finalmente un galantuomo

Uno che molti, specialmente tra i burocrati, ritengono un difetto – io lo reputo un pregio – è la fretta, o almeno la sollecitudine nell’affrontare e possibilmente risolvere al più presto possibile i problemi che incontriamo sul nostro cammino.

Ritorno ancora una volta su una cosa che i lettori de “L’Incontro” conoscono, ma lo faccio perché spero di dare un’ulteriore picconata ad un sistema ed una mentalità che io reputo essere almeno una delle cause della crisi finanziaria in cui si dibatte il nostro Paese.

Al Centro don Vecchi di Campalto, dopo due anni di carte e controcarte presentate all’assessore alla viabilità, avv. Ugo Bergamo, e al responsabile dell’Anas, pagando tutto noi della Fondazione Carpinetum, siamo riusciti a mettere in relativa sicurezza la possibilità di salire e scendere dall’autobus di via Orlanda per recarsi in qualsiasi luogo. Rimane però l’inghippo che i nostri 80 anziani residenti al Centro, se vogliono fare quattro passi per sgranchirsi le gambe, non hanno che la possibilità di fare il giro della casa, perché chi imbocca via Orlanda è come se avesse deciso, non di fare una morte dolce, ma metter fine ai propri giorni stritolato sotto un camion. Quindi la pista ciclopedonale per andare a Campalto non è uno sfizio o un capriccetto da amanti del podismo o della bicicletta, ma una assoluta necessità per sopravvivere.

Fortuna volle che un consigliere della Fondazione conoscesse l’assessore Maggioni, un giovane professionista al quale, da bambino, gli scout hanno passato la mentalità che vivere vuol dire “servire”. Un mese fa abbiamo avuto un colloquio con l’assessore Maggioni per esporgli il problema. Dopo quindici giorni è venuto un suo funzionario per prenderne visione, dopo un mese è stato predisposto il progetto di fattibilità dal quale ho capito che per fare la pista ci vogliono tanti permessi quanti per costruire la torre Cardin in Piazza San Marco.

Questa mattina c’è stato presentato il progetto, fra quindici giorni l’assessore ha ordinato che i suoi funzionari prendano contatto con l’Anas. Quindi comincerà l’iter per la costruzione. Si spera che nella prossima primavera si dia l’avvio a questa pista indispensabile, anzi improrogabile.

L’incontro mi ha fatto quanto mai contento sia perché sembra che finalmente si sia imboccata la strada giusta, sia soprattutto perché spero d’aver finalmente incontrato un amministratore intelligente, concreto e determinato. Di questi tempi questo non è sicuramente poco!

18.07.2013

Cesarino, una vita da protagonista

Oggi il figlio mi ha annunciato che Cesarino è morto.

Dapprima non compresi bene il nome, poi mi è parso impossibile, perché Cesarino fu parte della mia vita e della mia comunità per più di 40 anni.

Ricordo che quando giunsi in parrocchia – tempo quanto mai tribolato – il mio appiglio più sicuro nella bufera del ’68, fu il gruppo degli uomini di Azione Cattolica, che poi corrispondeva quasi esattamente al gruppo della San Vincenzo. Essi fecero quadrato e mi protessero da quel vento infido e impetuoso della contestazione che filtrava da ogni fessura della vita della parrocchia. Cesarino è stato decisamente un protagonista, per la sua battuta facile e arguta, per la sua intelligenza immediata e per la sua calda umanità.

Ricordo che per una delle prime riunioni della San Vincenzo, ci ospitò in Villa Grimani, ove abitava; di villa, allora, quella dimora portava solamente il nome, perché ormai come casa era una nobildonna decaduta, però nei vasti androni si muoveva con vivacità la sua numerosa nidiata di figli, sotto l’occhio affettuoso di Nada, la moglie, serena, imperturbabile e saggia.

Seppi dei trascorsi di Cesarino in politica: allora aveva appena smesso di fare il segretario della DC e farlo non era la cosa più facile, perché a quel tempo a Carpenedo imperava la cellula agguerrita e maggioritaria della sezione del PCI, radicale quanto Stalin.

Poi iniziò l’epopea, prima dell’AVIS e poi di quella in cui Cesarino, assieme al professor Rama, fu decisamente protagonista: l’AIDO. Rama fu la mente, ma Cesarino, oltre la mente, fu il braccio operativo.

Credo che sia difficile enumerare tutte le “trovate” per passare la cultura della donazione delle cornee. Dico, senza enfasi, che non solo Mestre, il Veneto, ma l’Italia, deve a questa accoppiata non solo la legge, ma soprattutto la cultura della donazione.

Ricordo ancora Cesarino come il cantore della “naia” e della sfortunata guerra d’Africa, ricordo come riuscì a riunire i vecchi commilitoni. Fu quindi il cantore della storia patria del nostro borgo ai margini della città, fu un operatore instancabile a livello del paese e della parrocchia. E ricordo ancora Cesarino come quel bell’uomo che sapeva parlare ai ragazzi come alle assemblee dell’AVIS; e ricordo più ancora i suoi articoli brillanti ed arguti.

