La mia chiesa

Ricordo con una certa nostalgia la figura di un prete, protagonista di uno dei tanti romanzi a carattere religioso Il romanziere inglese Bruce Marshall, che quando parlava della sua parrocchia, ma soprattutto della sua chiesa la chiamava, quasi con linguaggio da innamorato, “la mia bella sposa”.

Mi ritrovo anch’io ad ottantasei anni ad essere innamorato della mia “sposa bella” quando penso alla mia chiesa che tutti dicono offra il calore e l’intimità di una baita di montagna. Di certo la mia “cattedrale tra i cipressi” è l’ultimo amore della mia vita ma confesso che questo amore non è meno bello ed intenso di quello della mia giovinezza per la chiesa neogotica di Eraclea, mio paese natio o per la Basilica della Salute che mi avvolse di tenerezza durante il tempo del Seminario.

Fu pure splendido l’amore per la chiesa dei Gesuati, che accompagnò le primizie del mio sacerdozio, incantevole fu l’amore per il mio bel duomo di San Lorenzo nella stagione del fiorire del mio apostolato, esso era sempre gremito di folla e più ancora ho amato la chiesa neogotica del Meduna in quel di Carpenedo che fu per trentacinque anni la calda casa della mia comunità, ma l’attuale “sposa bella” del Camposanto mi fa sognare l’amore anche da vecchio prete alla soglia dell’eternità.

Incerti del mestiere

La vicenda di questo parroco mi ha costretto a verificare il mio passato nei riguardi dei pericoli che possono incontrare i preti.

Ricordo le mie vicende alla mensa della San Vincenzo a Ca’ Letizia. Non ricordo quanti anni vi ho passato ma sono stati tanti e difficili.

I poveri di un certo tipo non sono “beati” ma di certo aiutano gli altri a diventarlo.

Ricordo un certo Guerrino De Santis, che era veramente terribile, un giorno mi ha tirato un pugno da peso massimo ma per fortuna mi sono scansato in tempo ed egli si è quasi sfracellato la mano sul muro che mi stava alle spalle. Un’altra volta, un altro tipo di cui non ricordo più il nome, mi ha lanciato un sasso di due chili, ma fortunatamente ha sbagliato la mira ed il sasso ha mandato in frantumi una vetrata. Questo “attentato” ha avuto però un lieto fine.

Alcuni anni dopo sua madre mi ha chiesto di fargli il funerale perché prima di morire le aveva chiesto che fossi io a celebrare la sua messa funebre. Un’altra volta poco dopo mezzanotte mi telefonò una giovane sposa di via Piave perché il marito croato stava tentando di sfondare la porta per ucciderla, anche questa volta ebbi fortuna perché, avendo ella telefonato anche ai carabinieri, salii le scale accanto ad un milite con lo schioppo in mano. Non mi sento però per questo né un martire né un eroe e credo che questi si debbano considerare come “incerti del mestiere!”.

Preti e il martirio

Una notizia particolare di qualche tempo fa ha tenuto banco per un paio di giorni sulla stampa locale. Un tossicodipendente avrebbe tentato di ricattare per estorcere denaro un giovane parroco, minacciandolo di portare a conoscenza dell’opinione pubblica cittadina presunte avances omosessuali di suddetto sacerdote. Quasi certamente si tratta di una delle solite infamie proprie di questo genere di personaggi. Molto probabilmente il giovane parroco, non conosce sufficientemente il mondo dei poveri, capaci di questo e di altro ancora ma, quello che mi ha dato da pensare, è stato il modo pavido con cui ha affrontato la cosa: il primo giorno il prete è andato a dormire fuori di casa e poi, con il consenso del Patriarca, se n’è andato lontano da chi lo aveva minacciato.

Una volta ancora mi è venuto da pensare che la nostra chiesa locale è povera, spaurita ed inerme perché ha smarrito il senso del coraggio e del martirio. Ho l’impressione che finché le comunità cristiane ed i preti delle chiese di Venezia non metteranno nel loro apostolato in conto anche il coraggio, il sacrificio e perché no anche il martirio saremo destinati ad andare di male in peggio.

Accanimento

Un paio di anni fa mi è capitato di celebrare il funerale più squallido della mia vita.

All’ora fissata dall’agenzia delle pompe funebri i necrofori hanno portato la bara davanti all’altare e poi, come al solito, se ne sono andati. Mi sono ritrovato solo sull’altare con davanti la bara senza fiori né croce. L’unica cosa che sapevo era il nome della defunta: Natalina.

