L’origine remota

Ho già raccontato che al liceo ebbi per un paio d’anni un insegnante di storia assai originale nel modo di ragionare, ma che comunque era un uomo assai saggio ed intelligente. Si trattava del professor Angelo Altan, personaggio di cui ho raccontato che comperava il Gazzettino, lo metteva nel suo scrittoio e lo leggeva dopo settimane dicendoci che così aveva modo di valutare l’intelligenza dei giornalisti e la consistenza dell’evento di cui scrivevano. Questo professore, quando faceva lezione su un particolare evento storico, cominciava sempre con l’inquadrarlo citando le ragioni remote e prossime che avevano prodotto quell’evento. Il suo discorso era di certo intelligente e colto, ma noi studenti talvolta, celiando, dicevamo che avrebbe sempre dovuto partire da Adamo ed Eva e dal relativo peccato originale, e lui, stando al gioco, affermava: Perché no! Ogni evento dipende sempre dall’origine da cui è sorto!Ÿ.

Mercoledì scorso, 14 maggio, durante l’inaugurazione del “don Vecchi 5” è intervenuto anche il consigliere regionale Gennaro Marotta, il quale si arrogò un certo merito nei riguardi della nuova struttura per anziani in perdita di autonomia. Ne raccontò la genesi che io avevo totalmente dimenticato.

Le cose andarono così: il dottor Bacialli, direttore dell’emittente “Rete Veneta”, mi invitò a partecipare ad un dibattito sulla residenzialità degli zingari, forse sapendo che io avevo affermato più volte che quella del sindaco Cacciari di costruire a Favaro le casette per gli zingari mettendoli tutti assieme era stata una grossa “castroneria”: ghettizzandoli era come favorire certe loro abitudini malsane.

Lo studio televisivo è alla periferia di Treviso. All’andata mi accompagnò Bacialli stesso e per il ritorno chiese al consigliere Marotta di portarmi a casa, perché da solo mi sarei di certo perso nel labirinto delle strade della Marca Trevigiana.

Nei tre quarti d’ora di strada fu giocoforza parlare e io gli parlai degli anziani, argomento che mi stava a cuore. Marotta mi promise di darmi una mano per come poteva. Infatti qualche settimana dopo accompagnò il dottor Remo Sernagiotto, assessore alle politiche sociali della Regione Veneto, al “don Vecchi”. L’assessore rimase “folgorato” dalla struttura, dalla dottrina da cui nasceva e dall’economicità della gestione. Sposò immediatamente il progetto di affrontare una esperienza pilota per risolvere il problema degli anziani che si trovano in quella zona grigia che sta fra l’autosufficienza e la non autosufficienza. Attualmente le strutture che provvedono alla non autosufficienza, sono strutture costosissime per la società e per di più di stampo, tutto sommato, ottocentesco, che privano il soggetto di ogni rimasuglio di autonomia.

Da quell’incontro nacque la sfida della Fondazione di sperimentare un progetto assolutamente innovativo che rispetti la persona e le permetta di rimanere tale anche nel disagio della vecchiaia. Da quell’incontro nacque la proposta del mutuo a tasso zero in 25 anni e l’offerta di una modestissima diaria per offrire un minimo di assistenza agli anziani che sarebbero stati accolti.

Il mio piccolo sacrificio di dedicare una serata a quel dibattito ha prodotto una struttura del costo di quattro milioni di euro che per almeno cent’anni metterà a disposizione degli anziani poveri di Mestre 65 alloggi. Ne è valsa la pena!

22.05.2014

Il discorso che vorrei fare

Mercoledì prossimo (il 14 maggio 2014, NdR) verrà inaugurato il “don Vecchi 5” in quel degli Arzeroni, alle spalle dell’Ospedale dell’Angelo.