Se ci sarà qualcuno che avrà voglia di fare la storia di Carpenedo della seconda metà del secolo scorso, non ha che da aprire l’archivio della parrocchia che conserva un’infinità di interventi ed almeno due o tre suoi libri.

Poi iniziò il tempo della prova e del tramonto di questa vita brillante e da protagonista, con la morte della sua amata Nada, il saggio e affettuoso contrappeso alla sua esuberanza. Quello di Cesarino è stato un decadimento lento, amaro, lungo e inesorabile, che ha tarpato le ali alla sua intelligenza e alla sua esuberanza umana. Finalmente la liberazione per sentirsi dire: “Ero senza pane, senza luce per i miei occhi, senza amicizie, senza ideali e tu mi hai aiutato, entra nel gaudio del tuo Signore!”

O5.07.2013

Gli artisti del “don Vecchi”

Nel pomeriggio sono andato al “don Vecchi” di Marghera perché c’era la “vernice” di un pittore di casa nostra: Vittorio Massignani, residente al “don Vecchi” di Campalto.

Nei Centri don Vecchi vivono almeno due pittori: uno, celebre, Odino Guarnieri, collega di Emilio Vedova, artista da tutta la vita, pittore astratto del quale Orler, il gallerista, presenta ogni settimana alla televisione le opere (inavvicinabili per noi poveri mortali per il loro costo).

Il nostro “maestro” è una carissima persona, con la sua barba bianca e il suo bastone che porta alla Charlie Chaplin, amico affettuoso ma che, nonostante i miei ammiccamenti, non se l’è mai sentita di esporre alla “San Valentino”, la galleria dei principianti! Comunque il nostro rapporto è quanto mai cordiale, tanto che ogni tanto mi regala qualche suo “pezzo”, pur non perdonandomi la mia “bestemmia” artistica d’aver definito, per celia, “scarabissi” i quadri astratti.

Solamente un paio di settimane fa sono venuto a sapere che a Campalto abbiamo un altro pittore. La sua storia è ben diversa. Pur essendo stato portato, fin dall’infanzia al disegno, dovette abbandonare il suo sogno per fare, molto più prosaicamente e per tutta la vita l’imbianchino assieme a suo padre.

La Mariolina, pure lei ospite del “don Vecchi”, che da sempre ha la vocazione di valorizzare gli operai e che si sente difensore degli “sfruttati”, m’ha informato che questo suo coinquilino dipingeva nel chiuso del suo appartamentino e i suoi quadri non erano mica male.

In quattro e quattr’otto abbiamo organizzato una “personale” al pittore appena scoperto. La dottoressa Cinzia Antonello, direttrice artistica della galleria, gli ha preparato una critica con i fiocchi, i nostri tipografi le locandine e i dépliant di sala, le signore il rinfresco, la figlia ne ha fatto la biografia. Tant’è che ne è venuta fuori una “vernice” di tutto rispetto, tanto che il nostro artista, ora confuso e commosso così da non riuscire a biascicare neppure una parola, però era nel contempo al settimo cielo.

Vollero che anch’io prendessi la parola. Mi rifeci per istinto ad un bellissimo film di Frank Capra, “La vita è meravigliosa”, ove il protagonista riesce a riunire in una casa personaggi di ogni genere, e dove ognuno può occuparsi del proprio hobby.

Quanto sarebbe bella la vita e il mondo se ogni uomo potesse avere uno spazio ed un tempo per fare quello che più gli piace fare. Non credo che riuscirò a dar vita ad una struttura del genere, ma oggi, almeno per il nostro artista pittore, è stato così e il suo “San Marco” che ci ha regalato, anche se copiato da una cartolina, farà al “don Vecchi 5” la sua bella figura, assieme ad un altro centinaio di opere già raccolte.

30.05.2013

L’ultima intervista della Hack

Metto subito le mani avanti: quella che tantissimi italiani, soprattutto di sinistra – ma non solo – hanno definito una donna di scienza, una grande astrofisica, una donna appassionata alle cause civili, non mi è mai stata simpatica.

Quanto mi è piaciuta Rita Levi Montalcini, la scienziata ebrea di grande spessore, di molto più grande spessore della oriunda fiorentina, domiciliata a Trieste, pure lei sempre dichiaratasi atea, altrettanto ho provato un sentimento di rifiuto nei riguardi dell’astronoma che oggi è morta e che, in linea con le sue infinite affermazioni, ha voluto essere seppellita senza un discorso né una prece.

Questo pomeriggio ho seguito a Radio radicale la commemorazione che se n’è fatta in parlamento. Si sono susseguiti una serie abbastanza consistente di senatori, di tutti gli schieramenti politici, dicendo pressappoco tutti le stesse cose. Ho appreso una cosa che non sapevo: che era stata eletta nelle liste comuniste ed era presidente di un gruppo radicale di atei militanti e s’era messa in mostra per i suoi interventi, spesso pieni di sarcasmo e di sufficienza.

