Adorazione perpetua

Sento il bisogno e il dovere di ritornare su un argomento del quale ho parlato più volte ma che però mi pare non sia ancora riuscito a penetrare nella coscienza collettiva dei cattolici della nostra diocesi. Lo faccio in occasione dell’inaugurazione dell’adorazione perpetua iniziata solennemente qualche giorno fa nella chiesa di San Silvestro a Venezia con la presenza del Patriarca, di numerosi sacerdoti e di molti fedeli.

Quello dell’adorazione all’Eucarestia, a tutte le ore del giorno e della notte, è stata una iniziativa realizzata per molti anni nella chiesa di San Giuliano che poi però, non so per quali motivi, è venuta meno. Don Narciso Danieli, parroco della comunità di Santa Maria Goretti in vicolo della Pineta, ha rilanciato questa pia pratica con successo tanto che pare che ben quattrocento persone si siano impegnate a coprire le 24 ore di tutti i giorni della settimana.

Io non posso che essere contento di questa pia pratica che si aggiunge alle novene, ai tridui, ai pellegrinaggi e alle tantissime altre iniziative che la pietà cristiana ha “inventato” lungo i secoli per manifestare a Dio Padre il ringraziamento, la richiesta di perdono e la lode. Una monaca delle Serve di Maria del Monastero di Via San Donà disse a chi criticava le monache che invece di servire i poveri e i bisognosi passavano le loro giornate in preghiera: “Noi abbiamo scelto di essere le testimoni dell’Assoluto perché vogliamo ricordare agli uomini l’altra faccia della medaglia della vita!”.

Io sono totalmente d’accordo con queste religiose. Guai se non ci fosse al mondo qualcuno che ci ricordi che dobbiamo tutto al Signore! Mi auguro di tutto cuore che la comunità di Santa Maria Goretti a cui si è aggiunta ora quella di San Silvestro siano per Mestre, per Venezia e per le relative chiese le “testimoni visibili dell’Assoluto”.

Mi auguro poi che nella Chiesa veneziana ci siano discepoli di Gesù che sia di giorno che di notte lo amino, lo servano e lo ascoltino cercandolo anche nelle realtà dei poveri. Se l’Eucarestia è un segno che Cristo Figlio di Dio è rimasto con noi, i poveri testimoniano ancora di più la presenza in mezzo a noi del nostro Redentore e Salvatore.

Gesù, San Giacomo, San Giovanni Crisostomo, i Santi di ieri e di oggi e il nostro Pontefice ci ripetono costantemente questa grande verità, nonostante questo però pare che la nostra Chiesa non abbia ancora organizzato un servizio efficiente, sia di giorno che di notte, per amare e servire il Cristo presente nei poveri.

L’opera più celebre di Luigi Scaggiante

Lo scorso anno la comunità cristiana di San Giorgio a Chirignago ha organizzato una bellissima mostra in onore del suo cittadino più illustre: Luigi Scaggiante. Il gruppo culturale di quella comunità si è impegnato a fondo facendo stampare il catalogo con il centinaio di opere esposte che rappresentano l’impegno artistico della sua intera vita di pittore.

Scaggiante, uomo di fede, si è impegnato a fondo su soggetti a carattere religioso, ha partecipato con successo ad alcune biennali di arte sacra promosse dalla Galleria La Cella ed ha dipinto una Via Crucis per la parrocchia di Santa Maria Goretti segnalandosi come artista figurativo che, pur rifacendosi alla tradizione della pittura del sacro, ha avuto la capacità di esprimersi pittoricamente con un linguaggio moderno, comprensibile e gradevole.

L’opera in assoluto più significativa di Scaggiante, che gli organizzatori della mostra non sono riusciti ad esporre, è certamente “La Cena” di Gesù con personaggi del nostro tempo. La grande tela, che gli ho commissionato una quindicina di anni fa per la sala da pranzo del Don Vecchi 1, è un’opera di grandi dimensioni (metri 5 per 2,5) e si rifà alla tradizione monastica che era solita collocare nel refettorio un’Ultima Cena. La particolarità della tela è quella che i personaggi che la animano sono uomini del nostro tempo, personalità note come: Madre Teresa di Calcutta che siede alla sinistra di Gesù, Monsignor Vecchi alla Sua destra, Padre Turoldo, Padre Pio, uomini, donne, bimbi e anziani, in tutto una trentina di figure; nella tela l’autore ha pure avuto la benevolenza di “farmi sedere” alla mensa del Signore e per di più ringiovanendomi di una trentina d’anni. Questa singolare “Ultima Cena” offre soprattutto il fondamentale messaggio che la Redenzione non è una vicenda del passato ma una realtà che coinvolge e salva gli uomini del nostro tempo.