La nuova struttura è un’opera veramente notevole: quattro milioni di euro, dieci mesi di lavoro pressante, 65 alloggi per anziani in perdita di autonomia. Un passo avanti in relazione agli altri Centri “don Vecchi” nei quali, almeno ufficialmente, vivono anziani autosufficienti, ma che in realtà terminano i loro giorni nell’alloggio dove han trascorso, a loro dire, i giorni più sereni della loro vita, in un ambiente signorile, con infinite agevolazioni a tutti i livelli e soprattutto non dovendo pesare, da un punto di vista economico, sui loro figli. E’ sempre stato un punto d’onore, prima della parrocchia e poi della Fondazione, che anche gli anziani con la pensione sociale potessero vivere con gli stessi confort dei colleghi con pensioni più consistenti.

Questa è la prima volta che non devo presentare alla città e ai suoi reggitori la nuova impresa di carattere solidale: sarà don Gianni, il mio giovane successore, che avrà questo compito che per me è sempre stato faticoso. Non so se mi chiederà di dire una parola, andrà bene in ogni caso, ma se mi fosse richiesta, direi queste cose al sindaco, alla Regione e ai concittadini.

  1. Quest’opera non è costata nulla alla società civile né alla Chiesa. La Regione ci ha anticipato duemilioniottocentomila euro, ma le saranno restituiti fino all’ultimo centesimo. Neppure alla diocesi è costato un solo centesimo perché il milione e duecentomila euro che mancano ai quattro milioni lo ha regalato la popolazione.
    L’opera è stata realizzata in dieci mesi mentre per la “rotonda” del nostro cimitero sono occorsi 14 anni!
    Il costo è stato di quattro milioni, mentre per l’ente pubblico sarebbe costato almeno sei. In conclusione l’ente pubblico dovrebbe sempre avvalersi del “privato sociale” perché più agile, più economo, più veloce.
    Durante questi mesi era una festa vedere trenta, quaranta operai lavorare sereni ed altrettanto le ditte che hanno appaltato il lavoro, perché i soldi sono arrivati sempre puntuali; neppure con un giorno di ritardo.
  2. Questa struttura appare già ora elegante e signorile, ma fra due tre mesi lo sarà molto e molto di più. Arrederemo con quadri, mobili di pregio, tappeti, piante; per i poveri la signorilità non è mai troppa.

Aggiungerei con infinita decisione: «Questo luogo è destinato ai poveri, se mi accorgessi che si deviasse da questo scopo, verrei anche dopo morto a “tirare i piedi” a chi facesse altrimenti. La Chiesa ha il dovere di impegnarsi sempre e comunque per i fratelli più poveri e più in disagio».

Infine aggiungerei ancora, con convinzione e con forza, che è tempo ed ora che l’ente pubblico snellisca la sua burocrazia; se il Comune ci mettesse al massimo un mese per rilasciare la concessione edilizia, fra un mese sarebbero nuovamente messe in moto le gru per costruire la “grande casa per i cittadini in disagio”.

Non so se mi sarà data l’opportunità di fare questo discorso, comunque lo porto nel cuore e farò di tutto perché pungoli l’ente pubblico ancora lento, farraginoso e spesso inconcludente.

08.05.2014

Una brutta notizia

Un paio di giorni fa ho letto sul Gazzettino una notizia che mi aspettavo prima o poi, ma che comunque mi è giunta amara: monsignor Fausto Bonini, parroco del duomo di Mestre, lascia la parrocchia per limiti di età.

Il solito Alvise Sperandio normalmente informa con qualche giorno di anticipo notizie sul mondo ecclesiastico che probabilmente qualcuno della curia gli passa puntualmente. Il giornalista del Gazzettino non solo dà questa notizia, ma informa pure sui probabili aspiranti a condurre la più grande e più significativa comunità cristiana della nostra città.

Quando monsignor Bonini giunse a San Lorenzo, almeno a livello formale aveva qualche compito, se non di direzione o coordinamento, almeno di rappresentanza della Chiesa mestrina verso i responsabili della città civile. Non so se don Fausto ogni volta che è intervenuto in questo settore l’abbia fatto in forza del mandato ricevuto o per iniziativa personale, comunque tutti abbiamo avuto modo di avvertire che ogni volta che il parroco del duomo ha preso posizione su qualche argomento di interesse comunitario, la reazione della città e quella dei suoi rappresentanti s’è fatta immediatamente sentire accusando sempre “il colpo”. Questo suo modo di intervenire ha creato dunque in passato un grave problema, benché sia convinto che una città abbia bisogno di avere anche a livello religioso chi la esprima, ed è indubbio che le due città, Mestre e Venezia sono qualcosa di decisamente diverso con problematiche diverse.