Tra i frati si dice che in tre “si fa capitolo” ossia, quando si è almeno in tre, si possono celebrare in coro le lodi del Signore con le preghiere liturgiche del breviario.

Quella mattina anche noi facemmo capitolo: il Buon Dio, la defunta e questo povero vecchio prete! La cosa però non è finita lì; pensavo che non si potesse andare oltre ma evidentemente mi sbagliavo!

Per il trigesimo e per l’anniversario della morte usualmente avverto i parenti che per la ricorrenza celebro il suffragio, così ho fatto anche per la figlia di Natalina, la defunta solitaria. Sennonché la figlia mi ha telefonato che non voleva che si pregasse per la madre perché lei, la figlia, non era credente. Essendo però convinto che con o senza permesso si possa pregare per gli altri, lo avrei fatto anche per Natalina, ma poiché il nome era inserito nel computer e non sapendo io come fare per toglierlo, l’invito è partito pure una seconda volta provocando la solita telefonata di protesta, tanto astiosa che finì per farmi perdere la pazienza e decidere che d’ora in poi pregherò non solo per la madre morta, ma anche per la giovane figlia viva, informandola che c’è qualcuno che prega per lei.

Oche giulive

In rapporto alla cattura in Siria delle due ragazze del Varesotto e della loro recente liberazione, non ho potuto riscontrare che un aspetto positivo: quasi tutti concordano con me che non è giusto che due oche giulive e senza criterio costringano il Governo a perdere tempo e a sborsare somme ingenti di denaro pubblico per la loro liberazione.

Un vecchio proverbio di tanto tempo fa sancisce che: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso!” e non pretenda che gli altri paghino per la sua stupidità. È vero che in tutto il mondo vi sono persone con grandi ideali che mettono a repentaglio la loro vita però, quasi sempre, si appoggiano ad organizzazioni serie e si impegnano per cause per le quali possono dare un contributo valido (vedi i Medici del Cuamm che mettono a repentaglio la loro vita per assistere i malati di Ebola o i missionari che fanno altrettanto per donare il messaggio evangelico) ma tutti costoro partono disposti a pagare con la vita le loro scelte. Mi auguro che Renzi o il Ministro facciano una dichiarazione pubblica in cui si affermi che il nostro Stato non offrirà più assistenza a gente scriteriata, che combina guai e poi imputa ad altri il compito di risolverli.

Una qualche emozione!

Una parrocchiana di San Pietro Orseolo, che scrive per “L’incontro”, ha chiesto al nuovo parroco l’autorizzazione a porre nel banco della sua chiesa, riservato alle varie pubblicazioni, anche il nostro periodico.

Don Corrado, così si chiama il sacerdote, ha acconsentito di buon grado. La prima volta un nostro collaboratore ha portato una quarantina di copie mentre La settimana seguente, passando per viale don Sturzo, ho portato io il numero successivo de L’Incontro. In chiesa non c’era nessuno, ho deposto allora in bella nostra il nuovo numero lasciando pure le due copie che erano rimaste della settimana precedente. Ho provato una certa emozione nel tentare di contribuire ad aiutare questa piccola comunità cristiana a riflettere sulla pastorale e sulle vicende religiose della nostra città.

Ormai sono ben poche e certamente tra le meno importanti le parrocchie che non accettano “L’incontro” e, una volta ancora, ho pensato all’utilità di un periodico, distribuito gratuitamente, per aiutare la Chiesa mestrina a verificare e maturare la propria coscienza religiosa.

Libertà e rispetto

Io idealmente c’ero tra i quattro milioni di francesi che hanno condannato in maniera forte la violenza del fondamentalismo islamico.

Io ci sono e ci sarò per quanto si tenterà di fare per disinnescare la crudeltà, l’assolutismo e la barbarie dell’islamismo impazzito e fuori da ogni norma umana e civile ma, dopo aver affermato questo con assoluta decisione, devo altresì affermare che coltivo, nel mio animo, altri due sentimenti ben chiari e motivati.

Primo: ritengo, che nonostante tutte le atrocità, si debba battere soprattutto la via del dialogo e del compromesso se non vogliamo macchiarci degli stessi crimini del fondamentalismo islamico. La prova di forza, le armi e la violenza non possono che generare la stessa brutalità della quale certi mussulmani si stanno attualmente macchiando.

