoso, o di una predica “teologica”, o da un comportamento da funzionario di un’azienda multinazionale sentirò il bisogno prepotente di “spiegarmi meglio!”

L’arte per me è il volto di Dio che si rivela all’uomo

Più volte ho manifestato la mia profonda riconoscenza per i miei maestri.
Quel po’ di positivo che spero d’avere lo debbo ai miei genitori, che mi hanno educato alla concretezza, allo spirito di sacrificio, all’attenzione ai più poveri.

Debbo ai preti che mi hanno educato da ragazzino, da adolescente, da giovane prete, lo zelo per le anime, la dedizione assoluta all’uomo, la ricerca appassionata al dialogo con tutti, la scelta di discorsi attenti alla sensibilità e alle attese della gente reale, la libertà di conoscere sia i profeti del nostro tempo, sia i dissenzienti che guardano i problemi da un’angolatura diversa da quella ufficiale.

Debbo a Monsignor Quintarelli, a Monsignor Niero e soprattutto a Monsignor Vecchi il senso estetico, che per me non è assolutamente una componente marginale nella formazione umana e spirituale di un sacerdote.

Ho ripetuto molte volte e con molta convinzione che solamente i santi, i poeti e gli artisti colgono il volto più profondo, più vero e più bello della vita.

Monsignor Vecchi ha spalancato ai miei occhi la grande finestra dell’arte del passato e soprattutto quella moderna. Monsignor Vecchi ci ha fatto conoscere i maggiori pittori veneziani di questo ultimo secolo da Carena a Cessetti, da Gianquinto a Zotti, da Della Zorza a Vedova ma soprattutto mi ha aiutato ad aprirmi con fiducia e curiosità a quella miriade di artisti che, con più o meno talento, sanno dar volto al colore, al sogno così da scoprire l’immensa bellezza del creato e a far emergere dalla realtà, che ci circonda, le infinite ricchezze che nascoste attendono di venire alla luce e che solo gli artisti sono capaci di far emergere dal grembo della materia.

Per me l’arte è mistica, preghiera, contemplazione, è il volto di Dio che si rivela all’uomo e che illumina lo spirito, la vita e il mondo in cui viviamo.

Il nostro Patriarca Angelo

Il nostro Patriarca è una persona buona e squisita, credo che sia un uomo di valore che è cresciuto alla scuola di don Giussani, ottimo maestro, nutrito fin dalla prima giovinezza dal latte genuino e materno di Comunione e Liberazione e che poi ha affinato la sua cultura nelle aule universitarie più illustri delle più celebri università europee sia come discepolo che come docente.

A me piace il Patriarca, nutro nei suoi riguardi stima ed affetto, non solamente perchè è il mio vescovo, ma anche per motivi meramente umani; lo dico tranquillamente perché non ho bisogno e non attendo nulla da lui.

Ma c’è una cosa che mi sorprende, e non è certamente un dato negativo: il nostro cardinale ha una personalità poliedrica, sia come immagine che come proposta di pensiero.

Per motivi giornalistici, io mi sto costruendo un piccolo ed artigianale archivio sia a livello fotografico che di pensiero. Le foto del Patriarca sono una diversa dall’altra, non tanto perché prese in luoghi diversi, ma perché ognuna ti offre un’immagine molto diversa dello stesso soggetto.
Così avviene per il pensiero.

Il patriarca nel dialogo personale è una persona splendida, squisita capace di una rapporto caldo, scorrevole, che ti mette subito a tuo agio e stabilisce una sintonia quasi immediata anche se ti incontra una volta all’anno.

Quando ti parla a braccio coglie il nocciolo della questione, riassume il tema dell’argomento, si apre al dialogo. Quando però parla dall’ambone il suo discorso diventa di una teologia disincarnata e soporifera. Quando poi tiene lezione, allora viaggia come il concorde nella stratosfera e i comuni mortali non possono che guardare in alto in controluce senza vedere quasi nulla. Normalmente centra i temi, provoca reazione nell’opinione pubblica, si capisce che mette a fuoco i problemi veri anche se si rifà al lessico e allo stile dell’evangelista San Giovanni.