Quello che invece mi preoccupa particolarmente è che dal prossimo giugno verrà a mancare il punto di riferimento più avanzato della pastorale nella nostra città post industriale. Don Fausto ha indubbiamente posto in atto un progetto pastorale di tutto rilievo che a tutti i livelli rappresenta a Mestre il punto più avanzato della testimonianza di una comunità cristiana in città.

Il sonnecchiare delle parrocchie mestrine ebbe, nella comunità del duomo, non solamente un modello avanzato di pastorale, ma anche un pungolo che poteva almeno turbare la coscienza di chi ha meno fantasia e spirito di ricerca per aprire varchi sulla nostra società in rapidissima evoluzione.

Alvise Sperandio, assai esperto e molto tempestivo nel raccogliere gli umori e i presunti orientamenti della curia, ha pure fornito una triade di nomi di possibili aspiranti o di probabili successori di don Bonini. Se le cose stanno come le prospetta il giornalista del Gazzettino, a mio parere c’è almeno un nome di uno di questi tre che ha le qualità per portare avanti il progetto pastorale di don Fausto. Dato che nella Chiesa non è entrata ancora la prassi, come era nella Chiesa antica, di consultare il popolo di Dio per queste scelte, non mi resta che pregare perché Mestre abbia almeno un parroco autorevole ad esprimere la Chiesa della nostra città e per fare da mosca cocchiera.

24.04.2014

La “Nave de vero”

“Tanto tuonò che piovve”. I tuoni furono tanti, e tanto rumorosi, e i lampi nel cielo dell’informazione più ancora. Però non è arrivata una pioggerellina di marzo o un piovasco di primavera, ma un autentico diluvio.

Per l’inaugurazione dell'”ipermercato metropolitano”, “La nave de vero”, sono giunti 2400 invitati e migliaia e migliaia di non invitati. Ho letto la sequenza di cifre sul Gazzettino: cinquantacinquemila metri quadri di superficie, 120 negozi, 15 ristoranti, 2400 posti auto, 600 dipendenti.

Non trascrivo di certo questi dati per fare ulteriore pubblicità al nuovo ipermercato che di certo non ne ha bisogno perché i padroni hanno comperato pagine su pagine di stampa locale, ma perché è un avvenimento che dovrebbe interessare la curia, il clero e perfino i semplici fedeli. L’apertura del nuovo ipermercato è come un fungo spuntato improvvisamente dopo la pioggia: un intero paese abitato da migliaia e migliaia di creature che, come tutti, hanno bisogno di speranza e di fede.

Ho la sensazione però che nessun ufficio di curia si sia posto il problema di “come possiamo offrire l’annuncio cristiano per questa nuova realtà”. Né penso pure che nessun fedele, per quanto devoto, abbia sollecitato la curia a predisporre un progetto per offrire il messaggio di Gesù. So di certo che il patriarca Agostini, quando la nostra città era in sviluppo, si era informato su quali fossero le aree ove sarebbero stati fatti sorgere i nuovi insediamenti abitativi e predispose un piano per acquisire i terreni per costruire le nuove chiese che avrebbero dovuto servire le comunità crescenti.

So ancora che un imprenditore cristiano che opera nel settore degli ipermercati, in una occasione come quella de “La nave de vento”, vi ha costruito una chiesa aperta al pubblico ed ha invitato un sacerdote a celebrare i divini misteri.

Leggendo i resoconti della stampa ho appreso che queste nuove strutture sono diventate le nuove “piazze reali” delle nostre città, mentre le vecchie piazze sulle quali si affacciano le porte delle nostre chiese sono sempre più deserte. Ho appreso inoltre che i progettisti del nuovo ipermercato metropolitano hanno predisposto spazi per concerti, spettacoli ed altre manifestazioni. Credo che se qualcuno avesse chiesto per tempo, i costruttori avrebbero pensato anche ad un luogo per lo spirito e forse anche adesso si potrebbe pensare a qualcosa del genere sull’esistente.

