“La tromba dello spirito Santo”

Non fa parte della raccolta dei “Fioretti di Papa Giovanni” ma il modo in cui questo grande Pontefice accolse in Vaticano, subito dopo la sua elezione, Don Primo Mazzolari corrisponde ad una pagina di storia documentata. Tutti sanno che questo sacerdote, che a tutta ragione può essere definito un “profeta” del nostro tempo, ebbe molto a soffrire dalla Chiesa.

L’apparato gli fece chiudere “Adesso”, la testata che questo prete “libero e fedele” aveva fondato, gli proibì di predicare fuori dalla sua parrocchia ma soprattutto lo accusò di poca fedeltà alla Chiesa stessa.

Appena eletto Giovanni XXIII disse: “Per prima cosa è giusto e doveroso riabilitare gli umiliati”. Invitò don Mazzolari in Vaticano e lo accolse benevolmente con queste parole ormai diventate famose: “Ecco la tromba dello Spirito Santo”, probabilmente per lodare la franchezza, il coraggio e la libertà di questo prete che nonostante tutto amò la Chiesa che lo aveva fatto soffrire. Qualche giorno fa mentre portavo “L’Incontro” al primo piano dell’Ospedale, un signore, che era intento a leggere il nostro periodico, alzò gli occhi, mi vide e pronunciò nei miei riguardi quella frase di Papa Giovanni.

È stata la seconda volta che mi è capitato di sentirmi interpellare con queste parole. Io non posso sostenere di essere stato perseguitato dalla gerarchia ma, qualche tirata d’orecchi l’ho pure avuta e soprattutto sono sempre stato relegato ai margini della Chiesa ufficiale. Ritengo però tutto questo un dono piuttosto che un castigo, dono che mi ha aiutato a rimanere “libero e fedele”.

L’ambiguità del termine: “lavorare”

Al Don Vecchi ci è capitata la notevole fortuna che il catering, che ci fornisce i pasti a mezzogiorno, si sia trovato in difficoltà nel poter disporre di un centro di cottura a Mestre e abbia accettato di utilizzare la nostra cucina. Un tempo al Don Vecchi cucinavano dei volontari ma, con sorpresa, abbiamo constatato che, tutto sommato, questa soluzione era più costosa e meno appetibile di quella che oggi è comunemente adottata, cioè che un catering porti i pasti già confezionati.

Dopo un’attenta ricerca di mercato abbiamo scelto “Serenissima Ristorazione” perché è risultata la meno costosa, la più capace nel fornire pasti buoni e tanto abbondanti che i nostri vecchi si sono muniti di scatolette e pentolini con i quali fanno approvvigionamento anche per la sera pagando solamente il pranzo di mezzogiorno.

In questo frangente ho scoperto che Vania, la cuoca, donna squisita, capace e generosa, con l’aiuto di una giovane collaboratrice, prepara ogni giorno cento pasti, molti dei quali confezionati e messi in contenitori termici per chi non può venire in sala da pranzo, oltre a quelli destinati ai Centri Don Vecchi di Campalto, di Marghera e degli Arzeroni. Il menù spesso prevede: antipasto, primo piatto, secondo con contorno, purè, insalata mista e dessert. Io non conosco lo stipendio di questa donna, di certo penso dovrebbe essere quanto mai consistente perché il suo si può veramente definire “lavoro” mentre per tanti, forse troppi altri, dovrebbe definirsi “passatempo”.

Temo però che, a motivo della pianificazione sindacale, non percepisca più dei vigili di Roma, degli spazzini di Napoli o degli impiegati del Comune di Venezia. Anche in questo caso la nostra società zoppica, zoppica troppo!