Ho seguito con curiosità l’impatto sull’opinione pubblica del suo discorso ai cittadini veneziani, di non piangersi sempre addosso, di non mugugnare, di non lasciarsi andare al pessimismo perchè tutto sommato Venezia, anche se fosse sulle palafitte, sono secoli e secoli che sta a galla sulla laguna.

Il Patriarca ha ragione, una volta tanto va d’accordo anche con Cacciari, forse se non ci avesse costretti a consultare il vocabolario saremmo stati più contenti, ma forse l’ha fatto apposta perchè senza quella parola da avvocato o da notaio non ci avremmo fatto troppo caso al suo intervento!

I tempi cambiano, non sempre in meglio

La griglia della mia giornata l’ho predisposta fin dal 2 ottobre 2005, mio primo giorno di pensione.

In parrocchia mi alzavo alle cinque, da pensionato ho creduto opportuno aggiungere mezz’oretta di riposo, altrimenti che pensionato sarei stato! Poi ci ho ripensato e ho ridotto il sonno di dieci minuti perché mi sono accorto che così avrei potuto ascoltare il radiogiornale delle cinque e mezza, e mettermi fin dal risveglio in collegamento con le vicende del mondo.

In un mondo globale non credo ci possa e ci debba essere spazio per una religiosità ed una spiritualità intimistica e personale.

Il mondo del convento e della trappa è definitivamente tramontato, oggi il cristiano deve puntare sulla contemplazione sulla strada, in sintonia con la vita!

Fino a poche settimane fa mi svegliavo all’alba, col sole all’orizzonte e il dolce chiarore del nuovo giorno.

Da ferragosto in poi però, giorno dopo giorno, la luce è diventata sempre più acerba, ed ora è buio davvero. Quando spalanco la finestra e alzo le tapparelle sembra notte profonda. Ho la sensazione che soltanto il galletto di Salvatore, il vecchio ciabattino di via Sappada, cha abita ai margini della città, e l’ex parroco non si lasciano intimidire dalla notte e rimangono fedeli ai tempi dedicati alla vita.

Debbo confessare che però ogni giorno provo un po’ di tristezza, da un lato perchè mi pare che il buio mi rubi un po’ del poco tempo che ho ancora da vivere ed un po’ perché dal passato, che non sono riuscito a cancellare del tutto, riemergono le preoccupazioni di un tempo: la fatica di far ripartire i gruppi della parrocchia, l’attardarsi dell’attività pastorale che la mentalità vacanziera favoriva ogni anno di più.

A questi stati d’animo ora si aggiunge la sensazione che l’inerzia parrocchiale dell’estate sia supinamente accettata come un dato scontato e non so più se sia rassegnazione o gioia per una diminuita gravosità d’impegno!

“Il mio ultimo amore”

Nota: questa riflessione di don Armando risale ai primi di ottobre e dimostra l’effettiva celerità dei lavori di allestimento della chiesa prefabbricata del cimitero di Mestre.

Può sembrare un’osservazione perfino paradossale, ma in verità almeno per un certo aspetto debbo dire che finalmente in cimitero c’è un certo pulsare di vita! “La rotonda”, seppur lentamente s’alza poderosa verso il cielo; il grande braccio azzurro dell’altissima gru rifornisce continuamente il cantiere che pian piano sta delineandosi nel cielo come una specie di torre di Babele che accorcerà la strada ai nostri morti per raggiungere il cielo!

Quando la grande costruzione circolare sarà terminata offrirà dimora, fino per il giudizio finale, a ben dodicimila mestrini, un nuovo intero quartiere in attesa della resurrezione!

Il piazzale del Cimitero e il relativo capiente parcheggio sono ormai ai ritocchi finali. L’erba splende verdissima col sole d’autunno, il gioco dei cubetti di porfido di diverse dimensioni ben si sposa sia col filare dei nuovi cipressi, che col piccolo mercatino dei fiori gestito da Carlo, che è sempre stato un po’ il patron del piazzale, ma ora lo è a pieno titolo.

Ora poi ferve intenso il lavoro per la base della nuova chiesa prefabbricata, che di certo costituirà “il mio ultimo amore!”

Mi hanno impressionato le fondamenta: scavi apporto di materiale inerte, betonata, armature in ferro ed altro cemento a volontà. Penso che potremmo costruirci sopra la torre di Pisa o il campanile di S. Marco.