I pifferai

Io sono nato ad Eraclea ed un secolo fa questo paese era costituito da un modesto agglomerato di case adagiato sulla sponda sinistra del Piave. Da qualche decennio il paese ha recuperato il nome nobile di Eraclea che ricorda il suo illustre passato ma ai miei tempi si chiamava Grisolera, nome che si rifaceva all’ambiente povero e palustre in cui era situato. Ora a Eraclea c’è per Ferragosto la sagra ma, ai miei tempi, per vedere un po’ di gente e di festa, bisognava andare, all’inizio di ottobre, alla fiera della Madonna del Rosario a San Donà. Ricordo ancora il clima festoso e i venditori ambulanti che reclamizzavano in maniera colorita, fantasiosa e convincente la loro mercanzia. A quel tempo, in cui la gente semplice veniva convinta a comprare, io non conoscevo ancora la storia del pifferaio che seduceva il popolo e lo imboniva con le sue chiacchiere colorite finendo per illuderlo e poi portarlo alla rovina. Questa storia la appresi solamente sui banchi delle elementari quando iniziò la mia istruzione.

Ho vissuto una lunga vita, mi pare però che purtroppo non sia cambiato quasi nulla nella sostanza. Gli imbonitori di professione forse non battono più le fiere di paese ma siedono in Parlamento e alla televisione per incantare i citrulli con le loro chiacchiere colorite piene di promesse. Quando alla sera, dopo cena, mi siedo in poltrona per vedere uno dei tanti telegiornali, mi pare di essere tornato ai vecchi tempi della sagra. I pifferai non sono più quelli di un tempo, quelli che ho conosciuto da bambino, perché ormai da anni sono andati nell’aldilà, oggi hanno nomi diversi però la sostanza non è cambiata. Fortunatamente Morfeo, prima che mi arrabbi di fronte a tanta impudenza, mi fa addormentare anche se, pur inascoltati, loro continuano a parlare e a sproloquiare come proponessero merce preziosa mentre tentano solamente di svendere fondi di magazzino.

In questi ultimi tempi ce ne sono alcuni che emergono su tutti, due in particolare sono quelli che i sondaggi dicono essere particolarmente ascoltati e seguiti: Salvini e Grillo. Il secondo è un figlio d’arte, esce infatti dalla scuola del baraccone; mentre il primo non so da dove provenga però pare conosca tanto bene questa arte da avere conquistato il quattordici per cento dell’elettorato. Mi auguro tanto che l’incantesimo degli attuali pifferai si dissolva velocemente come le bolle di sapone prima che riescano a fare troppo male alla nostra povera Italietta!

“Le vicende del Fondo di Rotazione”

Recentemente i mass-media hanno scoperto una cooperativa che, dopo aver beneficiato del Fondo di Rotazione della CEE gestito dalla Regione Veneto, invece di usare il contributo per occupare disabili, come aveva affermato, con quel denaro ha costruito un albergo di lusso. Tale notizia ha tenuto banco sulla stampa cittadina per un paio di settimane ed è stata presentata come l’ennesima truffa perpetrata con i soldi pubblici. Nell’elenco degli enti che hanno beneficiato di suddetto fondo è apparso anche il Don Vecchi, quasi che anch’esso appartenesse alla congrega del malaffare. I giornali hanno poi annunciato che una commissione avrebbe fatto delle verifiche: “Ben venga” ho pensato, le diremo il fatto suo.