La pastorale più attuale è quella più antica

Da qualche tempo abbiamo dovuto far ricoverare a Villa Salus suor Michela, l’anziana superiora di suor Teresa. Qualche giorno fa, quando sono andato a far visita a questa cara suora che da una trentina di anni è stata impegnata prima nella parrocchia di Carpenedo e poi al Don Vecchi, ho conosciuto l’anziana signora che è ricoverata nella stessa camera. Con sorpresa appena sono entrato nella stanza mi ha salutato con un “don Armando” tanto affettuoso che pareva fossimo amici d’infanzia, poi ha cominciato a sciorinare tutti i motivi per i quali mi conosceva bene. Fra l’altro mi disse di essere una fedelissima lettrice de “L’Incontro” informandomi inoltre che ogni settimana aspetta con impazienza che la figlia le porti il periodico del quale legge dalla prima all’ultima parola.

Quello che però mi sorprese più di tutto fu il suo desiderio di sapere se l’Enrico Carnio, che scrive ogni settimana su “L’incontro”, sia il padre di Giovanni, quel giovanotto che andava a trovare gli anziani in casa di riposo e che lei aveva conosciuto perché suo marito, a quel tempo, vi era ricoverato. Una volta saputo che quel giovane, già avvocato, che un paio di anni fa ha deciso di entrare in seminario per farsi prete, era proprio il figlio di quell’Enrico che scrive su “L’incontro”, non cessava più di tessere le lodi di quel giovane che trattava con infinita amabilità gli anziani. Una volta in più si è rafforzata in me la convinzione che il metodo più aggiornato e più efficace per gli operatori pastorali non è quello che si rifà agli aggiornamenti fatti dagli specialisti, ma quello che persegue l’attenzione e la cura di chi è vecchio, indifeso o ammalato! Questa è una bella scoperta in questo tempo in cui non si sa cosa fare per evitare che le pecorelle continuino a fuggire dall’ovile!

Pastorale dell’ammalato

L’undici febbraio si è celebrato in tutta Italia “la giornata dell’ammalato”.

Nella nostra città, fortunatamente, esiste ancora un rimasuglio di organizzazione che riesce a portare nelle parrocchie delle locandine che ricordano questo aspetto della vita. Però, a mio modesto parere, questo è poco, troppo poco, anzi talvolta mi viene da pensare che sia perfino dannoso perché illude i cristiani, ma soprattutto le parrocchie, di potersi ritenere con la coscienza in pace per queste locandine apposte nelle bacheche delle chiese.

Sono quanto mai meritevoli i membri della San Vincenzo e gli accoliti che fanno assistenza nei nostri ospedali però credo sia poco, troppo poco anche questo e soprattutto manchi un minimo di coordinamento e di messa in rete delle iniziative. Sono pochi i parroci che riescono a conoscere e visitare i propri ammalati in casa o in ospedale. La Chiesa purtroppo arranca anche in questo settore! Ricordo i miei tentativi durante la mia lunga vita di parroco, quando, per un lungo periodo, sono riuscito ad essere aggiornato settimanalmente su chi era ricoverato in ospedale e a cui scrivevo per assicurare il ricordo e la preghiera della comunità. Purtroppo “la privacy” spense questa iniziativa. Ricordo il quindicinale che stampavamo per i degenti degli Ospedali di Mestre con le testate “L’Angelo” e successivamente “Coraggio” ma purtroppo anche questa iniziativa venne meno perché isolato e non sostenuto da alcuno. Ricordo ancora il gruppo parrocchiale “San Camillo” per l’assistenza agli infermi che per fortuna continua ad operare a Carpenedo. Nonostante vari fallimenti però non mi sono ancora arreso, o meglio credo di non dovermi arrendere e di dover offrire la mia testimonianza in materia di solidarietà. Noi non possiamo abbandonare a se stesso il mondo degli ammalati perciò, due volte alla settimana, con Suor Teresa, portiamo ottocento copie de L’Incontro, un centinaio di opuscoli con “Le preghiere e le principali verità cristiane”, un centinaio de “Il messaggio di Papa Francesco”, ogni mese centocinquanta “il Sole sul nuovo giorno” ed altrettanto fanno dei volontari per Villa Salus e per il Policlinico. Di certo con tutto questo non salveremo il mondo ma possiamo almeno sperare di riuscire a testimoniare che si può fare di più e di meglio rispetto a quel poco che si è fatto fino ad oggi!