Ho provato a chiedere agli operai il motivo di una fondazione così consistente. Non ne sapevano nulla come pure io non ne so nulla. Un muratore in pensione ha insinuato che servirà anche per il progetto di Caprioglio; che il comune e la Vesta ci vogliano fare per “i morti” una sorpresa! Presenteranno al Patriarca la chiesa in una confezione regalo, compresi i fiocchi, da aprire alla meraviglia dei mestrini! C’è un vecchio proverbio che dice: “È bene tutto quello che finisce bene!”. Una volta ancora voglio affidarmi alla saggezza dei nostri vecchi!

La lezione degli oleandri del don Vecchi

Tre, quattro anni fa, un ipermercato, non so per quale motivo ci ha regalato quasi 200 piccole piante di oleandri. Eravamo d’estate, un’estate veramente torrida, nonostante ciò il vecchio Mario, piccolo imprenditore con una magra pensione che si era convertito al giardinaggio, si rese disponibile alla piantumazione.

Mi affidai a lui per piantare i piccoli oleandri lungo il viale che circonda il don Vecchi. Mario con l’aiuto di qualche “pazzo” come lui, fece le buche col piccone su quella terra arida, cretosa e da mattoni, le annaffiò abbondantemente col suo sudore.

Ogni giorno andavo a vedere se le piccole piante di oleandro continuavano a vivere nonostante l’arsura. Sopravvissero e pian piano presero perfino troppo vigore, tanto da diventare una barriera impenetrabile che nascondeva il prato e lo splendido filare di carpini.

Le tentammo tutte per ridurne la vegetazione, cimandole non fiorivano, lasciandole crescere turbavano il paesaggio. I pareri degli esperti poi erano divergenti tanto da non sapere più cosa fare!

Finchè avendo visto in via Pasqualigo un oleandro ridotto ad alberello, con una splendida chioma fiorita, decisi di abbracciare questa soluzione.

Fatica improba! Un camion di ramaglia ed un filare di alberelli gobbi e storti da non dire. Dovemmo ricorrere a dei tutori per farli stare in piedi.
L’esperimento è in corso e le speranze si alternano alle delusioni.

Ogni settimana debbo far togliere i germogli che crescono abbondantissimi vicino le radici. Talvolta guardando ai miei oleandri in via di addestramento, mi vengono in mente gli elefanti o i cani nei circhi che sono stati addestrati a camminare sulle due gambe posteriori. Quattro passetti e fatti male!

Finalmente ho capito che gli oleandri sono degli arbusti e tali devono rimanere! Il guaio è che li ho fatti piantare in una posizione sbagliata ed ora non so cosa fare!

L’avventura non è finita e non so proprio come andrà a finire, però ho finalmente capito una cosa: il buon Dio ha dato ad ogni essere capacità, risorse, leggi particolari e solamente osservandole ogni essere può dare il meglio di sé e senza troppa fatica. Leggi, regole, disposizioni, canoni, circolari, codici, provvedimenti vari che tendono ad imbrigliare gli uomini non fan altro che complicare la vita, renderla faticosa, stantia e difficile con risultati meno che scarsi! Se permettessimo ad ognuno di essere se stesso, collocandolo al posto giusto il mondo sarebbe veramente uno splendore!

“Meglio prima che dopo!” ovvero parlate con le persone care ora!

C’è un proverbio popolare che afferma, un po’ rassegnato, “meglio tardi che mai!”

Non so però se ce ne sia un’altro che affermi “meglio prima che dopo!”

Se non ci fosse questo detto, sarei ben felice ad essere io a dar vita a questa massima, che spero diventi popolare!

Ricorro spesso a queste considerazioni perché spessissimo mi sento richiesto ad offrire voce e cuore ai familiari dei defunti, che durante il commiato ai loro cari, desiderano recuperare le occasioni perdute e chiedere al sacerdote, di dire le parole di affetto, di stima e di riconoscenza che, con rimpianto ed amarezza, s’accorgono di non aver mai detto, o d’aver detto poco e male.

Io lo faccio ben volentieri, lo faccio col cuore pur sapendo che è umanamente tardi!