Ripeto ancora una volta come sono andate le cose da noi.
Sernagiotto, allora Assessore alla Sicurezza Sociale della Regione ci ha chiesto di portare avanti un’esperienza pilota per dimostrare che è possibile gestire, in maniera più economica e più umana, quella fascia di anziani che vanno dagli 85 ai 95 anni, senza ricorrere alle case di riposo per non autosufficienti. Suddetti ricoveri costano all’interessato, alla famiglia e all’ente pubblico circa tremila euro al mese ed offrono una qualità di vita assai discutibile. La Fondazione ha accettato di buon grado la sfida e così la Regione ha finanziato, con 2.800.000 euro, il nostro progetto. In dieci mesi la Fondazione ha portato a termine la struttura e, sull’impegno che la Regione si era assunta di promuovere un bando per finanziare l’assistenza di questi anziani residenti, nei due mesi successivi l’ha riempita con 65 ultraottantenni. Partito Sernagiotto dalla Regione perché eletto al Parlamento Europeo, la burocrazia ha bloccato tutto, cosicché la Fondazione, essendo venuto meno il contributo per la gestione, ha dovuto ridurre l’assistenza ad un semplice monitoraggio che garantisce però un pronto intervento sia di giorno che di notte. Attendiamo quindi al varco il nuovo presidente della Regione perché onori gli impegni e soprattutto attui, fino in fondo, questo progetto pilota gestito da un ente del privato sociale che non fa business ma sperimenta soluzioni innovative e più economiche per la quarta età.

Matteo Vanzan

I concittadini, anche quelli poco attenti alle vicende della nostra città e della nostra nazione, conoscono, almeno superficialmente, la fine tragica del giovane lagunare Matteo Vanzan caduto a Nassiriya. Io ho conosciuto questo ragazzo solamente attraverso i mezzi d’informazione che al tempo della sua morte ne hanno parlato diffusamente. Ho approfondito la sua conoscenza in occasione della sua sepoltura vicino all’Altare della Patria del nostro cimitero ma soprattutto nella pubblica commemorazione, della quale è sempre parte integrante la Santa Messa in suo suffragio, organizzata ogni anno dall’associazione dell’Arma dei Lagunari in congedo. Qualche anno fa celebrò la Messa in suffragio di Matteo il cappellano militare del reggimento del nostro “eroe” e dall’omelia ho appreso che era un ragazzo di sani principi morali che credeva nell’ideale dell’amor di Patria.

Con il passare del tempo il responsabile dell’Associazione dei Lagunari si è reso conto che diventava sempre più difficile reperire un cappellano militare per il rito e quindi è ricorso sempre più spesso a me in qualità di Rettore della chiesa del cimitero. Ho sempre accettato volentieri questa richiesta anche perché, a me “pacifista” per scelta, si offriva l’opportunità di parlare ai graduati precettati per partecipare a questo rito.

L’anno scorso insistetti sul concetto che bisogna preparare i nostri giovani non a morire per la Patria, come vorrebbe una certa retorica patriottarda, ma a vivere per il bene della comunità non adoperando le armi ma la ragione. Quest’anno invece, partendo dal fatto che ho appreso che il Vanzan era animato da nobili ideali e dal fatto che il dramma di Nassiriya è diventato il dramma amaro e tragico di tutto il Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale, ho insistito sulla funzione della testimonianza che non produce mai frutti in tempi brevi ma, che seguendo la logica di Dio, produce invece “salvezza” personale ed una riproposta dell’utopia della pace, della libertà, e della democrazia. Mi è parso che tutta quella gente in divisa, con il petto pieno di decorazioni, sia rimasta pensosa di fronte a questo discorso.

“Beati i poveri”

Da molti anni sono stato costretto dall’esperienza fatta tante volte personalmente a modificare l’interpretazione tradizionale della prima beatitudine proclamata da Gesù: “Beati i poveri di spirito perché di loro sarà il Regno dei Cieli”.

Di certo non mi permetterei mai di obiettare alcunché a quanto ha giustamente affermato il Figlio di Dio ma credo che si debba sottolineare decisamente che la seconda parte dell’affermazione di Gesù non intende beatificare tout court chi è povero a livello economico. Quasi certamente Gesù voleva affermare che può aspirare alla beatitudine chi vive una vita semplice ed umile, chi si accontenta di quello che può avere, chi non si lascia lusingare dalla ricchezza, chi non è arrogante, avaro e avido di benessere a qualsiasi costo.

Il discorso invece è ben diverso quando ci si riferisce a gente oziosa e refrattaria al lavoro che si riduce volontariamente in miseria, che vive di espedienti e di mendicità. Io penso che ci si debba far carico in qualche modo anche di queste persone però non credo proprio che la loro condizione, molto spesso voluta, sia un titolo valido per accedere al Regno e aspirare alla beatitudine promessa da Cristo.