Io, benché prete, non ho nulla contro gli atei. Durante la mia vita ne ho conosciuto più di uno, ma quelli intelligenti e colti che motivavano la loro scelta, li ho sempre sentiti umili, discreti, rispettosi della fede altrui, quasi preoccupati di far conoscere i propri convincimenti in fatto di fede. La Hack invece non lasciava passare occasione per fare una professione solenne di ateismo, guardare dall’alto in basso i credenti, pensandoli come “uomini minori”, degni solamente di commiserazione.

Voglio inoltre motivare, una volta tanto, il mio rifiuto nei riguardi dei cosiddetti atei militanti, dei quali la Hack è stata un campione.

Primo: questa gente non s’è mai chiesta, prima di fare certe affermazioni categoriche e definitive: “Come mai la stragrande maggioranza degli uomini del nostro tempo, che si dichiarano credenti, e tra di essi vi sono menti sublimi, gli atei possono affermare che essa è composta solamente da tutti ignoranti, oscurantisti che non sanno ragionare e solo al manipoletto di atei militanti è riservata la verità certa, assoluta, totale e inconfutabile?”.

Secondo: questi “illuminati”, che dovrebbero essere i campioni in umanità, perché con le loro affermazioni hanno il sadismo di privare i poveri della speranza, che è spesso l’unica loro ricchezza per sentirsi amati ed attesi dal Padre misericordioso? Perché tanta cattiveria nel recidere la speranza degli umili?

Terzo: ma questa gente, che di certo è cosciente che ogni oggetto ha per forza un costruttore – sia esso un povero artigiano o uno scienziato – come mai può pensare che l’universo così complesso, regolato da leggi così precise, così ricco di varietà e di splendore sia l’unica realtà che non ha un autore?

Nonostante tutto ho detto un requiem anche per la Hack, sperando che incontrando il Padreterno abbia finalmente ammesso: «Povera me, ho sbagliato tutto!»

30.06.2013

Santanché e l’Annunziata

Tento di non perder mai la rubrica di Rai tre “Mezz’ora”, condotta dalla quanto mai nota giornalista televisiva Annunziata.

Questa donna, sobria nel vestire, lucida nel suo argomentare, preparata ed attenta alla vita sociale e politica del nostro Paese, intervista ogni settimana personalità di spicco, con un’arguzia e con grande capacità di far emergere il pensiero del suo interlocutore. Il suo difetto maggiore è la faziosità: è una donna decisamente di sinistra, anche se oggi la sinistra è costituita da un arcipelago di isolotti tanto difformi tra loro, per cui è ben difficile capire di quale sinistra possa essere una persona, anche se schierata pubblicamente.

Ho notato che quando il personaggio è di spessore e soprattutto è una persona integra, autorevole e competente, c’è in questa giornalista un atteggiamento rispettoso, mentre se l’intervistato non è molto consistente, allora lei lo straccia letteralmente.

Oggi ero particolarmente curioso perché l’intervistata era la Santanché, la passionaria del cavaliere dello schieramento decisamente opposto a quello della giornalista. M’aspettavo, con curiosità, una specie di “baruffe chiozzotte”.

Fin fa subito notai “la proletaria” col suo abito scuro e abbastanza dimesso, mentre l’altra aveva dei pendagli abbondanti alle orecchie, un volto appena uscito dall’estetista e dei capelli pettinati di fresco dalla parrucchiera. Il dialogo si accese immediatamente su Berlusconi, di cui la Santanché parlava come del suo leader carismatico e l’Annunziata come dell’inquisito. Notai però che ognuna s’era riproposta di non arrivare alla rissa; non sarebbe convenuto a nessuna delle due arrivare allo scontro aperto, sarebbe stato uno spettacolo deludente il vedere le due donne “prendersi per i capelli!”.

D’istinto avvertivo di parteggiare per l’Annunziata; l’altra la sentivo sofisticata e fanatica. Debbo però confessare che se anche i colpi di fioretto di ambedue tentavano sempre di arrivare al bersaglio grosso, la Santanché non solo si difendeva bene, ma più volte ha messo all’angolo la rivale con stoccate quanto mai efficaci.

Se fossi stato l’arbitro, avrei dato alla Santanché la vittoria ai punti. Poi conclusi che l’una e l’altra, se si impegnassero per cause più nobili, avrebbero tutto da guadagnare e il nostro Paese pure, perché l’Annunziata si batte in maniera nostalgica per un’utopia fallita, e l’altra per un donnaiolo fanfarone e pieno di sé.

31.06.2013

Un testimone della porta accanto

Sabato mattina mi hanno informato della morte improvvisa per infarto di Giorgio De Rossi, un fedele di Carpenedo che ho incontrato, fin dal mio primo arrivo in parrocchia nel ’71. Ieri sono stato da Giovanna, la moglie di Giorgio, e questa mattina ho concelebrato il commiato nella chiesa di San Pietro Orseolo, la sua parrocchia “geografica”.