C’è pure un poeta americano, che adopera un bellissimo artificio letterario immaginando che, gli abitanti di un piccolo paese che aveva il cimitero in riva al fiume, possano continuare il dialogo con i loro cari le cui tombe, con i nomi conosciuti degli amici morti, giacciono allineate una accanto all’altra, modulando il dialogo in rapporto alla vita che scorre ineluttabile. Ma questo è solamente un bell’artificio letterario ed una invenzione poetica, perché i morti che riposano in quella terra benedetta non rispondono.

Sull’abbrivio di questa idea anch’io spesso suggerisco alla gente che viene a pregare per i propri morti, di continuare a parlare dei fatti della vita e dei sentimenti del cuore con i loro cari che vivono ormai la vita nuova e spero che questo non si riduca ad una pia finzione per colmare le occasioni perdute.

La fede dovrebbe rappresentare un supporto valido per questo dialogo anche se procede tra persone che adoperano lingue diverse, quella della terra e quella del cielo.

La mia però è solamente una dolce speranza! Non mi sento di incoraggiare questa comunione calda ed affettuosa del dopo, preferisco insistere sul prima, sull’oggi, sul certo!

Se tentiamo di dire quaggiù cose care sarà anche più facile continuare dopo, senza dover cucire vecchi strappi e recuperare occasioni perdute.

Credo che tutto sommato sia meglio un sorriso oggi che una montagna di fiori e mille preghiere di suffragio domani!

Fede e rivelazioni

Per quanto tenti in tutti i modi di apprezzare e condividere il tipo di religiosità oggi tanto diffuso, da essere pressoché esclusivo, mi trovo ad ogni passo in difficoltà. Tutto questo mi costringe a continui ripensamenti, però per quanto mi sforzo di vedere i lati positivi, sono tentato a considerare questo modo di vivere la fede, un modo lacunoso, non coerente al Vangelo di Gesù e perciò non comprensibile ed accettabile neanche dagli uomini d’oggi!

L’ultima occasione che ha acceso questo disagio interiore che provo, e che mi spinge a questo istintivo rifiuto di una religiosità formale o quasi esclusivamente cultuale, me l’ha offerta una immaginetta di devozione che una persona che mi è cara, mi ha portato da un recente pellegrinaggio che egli ha fatto a Medjugore.

A parte le parole che la Madonna avrebbe detto ai tanti veggenti che si succedono in una delle innumerevoli apparizioni che in qualche modo potrei accettare, pur con qualche accomodamento “Senza di voi il Signore non può realizzare ciò che vuole” questo mi pare un po’ troppo, anche se comprendo che può significare che “il Signore sceglie di avvalersi anche di noi per raggiungere quello che vuole”
Ciò è apprezzabile e pare rientrare nei criteri di Dio!

Ma poi la rivelazione prosegue: “Ti regalo l’arma contro il tuo Golia. ed ecco i 5 sassi: 1) il rosario, 2) l’Eucarestia, 3) la Bibbia, 4) il digiuno 5) la confessione mensile”.

Pare che sul fiume della vita non ci siano altri sassi per combattere il male e per realizzare il Regno.

Ma questa gente non ha mai letto nel Vangelo che tutta la legge e i profeti si concentrano e si riassumono in “Ama Dio con tutto il cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze e il prossimo tuo come te stesso”!

Gli uomini d’oggi credo che, almeno teoricamente, non abbiano troppe difficoltà ad accettare questo discorso, specie poi se si illustra che amare Dio significa: “Amare l’amore, la verità, la giustizia il bene!”

Mentre per accettare la presunta “rivelazione” della Madonna di Medjugore, faccia tanta, troppa fatica ed io sono pure tra questa gente!

Oggi sono sempre più convinto che la fede la si gioca sulla solidarietà e questa non è una forzatura, ma un dettame puramente evangelico!

Spero che non debba ricordare alla Madre di Dio: “che la fede senza le opere è sterile!”

Villa Flangini e i ricordi del “mio piccolo mondo antico”

C’era una mia cara e preziosa collaboratrice, che per molti anni ha gestito la Malga dei Faggi, la casa di montagna per i ragazzi della parrocchia, che ogni giorno mandava qualcuno in paese a comperare “Il Gazzettino” per leggere esclusivamente gli annunci mortuari e l’oroscopo.