Quando poi so che un nostro prete, neanche troppo vecchio, usa un motoscafo, attraversando mezza laguna, per andare a celebrare la messa festiva a Torcello, parrocchia che conta 16 fedeli, mi viene da mettermi le mani sui capelli!

Talvolta, quando sento parlare di pastorale, ho l’impressione che si parli di una cosa che si rifà pressappoco all’età del ferro o del bronzo, perché i tempi sono corsi fin troppo veloci. Nel Vangelo, a Pasqua, abbiamo letto che già duemila anni fa Gesù disse che si fa trovare e lo si potrà incontrare “avanti” e non nel passato. Don Mazzolari ha scritto che Cristo non è più reperibile neanche nelle magnifiche cattedrali gotiche perché ora e sempre sarà ove scorre la vita ed ora, per la maggioranza dei mestrini, essa si svolge negli ipermercati.

15.04.2014

“Date voi da mangiare”

La pagina del Vangelo che tratta della moltiplicazione dei pani è nota a tutti. La riassumo telegraficamente perché mi facilita il discorso sull’argomento su cui oggi voglio fare una semplice riflessione.

La gente da due giorni interi ascolta Gesù. Gli apostoli si rendono conto, anche per esperienza personale, che bisogna mangiare e perciò chiedono a Gesù di congedare la folla perché possa andare a ristorarsi nei villaggi vicini. Con loro sorpresa il Maestro risponde: «Date voi da mangiare!». Loro si guardano attorno e obiettano che costerebbe troppo per le loro tasche e che tra i presenti, per quanto ne sanno loro, c’è solo un ragazzino che ha in saccoccia la merenda preparatagli da sua madre. Gesù tira dritto e dice: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta» (la folla è davvero immensa: cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini), poi prende il pane del ragazzino, invoca l’aiuto del Padre e dice: «Distribuite!». Il Vangelo conclude che tutti ne mangiarono a sazietà, tanto che Cristo invitò a “raccogliere gli avanzi” perché nulla andasse sprecato.

In quest’ultimo mese di aprile m’è capitato di assistere al “don Vecchi” a qualcosa di molto simile e credo che di “miracolo”, proprio di miracolo si tratti. L’associazione che, pur ogni settimana, distribuisce generi alimentari per tremila persone, è costretta ad aiutare solamente chi ha un reddito inferiore ai 600 euro mensili e, talvolta, non può accettare la richiesta di altri bisognosi perché non ha viveri a sufficienza. La logica umana è, anche oggi, quella degli apostoli: “Mandali via perché provvedano da sé!”.

Per fortuna anche oggi il buon Dio trova qualcuno per fare “il miracolo”! Un signore, dopo un anno di bussare ad una porta, ha ottenuto la risposta sperata. I sette magazzini Cadoro hanno messo a disposizione i loro prodotti legalmente non più commerciabili. In una settimana si sono rese disponibili due stanze, attrezzate con congelatore e frigoriferi industriali, s’è comprato un furgone, si è trovata una ventina di volontari, si è organizzato il ritiro e la consegna e s’è studiato pure un modo per reperire il denaro necessario per far funzionare “lo spaccio” (così chiamo il nuovo miracolo).

Un benefattore s’è accollato l’intero costo iniziale dell’operazione ed attualmente lo “spaccio” si autofinanzia non gravando da nessuno. La soluzione adottata mi pare sia di assoluto gradimento a tutti. Per un euro ogni richiedente si sceglie quattro pezzi di ciò che c’è a disposizione, più il pane che gli serve. Alla data odierna si sono aiutate 3453 persone in difficoltà. Nel contempo, col ricavato, si è riusciti a pagare il pranzo ad una persona in difficoltà e l’affitto ad un’altra.