La Chiesa della nostra città tenta di provvedere in qualche modo a chi si trova in condizioni economiche disagiate e provvede all’essenziale per chi si è ridotto in miseria per mancanza di buona volontà e a questo scopo ha approntato mense, magazzini per l’abbigliamento senza però incoraggiare questa scelta di vita o additare ad esempio questa categoria di poveri né tantomeno mettere loro l’aureola. La beatitudine evangelica è tutt’altra cosa! Anzi l’occasione mi è propizia per affermare che chi si occupa di questo tipo di poveri deve ancorare il suo servizio, non tanto all’indigenza di costoro ma, a dei valori più alti perché i poveri per indolenza costituiscono un problema di difficile soluzione a livello ideale e sociale e spesso mettono a dura prova chi sceglie di porsi a servizio degli ultimi.

Una rosa per la Fornero

Credo che in questi ultimi due anni non ci sia stata in Italia una donna tanto rifiutata, insultata e vilipesa quanto la Fornero, la donna del governo Monti che si è resa tristemente famosa per la riforma delle pensioni, ossia del blocco della rivalutazione per le pensioni più consistenti. I capofila di questa “crociata” sono, come sempre, i sindacati guidati dalla Camusso. Sono sempre stato convinto che il sindacato sia una delle istituzioni più necessarie della nostra società ma sono altrettanto convinto che i sindacati operanti oggi in Italia siano una delle corporazioni più parassitarie, sorpassate, inconcludenti e dannose che si possano immaginare. Dietro di loro c’è pure un seguito rappresentato dalla vecchia sinistra, dal mondo padronale più retrogrado, e forse da una parte di lavoratori poco amanti del lavoro che sperano di continuare a vivere senza faticare troppo grazie all’impegno di altri molto più volenterosi.

La Fornero è stata chiamata alla responsabilità di governo in uno dei momenti più difficili della storia del nostro Paese. Si è resa conto della voragine creata dall’insipienza e dalla demagogia dei governi precedenti e ha tentato di salvare le pensioni delle nuove generazioni di lavoratori. Una settimana fa ho ascoltato l’autodifesa di questa signora che, con pacatezza e misura, ha risposto alle obiezioni che l’Annunziata le ha fatto durante la rubrica domenicale “Mezz’ora”. L’ex ministro ha ricordato l’urgenza assoluta e le difficoltà che ha incontrato non riuscendo a ricevere dati certi dai funzionari dello Stato ed avendo assoluta consapevolezza che, se non fosse intervenuta subito, avrebbe compromesso non solamente i limiti di bilancio imposti dall’Europa ma soprattutto la possibilità di erogare pensioni adeguate ai giovani lavoratori del domani.

Aggiungo che, anche se queste due motivazioni pur comprensibili e necessarie non fossero del tutto condivisibili, bloccando la rivalutazione delle pensioni di chi ha avuto stipendi, a volte ingiustificatamente esagerati, ha fatto la scelta più sacrosanta che si potesse fare. Mando quindi una rosa alla Fornero ed un mazzo di ortiche alla Camusso e ai componenti della Corte Costituzionale che ha annullato il suo saggio provvedimento.

Un’affermazione che fa pensare

Nelle settimane dopo Pasqua la Chiesa offre alla riflessione dei fedeli soprattutto brani tratti dal Vangelo di San Giovanni. San Giovanni, almeno per me, è il più mistico tra gli evangelisti, infatti rielabora in tutte le possibili varianti il comandamento di Gesù di volersi bene, di credere e di vivere nell’amore. Talvolta il commento diventa faticoso perfino per chi deve commentare ed analizzare le proposte evangeliche tanto le sue riflessioni risultano ripetitive.

Un paio di settimane fa ha destato nel mio animo un sentimento di sorpresa che mi ha costretto a riflettere più a fondo, un’affermazione di Gesù riferita appunto da San Giovanni: “Se uno mi ama osservi i miei comandamenti”. Di primo acchito non solo non l’ho compresa ma ho avuto perfino la sensazione che Gesù volesse condizionare la sua amicizia al fatto di poter condurre i suoi discepoli al “guinzaglio” e ciò non mi pareva in sintonia con il rispetto che Egli manifesta per l’autonomia e la dignità dell’uomo. Poi pian piano ho capito che si può diventare uomini nuovi e più autentici solamente se si accetta la logica di Dio. La fede quindi non può essere ridotta ad un atto formale sganciato dalla morale ma deve invece illuminare dall’interno le scelte esistenziali.