Durante i 35 anni in cui sono stato parroco ai Santi Gervasio e Protasio, egli frequentava la nostra vecchia chiesa ed era totalmente impegnato nella nostra comunità. Questa mattina, nei vari interventi durante le esequie, ho capito che negli ultimi anni partecipava alla preghiera comunitaria nella sua parrocchia di San Pietro Orseolo, senza però aver abbandonato il suo impegno nella “chiesa nativa”.

Tante persone sono intervenute durante il funerale ed hanno messo a fuoco la sua personalità schiva, riservata ed estremamente coerente ed operativa. Giorgio ha onorato il Signore soprattutto col suo servizio di tecnico preparato, tenace ed operoso, e ha messo a disposizione della collettività e dei suoi singoli membri non solamente la sua professionalità, ma anche la sua disponibilità a compiere i lavori più umili.

Pensavo che la comunità dovrebbe “erigere un monumento” a quest’uomo che s’è sempre prodigato per le cause in cui s’imbatteva, spendendosi tutto e senza risparmio, ma poi ho concluso che c’è già più di un monumento che lo ricorderà agli uomini di oggi e di domani.

Giorgio ha progettato e portato a compimento la “Malga dei Faggi”, la vecchia e sgangherata casera di Gosaldo, facendone la più bella casa di montagna per le vacanze dei ragazzi che oggi esista in diocesi di Venezia. “La malga”, nata dal cuore di questo geometra, è un “rifugio alpino” che ha fatto sognare generazioni di ragazzi e di giovani.

Giorgio ha pure progettato il restauro del “Piavento”, la villetta per anziane che è stato “il seme” che ha fatto germogliare poi i Centri don Vecchi. Nessuno mai saprà con quale passione abbiamo difeso con i denti questa piccola Fondazione che un prete di Carpenedo ha donato alla parrocchia fin dal 1400 e che lo Stato voleva inglobare.

Giorgio poi, a livello civile, s’è impegnato per un’intera vita a favore della Società dei 300 campi, un’istituzione di solidarietà giunta a noi dall’anno mille. Il tempo stende un velo di oblio su ogni cosa, comunque queste realtà per le quali questo fratello s’è speso, faranno si che egli potrà continuare a far del bene ai membri della nostra comunità anche dopo la sua morte fisica. Questo non è proprio poco agli occhi del Padre e dei fratelli.

25.06.2013

La rivoluzione di Papa Francesco

Non conosco cristiano impegnato o vescovo che prima o poi non abbia parlato di una Chiesa povera per i poveri: concetto che quella bell’anima di don Tonino Bello, il compianto vescovo di Molfetta, ha tradotto in quella bellissima immagine: “La Chiesa in grembiule”.

Le prediche sono facili però, al di fuori di alcuni testimoni, che da vivi sono stati giudicati un po’ folli – vedi don Benzi o semplicemente don Gallo – non mi è mai parso che la “Chiesa reale”, nel suo complesso, abbia preso seriamente questa direzione. I preti hanno canoniche che, rispetto ai luoghi ove esse sono collocate, sono confortevoli, corrono in automobili spesso costose e i vescovi dimorano nei loro palazzi e celebrano sontuosi pontificali nelle loro cattedrali.

Ci sono pure, per fortuna, anche dei missionari alla Alex Zanotelli che condividono la sorte dei cenciaioli che vivono rovistando nelle discariche delle metropoli del mondo dei consumi, ma sono veramente delle mosche bianche. La Chiesa, dall’alto al basso, purtroppo non è così, tanto che perfino io, per un pizzico di coerenza, ho scelto di condividere la sorte degli anziani poveri, col mio più che confortevole minialloggio al “don Vecchi”. Non ho preteso dalla Curia un congruo appartamento, come tanti altri miei colleghi , comunque la mia dimora è più che accogliente. Però, nonostante questa buona sistemazione, talvolta mi sorprendo a pensare di essere un prete credibile e coerente per tanto poco!

La Divina Provvidenza, fortunatamente, ci ha mandato un Papa scovato “alla fine del mondo”, un Papa che da vescovo frequentava assiduamente le bidonville, un Papa che ci sta mettendo tutti in crisi, dal primo all’ultimo, con la sua croce di ferro, con le sue scarpe da discount, la sua semplice tonaca bianca, il suo alloggio nella periferia del Vaticano, col suo linguaggio povero e le sue immagini da Vangelo. Un Papa che ha messo il naso nella banca vaticana e che vuol far subito pulizia.

Ora il Papa fra qualche giorno andrà a Lampedusa, l’isola estrema d’Italia dove stanno arrivando su barconi di fortuna i più disperati dei disperati del mondo. Questa scelta di certo non è occasionale ma, una volta ancora, vuol dire a noi cristiani che il Cristo vero va cercato, amato e servito nei più poveri.

26.06.2013

Il riformatore

A Roma, una quindicina di anni fa, c’è stato un presidente della Repubblica che s’è dato da fare per sburocratizzare e risanare lo Stato italiano, occupato ed appesantito in una morsa mortale da una mentalità e da una burocrazia che lo rendevano ingessato e pressoché impotente.

Francesco Cossiga, che fu definito “il picconatore”, cercò di realizzare questa immane impresa, ma fu sconfitto. Alcuni dissero che aveva perso il senno, altri lo osteggiarono in maniera tale che dovette andarsene anzitempo, eppure era una persona intelligente e il suo intento era certamente nobile.

