In equilibrio sul presente

Da qualche tempo a questa parte sto conficcandomi nella coscienza, con ripetuti forti colpi di martello questa verità: devo impegnarmi comunque per il presente anche se le previsioni per il futuro di certe mie imprese non sono rosee, date certe esperienze che ho già fatto. A proposito di questa scelta mi sono messo via un trafiletto del grande teologo ma soprattutto del grande testimone cristiano che fu il pastore Dietrich Bonhoeffer fatto impiccare dai nazisti pochi giorni prima della capitolazione del Reich.
“Il presente è l’ora, gravida di responsabilità di Dio con noi, ogni presente; oggi e domani, il presente in tutta la sua realtà e multiformità; in tutta la storia del mondo esiste solo e sempre un’ora realmente importante: il presente, chi fugge dal presente fugge le ore di Dio, chi fugge dal tempo, fugge da Dio. Servite il tempo. Il signore del tempo è Dio”

Ho fatto il proposito di leggermi di frequente queste parole vere, profonde e sagge di questo uomo di Dio.

Sto raccogliendo quadri e mobili per il futuro don Vecchi 4, sto impegnandomi per rendere sempre più accoglienti e signorili gli ambienti ove vivono come fossero in un grand’hotel gli attuali 300 anziani più poveri della nostra città. Ma ho un tarlo che mi rode la coscienza, che non mi lascia mai in pace facendomi presente in ogni momento: “Hai ottant’anni come puoi sperare che la tua impostazione, che non interessa a nessuno dei tuoi colleghi, possa reggere? che né è stato di tutto quello che ti sei impegnato precedentemente? non ti accorgi che stai camminando controcorrente? che c’è una mentalità nuova, che il tuo piccolo mondo sta ormai scomparendo?”

Bonhoeffer quando scrisse queste cose sull’impegno da svolgersi nel presente, aveva già il cappio del boia al collo, eppure anche negli ultimi istanti diede il meglio di se!

Perché io dovrei fare diversamente? Voglio impegnarmi come se dovessi vivere ancora mille anni!

Crimini e scempi derivanti dall’inciviltà dell’umanità

Io credo di aver imparato più dalla lettura di certi romanzi, che dalle lezioni piuttosto barbose che ho ascoltato nelle aule della teologia nelle cui cattedre sedevano docenti ben esercitati nei sermoni.

In giovinezza è ben vero che c’è un rifiuto istintivo verso insegnanti poco brillanti e spesso anche poco preparati. Alla mia età comprendo che molti di loro facevano scuola non per scelta personale, ma solamente per ordini superiori. Ora mi rendo pur conto che per molti di essi la scuola era un sovrappiù, perché il mistero sacerdotale li impegnava già più del dovuto. E’ capitata anche a me questa sorte e quindi più facilmente può darsi che anch’io abbia determinato dei rifiuti della materia che insegnavo e non per la povertà della materia in se stessa, ma per l’inesperienza o l’inadeguatezza dell’insegnante.

Infatti qualche giorno fa, ho celebrato il funerale di un docente di greco del Liceo Franchetti di Mestre, e ho sentito le testimonianze entusiastiche dei suoi studenti e il fragoroso battimani dei giovani fedeli e quel docente insegnava non sessuologia, politica o altro, ma il greco!

Ma vengo alle mie letture che hanno inciso sulla mia coscienza più di tanti sermoni.

Tantissimi anni fa ho letto un romanzo, Gheorghiù “La venticinquesima ora”. Il romanzo descriveva con lucida spietatezza di linguaggio come politici di diversi paesi spostassero, come pedine su una dama, le popolazioni di una regione, annettessero ad una nazione centinaia di migliaia di cittadini con una cultura, una tradizione ed una religione ben diversa da quella a cui li spostavano.

In questo tempo in cui si sta venendo a contatto diretto con gente della Polonia, della Moldavia, dell’Ucraina, della Romania e di tutti quei popoli del Centro Europa, mi sto rendendo conto dello scempio esecrando, della rovina economica e del disastro sociale causato per motivi di carattere politico, ideologici di prestigio o semplicemente per scambi determinati da altri interessi poco nobili.

Sto chiedendomi sempre più spesso quanto deve camminare ancora l’umanità per raggiungere un minimo di civiltà e di convivenza umana?

Educatori e legislatori debbono proporre i modelli più affascinanti, senza impoverire il progetto dell’Altissimo!