Ho capito infine la pericolosità di certi modi di pensare degli uomini del nostro tempo che si dicono credenti forse solamente per non dover giustificare qualcosa di difficilmente dimostrabile: l’assurdità e la patente irrazionalità del non credere. Quando l’essere umano sgancia la fede dalla vita si ritiene poi in diritto di fare delle scelte egoiste, illogiche che non rispondono al suo vero bene e a quello della comunità. La fede quindi deve fare da supporto e da guida saggia al vivere quotidiano. Questa credo sia la vera giustificazione dell’affermazione di Gesù riportata dal Vangelo di San Giovanni.

“Capitani coraggiosi!”

Sono ben cosciente che quando queste “note” verranno lette, nella nostra città certamente si parlerà d’altro. I mass-media hanno sempre più bisogno di novità perciò le notizie “invecchiano” molto velocemente, purtroppo però i problemi evidenziati non si possono considerare risolti solo per il fatto che di essi non se ne parli più e che i titoli dei giornali trattino d’altro!

Finalmente dopo tante reticenze è venuto a galla che il Comune di Venezia ha accumulato un miliardo e mezzo di debiti lasciati in eredità dalle precedenti amministrazioni. Credo che se nel mondo della politica, nel corpo della Guardia di Finanza e nella Magistratura ci fosse un minimo di serietà si dovrebbero incriminare tutti quegli amministratori comunali che hanno provocato un “buco” tanto enorme, processando sia loro sia chi non ha vigilato sul loro comportamento. Quando le aziende falliscono se c’è stato dolo chi ne è responsabile va in galera ed è costretto a pagare i debiti, non capisco però perché nelle amministrazioni pubbliche questo non avvenga e non capisco neppure perché chi aveva il compito di vigilare non lo abbia fatto.

La prima conclusione di questo discorso dovrebbe essere quella di costringere suddetti amministratori a risarcire la collettività per i danni arrecati dalla loro cattiva amministrazione; la seconda quella di mandare in galera chi ha imbrogliato; la terza di incriminare chi doveva vigilare e non lo ha fatto; la quarta di impedire a coloro che hanno provocato tali danni di ricandidarsi a compiti per i quali si sono già dimostrati incapaci, inetti o imbroglioni! Non capisco proprio perché questo non sia previsto e perché non si legiferi in tal senso.

Quello poi che per me rappresenta un mistero assolutamente incomprensibile è il come mai tanta gente e con tanto accanimento si sia offerta e si arrabatti in tutti i modi per farsi carico di una missione veramente impossibile! Se non ci troviamo in presenza di santi o eroi, per offrirsi a risolvere problemi così impegnativi in una situazione così fallimentare, costoro o sono assolutamente matti, totalmente stupidi ed irresponsabili o sono astutamente interessati e propensi al malaffare! Quando queste note saranno pubblicate conosceremo i nomi e i volti di questi “candidati coraggiosi” (scelgo l’ipotesi più nobile) però Magistratura, Guardia di Finanza ed opinione pubblica dovrebbero imbracciare il fucile e premere il grilletto al minimo errore!

Una scelta sbagliata

L’altra sera, durante il telegiornale, la conduttrice ha letto una laconica notizia: “Civati lascia il P.D.”. Il deputato monzese è uno dei politici di spicco della minoranza o, sarebbe meglio definire, della “fronda” del partito democratico che non condivide le scelte del segretario Matteo Renzi. Premetto che io non condivido per nulla la condotta della sinistra di questo partito, reputo che la sua opposizione sia pretestuosa e preconcetta perché anche se Renzi oggi li accontentasse domani troverebbero altri pretesti per opporsi. Quasi certamente questa opposizione così accanita, tanto da arrivare perfino alla rottura e all’uscita dai ranghi, penso sia dovuta non a motivi ideali ma a “interessi di bottega”! Comunque ammiro, anche se non condivido, la scelta di Civati che abbandona.

Questo episodio abbastanza marginale nella vita del nostro Paese mi offre l’opportunità di ribadire un concetto espresso da Gandhi che ben si adatta a questo tipo di comportamenti. Uscire, sbattendo la porta, credo sia sempre svantaggioso per la causa che si crede giusto portare avanti. Uscendo da una compagine affermata si diventa un nulla ma soprattutto si priva l’organismo in cui si milita di quella dialettica interna che arricchisce sia chi la porta avanti sia chi la subisce. Il confronto, anche polemico, ma soprattutto il dialogo costruttivo fa crescere e fa emergere sempre la linea vincente.