Nella stessa città non il Parlamento, ma la Provvidenza, ci ha donato un altro uomo, ma questa volta è un uomo di Dio che pare miri allo stesso scopo per quanto riguarda l’apparato, la mentalità e lo stile di vita della Chiesa che ha, a Roma, il suo centro.

Papa Francesco sembra però aver scelto un modo di procedere diverso, pur intelligente e determinato quanto quello di Francesco Cossiga. Papa Francesco, da vero riformatore, ha cominciato a cambiare la Chiesa facendolo prima sulla sua pelle, cominciando col scegliersi un nome che, non solo in Italia ma nel mondo, rappresenta l’interpretazione più alta e fedele del messaggio di Gesù, chiedendo poi la benedizione del popolo di Dio prima di darla egli stesso, rifiutando i paludamenti della Chiesa del passato e preferendo ad essi la sua semplice tonaca bianca che lascia intravedere i pantaloni e le scarpe per nulla eleganti. Continuando a rifiutare i fasti della dimora reale del Papa re, preferendo un appartamento più umile a Santa Marta, adoperando un linguaggio popolare piuttosto che i discorsi elucubrati della teologia, Papa Francesco, fin subito dalla sua elezione, ha ribadito che “le pecore” si devono cercare dove sono e tale deve essere l’amore per esse da impregnarsi quasi del loro odore. Ha chiesto di pregare perché lo si aiuti a scegliere vescovi innamorati delle anime, ha preso posizione nei riguardi dello IOR, la banca vaticana, e ha affermato di non aver tempo per le vacanze ed userà Castelgandolfo solamente per accogliere i pellegrini… e via di seguito su questa linea, parlando e operando sempre in maniera coerente ad essa.

Papa Francesco non “piccona” ma, pur con dolcezza, dimostra una determinazione assoluta nel perseguire l’obiettivo di una Chiesa povera impegnata per i poveri.

Spero proprio che a qualcuno venga voglia di raccogliere in un’antologia le prese di posizione e le scelte operative di Papa Francesco per portare la Chiesa alla freschezza e alla genuinità delle origini. Sarà un compito duro, ma fortunatamente il nostro Papa ha la determinazione e la costanza per poterlo fare.

(scritto il 22.06.2013)

I miracoli di suor Elvira

Molto tempo fa confidai ai miei amici che avevo “conosciuto” una suora eccezionale. La mia conoscenza di suor Elvira è avvenuta tramite la rivista “Resurrezione”, pubblicata dal movimento “Il Cenacolo” che questa suora ha fondato, rivista che qualche amico, rimasto sconosciuto, mi ha fatto pervenire.

La storia di questa suora è molto simile a quella di Madre Teresa di Calcutta. Questa donna, di grandi risorse, viveva in uno di quegli istituti religiosi che “mummificano” queste care donne di Dio che scelgono di servire il Signore nei suoi figli, ma finiscono poi per intristire all’interno di una vita anonima e senza respiro.

Suor Elvira ottiene dalla Santa sede il permesso di uscire dal suo ordine per dedicarsi ai giovani sbandati e distrutti dalla droga. Restaura a Saluzzo un vecchio stabile disabitato da tanto tempo, diroccato e più simile ad una rovina che ad una casa d’abitazione. Poi questa donna di fede, intelligente, volitiva, intraprendente e dotata certamente di un carisma e di un fascino straordinario, riesce a coinvolgere i primi giovani che approdano al suo cuore, restaura il relitto ed inizia con loro una magnifica avventura. Parte senza essersi rifatta a nessun metodo praticato dalle comunità per il recupero dei tossici, ma si fida del suo istinto materno, li ama, dona loro fiducia e li avvia alla preghiera per avere un rapporto salvifico con Dio.

La cosa funziona, e come funziona! In vent’anni apre più di sessanta strutture di accoglienza in Italia, in Europa e oltre oceano, fonda una nuova congregazione religiosa di ragazze e si fa aiutare da quelli, che lei chiama “angeli custodi”, giovani già usciti dalla droga ai quali affida i nuovi arrivati affinché questi giovani “risorti” avviino alla redenzione anche i nuovi arrivati.

Raccontare queste cose sembra un qualcosa di positivo, ma per niente miracoloso, però vedere i volti di migliaia di giovani, le strutture in cui abitano, le cose che fanno, le testimonianze che offrono, veramente incanta e commuove.

Leggendo “Resurrezione”, la rivista di suor Elvira, mi par di aver capito che nulla è impossibile a chi ama e si fida del buon Dio; è Lui che ti prende per mano e ti conduce, situazione per situazione, a “compiere questi miracoli”, altrimenti inspiegabili.