Questa abitudine mi spinge talvolta a dare una sbirciata veloce agli avvisi mortuari. Questa mattina ho scoperto con grande sorpresa l’epigrafe di Gianni Pellizzari, il titolare della fabbrica di scarponi “La Nordica” che trent’anni fa mi ha venduto Villa Rossi ad Asolo alla quale poi noi abbiamo dato il nome dei patrizi veneziani Flangini che l’hanno costruita nel 1870.

L’annuncio funebre ha ridestato nel mio animo ricordi, nostalgie, avventure e fatiche di ogni genere per comperarla, restaurarla e gestirla, un vero guazzabuglio di sentimenti!

Avevo creato in parrocchia un piccolo staff di collaboratrici che dedicavano il fine settimana alla ricerca di una struttura nei colli della pedemontana da dedicare agli anziani.

La signorina Russo lesse su “Il Gazzettino” l’offerta di vendita di una villa ad Asolo, il pomeriggio della festa del Corpus Domini, con don Gino partimmo per esplorare l’edificio. Ce ne innamorammo a prima vista, tanto da nascondere un mobile in stile impero che poi la signorina Rita trasformò in un divano.

Possedevo allora soltanto 70 milioni, la signora Albavera che poi vendette la sua casa perché potessimo comperare l’appartamento di Via Comelico, in cui ora è ospitato il sacrestano, ma che allora avevamo attrezzato per ospitare 5 anziane, ci prestò e poi regalò i 40 milioni mancanti.

Poi comincia subito l’avventura del restauro: con gli aiuti di Adriano Rossetto e di Luciano Busatto e la collaborazione di innumerevoli amici.

Arrivavamo ad ospitare in una stagione anche 400 anziani; per le prenotazioni c’era una coda infinita al Ritrovo di via del Rigo.

Ricordo l’inaugurazione con sei corriere di mestrini senza contare le automobili.

Villa Flangini è stata per me, ma anche per la parrocchia, una vera epopea: incontri con i pittori, ritiri per i cresimandi e i ragazzi della prima comunione, giovani in servizio, ed anziani a non finire!

L’anfitrione di casa dottor Zambon, elegante, signorile come un baronetto della Regina d’Inghilterra, che per anni gestì la villa portandola ai fasti antichi. L’immagine di Gianni Pellizzari, il venditore, ha portato a galla una folla di ricordi del “mio piccolo mondo antico” che credevo d’aver seppellito per sempre che ora però scopro che è ancora vivo sotto la cenere.

Noi vecchi d’oggi abbiamo la terribile sfortuna di poter vedere come appassisce presto “la gloria” del mondo che con tanta fatica abbiamo costruito!

Pazienza! Tra tanti vantaggi dobbiamo accettare anche queste melanconiche conclusioni!

Bandiere

In Italia ci sono tantissimi problemi, molto grossi e ce ne sono altri che sono assolutamente fasulli.

I giornali però mescolano questi problemi nella stessa pentola, motivo per cui tanta gente non capisce più quelli che sono importanti da quelli che sono banali.

Io non sono un grande ammiratore del Capo dello Stato, perché le sue scelte politiche del passato e i suoi amici non corrispondevano proprio ai miei gusti ed infatti questi e quelli han fatto decisamente fiasco.

Ora è saltato fuori il problema della bandiera e dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

A me piacciono le bandiere, infatti quando sono andato in Svizzera con gli anziani della parrocchia, mi ha fatto una bellissima impressione il fatto che ci fossero bandiere in ogni dove e di tutti i colori. Mi dissero che erano le bandiere dei vari cantoni. Perché non potremo fare anche noi altrettanto?

Quando ero parroco a Carpenedo abbiamo creato il gonfalone della libera parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio e per anni senza permesso alcuno, questo gonfalone ha sventolato indisturbato sui pennoni dell’asilo, del Patronato e della Malga dei Faggi.

Non so che male ci sia che ogni regione ed ogni città abbia la propria bandiera da accostare al tricolore che ci accumuna tutti.

Il problema vero semmai è che ogni regione abbia una sua autentica autonomia e perciò si punti alla federazione di stati piuttosto che allo stato unitario imposto con la forza dai piemontesi.

Io ho letto una storia dell’Unità d’Italia vista, non con gli occhi dei vincitori piemontesi, ma con quelli degli stati preesistenti, leggendola ho capito che l’unità d’Italia è stato un sopruso piuttosto che una risposta alle attese del popolo.