Io preferisco sempre le grandi tematiche della vita, scrutare gli orizzonti vasti e profondi, indicare le utopie che mi fanno sognare e spesso il Vangelo mi offre l’opportunità di volare alto!

Talvolta però la pagina della Sacra Scrittura, da leggersi alla domenica, mi costringe a volare raso terra ed affrontare i problemi poveri e tristi della vita.

Qualche settimana fa purtroppo, la pagina del Vangelo metteva il dito su una piaga che ha sempre fatto soffrire l’uomo, ma che in quest’ultimo tempo è diventata più profonda e più sanguinante, la rottura tra l’uomo e la donna che si erano scelti per affrontare l’avventura della vita.

Il solito fariseo, pretenzioso e provocatore pone a Gesù il problema: “E’ lecito al marito ripudiare la propria moglie?” uno dei soliti problemi terra, terra, che ti fanno prendere coscienza della meschinità umana!

Cosa disse Mosè? “Mosè ha permesso….” – “Mosè l’ha fatto per la durezza del vostro cuore, ma da principio non fu così!…. “l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto!”

Mi sono messo la testa tra le mani e mi sono detto: “Domani devo far capire ai miei fedeli che dobbiamo sognare, volere e proporre il modello più alto, più nobile e più affascinante della famiglia!

Sono stufo ed indignato con chi, e non sono pochi, propone paccottiglie, merce cinese taroccata, soluzioni nocive per la felicità umana!

Educatori e legislatori debbono proporre i modelli più affascinanti, quelli che incantano e che fanno sognare!

Come invidio e rimpiango i films americani di un tempo, quelli alla Frank Capra, nei quali il bene trionfava sempre e alla grande!

E’ vero, nella vita talvolta accadde che, ci si ammali, che ci si faccia delle ferite, che si inciampi e si cada, ma questo è un altro problema, cercheremo le medicine più opportune, le cure più appropriate e se non si può fare altro che dover amputare, pur pensandoci prima cento volte, lo si faccia!

Però guai a noi se sporchiamo, roviniamo e adulteriamo il progetto dell’Altissimo; quello dovrà essere proposto sempre per tutti e nel modo più opportuno!

Il Mosè che trovi qualche soluzione alla rovina provocata dalla durezza del cuore, lo si può sempre trovare, ma la proposta per nessuno motivo deve essere impoverita!

Burocrazia contro solidarietà

Nota della Redazione: queste riflessioni sono antecedenti al 27 novembre, quando la situazione è finalmente stata sbloccata.

Nel pomeriggio delle domeniche mi concedo un pisolino sulla poltrona e la visione in contemporanea di due rubriche: “L’arena”, condotta da un giovane intelligente ed onesto, che poi sapendo che è anche un ottimo cristiano, mi piace più ancora, e un’altra rubrica di cui non ricordo il titolo, ma che comunque consiste nell’intervista di mezzora ad un uomo politico di spicco da parte dell’Annunziata. Questa donna la rifiuto in maniera radicale, perché faziosa, prepotente e preconcetta, ma comunque devo ammetterlo anche intelligente e preparata. Come faccio a seguire le due rubriche in contemporanea? Passo da un canale all’altro, perdendo battute di certo, ma riuscendo comunque a cogliere la sostanza del discorso.

Qualche domenica fa era di turno il ministro Brunetta. Questo signore non mi è proprio molto simpatico, perché sbruffone, indisponente, perchè pare sia una specie di padreterno che sa tutto lui e risolve ancora tutto lui. Brunetta mi pare sia una copia non proprio riuscita di Berlusconi!

Debbo però ammettere che nonostante gli attacchi insistenti ed indisponenti, faziosi e preconcetti della giornalista, non solamente gli ha tenuto testa ma l’ha mandata all’angolo, vincendo indubbiamente per ko tecnico!

Mentre ascoltavo le bordate ripetute e dirompenti di Brunetta, alla burocrazia, alla faziosità ed arroganza dei giudici, al menefreghismo e al non rendimento dei funzionari dello Stato, il mio pensiero andava al ritiro dei generi alimentari in scadenza. Battaglia certamente perduta per l’egoismo sfrontato della grande distribuzione, per l’impotenza del Comune e per la solita burocrazia.