Questo vale nella politica ma anche nella religione. Se torno indietro nel tempo, agli anni del modernismo, i pur validi sacerdoti quali Don Murri o Don Bonaiuti, che hanno rotto con la Chiesa, sono scomparsi e anche più recentemente, al tempo della contestazione del sessantotto, della purtroppo folta schiera di sacerdoti che per dissenso hanno abbandonato, non è rimasto nulla.

Credo sia una scelta saggia e produttiva impegnarsi e perfino contrapporsi rimanendo però all’interno della struttura in cui si milita. Don Mazzolari ebbe come motto “liberi e fedeli” ed ora, nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto superare per l’ostilità patita nella Chiesa, pare si ventili la possibilità di introdurre la causa per la sua beatificazione. Da questa convinzione nasce la linea editoriale de L’Incontro.

Benedette parrocchie

In queste settimane, che precedono le elezioni comunali e regionali, ricevo abbastanza di frequente la visita di persone che si sono candidate a compiere questo servizio sociale. Abbiamo ripetuto che i Centri Don Vecchi sono aperti a tutti, proprio a tutti, perché tutti hanno bisogno di imparare qualcosa da essi e noi del Don Vecchi abbiamo veramente bisogno della simpatia e della collaborazione di chi, fra qualche giorno, avrà la responsabilità diretta della comunità cittadina e regionale.

In questi giorni ho avuto modo di fare due considerazioni: la prima è che non tutti i candidati sono degli opportunisti, dei furbastri e degli approfittatori come spesso l’opinione pubblica ritiene e sono sempre più convinto che ci siano dei concittadini spinti da una forte passione civile e da motivazioni ideali alte e molto nobili. Guai al cielo se non ci fossero! Queste persone è giusto, anzi doveroso sostenerle, incoraggiarle perché la società ha bisogno di chi crede nell’utopia! La seconda osservazione è un po’ più amara: in questo mese ho incontrato finora i rappresentanti dei partiti più consistenti e più affermati ma non quelli dei partiti più piccoli che normalmente hanno una carica ideale più genuina e più intensa. Spero che ciò sia avvenuto solamente a causa di un’organizzazione più fragile perché sono profondamente convinto che anche queste formazioni minori abbiano qualcosa di valido da offrire alla Città e alla Regione.

L’altro ieri è venuto il signor Ordigoni, un mio vecchio parrocchiano, che per una vita è stato impegnato nel sindacato e che negli ultimi anni ha fatto il presidente nel quartiere di Favaro Veneto. Quando visitavo i miei parrocchiani, a casa sua incontravo solo la moglie perché l’impegno civile lo ha sempre assorbito. Non vedevo questo “parrocchiano” fin dal tempo in cui ci diede una mano per le vicende del Don Vecchi di Campalto e nella conversazione calda e amichevole che ho avuto con lui mi è piaciuto quanto mai quando mi ha detto: “Don Armando, io credo nelle parrocchie, esse sono sempre disponibili e aperte ad ogni bisogno”. Mi fa piacere che uomini della politica e dell’amministrazione civica abbiano questa considerazione delle comunità parrocchiali!

Leggere tutte le pagine della vita

Da più di mezzo secolo celebro Messa, predico, incontro fratelli piegati dal dolore o sospinti dalla nostalgia di persone fortemente amate tra le tombe del nostro cimitero. Ho cominciato quasi per caso scoprendo la vecchia cappella ottocentesca sporca, abbandonata e in disordine, poi pian piano, mi affezionai sia da cappellano di San Lorenzo che da parroco di Carpenedo e successivamente da prete in pensione!

Debbo confessare che, pur essendo il nostro cimitero appartato, chiuso da alte mura, dentro vi pulsa la vita, un tipo di vita particolare, non fatta solamente di dolore, rimpianti, rimorsi e speranze ma anche rappresentata da uomini e donne che scrutano ora la terra ora il cielo in cerca di una soluzione al mistero della vita e dell’eternità.