La Lega, quando tenta di salvaguardare i dialetti, le tradizioni e le culture locali, non va contro natura, anche se una certa retorica nazionale e soprattutto fascista dà come assoluti dei principi e dei valori che non sono per nulla scontati. Che poi si debbano trovare raccordi, compensazioni e quant’altro per convivere e prosperare assieme ai vari popoli italiani, a quelli europei e del mondo, questa è un’altra questione che non confligge certamente con la valorizzazione di culture ed esigenze locali.

E’ tempo di liberarci da un certo dogmatismo sociale e politico che non ha vere radici, ma solo pretesti ed inconfessati interessi.

Riflessioni e meditazioni a volte difficili ma ricche di speranza

Tutti i miei amici sanno ormai che di primo mattino, dopo aver recitato, con tanta fatica e fra tante distrazioni e non pochi dubbi e ribellioni, il breviario, dedico qualche tempo alla meditazione.

Prima però di ritornare al pensiero che stamane mi ha fatto bene e che desidero rendere partecipi anche i miei amici de “L’incontro”, vorrei anche confidare un altro pensiero, appena letto nella Bibbia, che mi ha turbato e messo in crisi.

Un certo protagonista del popolo eletto, promette a Dio che se l’avesse aiutato a sconfiggere i moabiti o i filistei o chi so io, avrebbe sacrificato la prima creatura che avrebbe incontrato al suo ritorno a casa. Vince ed incontra per prima sua figlia, nel fior degli anni, che esultante accoglieva il padre vincitore.
La parola data a Dio non si può ritirare!

Concede due mesi di tempo alla sua figlia “perchè pianga tra i monti la sua verginità” e poi l’immola.

Ho fatto tutti i salti mortali che mi sono permessi alla mia età però non sono riuscito a comprendere e meno che meno apprezzare “questo pio israelita!”

Per ora lascio ai biblisti il compito di illuminarmi, ma sarà ben difficile che ci riescano!

Per me gli ebrei, tutto sommato, si comportavano pressappoco come gli altri popoli e molto probabilmente se lo son detti loro di essere i preferiti da Dio!

Io sono ben convinto che il Signore ama tutti per fortuna e non fa preferenze!

Vengo al pensiero positivo, che ho compreso senza tanti salti mortali e che tenterò di mettere in pratica.

Dice un buon cristiano che abita in Australia e che ama il mio stesso Signore: “quando la vita ci spinge in nuove direzioni o ci porta ad uno stadio nuovo, spesso ci troviamo a disagio. Possiamo cercare di aggrapparci a quello che ci è familiare piuttosto che attenerci saldamente alla vita e permettere che il cambiamento ci porti lungo sentieri nuovi.

La paura di ciò che non conosciamo sopraffa molti di noi e ci impedisce di godere la vita in tutta la sua abbondanza. Tuttavia, Dio ci chiama verso nuovi orizzonti, nuove avventure e nuovi sentieri. A volte possiamo sentirci come se un vento ci strappasse via dei pezzi, proprio come dal soffione. Ma Dio ha un posto già preparato dove possiamo mettere radici e fiorire di nuovo”.

Questo pensiero non è scritto nella Bibbia, però è molto più sensato di quello che uccide sua figlia per una promessa tanto assurda quanto tragica!

Il “Quinto Vangelo” quello che lo Spirito Santo ispira e fa scrivere nel nostro tempo è più aggiornato e più convincente di quello antico. Comunque mi fa tanto contento e apre il mio animo alla fiducia e alla speranza il fatto che il mio Dio ha già un posto preparato dove possiamo mettere radici e fiorire di nuovo nell’avvicendarsi delle stagioni della nostra vita!

Non ci sono più vocazioni, la gente non si confessa e non viene più a messa, ci sono pochi profeti e quelli che ci sono poco ascoltati. Però di certo il Signore, che non è uno sprovveduto o a corto di fantasia, ha già provveduto; chissà che splendido domani ci sta preparando ed allora perché dovrei scoraggiarmi, uomo di poca fede!