Le persone che han reso possibile il miracolo, come il ragazzino del Vangelo che ha messo nelle mani di Gesù la sua merenda, sono parecchie e non ne cito i nomi perché i loro nomi dal 18 febbraio “sono già scritti in Cielo”. Però sento il bisogno di dire a tutti che “anche oggi è tempo di miracoli”, basta che qualcuno accetti di diventare un umile strumento nelle mani di Dio.

14.04.2014

Costruire consenso

Mi capita abbastanza di frequente, quando avviene in città un qualcosa di un po’ importante che riguarda i poveri o la vita della Chiesa, che i giornali locali o le emittenti televisive mi chiedano un parere facendomi una breve intervista. So che ciò avviene non perché io sia un personaggio qualificato e competente tale da offrire pareri autorevoli su queste questioni, ma solamente perché non mi nego mai, mentre pare che altri abbiano paura di compromettersi.

Accetto le interviste un po’ per carità cristiana (sono molti gli operatori che vivono sull’informazione, avendo un mestiere non facilissimo), perché non dare loro una mano? Ma lo faccio per un secondo motivo, più importante: io ho una determinata visione della vita cittadina e dei pareri piuttosto precisi su qualche tematica che la riguarda; l’intervista mi serve sempre per portare avanti le mie tesi, per creare opinione pubblica e cultura diffusa, perché solamente così si matura una comunità ad accettare e far suoi determinati progetti e certe soluzioni che io ritengo opportune.

In questi giorni il Comune ha fatto togliere alcune panchine da determinate zone della città perché favorivano il bivaccare dei senza dimora creando disagio ai cittadini della zona. Il sindaco Gentilini, “sceriffo” di Treviso aveva fatto lo stesso qualche anno fa per allontanare dalla città gli extracomunitari. Questo primo cittadino della Marca è un personaggio della Lega un po’ sbrigativo ed autoritario, motivo per cui il ripetere il suo intervento aveva fatto nascere quasi un “casus belli” anche da noi.

Io al riguardo non avevo pareri specifici, ma da sempre sono convinto che Chiesa, e in questo caso e soprattutto il Comune, debbano elaborare un progetto condiviso da tutte le agenzie sociali che si occupano del settore dei poveri, progetto articolato con delle proposte civili che tengano conto della situazione sociale del momento e, solamente dopo, si possano adottare degli interventi anche decisi per inquadrare il problema e rendere la città vivibile, senza però trascurare o dimenticare i “rifiuti d’uomo” o, meglio, tutte le tipologie di mendicanti o di persone anomale.

Solo quando in città ci saranno dormitori pubblici sufficienti, docce, toilettes pubbliche, mense, organizzazioni per le varie necessità a favore di queste persone, percorsi per recuperarli alla vita civile, soltanto allora il Comune, la polizia cittadina per fare rispettare le regole potranno intervenire con decisione.

Credo che interventi estemporanei come quello di togliere le panchine, siano “pannicelli caldi” che non risolvono affatto i problemi, anzi possono diventare perfino disumani.

Questo progetto per regolare la vita dei senza dimora non c’è e mi pare che ci sia poca voglia di farlo; io però anche nel corso dell’ultima intervista ho tentato di spezzare una lancia a suo favore. La cosa in questo caso mi è andata male perché mi hanno “tagliato” tanto, così non s’è potuto capire cosa volessi dire. Comunque tenterò alla prossima occasione.

19.04.2014

Il recupero

Questa è una vecchia storia il cui inizio ho già raccontato un paio di anni fa e su cui sono ritornato un paio di volte, ma che sento il bisogno di riprendere per informare su come essa stia continuando.

Degente nel nostro ospedale, una mattina mi capitò di scambiare qualche parola con una giovane signora che stava pulendo la stanza. La nostra gente, soprattutto quella più semplice e genuina, stabilisce subito un rapporto quasi familiare quando incontra un sacerdote, specie quando egli è anziano.