Il discorso delle tombe è poi un discorso quanto mai avvincente e profondo, basta ricordare gli scritti del Foscolo o “Spoon River Anthology”, il libro che ha ispirato il celebre cantautore genovese Fabrizio De André, in cui si racconta, in forma di epitaffio, la vita delle persone sepolte nel cimitero della piccola cittadina americana o per finire Shakespeare l’insuperabile drammaturgo inglese!

ecentemente il “Centro Studi Storici di Mestre” ha pubblicato una semplice ma accurata ed attenta guida del nostro camposanto, è un opuscolo che fa riemergere dalle nebbie del passato gli uomini della nostra città che hanno ben meritato o che hanno pronunciato parole forti e vere che ancora oggi fa bene riascoltare.

In questi giorni i becchini, chiamati ora “operatori ecologici”, stanno riesumando i resti dei defunti sepolti nel campo antistante la vecchia chiesetta. Ogni tanto sbircio, tra le giunture dei pannelli che nascondono quest’operazione di forte impatto emotivo, questi uomini che con le loro tute bianche ricompongono le spoglie mortali in povere bare per essere avviate alla cremazione o a una nuova sepoltura e mi chiedo se loro e noi, passeggeri furtivi, siamo capaci di riflettere e di arrivare a saggezza come il grande drammaturgo inglese con il suo: “Essere o non essere”.

Credo che uno dei miei compiti sia anche quello di aiutare i concittadini a frequentare il camposanto e ad imparare la grande lezione di vita che può ancora offrire. Nei precetti della Chiesa e nei suggerimenti per il buon vivere inserirei almeno una visita mensile al cimitero!

Atei attivi!

La settimana scorsa è giunta in redazione de L’Incontro, così come era già accaduto anche la settimana precedente, una lettera di un “lettore” del nostro periodico che, con molta disinvoltura, ha attaccato tutto l’impianto della religione cristiana dichiarandosi ateo convinto. Leggendo poi “Lettera Aperta”, il periodico della mia vecchia parrocchia, ho scoperto con grande sorpresa che anche a quel foglio parrocchiale è giunta una lettera di forte critica alla Chiesa per aver accettato la decisione di un giovane parrocchiano di farsi prete.

Ben cosciente del monito di San Pietro che scrive ai cristiani delle comunità nascenti: “Siate sempre pronti a rendere ragione della vostra speranza”, dopo un istintivo senso di stizza per la prosopopea e il senso di superiorità con cui questi atei militanti trattano noi cristiani definendoci retrogradi, oscurantisti e rinunciatari nella vita, ho concluso che debbo essere loro grato perché mi “costringono” a verificare le mie scelte religiose, a purificare la mia fede dalle scorie che fatalmente vado “incontrando” e che la rendono meno bella.

Questi due episodi, che mi hanno un po’ sorpreso perché colti nel giro della stessa settimana, mi hanno riportato ad una vicenda analoga vissuta una trentina di anni fa. A quel tempo leggevo il settimanale Epoca, una testata scomparsa da qualche anno, di cui seguivo con particolare interesse la rubrica: “Lettere al Direttore”, che era condotta da Augusto Guerriero, giornalista acuto e intelligente, che si firmava con lo pseudonimo “Ricciardetto”. Spesso era attaccato per i motivi più diversi dai lettori che non la pensavano come lui. Quando costoro erano cortesi e corretti rispondeva con garbo e lucidità giustificando con argomenti stringenti e razionali le sue tesi, però quando essi erano arroganti, volgari o superficiali li “demoliva” letteralmente facendo notare i loro “peccati” di grammatica e di sintassi dando poi loro il colpo di grazia con le sue argomentazioni.

Edotto da questa vecchia esperienza vorrei suggerire agli atei nostri corrispondenti: “Siate corretti, esprimete le vostre ragioni con pacatezza, rispetto ed umiltà”. Nessuno ha tutta la verità in tasca, allora confrontiamoci, dialoghiamo ma, per favore, non fatevi compatire per la superficialità, la mancanza di cultura, la povertà delle argomentazioni e il poco rispetto per il pensiero altrui, eviterete così il rischio di fare una figura peregrina!

Quattro ore al mese

Quando ero parroco ho tenuto per molti anni, sul periodico della mia comunità, una rubrica che aveva come titolo: “I Fioretti del 2000”. Mi ero ispirato, sia come titolo sia come contenuti, ai celeberrimi “Fioretti” di San Francesco d’Assisi offrendo ai lettori fatterelli semplici e candidi che mettevano in luce il lato bello della vita. Per il “lato brutto” ci pensano anche troppo i mass-media che si nutrono, quasi esclusivamente, di ciò che di più squallido e deludente avviene in questo nostro mondo.