Il funerale di un maomettano

Io dovrei essere uno specialista su tutto quello che riguarda i funerali perché nella chiesa in cui oggi svolgo il mio ministero non posso che celebrare il rito del commiato. Fino ad una trentina di anni fa nel nostro Veneto era scontato che tutti scegliessero il rito religioso. È vero che nel primo dopoguerra si sono celebrati anche funerali con le bandiere rosse, con tanto di falce e martello, ma è stata una stagione quella che è durata poco; ben presto si è tornati alla normalità. Ogni tanto ho sentito dire di funerali di Testimoni di Geova celebrati nelle relative “Sale del Regno”, ma mi pare che l’intenso proselitismo di questa congregazione stia incontrando pure esso il muro di gomma di questa società secolarizzata. I funerali con rito civile sono ormai pochi e desolanti, motivo per cui anche agnostici e non praticanti preferiscono, nonostante le loro posizioni ideali, il rito religioso.

Io sono felice di queste scelte perché, quando mi si presenta una di queste opportunità, ne approfitto per fare una catechesi sulla bellezza della nostra fede. Oggi purtroppo pare stia invece nascendo una “moda” in linea con i nostri tempi poveri, o meglio, sprovvisti di qualsiasi valore positivo, ossia: mettere il defunto in una bara da pochi soldi e portarlo direttamente al forno crematorio. In questo modo tutto diventa più sbrigativo!

Qualche settimana fa invece mi è capitato di vedere il funerale di un maomettano svoltosi nel giardinetto del nostro cimitero, ove solitamente si disperdono le ceneri. Sono rimasto edificato: vi partecipavano un centinaio di persone, tutti maschi, composti, corretti, allineati, un Imam ha recitato alcune preghiere e ha fatto un discorso, comunque un rito breve, dignitoso, coinvolgente ed edificante. Peccato che la cerimonia abbia messo ancora una volta in luce uno dei limiti dell’Islam: l’esclusione della donna! Quel defunto avrà pur avuto una mamma, una sposa, una figlia a cui sarebbe stato giusto concedere di piangere e pregare per la morte del suo congiunto?

Religiosità sofferta

Mi è capitato di incontrare, qualche settimana fa, una signora relativamente giovane della quale conoscevo solamente i suoi ottimi genitori. Nel brevissimo approccio che ebbi con lei, prima del rito funebre, mi confidò la drammatica situazione di divorziata che non poteva accostarsi all’Eucarestia, mi disse pure che la seguiva un buon prete del quale io ho molta stima.

Non conosco i particolari che la portarono alla separazione e ad un nuovo matrimonio, motivo per cui mi è difficile formulare un giudizio seppur sommario, nutro però una grande perplessità nel ritenere che “il peccato” di separarsi dal coniuge, ammesso che questa creatura abbia delle colpe, sia l’unico peccato che non possa essere perdonato, per cui chi lo ha “commesso” non può incontrare il Signore anche “fisicamente”. Sono convinto che ai nostri giorni servirebbe un Concilio Ecumenico almeno ogni dieci anni perché la religione tenga il passo con la vita reale della gente del nostro tempo! Ho l’impressione che Papa Francesco la pensi così. I suoi primi tentativi di aggiornamento dottrinale purtroppo però sono stati vani a causa di una folla di “parrucconi” avulsi dalla vita reale che sembra si sentano messi da parte se non hanno la possibilità di porre veti e rendere l’esistenza simile ad un percorso di guerra pressoché impraticabile!

Sempre più vicini allo zero!