Ora il problema è in stallo perché l’Ulss deve definire quello che non si deve asportare. Faccio fatica a capire perché questa gente debba sentenziare di tutto senza preoccuparsi per nulla dei problemi più gravi del bisogno e di come risolverli.
Comunque quanto ci vorrà per stilare questa lista del si e del no?

Cinque minuti? Dieci? Diamogli pure un quarto d’ora, ma poi buttiamoli fuori a calci sul sedere dall’ufficio.

Sull’uso che talvolta fanno della televisione

Più di qualche persona mi ritiene spigoloso, tagliente, polemico, ed ha ragione!

Talvolta non riesco proprio ad accettare certe forme di egoismo, certe mentalità farisaiche, certi estremismi di comodo, certi comportamenti ritenuti dai più formalmente religiosi, ma che in realtà sono la negazione assoluta di qualsiasi religiosità autentica. Certe forme di burocrazia assurda ed antisociale, certi paludamenti da palcoscenico che cercano di nascondere il nulla.

Allora prima sopporto, poi mi trattengo perché capisco che il ribellarmi è un combattere contro i mulini a vento, ma spesso sbotto.

Allora qualcuno, che probabilmente prova gli stessi sentimenti, dice che sono un prete coraggioso, qualcuno invece mi ritiene arrogante, svitato e pretenzioso.

Spesso cerco la saggezza, l’equilibrio, la misura ma poi ad certo punto sbotto e salta il coperchio!

Il voler essere onesti con se stessi, col prossimo che incontri, e col mondo è veramente difficile.

Io ho vissuto il tempo degli anni di piombo, in uno strano stato d’animo; da un lato ho condannato senza reticenza alcuna gli irrequieti, gli illusi, i personaggi indottrinati e talvolta delinquenti noti per aver preso il mitra e sparato a personalità di grande valore quali Moro, Biagi e tanti altri ancora.

Ho ritenuto i brigatisti criminali nutriti da ideologie malsane e banali e manovrati da burattinai interessati, astuti e senza scrupoli. Però talora m’è parso perfino di capire che di fronte a quel muro di gomma rappresentato dalla nostra società egoista, senza scrupoli, ipocrita, menefreghista ed arrogante non c’era altro rimedio che il mitra.

Sono sempre state tentazioni che ho rifiutato con tutte le mie forze dicendomi che la soluzione valida rimane la testimonianza, l’educazione. Però perché mi rimanga dentro al cuore questa prospettiva non debbo aprire la televisione perchè certi programmi “impegnati” sono l’espressione estrema della faziosità, dell’intelligenza luciferina, del degrado morale.

“I figli delle tenebre”, che sono sempre stati più furbi, si sono appropriati di questi splendidi mezzi di comunicazione per attuare i loro loschi progetti e per campare lentamente sopra la buona fede e la sete di giustizia della povera gente!
Questo proprio non lo sopporto!

Sull’ateismo in Cecoslovacchia

Sono rimasto molto impressionato dalla descrizione fattaci dalla televisione e dai giornali sulla situazione religiosa del popolo Cecoslovacco. I mass-media, sottolineando la difficoltà del viaggio pontificio di Benedetto XVI, hanno ribadito più volte che il sessanta per cento della popolazione di quella repubblica, rimasta fino a pochi decenni là sotto il giogo sovietico e peggio ancora avendo subito l’indottrinamento ateo del relativo governo comunista, si dichiara atea.

Io non conosco le statistiche in merito degli altri popoli slavi che hanno fatto le stesse esperienze, politiche, sociali e culturali, ma finora mai mi era giunta una notizia così forte e desolante. Anzi, avevo creduto, che una volta tolta la cappa di piombo di quel regime, fosse come d’incanto fiorita la primavera della fede.

I segni di croce di Putin e le sue frequentazioni liturgiche mi avevano indotto ad essere più ottimista sulla resurrezione religiosa di quei popoli. Finchè ci sono dubbi e perplessità sulla resurrezione religiosa, sui riti delle varie chiese, sulle usanze e sulle manifestazioni religiose, ciò non mi sorprende e mi preoccupa più di tanto, ma quando si nega l’esistenza di Dio o la validità del messaggio evangelico, questo non solamente mi stupisce, ma mi è veramente impossibile vederne una minima ragione logica.