Secondo: pur condividendo il principio della libertà di stampa, della critica e perfino dello scontro dialettico, non riesco né a comprendere, né a giustificare, né tanto meno ad approvare il sarcasmo e l’ironia della satira su argomenti che toccano, tanto intimamente, la sensibilità e le convinzioni di altri esseri umani. Credo che la libertà di parola non possa e non debba mai ricorrere al disprezzo, all’irrisione che sono propri della satira. Sapendo poi quanto, giustamente, i mussulmani siano attenti e gelosi della loro fede e del loro profeta, ritengo che l’attenzione e il rispetto dovrebbero essere ancor più rigorosi quindi, se i giornalisti del giornale che ha subito la pur tanto deprecabile e sproporzionata reazione, si dedicassero all’informazione sarebbero ora più meritevoli ma purtroppo pare vogliano insistere con la satira.

L’ateo a buon mercato

I miei amici e i miei lettori sanno quanto io rispetti ed ammiri gli uomini che si pongono in umile e sincera ricerca e che confessano di non essere riusciti ad approdare alla fede, e quanto io rifiuti coloro che si dichiarano atei con tanta sicumera e arroganza guardando dall’alto e giudicando con commiserazione i credenti, quasi fossero loro e solo loro i figli della ragione.

Partendo da queste considerazioni confesso che certe prese di posizione, sia da parte di singoli atei militanti sia di qualche loro organizzazione, non mi turbano più di tanto mentre tengo in assoluta considerazione sia le tesi che le motivazioni con le quali certi non credenti motivano il loro agnosticismo o ateismo.

Qualche settimana fa mi è giunta una e-mail di una giovane donna che, senza tentennamenti o dubbi di sorta, affermava di vivere bene nonostante non fosse credente e che il suo modo di operare era più umano e civile di quello di chi si professa credente. Non obietto, vi sono di certo atei corretti, onesti, altruisti e perbene ma voglio che personaggi del genere sappiano pure che la loro condotta, umanamente corretta, non basta perché l’ateo deve pur addure delle ragioni che spieghino la storia millenaria della fede di una stragrande parte dell’umanità, l’ordine dell’universo e il senso della vita. Se uno vuole essere coerente e razionale deve giustificare e dar ragione del mondo in cui vive!

Una richiesta che è suonata insolita

Sono reduce da una brutta influenza che mi ha tenuto lontano per una quindicina di giorni dalla mia gente, tanto che ho vissuto il “mistero” del Natale, da solo, non potendo condividere con la mia cara comunità il grande evento dell’Incarnazione del “Figlio di Dio”, Gesù.

Questa esperienza solitaria mi ha provocato qualche disagio, mi sono sentito solo, sganciato dal respiro caldo e fraterno della mia gente. Sono rientrato la domenica in cui si celebrava il “Battesimo di Gesù” sul fiume Giordano, mistero che mette fine al ciclo natalizio, ed ho sentito il bisogno struggente di condividere con le persone a cui voglio sinceramente bene quale è stata la luce e la grazia che quest’anno ha illuminato e riscaldato il mio cuore, confidando d’aver compreso sempre più che il “Salvatore” lo posso trovare in maniera privilegiata nel volto e nell’umanità dell’uomo che, a detta della stessa Bibbia, è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Questa verità, che mi pare affascinante, mi ha sinceramente “folgorato” e mi dona un’ebrezza immensa sapere di poter incontrare, ascoltare e farmi aiutare dall’Emmanuele, il Dio con noi, che posso ritrovare in ogni momento sul mio cammino.

Ai miei fedeli ho chiesto poi di fare un serio esame di coscienza per verificare la luce e la grazia che il buon Dio aveva donato ad ognuno di loro. Non avrò la gioia di beneficiare del loro dono e della loro testimonianza ma comunque, penso che il mistero natalizio abbia reso più bello e più ricco il cuore di ognuno di loro illuminandolo nuovamente con la luce di Dio.

La nuova religiosità

Talvolta invidio i miei colleghi che ho l’impressione siano paghi del gregge, sempre più piccolo, che vive all’ombra del Campanile e che non siano per nulla preoccupati delle “pecorelle smarrite” e, meno ancora, di quelle che stanno costruendosi in proprio le regole di convivenza con gli altri membri del “gregge”. Fino a poco tempo fa questo fenomeno era definito come una “religiosità fai da te” ossia la concezione di una prassi religiosa che non si rifà al vangelo e alla nostra tradizione ma che ognuno si costruisce a proprio uso e consumo.