Da questa cara signora venni a sapere che fino a poco tempo addietro c’era un prete che celebrava la messa ogni domenica nel piccolo borgo ai margini della città in cui lei abitava. In questo villaggio il cuore della comunità era costituito dalla chiesa e dalla scuola. Prima però venne chiusa la scuola, per portare i pochi alunni a Favaro, poi fu chiusa pure la chiesa per mancanza di sacerdoti, tanto che gli abitanti provavano un senso di smarrimento e di abbandono. Venuta a sapere che ero andato in pensione, mi disse , con un sorriso accattivante: «Perché non viene lei?». In quel momento ci sarei andato correndo perché anch’io, uscito dalla parrocchia, mi sentivo orfano e allo sbando.

Per qualche tempo, per motivi un po’ futili, la cosa sembrò irrealizzabile, però, col passare dei mesi, le difficoltà si risolsero e si arrivò ad una soluzione minimale che parve l’unica possibile: celebrare l’Eucaristia il primo venerdì del mese. Ciò è poco per una comunità, però ora ho la sensazione che di mese in mese anche questo “poco” sia sempre più atteso, la preghiera si fa sempre più calda e familiare e sembra che il senso dell’abbandono e della solitudine si stia pian piano dissolvendo, anzi rifiorisca un senso di comunità fatta di comunione e di condivisione ideale. Ogni mese, quando nel tardo pomeriggio parto per Ca’ Solaro, ho la sensazione di ritornare ai tempi della mia infanzia, di ritrovare la cara gente del mio paese che pure viveva in stretto contatto con la terra, che ritmava la vita con le stagioni, che si rivolgeva al Signore con semplicità e con fiducia e, pur non parlando troppo di comunità, viveva una vita di famiglia.

L’incontro con la cara gente di Ca’ Solaro mi aiuta a recuperare i tempi della mia fanciullezza, a guardare con più simpatia e familiarità uomini e donne, e a sentirmi a casa mia condividendo con loro il ritorno della vita e della natura che ci avvolge tutti con un abbraccio ricco di poesia e di bellezza.

18.04.2014

La tomba dei concittadini illustri

Credo che tutti sappiamo che fino a due secoli fa i morti, anche a Mestre, venivano sepolti attorno alle chiese, come avviene ancor oggi in molti paesi dell’Alto Adige. Ricordo che quando ero parroco a Carpenedo, qualche anno fa, per portare il gas in una casa vicino alla chiesa, gli operai che scavavano il terreno si accorsero, con sorpresa e raccapriccio, che con la terra di scavo uscivano pure ossa da morto. Allarmati e preoccupati dalla cosa chiamarono i vigili. Toccò a me rassicurare gli uni e gli altri spiegando che fino alla calata di Napoleone quel terreno adiacente alla chiesa era adibito a cimitero. La cosa finì lì.

L’attuale cimitero di Mestre fu costruito quindi duecento anni fa per volontà di Napoleone, che depredò, rubò a piene mani il nostro Paese ma che comunque fece anche lui, come tutti, qualcosa di buono. E, in questo caso il cimitero all’esterno dell’abitato.

Il Centro di Studi Storici di Mestre, ente quanto mai benemerito per quanto riguarda la storia di Mestre, in occasione del suo bicentenario, ha pubblicato, in collaborazione con la Veritas che attualmente gestisce il nostro camposanto, un opuscolo quanto mai interessante. Nella pubblicazione sono riportate le foto delle tombe di certe personalità eminenti del nostro recente e del nostro remoto passato, suddividendole in categorie: eroi e militari, donne, sportivi, persone note, politici e sindaci, autonomisti e non, artisti, sacerdoti e religiose, con accanto una breve storia che illustra il personaggio ivi sepolto.

Io frequento, a motivo del mio ministero, il nostro camposanto da più di mezzo secolo, però confesso che pur avendolo percorso infinite volte in lungo e in largo, non conoscevo tutte le tombe dei cittadini eminenti che vi riposano da più o meno tempo. Io condivido, col Foscolo, che le testimonianze di queste persone che emergono, pur per motivi diversi, sono una ricchezza da raccogliere. Non per nulla gli antichi dicevano che la storia è maestra di vita e sarebbe sciocco non coglierne il messaggio.