Rimuginavo questi pensieri tra me e me, passeggiando qualche pomeriggio fa lungo il vialetto di mattonelle che corre vicino al grande prato del don Vecchi. Il verde del prato finalmente intenso dopo l’aridità estiva, la fila di oleandri offrivano gli ultimi fiori multicolori, e sul bordo del viale sta sbocciando un lungo filare di crisantemi. All’inizio di dicembre dello scorso anno, quando con i primi geli la gente tolse questi monconi dalle tombe e li buttò nei cassonetti della spazzatura, io li raccolsi e piantai lungo suddetto viale. Ora tutte queste piante, dalle fogge e colori tanto diversi, stanno sbocciando. Tutti i crisantemi del parco del don Vecchi si sono ricordati del colore e della forma dello scorso anno, tutti hanno avvertito le frescure dell’autunno, tutti si sono accordati per sbocciare nonostante le giornate, l’aria e i giorni siano certamente diversi dall’anno scorso.

Solo l’uomo nel creato ha la possibilità di sgarrare, di non tenere i tempi, di sbagliare il passo!

Le piante e gli animali sono sempre se stessi, solitamente l’uomo spesso ha cessato di essere uomo rinunciando alla sua possibilità di ragionare!

Oggi il sessanta per cento non crede perché non pensa, perché non è più uomo!

“Grazie, grazie, Signore, alleluia!”

Qualche settimana fa siamo stati con i residenti del don Vecchi, e qualche altro anziano di Mestre, in pellegrinaggio al Santuario della Madonna dei Miracoli di Motta di Livenza.

Non potrei assicurare che le motivazioni, del centinaio e più di anziani che vi hanno aderito, siano state esclusivamente o prevalentemente di ordine religioso.

Un pomeriggio diverso, l’occasione di far quattro chiacchiere con gente amica, la merenda casereccia e soprattutto il costo contenuto: 10 euro tutto compreso, può darsi che abbiano decisamente concorso a far diventare “pellegrine” persone di abitudini abbastanza stanziali.

Io ho partecipato volentieri, il vedere delle persone contente fa sempre piacere, ma soprattutto il riandare a ricordi della mia infanzia, perché la Madonna dei Miracoli di Motta è per il mio paese natio il santuario più vicino e i miei compaesani di un tempo, ma anche gli attuali, da quanto mi risulta, ci sono sempre andati e ci vanno ancora volentieri quando hanno qualche grossa preoccupazione.

Uno dei momenti forte del pellegrinaggio, almeno ufficialmente, consiste nella messa e nella predica relativa.

Il tutto è stato fatto con molta attenzione e dignità, e dato che io ne ero il regista, ho tentato di aiutare i miei coetanei a ringraziare per tutti i “miracoli” che il buon Dio e la Madre di Gesù, ci hanno fatto e continuano a fare, piuttosto che andare a presentarci con la lista delle richieste.

Ho avuto la sensazione che i vecchi mi abbiano seguito, comunque le riflessioni hanno giovato particolarmente a me.

Mi pare che sia stato Leon Blois, Pelni o Bernanos, ad affermare che “Tutto e grazia!”

E’ vero, se ci pensassimo veramente dovremmo, da mattina a sera, ringraziare senza pausa il buon Dio per quanto, nonostante tutto, continua a donarci.

Una volta tanto mi unisco ai membri del Rinnovamento dello Spirito per dire con entusiasmo e convinzione: “Grazie, grazie, Signore, alleluia!”

Il volto e il cuore del Dio della nostra Chiesa può essere sorprendente!

Credo che mai ho apprezzato il Vangelo quanto lo sto amando ed apprezzando oggi.

Quasi ogni domenica sarei tentato di aprire il mio sermone dicendo alla mia comunità, che in maniera tanto partecipe si riunisce attorno all’altare: “Oggi il Signore ha delle splendide cose da dirci, apriamo il cuore per riceverle come un dono importante”.

Spesso ripeto questa premessa e se talvolta la ometto non è perché non sia convinto dell’importanza del messaggio, che veramente rappresenta la più bella notizia, ma solamente perché non voglio essere ripetitivo e tedioso.

Questa mattina mi è parso che Gesù abbia voluto mettere a fuoco come Egli concepisce la religione, non come un qualcosa di chiuso, prerogativa e monopolio di qualcuno, ma una realtà avulsa da vita e chiusa in un fortino per custodire gelosamente i suoi tesori, paurosa di un mondo ostile e meschino che l’assedia, tutta intenta a celebrare i suoi riti misteriosi che poco hanno a che fare con la vita, ma come un faro che indica il porto a tutti, a coloro che la stimano e che hanno fiducia, ma altrettanto disponibile verso chi la pensa diversamente e talvolta perfino l’osteggia.