(scritto il 18.06.2013)

Letta

Sono ben cosciente che sono ingenuo e sprovveduto soprattutto per certi argomenti, e uno di questi è certamente la politica. Qualche giorno fa ho manifestato non solamente la mia nostalgia, ma anche il mio deciso risentimento perché Bersani e la Bindi da un lato, e dall’altro pure alcuni maggiorenti del centrodestra, non sono felici che finalmente i loro parlamentari, sotto la spinta del Presidente della Repubblica, abbiano dato vita ad un governo di “salute pubblica” e di unità nazionale per salvare dal baratro il nostro Paese. A me pare che dovrebbe essere sempre così e che le divergenze e i pareri diversi dovrebbero trovare una seppur faticosa composizione, come d’altronde avviene in ogni famiglia. Sarebbe assurdo e catastrofico se tra genitori e figli non si trovasse un accordo, anche se ci sono comprensibili e inevitabili punti di vista diversi e talora opposti.

Ricordo d’aver letto un tempo che dopo qualsiasi guerra si trova un punto di accordo e allora è folle e dissennato trovare il punto di accordo dopo milioni di morti e non prima se ad un accordo comunque si deve arrivare.

Io sono favorevolissimo al governo Letta, ed auspico anzi sempre un governo del genere, vinca la destra o la sinistra, anche perché sono convinto che i contrasti non dipendono dalle idee, dagli orientamenti o dalle soluzioni diverse, ma purtroppo, e soltanto, dalle poltrone. I problemi che vessano il nostro Paese sono talmente gravi che soltanto il buon Dio li potrebbe risolvere con un tocco della sua bacchetta magica, mentre credo che oggi nessuno abbia tale potere, sia egli di sinistra o di destra; ora poi che sono rimasti solamente i problemi, perché le ideologie sono sempre state fumose e sempre dei comodi paraventi per nascondere le ambizioni più assurde e le cupidigie più vergognose.

Torno a Letta: è un politico che non conoscevo, avevo invece sentito dire che lo zio, anche lui Letta, era la vera eminenza grigia di Berlusconi.

Domenica scorsa, nel pomeriggio, ho conosciuto il presidente Letta a “Mezz’ora”, la rubrica della Annunziata, la giornalista con cui ho un rapporto – lo confesso ancora una volta – di amore-odio: come ammiro la sua preparazione e l’acutezza del suo pensiero, altrettanto rifiuto la faziosità che le sprizza da tutti i pori.

Letta mi è parso una persona estremamente intelligente, preparato soprattutto in economia, prudente, onesto e volitivo, capace di dire quello che vuole e non dire quello che non gli sembra opportuno. Se ha avuto il coraggio di prendersi questa gatta selvatica da pelare, qual’è l’Italia oggi, certo che di coraggio e di amore per il suo Paese ne deve proprio avere!

Confesso poi che venire a sapere che pur militando nel PD, che ha come avo Carlo Marx e come ascendenti prossimi Togliatti, Pajetta, Ingrao & company, me lo rende ancora più simpatico. Spero che questo “cristiano infiltrato”, che poi fortunatamente non è solo, renda un po’ più buoni anche gli altri.

Pierluigi mi ha deluso

Da sempre cerco di avere un rapporto umano con le persone che incontro, sia che le incontri personalmente, sia che “l’incontro” avvenga a mezzo stampa o televisione. Mi pare disumano e mortificante il formarsi di un “casellario” personale in cui collocare ogni individuo col quale si viene a conoscenza, inscrivendolo secondo il criterio della sua funzione sociale, dell’estrazione culturale o della scelta religiosa. Mi piace incontrare le persone nella loro calda umanità.

Faccio questa premessa facendo riferimento ad una mia “confidenza pubblica” di qualche tempo fa, quando scrissi che mi era spiaciuto che a Bersani fosse scoppiato in mano il sogno di diventare capo del governo – quando ne aveva avuto finalmente la tanto desiderata occasione – a causa del suo rifiuto radicale di accettare il “nemico” Berlusconi e mi era spiaciuto il suo umiliante tentativo di mendicare la collaborazione di Grillo, ricevendone invece un calcio in bocca.

Con Bersani non ho mai avuto motivi di amicizia, ma ultimamente mi era sembrato un brav’uomo e m’è spiaciuta la sua delusione e la sua sconfitta dopo che da una vita lottava per diventare presidente del consiglio. Però in questi giorni ho paura di dovermi ricredere per un motivo che non so quanti possano condividere, ma per uno come me che va al sodo e sogna il bene della nostra gente, è difficile proprio da capire e da accettare.

Vengo ai fatti: Letta, su spinta di Napolitano e soprattutto per il dramma tragico in cui vive l’Italia, è riuscito a mettere insieme centrodestra e centrosinistra. Pare che, tutto sommato, riesca a far convivere questi partiti che, alla fin fine, sono nati dalla stessa madre patria e sono della stessa famiglia. In Italia non so chi abbia inventato o che cosa abbia causato la formula nefasta che governo e opposizione debbano sempre litigare e scontrarsi, o meglio lo so bene: l’ambizione, l’egoismo, le poltrone, le carriere, il partito.