Mio padre, un uomo, e un cristiano

Io ho una famiglia numerosa, mi ci vorrebbe una Treccani per ricordarmi i compleanni, gli onomastici e le varie ricorrenze. Ricordo bene però la data di nascita di mio padre, 2 agosto 1905. Se fosse vivo avrebbe compiuto 104 anni.

Per me però i volti di papà e mamma rimangono sempre gli stessi, mesto e malinconico quello della mamma, che era una donna riservata e taciturna, sorridente ed espansivo quello del babbo, che era invece chiacchierone, socievole ed estroverso, tutto sommato ottimista.

Durante quest’estate, vivendo più spesso in casa e incontrando più frequentemente la foto di papà, che mio fratello, don Roberto ha fatto stampare in occasione della sua morte in centinaia e centinaia di copie con una scritta lapidaria: “Attilio Trevisiol, un uomo, e un cristiano”. Papà è ritratto con la sua insuperabile “Guzzetti”, con il pullover tutto pieno di segatura e di trucioli (l’eterno cruccio di mamma!). Vedendo la foto sono riandato a riflettere al ritratto spirituale di mio padre.

Papà aveva fatto la sesta e per i suoi tempi si riteneva, scherzosamente quasi un intellettuale!

Era un bravo falegname secondo un’accezione del passato, cioè passava con disinvoltura dai serramenti, alla carpenteria e non rifiutava neppure il mobile se glielo commissionavi, il suo orgoglio era soprattutto la carpenteria dei tetti.

Volle una famiglia numerosa, sette figli, che crebbe ai sani principi della vita con la parola ma soprattutto con l’esempio. Era schierato senza tentennamenti e senza dubbi con la chiesa, i preti e per la democrazia cristiana.

Portava in tasca una lettera di De Gasperi, che lui diceva essere autentica, ma che sarà stata stampata in milioni di copie per una delle campagne elettorali!

Quando poi mio fratello prese in mano le redini della bottega, perciò lui poteva prendersi permessi ordinari e straordinari, prendeva la sua “Guzzetti” ed andava all’ospedale di San Donà, ogni settimana, a trovare gli ammalati del paese, conosceva tutti e dispensava a piene mani le sue preghiere, e a nostra insaputa anche quelle dei suoi due figli preti. Era un modo per manifestare l’orgoglio d’aver donato alla chiesa due figli.

A noi poi, per metterci in pace, ci tacitava dicendo che nel ritorno diceva qualche Ave Maria in nostra vece. Spesso invidio mio padre perchè non ebbe mai dubbi, incertezze e perplessità, si impegnò per il bene, un bene certo, assoluto, mentre noi figli del nostro tempo, abbiamo mille tarli che rodono anche le certezze più sicure!

Belle anime vergini in preghiera per noi povera gente

Mi è giunta qualche giorno fa in una busta bianca una bella cartolina che ritrae papa Wojtyla che affacciato alla sponda di una grande imbarcazione in navigazione, guarda sorridente e fiducioso il mare sconfinato. Nel retro della cartolina un ringraziamento per “L’incontro”, che qualcuno recapita perfino in un Carmelo di Venezia.

Una scrittura minuta ed ordinata di una carmelitana scalza che mi ricorda, che prega per me e che chiede la mia benedizione.

La cartolina mi ha fatto molto felice; mi è parso di sentire un soffio fresco e profumato di primavera raggiungermi in casa durante questa torrida estate.

L’anno scorso ho pubblicato qualche pezzo di una singolare corrispondenza spirituale tra le monache di un eremo toscano “Le piccole allodole di Dio”, con Gandhi e in questi giorni mi è capitato di leggere una relazione dello scambio epistolare tra don Mazzolari e la priora di questo piccolo e sperduto convento toscano.

Centinaia di lettere delicate e sublimi tra anime veramente grandi per la fede, la libertà interiore e l’amore all’uomo.

Io non sono uomo e prete da potermi inserire in questi circuiti ascetici e mistici!

Le carmelitane mi scrivono con accenti delicati e spirituali pregni di fede pressappoco a Natale e a Pasqua ed io rispondo con qualche parola sobria tolta da un repertorio assai banale.