Ho tentato con tutte le mie forze di dire che Gesù pensa alla chiesa non come una setta chiusa, diffidente, arroccata in se stessa, che vede nemici dappertutto, che diffida del domani, della vita e del prossimo, ma invece come una comunità aperta solidale con tutti, felice di riconoscere tutto il bene che germoglia nel cuore dell’umanità, attenta a tutto ciò che c’è di positivo, fiduciosa con tutti ed invece estremamente preoccupata che il male non si annidi dentro di se, e decisa a liberarsene perché non diventi scandalo per “i piccoli”.

Mi è parso che i testi della Scrittura non solo avvalorassero questa visione, ma invece me la imponessero.

Però dopo “l’andate in pace” mi tormentava la coscienza temendo di non aver espresso bene questa bellissima ed affascinante verità. Se non che mi si accostò una cara signora, che conosco da tanti anni, tormentata che il figlio avesse abbracciato la religione indù, mi disse: “Allora posso sperare, don Armando, che c’è salvezza anche per mio figlio, che ama, rispetta il prossimo, vive mite e sereno?”

Risposi: “Certamente si, il Padre non vuole “cattolici”, ma invece desidera uomini buoni, pacifici, onesti e soprattutto fratelli, questo è il volto e il cuore del Dio della nostra Chiesa”.

Un “Matusa”

Le mie gaffes sono proverbiali, un po’ sono dovute al fatto che non sono fisionomista, e un po’ perché sono perennemente distratto e continuo a pensare ai fatti miei anche quando, le mutate situazioni, mi dovrebbero costringere a voltar pagina.

Due tre mesi fa mi si è chiesto di celebrare il commiato di un membro di una nota famiglia di Mestre, che pur provenendo dall’Istria, s’è totalmente integrata nel tessuto della nostra città motivo per cui moltissimi mestrini la conoscono. Io ebbi tra i miei alunni delle magistrali, una ragazzina di questa famiglia.

Ai tempi della scuola quarant’anni fa, quella ragazza si faceva notare perché bella, disinvolta, brillante nel modo di fare e di atteggiarsi, il fatto poi che nella sua parlata ci fosse l’accento ed il calore della terra oltre l’Adriatico, erano elementi per cui mi è sempre stato facile ricordarla.

La mamma poi di questa ragazza mi aveva raccontato dello stile di vita d’inizio secolo, di quella gente, questo coniugato alle tristi vicende dell’esodo e della bellezza di quella terra e di quel mare, mi hanno favorito nel mettere in una cornice particolarmente bella a quella creatura.

L’altra mattina due signore, che avevano superato di certo la mezza età, mi salutarono con particolare calore e vedendo che faticavo a riconoscerle mi ricordarono del funerale.

Finalmente ci arrivai ad inquadrare queste due care creature come appartenenti a questa famiglia trasferitasi a Mestre dalle terre della Dalmazia.

A questo punto accadde la gaffe; mi venne da chiedere notizie della mia alunna, che supponevo fosse una figlia, se non una nipote di queste due signore. “Sono io” mi disse la più piccola di statura. La guardai sorpreso e tentai goffamente di riparare lo svarione. Ci salutammo con affetto, lei certamente accusò il colpo, pur facendo finta di non averlo ricevuto ed imputando a malessere le detestabili ed amare tracce che il tempo aveva lasciato sul suo volto.

Quando rimasi solo, da un lato mi dispiacque di averla involontariamente ferita, riproponendomi di essere in futuro più cauto e dall’altro lato ricordai della vecchia e saggia sentenza della chiesa, “Sic transit gloria mundi”. È tanto effimera ed inconsistente la bellezza. Poi mi autoflagellai dicendomi: “Cosa penserebbero di me tutte quelle ragazze che ho incontrato quarant’anni fa sui banchi delle magistrali?”

Se fossimo nel ’68 di certo mi definirebbero col termine “Matusa”.
Debbo ricordarmelo!

Capire le avversità della vita

Io purtroppo non sono un mistico, pur avendo una sconfinata ammirazione per chi sa immergersi nel profondo ed ineffabile mistero di Dio e sa accostarsi alla vita avendo la capacità di inquadrare ogni incontro ed ogni esperienza alla luce di questa immensa ed assoluta realtà.
Non riesco a camminare su questa lunghezza d’onda.