Ora non dovrebbe essere una situazione mal sopportata che finalmente dei “fratelli” della stessa famiglia facciano la pace e lavorino assieme. Dovrebbe essere sempre così. Signor no! Pierluigi intravede che potrebbe cacciare Berlusconi e i suoi col favorire una congiura di palazzo trescando con alcuni elementi di Grillo ed arrischia di creare una nuova crisi nella speranza di poter cavalcare questa nuova opportunità.

Caro Pierluigi, mi hai deluso! Ti avevo promesso un’Avemaria perché trovassi un po’ di pace, non ritiro la promessa, però sappi che per quella strada non si va da nessuna parte.

“Come un cane in chiesa”

Ho terminato di leggere in questi giorni l’ultimo volume di don Andrea Gallo, il prete dei bassifondi di Genova morto solamente un paio di mesi fa.

A cominciare dal titolo “Come un cane in chiesa”, per continuare con la scelta di alcune pagine del Vangelo che don Gallo commenta ed attualizza, s’avverte immediatamente la volontà di questo prete di vivere l’autentica e genuina “rivoluzione” portata da Gesù e la libertà che questo sacerdote si ritaglia per dare credibilità al suo impegno di occuparsi degli ultimi: drogati, prostitute, transessuali, “rifiuti” della nostra società e della nostra Chiesa spesso perbenista.

Don Gallo, senza tante perifrasi e con poco garbo, afferma che i veri “poveri” del nostro mondo nelle nostre parrocchie hanno la stessa considerazione e lo stesso trattamento che noi usiamo verso i cani, quando per caso entrano in chiesa. A leggere poi tra le righe, ho avuto la sensazione che pure don Gallo si sia sentito riservare lo stesso trattamento, lui che aveva abbracciato senza riserve questi “rifiuti umani”.

Don Gallo sceglie lucidamente le pagine più innovative e più “rivoluzionarie” del Vangelo di Gesù e le commenta senza usare circonlocuzioni diplomatiche per dire quello che pensa, tanto che spesso, per i suoi commenti, usa parole pesanti come pietre, facendo si che il lettore senta mordere sulla carne viva il discorso e la proposta del Vangelo.

Il volume è uscito nel 2012, quindi può essere considerato il “testamento spirituale” di questo prete che oltre ad amare e servire i poveri, ha sempre tentato di ascoltare i margini di verità e di Vangelo che sono presenti anche negli intellettuali e negli uomini della fronda. Come vorrei poter fare anch’io un testamento del genere e come sognerei che tra le decine di migliaia di preti operanti nel nostro Paese ci fossero tanti don Gallo in più!

Il Papa della rivoluzione evangelica

Il popolo pare che, magari inconsciamente, subisca sempre più il fascino di Papa Francesco, e lo senta come un apostolo che riconduce i fedeli e la Chiesa allo “stile di Gesù”. Mi pare che non ci sia più incontro al quale non partecipino folle sempre più numerose. Forse il parlare semplice, senza tante elucubrazioni teologiche, il calore umano che sprigiona dal suo modo di rapportarsi con la gente, la semplificazione nel vestire, il ridurre al minimo vesti, ritualità e preghiere, la proposta di un Dio ricco di bontà e di misericordia reale, l’abbandono dei testi scritti che risultano sempre sofisticati e difficilmente capaci di andare al cuore, soprattutto l’assunzione dello stile del linguaggio e del comportamento della gente normale, tutto questo lo mette in sintonia con il sentire della gente del nostro tempo.

Certe scelte poi di non abitare più negli appartamenti che sono stati costruiti per il “Papa re”, la critica aperta alla Chiesa arroccata nella sua sacralità e prigioniera di consuetudini, tradizioni e soprattutto del protocollo; il discorso reso credibile dal suo passato e vivo nel suo presente, sulla povertà della Chiesa, sul rifiuto di un inquadramento gerarchico, su carriere pressoché automatiche e certi accenti quanto mai decisi nei riguardi di qualcosa che non ha proprio nulla a che fare con il Vangelo, sono tutti fatti che pare stiano promuovendo una profonda rivoluzione nei riguardi di una Chiesa troppo strutturata, che lascia poco respiro alla radicalità evangelica, per un nuovo stile di Chiesa.

La mia sensazione poi è che il nuovo Papa scelga di dare una testimonianza personale sul tipo di Chiesa che si correla alla comunità umana in cui è inserita, che preferisca fare il pastore della Chiesa di Roma piuttosto che il pontefice che governa direttamente attraverso i suoi ministeri la Chiesa universale, dando quindi più autonomia alle realtà diocesane che meglio possono adattare il messaggio evangelico al loro popolo.

Il Papa sta sottomettendosi a ritmi tanto intensi per dare un volto ed un respiro nuovo al cattolicesimo. Mi auguro tanto che egli regga a questa fatica immane e senta che i cristiani di Roma e del mondo sono con lui perché, nonostante tutto, avvertono che soltanto lo stile evangelico può dare risposte al bisogno di autenticità che tutti sentiamo.

La visitazione

Le feste della Madonna offrono sempre al mio animo un dolce sentimento che profuma di famiglia e di calda maternità. In questa cornice ed in questa atmosfera questa mattina ho celebrato la festa della Visitazione, ossia il caro “mistero” cristiano che fa memoria dell’aiuto offerto dalla Vergine Maria all’anziana cugina Elisabetta.