Ho l’impressione che questa evoluzione cresca, di giorno in giorno, tanto da avere una comunità di praticanti che si muove in assoluta autonomia per quanto riguarda le regole della fede. Rimango ogni giorno sempre più perplesso perché non riesco a capire se questa prassi sia veramente la naturale evoluzione che porta ad una religiosità che si libera totalmente dalle regole ufficiali.

Da molti mesi avevo notato nella mia piccola assemblea generale una giovane donna dal volto pulito che partecipa con profonda pietà e devozione ai sacri riti.

Qualche giorno fa mi è capitato di incontrarla dopo la Messa e di ricevere da lei alcune confidenze sulla sua vita. Pensavo che vivesse sola, mentre invece mi ha confidato che vive con un compagno e che non si pone minimamente il problema del matrimonio.

Il fenomeno di sganciare la propria vita reale da precetti religiosi mi pare sia una prassi che ha preso piede molto rapidamente. Per ora non riesco a fare altro che riflettere e pregare sperando, in proposito, di riuscire a chiarirmi le idee.

Il mercato degli schiavi

L’operazione umanitaria Mare Nostrum, volta a soccorrere i disperati delle carrette del mare, da qualche settimana è stata interrotta perché, giustamente, anche l’Europa si facesse in qualche modo carico di questo dramma sociale che la riguarda direttamente. Nonostante l’impegno della nostra Marina sono stati centinaia, se non migliaia i disperati che sono affogati nel Mediterraneo. È certo che questa gente fugge da situazioni tragiche ed impossibili e perciò non vede altra ancora di salvezza se non la vecchia Europa, dove, nonostante la crisi, si vive meglio e con maggior sicurezza che in molte nazioni del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, è pur vero però che c’è un’organizzazione criminale che lucra in maniera patente sulla disperazione di questa povera gente. Lo schiavismo del sette-ottocento, che ha costretto molti uomini, donne e bambini a lavorare nei campi di cotone in America, non era di certo più barbaro di quello che oggi spoglia di ogni avere questi poveri disperati e poi li abbandona in mare alla mercé delle onde.

Di fronte a questa barbarie mi viene da chiedermi ancora una volta: “Ma dove sono i governi della vecchia Europa e dell’America, dove è la CEE, dove è l’ONU e dove sono tutti quegli apparati che dovrebbero garantire il rispetto dei diritti e delle regole di vita? Quanta burocrazia! Quanta ipocrisia!”.

Centenaria

Il due gennaio la signora Gianna Gardenal, da vent’anni residente al Centro Don Vecchi, ha celebrato i suoi cento anni di vita. Alla signora Gianna voglio molto bene perché è una donna buona ed intelligente, vive una vita serena, amata dalle figlie e dai numerosi nipoti, affettuosamente assistita da Tania. Nonna Gianna passa le sue giornate pregando, ascoltando la televisione, perché è quasi cieca, e riposando quando è stanca.

Infinite volte mi ha ringraziato per averle dato il suo “quartierino” in cui vive felice, accarezzando i suoi fiori e, ad ogni nostro incontro, mi ripete che questi ultimi vent’anni, vissuti al Don Vecchi, sono stati i più belli della sua vita. Con fare sornione poi mi ripete che sta aspettando la chiamata al cielo, ma lei è una donna paziente perciò aspetta volentieri anche se il Signore è in ritardo.

Non è che al Don Vecchi tutto scorra liscio e tranquillo, i problemi di cinquecento anziani e delle relative famiglie sono molti ma, se non ricevessi altre attestazioni d’affetto e di riconoscenza all’infuori di quelle della cara nonna, queste sarebbero più che sufficienti per gratificarmi e aiutarmi ad andare avanti.

Mia madre

Noi siamo sette fratelli e siamo quasi egualmente suddivisi nel rassomigliare a nostro padre o a nostra madre.

Mio padre era facondo, aperto, ottimista ed entusiasta, mentre mia madre era pensosa, riservata, incline alla malinconia, ma quanto mai convinta delle proprie idee.