Spesso navigo a vista cercando la direzione per orientarmi dalle piccole banali esperienze quotidiane. Non per questo talvolta non intravedo, magari nel baluginare di qualche percezione, il mondo bello e luminoso che sta oltre la nebbia impalpabile che incontro sulla mia strada.

Questa mattina, durante la fatica della meditazione, ho percepito una grande verità da cui è sgorgata una norma morale di grande portata.

Il cristiano che aveva steso il testo della meditazione, ringraziava di tutto cuore il Signore per tutte le cose bella della vita e per tutto quello che gli aveva elargito, ma continuava ribadendo che la riconoscenza a Dio non è dovuta solamente per la constatazione di quanto sia grande la sua generosità verso noi uomini, ma doveva manifestarsi anche per le avversità e per quanto noi, in maniera miope, consideriamo dolori, disgrazie e disavventure per le quali di primo acchito ci siamo dispiaciuti.

Dapprima ciò mi parve assolutamente assurdo, ma poi facendo una rapida verifica sulle disavventure e sulle presunte croci della vita passata e presente ho dovuto constatare che in verità da esse ho compreso il volto più vero della vita. Partendo da quelle esperienze amare, sempre, ho scoperto quello che veramente conta, a differenza di ciò che è effimero ed illusorio!

La razionalità, che è sempre un po’ in ritardo sul cuore e sulle intuizioni, mi ha poi confermato che Dio non può che amare le sue creature, e anche e soprattutto quando pare le castighi, è proprio il momento che le ama di più e perciò interviene perché non si facciano troppo del male. Ora mi pare di aver capito, però devo assimilare e tradurre a livello esistenziale questa verità.

Questo mio umile e disordinato diario…

Sono sempre stato ammalato di stakanovismo, col tempo non sono guarito, anzi invecchiando penso di essere un po’ peggiorato.

Uno degli effetti di questa sindrome è quella che ho sempre paura di perdere tempo, un altro quello di non impiegarlo nel modo migliore, quello di non dedicare tempo sufficiente a quello che credo essere il mio dovere di prete.

Più di una volta, ripensando alla ripartizione della mia giornata, ho confessato che essa comincia alle 5,30 per finire alle 21, perché, per quanti propositi abbia fatto, nel dopo cena non riesco a far nulla perché mi assale una sonnolenza invincibile!

Al mattino però, pur mantenendo la sveglia ufficialmente alle 5,30, essa suona per mia volontà dai 10 ai 15 minuti prima, motivo per cui, mentre mi alzo, ho modo di ascoltare una bellissima rubrica condotta da anni da Vittorio Schiraldi, messa in onda da Rai Uno e che ha per titolo “Un altro giorno”

Si tratta di una trasmissione di una dozzina di minuti in cui questo autore affronta temi di attualità, approfondendoli ed inquadrandoli a livello psicologico ed esistenziale; è veramente una bella rubrica, interessante, intelligente ed anche piacevole.

L’unico neo, non dell’autore, ma dell’ascoltatore è che quella rubrica, che potrebbe essere anche denominato “Il diario di un uomo del nostro tempo” è corretta, documentata, profondamente, mentre “Il diario di un prete in pensione” è spesso disordinato, poco scorrevole, talvolta ripetitivo ed anche talora sgrammaticato. Provo quindi invidia e peggio ancora scoramento constatando nel confronto la mia pochezza, della quale sono da sempre ben consapevole.

Da ciò nasce la tentazione di smettere o di ridurre il tutto a qualche flash sul mondo che mi circonda.

Eppure sono convinto di avere qualcosa da dire, soprattutto di avere il coraggio di dirlo, mentre constato che attorno a me, un sacco di gente, che forse più o meno lucidamente, sente il bisogno di offrire la propria critica ed il proprio contributo non osa farlo o ha paura di pagarne lo scotto.

Quindi nonostante che di fronte a “Un altro giorno” di Vittorio Schiraldi, sia decisamente perdente, continuo a farlo, dato il plauso e gli incoraggiamenti che mi giungono quasi ogni giorno.

La morte della parrocchia

Ancora un incontro, poi la pausa per pranzo, senonchè, verso mezzogiorno, squilla il telefonino.

Una signora mi pregava di dare una benedizione, prima che calassero nella fossa, un suo conoscente o parente.