In una delle infinite critiche che quotidianamente vengono rivolte alla classe politica, non solo da parte dei giornali ma anche dai semplici cittadini, ho letto che la stima e la credibilità di cui godono oggi i nostri politici è del tre per cento, e per di più con la tendenza a diminuire ulteriormente.

Peggio di così si muore!

Gli aggettivi per recriminare il comportamento dei nostri parlamentari sono letteralmente esauriti, non si trovano più qualifiche, recriminazioni, invettive, insulti e sarcasmo che riescano ad esprimere tutta la delusione, lo sconcerto e l’amarezza per una classe politica parolaia, attaccata al privilegio, spendacciona ed inconcludente. Oltre alla vecchia guardia, fatta di cariatidi ed abbarbicata a schemi superati da decenni, anche le nuove leve pare abbiano imparato fin troppo bene il mestiere a stare a galla e di tentare di crearsi uno “spazio politico”. Si tratta di persone che, non solo non godono più di alcuna credibilità, ma non hanno più neppure la capacità di arrossire, di vergognarsi per la disistima, il disprezzo e il rancore che ogni giorno crescono nel nostro popolo nei loro riguardi!

Una sola Messa

Ricordo un parroco di Venezia che ha raggiunto una certa notorietà con lo slogan che ha coniato per promuovere una campagna contro l’eccessivo numero di Messe che vengono celebrate a Venezia a motivo del numero consistente di chiese, di preti che abitano nella città insulare in rapporto alla costante e progressiva diminuzione di abitanti.

Questo parroco ha scritto nel suo bollettino parrocchiale: “Più Messa e meno Messe!” volendo affermare che la celebrazione eucaristica deve essere più ricca spiritualmente, più viva e partecipe, mentre una certa esagerata ripetizione del rito sacro rischia di svilirlo e di fargli perdere, presso i fedeli, la sua ricchezza spirituale. Posso essere anche d’accordo su questa tesi di fondo, purché non la si porti alle estreme conseguenze!

Recentemente mi è capitato di leggere che in una parrocchia di duemilacinquecento anime, anche la domenica, si celebra una Messa soltanto; sarà anche una bella Messa, celebrata bene, con la partecipazione di tanti fedeli, ma credo che si sia esagerato nel puntare al “più Messa” perché una qualche attenzione per gli impegni dei fedeli del nostro tempo la si deve pur avere!

Villa Salus

In questi giorni sono ritornato a Villa Salus, in occasione del ricovero di una persona cara, ed una volta ancora ho provato la sensazione di trovarmi in una struttura ordinata, efficiente ed accogliente. Io non conosco la capienza di questa struttura ma dal parcheggio, dal personale e dal numero di utenti mi è parso che sia ben maggiore di quella dell’Ospedale all’Angelo.

Ho incontrato la Superiora della piccola comunità di suore anziane che “gestiscono”, o meglio, danno anima e calore umano alla struttura ospedaliera, è una mia coetanea, tanto minuta e dolce che credo si imponga soprattutto per la sua amabilità, la sua discrezione e il rispetto per gli operatori, dai primari ai medici, dagli infermieri agli inservienti.

Villa Salus mi ha dato l’impressione di un alveare operoso in cui ognuno ha il suo compito e lo svolge con attenzione e rispetto verso gli ammalati e i loro familiari. Una volta ancora sono stato costretto a chiedermi: “Perché nelle strutture pubbliche non si raggiunge questo clima di umanità e di serena operosità?”.

Non è che all’Angelo non ci siano persone perbene, però il clima generale è ben diverso: più freddo, anonimo, poco coinvolto nel dramma dell’ammalato e dei suoi familiari. Ho l’impressione che nel nostro Paese, tutto quello che è gestito dal pubblico non riesca a scuotersi di dosso il senso della burocrazia, della freddezza nei rapporti e del poco amore per il proprio lavoro ma soprattutto dell’insufficiente attenzione verso gli utenti. Questo peccato originale non ha ancora trovato una forma di battesimo che lo possa redimere!