Mio padre era un democristiano, non solo della prima ora ma anche disposto a dare la vita per lo scudo crociato, per De Gasperi e per i suoi governi. A mia madre non interessava la politica, ed era più che comprensibile dovendo governare quella masnada di figli, però, ogni tanto, sbottava di fronte alle solite chiacchiere sulle riforme: “vorrei andare io al governo!”. Sono certo che li avrebbe messi tutti in riga. Io, che assomiglio a mia madre, non vorrei, come lei, andare al governo, ma non riesco a trattenermi dall’affermare con rabbia: “manigoldi, sfrontati, vendi vento, imbroglioni!”.

Conosco due fratelli che fanno gli imprenditori e quando devono decidere un affare, un lavoro, si sono accordati su come valutare le varie opzioni. Uno dei due elabora una strategia mentre l’altro, da “avvocato del diavolo” ne fa tutte le pulci possibili e, grazie al contradittorio, insieme arrivano alla soluzione più vantaggiosa.

Ora se anche in Parlamento ci fosse questa mentalità positiva, questa voglia di fare, credo che le forze di governo e quelle di opposizione dovrebbero collaborare per concretizzare le scelte migliori per i cittadini e per il Paese e questo sarebbe un comportamento da veri uomini.

Invece lo scontro per lo scontro e la volontà di demolire sempre l’avversario è un comportamento fazioso, distruttivo ed imbecille, anche se si sfoggia una dialettica apparentemente stringente.

I nostri emiri!

Uno dei miei nipoti, giovane comandante dell’Alitalia, col penultimo sfoltimento del personale della compagnia di bandiera ha dovuto cercare lavoro nel lontano Qatar.

Trovare un posto da pilota non è come per un idraulico cercarsi una nuova bottega. Qualche tempo fa mi raccontava della strana vita di quel mondo feudale, la cui stabilità comincia a vacillare, dove i qatarioti sono tutti stipendiati dallo stato e non hanno quindi alcuna necessità di lavorare. Il petrolio da un lato e lo sfruttamento di manodopera indiana dall’altro permettono loro di vivere senza lavorare.

In questi giorni di fine anno, nei quali ho appreso che ben altri seicento veneziani hanno attraversato per sempre il Ponte della Libertà e che nello stesso anno altri quattro-cinque milioni di turisti sono calati a Venezia mi sono chiesto: ma di tutto questo “oro” portato dai “foresti” chi ne ha beneficiato? Come si chiamano gli emiri, i califfi e i sultani di Venezia?

Ogni anno si restringe il numero dei veneziani e i pochi che rimangono si impoveriscono sempre di più, con le amministrazioni di sinistra che si sono succedute al governo della città che si sono dimostrate più inique di quelle del Qatar dove almeno i pochi abitanti locali possono vivere senza lavorare.

Possiamo vivere anche senza la porpora!

Il Gazzettino, pur consistendo di un unico fascicolo di varie pagine, idealmente è la risultante di due giornali: quello generale, che riguarda fatti di cronaca nazionale ed internazionale, e quello dedicato al Nordest con la cronaca propria di Venezia – Lido – Mestre – Marghera – Marcon – Chioggia – ecc. Rimane però, nonostante tutto, un povero giornale che dice poco a livello di informazione generale ed altrettanto poco, forse ancora meno, a livello locale. Non è poi finita perché è invalsa l’abitudine di far “salterellare” una notizia dalla prima pagina riproponendola in quelle dedicate al Nordest con poche altre informazioni specifiche a quelle della nostra città, tanto che una notizia di cronaca rischia di apparire come qualcosa di veramente serio.

Oggi tiene banco un articolo che presenta come estremamente importante la notizia che il nostro Patriarca non compare nell’elenco dei quindici nuovi Cardinali. Sono convinto che Mestre e Venezia possano vivere anche senza Cardinale e che il nostro Patriarca possa continuare a fare del bene anche se le sue tonache ufficiali continueranno ad essere di un colore rosso comune piuttosto che rosso scarlatto. Confesso che per quanto mi riguarda, questa esclusione non mi tocca più di tanto: il Patriarca è quello che è, la porpora non aggiungerebbe proprio nulla anzi così avrà più tempo libero per dedicarsi a Venezia dove di gatte da pelare ne ha finché ne vuole. Penso poi che sia ora e tempo per i veneziani di cominciare a dimostrare quel che valgono finendola, una buona volta, di montarsi la testa con le glorie del “vecchio leon”!