Il lontano ricordo dell’ode con cui Alessandro Manzoni racconta poeticamente questo evento, forse mi ha sempre aiutato ad avvolgere di incanto e di poesia questo episodio della vita della Madonna. Non ricordo esattamente le parole con cui l’autore dei “Promessi sposi” descrive questo evento, ma ho ben presente l’atmosfera dolce, incantata e ricca di poesia che sprigiona dall’ode manzoniana. Ho negli occhi, bella e fresca, l’immagine di questa ragazza che già sente ineffabile la presenza del figlio che sta germogliando nel suo grembo, mentre prende il sentiero della montagna e che, con passo lesto e leggero, va ad offrire il suo aiuto e dire la bella notizia che le canta nel cuore, alla sua anziana cugina bisognosa di aiuto. Com’è poi un’esplosione di beatitudine l’incontro delle future madri di Gesù e di Battista.

Però, tra tanta luce e tanta gioia, da questo dolce mistero emerge anche un insegnamento forte e preciso. Maria non si fa supplicare o tirare per la manica per andare a portare aiuto all’anziana bisognosa ma, pur vivendo il momento soave dell’attesa, spontaneamente lascia i preparativi per la nascita vicina, la casa e lo sposo, per offrire il suo sorriso e le sue mani laboriose e care ad Elisabetta in difficoltà.

Tra tanta soavità emerge un messaggio che qualcuno ha recepito ed attuato in maniera esemplare. Proprio in questi giorni ho letto una serie di servizi su don Oreste Benzi, il prete romagnolo che ha lasciato alla Chiesa e alla nostra gente una testimonianza esemplare di carità da Vangelo. Don Benzi, con la sua tonaca sdrucita e logora e la sua calotta in testa, usciva di notte per cercare e recuperare ad una vita degna le prostitute e nelle sue innumerevoli case-famiglia le porte erano e sono sempre spalancate, per accogliere i “rifiuti dell’umanità”.

Nel volume di don Gallo che sto leggendo, “Come un cane in chiesa”, questo “prete estremo” dei bassifondi del porto di Genova, scrive: “La domenica, dopo la messa, a tavola mi piace invitare e condividere il pasto con i gay, le lesbiche, i transgender, i transessuali: sono loro che hanno bisogno del nostro ascolto e della nostra accoglienza”.

Questi sono i cristiani che han “letto” il Vangelo in maniera seria ed onesta! Questi sono i preti che mi mettono in crisi e che mi fanno arrossire!

Viva il più bravo!

Ieri avevo letto sul Gazzettino che il sindaco Orsoni ha in mente di fare un “rimpasto” all’interno della giunta comunale. L’articolo era contorto e con qualche illazione, ma mi pare pressappoco di aver capito che avendo un assessore abbandonato il partito per il quale era stato eletto ed essendosi iscritto al gruppo misto, questo partito non era più rappresentato in giunta. Quindi esso reclamava una poltrona, altrimenti come avrebbe potuto sopravvivere ed operare l’amministrazione comunale senza il suo apporto prezioso ed insostituibile? Era dunque necessario far posto in giunta per accogliere il nuovo rappresentante di partito.

La vittima sacrificale immolata sull’altare della logica politica probabilmente sarebbe stata quella di un tecnico, ossia di un amministratore chiamato ad operare per il solo motivo della sua competenza professionale e non per meriti di ordine politico.

Oggi ho letto sullo stesso quotidiano che l’assessore Enzo Micelli era stato giubilato e “licenziato in tronco”, come si direbbe nel linguaggio commerciale. Peccato che questo assessore tecnico fosse uno dei migliori di cui il Comune potesse disporre.

In questi due ultimi anni, a motivo dei Centri don Vecchi, ho avuto a che fare in particolar modo con due assessori: uno di nomina politica (uno squallore!) e l’altro, Micelli, di nomina professionale, un tecnico che pur dovendosi occupare di un assessorato disastrato, corrotto (infatti è quello in cui Bertoncello velocizzava le pratiche a suon di mazzette) ce l’ha messa tutta ed è riuscito a sbrogliare la matassa estremamente ingarbugliata della concessione della superficie agli Arzeroni che è stata destinata al “don Vecchi 5”.

L’assessore Micelli, con la collaborazione dei suoi tecnici, che si sono appassionati all’impresa, ha fatto un autentico “miracolo”, quello di portare a compimento la pratica. Proprio l’ultimo giorno del suo “servizio” dal Comune è arrivata la concessione edilizia. Don Gianni e il suo splendido staff di collaboratori si sono spesi all’ultimo sangue, ma senza la collaborazione decisa, intelligente, leale e generosa del professor Micelli, di certo non si sarebbe cavato un ragno dal buco.

Sento il dovere di rendere onore a questo amministratore di alto senso civico e di notevoli capacità tecniche e di manifestare ancora una volta rabbia ed avvilimento per dei politici avidi ed esperti solamente nella caccia alle poltrone!