Non capii subito come stessero le cose, pensai che si trattasse, come abbastanza di frequente avviene, che i familiari volessero un’ultima benedizione, come si usa da secoli, prima dell’inumazione e che uno dei tanti parroci, come avviene spesso, si fosse rifiutato di farlo dopo aver concluso il funerale.

Invece no, non s’era fatto alcun rito religioso in occasione del commiato e la salma era destinata a passare dalla cella mortuaria direttamente alla fossa.

Probabilmente una parente era riuscita a convincere la famiglia a permettere, almeno all’ultimo momento un piccolo segno religioso.

Sarei andato immediatamente, ma un precedente impegno mi teneva occupato almeno per mezz’ora.

Per quella famiglia sembrò troppo e così la terra scese a palate rapide senza che un prete potesse chiedere che l’angelo del Signore, dopo aver accompagnato l’anima in cielo, vegliasse su quel corpo che ne era stato per molti anni la custodia.

L’indomani celebrai il sacrificio di Cristo, per quel fratello ignoto, che non so se riposerà almeno sotto una piccola croce bianca sotto la terra del nostro camposanto.

Spero che con la nuova chiesa abbia un piccolo luogo dove possa lavorare, rimanendo disponibile ad ogni chiamata.

Dietro questa amara vicenda c’è certamente una storia, un dramma che io non conosco, ma c’è anche una storia di una comunità cristiana e di un suo pastore che quasi certamente non si è neppure accorto che un membro della sua comunità era ammalato, era morto, e non si sentiva più parte del popolo di Dio.

Finchè un parroco non visita di frequente la sua gente, e a Venezia (era infatti un isolano) lo dovrebbe pur fare spesso, data la piccolezza delle parrocchie, non ha un dialogo mediante un foglio parrocchiale, non ha occasioni di incontro, credo che questi eventi saranno sempre più frequenti.

Le parrocchie non possono più esaurire il loro compito con i fedeli solamente in sacrestia.

La parrocchia che ormai non garantisce neppure l’apertura durante il giorno della chiesa, è destinata all’inedia e alla morte poi!

Anche certe provocazioni atee possono aiutare i cristiani

Quando alcuni mesi fa ci fu l’episodio, certamente poco gradevole per noi credenti, degli autobus genovesi con le scritte pubblicitarie che annunciavano ai cittadini di Genova che Dio non esiste e che la cosa non poteva che rendere soddisfatta la cittadinanza, un sacerdote tentò di interpretare positivamente questo episodio.

Quel prete affermava che la provocazione costringeva i credenti a prendere posizione di fronte al problema di Dio e quindi aiutava a fare scelte più coerenti e più convinte.

Io non mi trovai totalmente d’accordo pur dovendo ammettere che c’era un qualcosa di vero e di positivo nel suo ragionamento.

In quell’occasione mi riproposi di non lasciarmi andare a reazioni immediate ed emotive, ma di tentare di valutare possibilmente tutti i risvolti di qualsiasi avvenimento.

Il proposito mi tornò buono qualche giorno fa, quando lessi su “Il Gazzettino” che un circolo veneziano di atei militanti ha informato i lettori che la Regione spende 10.000 euro al mese per pagare l’assistenza religiosa negli ospedali di Mestre e Venezia e perciò rivendicava una somma per l’assistenza svolta in suddetti ospedali per i maomettani, protestanti, atei, agnostici e via diseguito.

Pensai: “Sono sempre quei quattro piantagrane che approfittano per dare addosso alla chiesa!”

Poi ripensandoci mi chiesi se ci sono veramente i cinque sacerdoti a tempo pieno, se non sarebbe più giusto che l’assistenza religiosa fosse fatta a titolo gratuito da qualcuno dei 200 preti e 300 frati presenti in città?

Credo che le critiche, pur malevole e cattive dei soliti arrabbiati pongono sul tappeto problematiche che un tempo erano risolte in un certo modo, ma che attualmente devono essere riviste di fronte a situazioni decisamente diverse.

Ho concluso che anche dal male possono emergere aspetti positivi, anche dagli atei militanti può giungere una mano per la purificazione e il rinnovamento del nostro modo di vivere la religione.

E’ l’Italia d’oggi che esprime questi politici

Un tempo avevo un amico prete che si professava visceralmente antifascista, in realtà ho però sempre ritenuto che, se fascismo significa prepotenza, non rispetto del prossimo, fosse lui un fascista per antonomasia perché questo era il suo stile di vita.