Il caro “quotidiano”

Recentemente una brutta influenza con febbre alta e tosse cattiva mi ha messo fuori combattimento per una quindicina di giorni.

Ho trovato colleghi quanto mai cortesi che mi hanno generosamente sostituito nelle mie normali incombenze pastorali quali la Messa festiva e quotidiana. La cosa mi è pesata alquanto perché sono ben conscio che oggi i giovani preti, che vivono con serietà il loro impegno pastorale, sono quanto mai impegnati, e mi è pesata altrettanto perché la vita dell’ammalato mi è parsa quanto mai scomoda ed insignificante, così non ho fatto altro che sognare e desiderare la mia quotidianità, segnata da tempi ed impegni ben determinati.

Si parla spesso di “terribile quotidiano” come di qualcosa di monotono, di ripetitivo e di poco appagante, a me però, che in questa occasione è venuto a mancare per un paio di settimane, a causa di una banale influenza, è parso qualcosa di caro e di quanto mai desiderabile. Ho sentito quindi il bisogno di fare un proposito serio: vivere la quotidianità cogliendone la sua ricchezza perché anche lo scontato e il ripetitivo ci offrono la loro bellezza e il loro messaggio.

Non è giusto lasciarla passare

All’inizio dell’anno, su sollecitazione di un consigliere della Fondazione Carpinetum, ho scritto una lettera ad uno dei sub commissari che aiutano Zappalorto nella gestione del nostro Comune per informarlo che i settanta anziani del Don Vecchi di Campalto da ben tre anni sono praticamente prigionieri in quella struttura perché Via Orlanda, la strada che congiunge il Don Vecchi al centro di Campalto, è assolutamente impraticabile. Sollecitavo questo pubblico amministratore ad affrontare il problema, per arrivare poi, in seconda istanza, almeno ad inserirlo nel programma di interventi che il Comune si impegna ad affrontare nei prossimi tre anni.

Dal Comune silenzio assoluto!

Ritengo però che non sia lecito permettere ad un funzionario, a cui paghiamo lo stipendio, di essere tanto maleducato da non rispondere alle richieste dei cittadini. Aspetterò ancora un paio di settimane e poi mi farò nuovamente vivo, intervenendo per l’ennesima volta. Sono convinto che purtroppo noi cittadini non interveniamo con sufficiente determinazione nei riguardi di questi burocrati, se non altro per far capire loro che sono al nostro servizio. Un tempo mi è capitato di leggere un articolo sul numero esagerato di segretarie di cui potevano disporre il sindaco e i singoli assessori. Non credo siano state tutte licenziate tanto da costringere il sub commissario a rispondere personalmente!

Troppo facile e troppo incosciente

In merito alla manifestazione oceanica di qualche settimana fa in Francia, organizzata per affermare il diritto di satira, avrei qualche commento da fare. I fatti della vita sono terribilmente complessi perciò, è saggio e onesto solamente chi tenta di tener conto del maggior numero di sfaccettature possibili.

In relazione a quegli eventi, sui quali ho già espresso la mia opinione e su cui è intervenuto perfino Papa Francesco, ribadisco che io reputo disdicevole e irrispettoso schernire mediante la satira le convinzioni altrui: una cosa è discutere ed altro è irridere, sbeffeggiare e prendere in giro sentimenti personali verso i quali si deve sempre nutrire rispetto. Aggiungo poi che è facile manifestare in Francia, protetti da ventimila poliziotti con le armi spianate, e vorrei che quei quattro milioni di francesi si chiedessero: “Quale prezzo dovranno pagare i cristiani che dimorano in paesi a prevalenza islamica?”

Papa Giovanni, ai detrattori di Papa Pacelli a cui, proprio perché al sicuro tra le mura vaticane, veniva imputato di non aver fatto proclami solenni contro la barbarie nazifascista, ha ricordato che le dittature presentano poi il conto e purtroppo è sempre un conto salatissimo. In questo caso sono i cristiani che vivono in quei paesi in cui l’integralismo islamico raccoglie i maggiori consensi le figure più esposte a forme violente di rappresaglia. Ogni intervento diventa accettabile quando chi lo fa è disposto a pagarne le conseguenze!