Non sono mai stato in quel convento di Venezia e quasi certamente, conoscendomi, non ci andrò neanche in futuro. Mi fa però molto piacere sapere che a Venezia ci sono delle anime vergini che amano l’amore e che donano la loro freschezza spirituale a noi povera gente impolverata dai problemi e dalle vicende poco sublimi di questo povero mondo. Io non coltivo nel mio animo volti come Beatrice di Dante o la Laura del Petrarca, che mi facciano sognare bontà e bellezza, amore e poesia, però mi fa piacere e mi consola che tra le vecchie mura screpolate ed umide di un vecchio convento veneziano ci siano queste belle e care creature, che posso solo sognare, le quali pregano anche per questo vecchio prete che i guai se li va a cercare in ogni occasione!

La nuova chiesa prefabbricata del cimitero di Mestre

Chi segue questo blog sa che contiene pensieri e riflessioni che don Armando scrive continuamente (su carta!) e noi pubblichiamo con una suddivisione giornaliera.

I lettori sapranno anche quanto forte è stato l’impegno di don Armando Trevisiol perché il cimitero di Mestre fosse dotato di una chiesa all’altezza delle esigenze di una grande città. La nuova chiesa del cimitero è un progetto inseguito a lungo e impantanato in costi, problemi, lentezze, questioni burocratiche…

Nel frattempo però la Veritas e il Comune hanno dato una risposta alle esigenze dei tanti fedeli finora costretti a seguire la S. Messa all’aperto anche col tempo peggiore, accettando di far installare una chiesetta prefabbricata. La suddetta è stata inaugurata il 1° novembre 2009, festa di Tutti i Santi.

Ecco alcune immagini dell’evento realizzate da Gianni Finco:

La nuova chiesa prefabbricata del cimitero di Mestre
La nuova chiesa prefabbricata del cimitero di Mestre
Benedizione della nuova chiesa del cimitero
Benedizione della nuova chiesa del cimitero

Critiche eccessive

Sono sempre stato convinto che la scelta politica assomigli molto ad una scelta di fede. Le ragioni per le quali uno aderisce ad un partito, obiettivamente, sono sempre quasi inconsistenti, valgono solamente per chi fa quella scelta, ma quasi sempre non sono razionalmente condivisibili dagli altri.

Ora poi che si sono sbiadite al massimo le ideologie, le motivazioni della scelta di un partito da sostenere sono ancora più inconsistenti. Ho notato però che anche in questo settore, quando un cittadino si è “convertito” da poco ad una determinata fede politica, diventa piuttosto fanatico, cosa che pensavo avvenisse solamente nei riguardi della religione.

Sono arrivato a queste conclusioni qualche mese fa notando di settimana in settimana lo slittamento a sinistra di “Famiglia Cristiana”, la rivista che è nata e cresciuta all’ombra dei campanili d’Italia e che ora, non so per quale morbo, sta diventando sempre più decisamente antigovernativa.

Io, ripeto ancora una volta, sono vecchio, inesperto di politica ma non riesco proprio a comprendere perché questa rivista cristiana, se la prenda tanto con le “ronde”.

Ci sono cittadini nottambuli, che desiderano perseguire i ladri e i lazzaroni, non so con quale dogma confligga la loro offerta di servizio!

Secondo, abbiamo un sacco di soldati volontari, che ci costano un patrimonio e marciscono fortunatamente nelle caserme senza far nulla; non so proprio quale articolo del credo proibisca che diano una mano alla polizia nel perseguire il crimine e salvaguardare la sicurezza!

Terzo, io non ho nulla contro gli extracomunitari, anzi, sono loro riconoscente perchè fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare, mi commuovo di fronte alle mamme che stanno lontane dai figli per poter dar loro da mangiare.

Non trovo però strano, che debbano chiedere permesso per entrare in casa d’altri, cioè in casa nostra, che dicano dove stanno e cosa fanno.
Non mi pare proprio qualcosa di disdicevole. Tutti gli Stati fanno così.

Il ministro Maroni giustamente s’è riferito al Vaticano. Se tu provi ad entrare senza permesso, nel piccolo Stato del Vaticano, la guardia svizzera ti blocca anche se gli dimostri di fare tre comunioni al giorno!

Credo che se “Famiglia Cristiana” ci offrisse meno frivolezze e meno faziosità forse sarebbe davvero un po’ più cristiana!

Ed ora, so per esperienza, che mi si accuserà di reazionario e leghista.
Pazienza! Oro buono non prende macchia!