La visitazione

Le feste della Madonna offrono sempre al mio animo un dolce sentimento che profuma di famiglia e di calda maternità. In questa cornice ed in questa atmosfera questa mattina ho celebrato la festa della Visitazione, ossia il caro “mistero” cristiano che fa memoria dell’aiuto offerto dalla Vergine Maria all’anziana cugina Elisabetta.

Il lontano ricordo dell’ode con cui Alessandro Manzoni racconta poeticamente questo evento, forse mi ha sempre aiutato ad avvolgere di incanto e di poesia questo episodio della vita della Madonna. Non ricordo esattamente le parole con cui l’autore dei “Promessi sposi” descrive questo evento, ma ho ben presente l’atmosfera dolce, incantata e ricca di poesia che sprigiona dall’ode manzoniana. Ho negli occhi, bella e fresca, l’immagine di questa ragazza che già sente ineffabile la presenza del figlio che sta germogliando nel suo grembo, mentre prende il sentiero della montagna e che, con passo lesto e leggero, va ad offrire il suo aiuto e dire la bella notizia che le canta nel cuore, alla sua anziana cugina bisognosa di aiuto. Com’è poi un’esplosione di beatitudine l’incontro delle future madri di Gesù e di Battista.

Però, tra tanta luce e tanta gioia, da questo dolce mistero emerge anche un insegnamento forte e preciso. Maria non si fa supplicare o tirare per la manica per andare a portare aiuto all’anziana bisognosa ma, pur vivendo il momento soave dell’attesa, spontaneamente lascia i preparativi per la nascita vicina, la casa e lo sposo, per offrire il suo sorriso e le sue mani laboriose e care ad Elisabetta in difficoltà.

Tra tanta soavità emerge un messaggio che qualcuno ha recepito ed attuato in maniera esemplare. Proprio in questi giorni ho letto una serie di servizi su don Oreste Benzi, il prete romagnolo che ha lasciato alla Chiesa e alla nostra gente una testimonianza esemplare di carità da Vangelo. Don Benzi, con la sua tonaca sdrucita e logora e la sua calotta in testa, usciva di notte per cercare e recuperare ad una vita degna le prostitute e nelle sue innumerevoli case-famiglia le porte erano e sono sempre spalancate, per accogliere i “rifiuti dell’umanità”.

Nel volume di don Gallo che sto leggendo, “Come un cane in chiesa”, questo “prete estremo” dei bassifondi del porto di Genova, scrive: “La domenica, dopo la messa, a tavola mi piace invitare e condividere il pasto con i gay, le lesbiche, i transgender, i transessuali: sono loro che hanno bisogno del nostro ascolto e della nostra accoglienza”.

Questi sono i cristiani che han “letto” il Vangelo in maniera seria ed onesta! Questi sono i preti che mi mettono in crisi e che mi fanno arrossire!

Una risposta a “La visitazione”

  1. Benchè non possa mancare un sincero riconoscimento di stima per tutti coloro dei quali si è preso amorevolmente cura, don Gallo non può dare nessuna, ma proprio nessuna, lezione di evangelica carità a don Armando Trevisiol (verso il quale, fin dai tempi ahimè lontani del mio scautismo, mi sento spiritualmente debitore).
    Un discepolo di Cristo si avvicina alle prostitute, le difende, ma non le porta ad abortire…
    Soccorre il bisognoso, ma non mette la bandiera venezuelana sull’altare in onore del suo padroncino Hugo Chavez, e non si mette a cantare Bella ciao al termine della Santa Messa..
    Ascolta i giovani con le loro angosce, ma non benedice gli assalti violenti dei centri sociali al G8 o alla Mondadori…
    Accoglie i tossicodipendenti, ma non sostiene le lotte per la legalizzazione dell’hashish…
    Conforta la persona omosessuale, ma non va al gay pride per reclamare nuovi presunti diritti… e nemmeno va in giro a dire che “Un Papa omosessuale sarebbe una cosa magnifica…” o che “Il prete omosessuale deve poter essere libero di esprimere la sua identità e la sua sessualità, altrimenti si reprime e arriva alla pedofilia”.
    In uno stato di perenne e profonda alterazione ideologica, Don Gallo per me rappresenta l’alfiere di quello che Ivan Hillich chiamava il “cristianesimo pervertito” che ormai trionfa nel mondo, ostinatamente determinato a imporre e imporsi una lettura di Gesù abbrutita e ridotta alla retorica poetica di De Andrè. Mi chiedo se abbia mai meditato seriamente sulla parabola del Samaritano.
    Antonio Spinola

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