Benedizione delle case

Io sono da sempre un propugnatore quanto mai convinto della validità del vecchio strumento pastorale denominato “Benedizione delle case”, definizione che potrebbe essere opportunamente aggiornata con quest’altra “Visita annuale alle famiglie della parrocchia”.

So pure che sono un “profeta” per nulla ascoltato e, ad eccezione di pochissimi colleghi, per nulla seguito.

Per fortuna non mi sono mai lasciato condizionare da alcuna moda e perciò procedo imperterrito per la mia strada. Qualche settimana fa, dopo aver proposto l’iniziativa al parroco di riferimento senza esito alcuno ed essendo io assistente spirituale, regolarmente incaricato dai Centri Don Vecchi, ho preso l’iniziativa cominciando con quello di Marghera: una breve visita pomeridiana per un incontro con una quindicina di residenti al giorno. Sono più che felice, sono strafelice: un incontro cordiale, un rapporto confidenziale di anziani che hanno trovato finalmente un porto sicuro.

Ho constatato che non tutti sono santi e che non tutti vanno a Messa alla domenica, ho però trovato tanta apertura, tanta fiducia e riconoscenza.

La carità apre i cuori più chiusi e più freddi!

Il sesso degli angeli

Ormai da molti decenni o forse da secoli è di dominio pubblico la citazione che “Mentre Costantinopoli, circondata dagli Ottomani, stava per cadere, all’interno della città gli esperti di cose religiose, per nulla preoccupati della situazione a dir poco tragica, discutevano sul sesso degli angeli”.

Ancora una volta devo anche constatare la validità di un’altra massima antica “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole!”.

Oggi sono sotto gli occhi di tutti il disagio e la difficoltà che incontra la religione nel riproporre, con esito positivo, l’annuncio cristiano alla gente del nostro tempo a causa dell’evoluzione sempre più rapida della sensibilità e della cultura, motivo per cui ci è necessaria una più che mai difficile (innovazione) nella pastorale. Papa Francesco ci offre uno splendido esempio.

Il Pontefice, pur usando soluzioni ereditate dalla tradizione, sta entusiasmando vicini e lontani con l’autenticità, l’onestà e la coerenza con cui fa la sua proposta evangelica mentre qualche settimana fa mi sono imbattuto in un “documento” che offre un’impostazione radicalmente rivoluzionaria, e per me vecchio prete, strana e campata in aria, di quello che un tempo era chiamato catechismo.

E’ giusto ed opportuno fare nuove esperienze però è pure doveroso, prima di proporle agli altri, valutarne i risultati.

Nel nostro caso, a quanto mi sia dato sapere, essi sono più che deludenti.

Villa Flangini

Qualche settimana fa quattro pullman di anziani sono saliti ad Asolo per festeggiare San Martino a Villa Flangini, la bellissima villa veneta che acquistai nel 1978 con i soldi dell’anziana Dolores Albavera, del dottor Adriano Rossetto e di Luciano Busatto. In un paio d’anni, dopo un restauro radicale, la villa veneta della metà del settecento è diventata un’autentica dimora principesca ove per un quarto di secolo ogni anno quasi cinquecento anziani hanno passato due settimane da sogno.

Don Gianni, il giovane parroco di Carpenedo, che pare abbia i piedi per terra ed imposti la pastorale non lasciandosi condizionare da certi discorsi fumosi e bizantini sembra voler rilanciare la splendida esperienza del recente passato per gli anziani e per la comunità.

Per reclamizzare l’uscita autunnale, don Gianni ha ricordato il mio impegno per Villa Flangini e ha riportato a galla gli anni felici della mia vita da parroco.