Ebbene questo collega era arrivato a dire che se avessero rovesciato il maresciallo De Gaulle o Golda Meier (allora primo ministro di Israele) ci avrebbe offerto una cena.

Egli era convinto che sbarazzandoci di quei due personaggi l’Europa di allora, avrebbe riconquistato la democrazia.

D’altronde anche oggi per una gran parte della sinistra crede che sbarazzandosi di Berlusconi, l’Italia, recupererebbe la moralità, un sano vivere civile, la giustizia sociale e quanto di meglio si possa auspicare per il proprio Paese. A parte il fatto che credo di non aver mai conosciuto un paese che possegga questi valori, per merito di un governo di sinistra, spessissimo invece ho riscontrato solamente corruzione, disastro economico, trionfo della burocrazia, malgoverno e via di seguito.

Comunque in quell’occasione, di fronte alla discussione accalorata tra noi giovani preti, intervenne il vecchio parroco, certamente più saggio di noi a ricordarci “Non è De Gaulle che fa la Francia, ma è invece la Francia con i suoi pregi e difetti che esprime De Gaulle”

Sono convinto che avesse totalmente ragione, chi se la piglia con Berlusconi e vorrebbe cambiarlo radicalmente, dovrebbe prendersela con se stesso perché è l’Italia d’oggi che esprime questo tipo di personaggio, infatti è lui ad avere attualmente i maggiori consensi, checché ne dicano i suoi avversari politici.

Concludo con un proposito, dovrò continuare ad impegnarmi per un mutamento di mentalità, di costume, e di moralità e di cultura degli italiani, anche se, come ho sentito stamattina alla radio, che un milione di italiani oggi fa uso di cocaina e i nostri giovani vanno in discoteca verso mezzanotte, si sbronzano e con l’auto fanno più vittime di una guerra.

Almeno per il prossimo futuro ho ben poco da sperare; avremo un capo di governo ben peggiore dell’attuale!

Non sono di sinistra, di destra e neppure di centro

Quando studiavo filosofia al liceo, fui molto colpito da una lezione di don Vecchi, in cui con quell’estro che gli era proprio, ci spiegava e poi ci metteva in guardia dalla realtà che egli definiva nominalismo.

Chi vuol ragionare bene deve mettersi d’accordo non tanto sui termini, quanto sui contenuti di certe parole.

Ad esempio parlare di amore è la cosa più difficile di questo mondo, dietro quella etichetta ci possono essere i contenuti più diversi, anzi opposti, motivo per cui dialogare con parole che non hanno lo stesso significato è quanto di più assurdo ed inutile che ognuno possa fare.

Per non parlare di democrazia, di libertà, di progresso, di bellezza e di quant’altro. O prendi in mano lo Zingarelli e t’accordi sul significato dei vocaboli, o altrimenti perdi tempo inutilmente ed arrischi di baruffare.

In merito a queste mie povere riflessioni, nel mio “diario” di vecchio ottantenne, con poco retroterra culturale, nascono delle reazioni.

Questo è normale. La maggioranza ammira, forse l’unica cosa pregevole: l’onestà.
Qualche altro il coraggio di dire la propria opinione, ma questo lo ritengo un dato scontato perchè, almeno in Italia, tutti dicono ciò che pensano; ci vorrebbe altro che un prete avesse paura di farlo. Poi più volte ho affermato che non godo di rivelazioni, non pretendo di dire verità assolute, non ho soluzioni miracolistiche da proporre.

C’è invece un signore, che mediante messaggi su internet tenta di incasellarmi come un prete di sinistra. Non lo sono, non sono neanche di destra e neppure di centro. Sono solamente un uomo che cerca la verità, che ama la povera gente concretamente che se scopre qualcosa di buono, con entusiasmo infantile, lo dice a tutti, che è infastidito dalla burocrazia e dal formalismo, che ama una chiesa povera e libera, che rifiuta la violenza, che non ha paura di nessuno, che non vorrebbe far del male neppure ad una mosca, che ama il Signore, il prossimo, e che sogna un mondo nuovo.

Durante tutta la mia vita c’è sempre stato qualcuno che ha tentato di mettermi in uno di quei scomparti della cassettiera della vita, non ci sono mai stato e per scelta e convinzione ho mantenuto la mia libertà. Ognuno è libero di classificarmi come gli aggrada, ma io rimarrò comunque me stesso, gli piaccia o no!