Confesso che talvolta incontravo non poche difficoltà nel cercare e poi proporre qualcosa di edificante ma poi finivo per fortuna con il trovare sempre qualcosa di positivo da offrire ai miei parrocchiani. Nell’armadio dei miei scritti conservo le bozze di queste mie ricerche con cui si potrebbero realizzare due o tre volumetti e un giorno qualcuno potrà pubblicare la mia “opera omnia” o utilizzare tutta quella carta per accendere la stufa per qualche mese.

Ieri, essendo dovuto andare dal dentista, non ho incontrato solamente la bella faccia rotonda e sorridente di questo magnifico e generoso professionista che, stuzzicandomi con il suo “terribile” armamentario misterioso e preoccupante, sta tentando di impedire al mio impianto dentario di crollare a causa della sua vetustà, ma ho avuto il piacere di rincontrare, dopo molto tempo, un suo giovane collega che ho sposato e al quale ho anche battezzato i figli.

Nella piacevole e cordialissima chiacchierata che è nata da questo incontro ho appreso che “Emergency”, l’associazione umanitaria di carattere laico che ha aperto a Marghera ambulatori polivalenti per i poveri, gli ha chiesto collaborazione. Egli mi ha confidato che si è offerto di lavorare per quattro ore al mese a titolo assolutamente gratuito. La notizia mi ha fatto da un lato tanto piacere e dall’altro ho provato un po’ di tristezza. Mi spiego meglio: quando le suore si ritirarono dall’Umberto I feci loro la proposta di aprire un poliambulatorio per i poveri a Villa Franchin ma ne ricevetti un cortese quanto deciso rifiuto, come nella parabola evangelica: “Abbimi per iscusato perché ho preso moglie, devo visitare i miei campi, ecc.”. Comunque l’aver scoperto come i “laici” si guadagnano il Paradiso mi ha ricompensato della vecchia delusione!

La bella “ministra”!

Qualche sera fa, come ho già scritto, mi sono preso il lusso di vedere alla televisione il grande e bel concerto che si è tenuto, alla vigilia dell’apertura dell’Expo internazionale, in piazza del Duomo a Milano alla presenza di ventimila spettatori.

L’annunciatore, durante una pausa per la pubblicità, ha informato che dopo lo spettacolo sarebbe andata in onda, sullo stesso canale, la rubrica “Porta a Porta”. È da tantissimo tempo che non vedo questa rubrica perché, alzandomi alle cinque del mattino, vado a letto verso le dieci e mezza, mentre il programma condotto da Bruno Vespa viene trasmesso in tarda serata. Il concerto mi ha tenuto sveglio oltre “l’ora canonica” del sonno e perciò ho ceduto alla tentazione di vedere e sentire anche quello che sarebbe avvenuto nel “salotto” di Vespa.

Praticamente la trasmissione è consistita in un fitto dialogo tra Vespa e la “Ministra” per le Riforme, una bella e giovane signora che ho visto altre volte alla televisione ma della quale non conosco il nome. Io, come credo molti della mia età, provengo da una educazione maschilista e, pur essendomi “convertito” alla “parità dei generi”, conservo nel mio modo di pensare ancora un po’ del “peccato originale” di un tempo, motivo per cui sono portato istintivamente a pensare che le belle donne siano un po’ frivole, inconsistenti, preoccupate di apparire più vezzose che razionali!

La trasmissione televisiva ha confutato in maniera assoluta questa mia prevenzione. Non so come la pensi Vespa da un punto di vista politico ma il fatto che la stuzzicasse con domande imbarazzanti mi ha fatto pensare che non condividesse le scelte di questa signora e del governo di cui fa parte. Sono stato ammirato ed entusiasta per la lucidità dei ragionamenti, le motivazioni sempre convincenti, espresse in modo garbato e gentile ma deciso, senza sorrisetti da femmina leggera e senza dar spazio ad ambiguità o a cedimenti per convenienza. L’argomento verteva sull’Italicum e sui voti di fiducia, ne sono uscito con la convinzione assoluta che Renzi e la sua bella squadra hanno assolutamente ragione nel tentare finalmente di voltar pagina prendendo le distanze da una politica di corto respiro, partigiana, senza entusiasmo e senza sogni e ideali!