Nell’ultimo numero del settimanale del patriarcato “Gente Veneta” il dottor Paolo Fusco, che ne è uno dei giornalisti più brillanti, ha fatto una bellissima presentazione di questo opuscolo del Centro di Studi Storici di Mestre. Il giornalista si è rifatto al bellissimo e noto volume “Spoon river”, in cui l’autore, Edgard Lee Masters, dialoga con i personaggi sepolti nel piccolo cimitero in riva al fiume rendendoli vivi per cogliere il messaggio della loro vita in positivo e in negativo.

Consiglio a tutti di prendere il volumetto del Centro Studi Storici perché la sua lettura aiuterà i numerosissimi frequentatori del nostro camposanto non solo a cogliere la testimonianza dei sepolti più illustri, ma pure di tutti i nostri concittadini che riposano in questa terra benedetta, perché ognuno di loro ha ancora qualcosa da dire. Io lo faccio da mezzo secolo e ne traggo grande vantaggio.

14.03.2014

Incontro con Bettin

Qualcuno potrà pensare che la mia sia ormai una fissazione, comunque in ogni caso io sono profondamente convinto, per quello che concerne “la carità cristiana” (o se vogliamo dirlo con un termine più moderno, più laico e più comprensibile, la solidarietà) che ci vorrebbe un coordinamento a livello cittadino o, meglio ancora, a livello diocesano. Ci sono state delle proposte, magari un po’ velleitarie, ma con l’uscita di scena del patriarca Scola, non se n’è sentito più parlare e pare che non ci siano più nell’agenda della diocesi.

Soprattutto a Mestre – dico Mestre perché è la città che conosco di più – per quello che riguarda la solidarietà, esiste attualmente un arcipelago di isolette, un po’ più piccole e un po’ più grandi, non comunicanti tra loro e tutte inadeguate ad affrontare problemi che hanno ormai un respiro di Chiesa mestrina. In città siamo alla situazione in cui si trovava l’Italia del sette-ottocento, composta da staterelli formalmente autonomi, ma assolutamente incapaci di affrontare le nuove problematiche del disagio e della povertà. Mestre avrebbe bisogno, a livello di solidarietà, di quello che rappresentarono Mazzini, Garibaldi, Cavour o Gioberti per il Risorgimento italiano.

Da noi la Caritas, per motivi che non conosco, è assolutamente latitante e nessuno dei gruppi di volontariato esistenti ha la capacità di guidare gli altri, forse perché non ha la forza per imporsi. In questo settore, anche chi ha a cuore il disagio e la povertà, fa quel poco che può ed è nella situazione di aspettare Godot, l’ipotetico “redentore” che non è neppure certo che esista.

Questo per la Chiesa. Per quanto concerne il Comune si è forse un passo più avanti, però quanto creato una decina di anni fa dall’allora assessore Gianfranco Bettin s’è impantanato in un apparato burocratico quanto mai oneroso e non sempre efficiente.

Grazie al dottor Bettin però, alla sua preparazione, alla sua lungimiranza e alla sua determinazione, l’amministrazione del wellfare del Comune di Venezia è ancora all’avanguardia per quanto riguarda la sicurezza sociale.

Qualche tempo fa noi della Fondazione abbiamo chiesto un incontro con questo eminente sociologo ed una volta ancora ho avvertito la sua forza morale e la sua determinazione a farsi carico dei cittadini più fragili. Ho riportato dall’incontro la sensazione di un amministratore pubblico deciso a battersi per la causa degli ultimi, cosa non facile ai nostri tempi perché i politici sono sempre possibilisti, fanno mezze promesse ma non si spingono un millimetro più in là quando avvertono che determinate scelte potrebbero nuocere loro a livello elettorale.

Attualmente l’orizzonte, in questo settore, mi pare totalmente chiuso e, pur amareggiato per il disinteresse dei più per un problema tanto umano e cristiano, non mi resta che soffrire e pregare perché la Provvidenza ci mandi l’uomo giusto che avverta fino in fondo l’urgenza di occuparsi dei “rifiuti d’uomo” almeno quanto ci si adopera per i rifiuti urbani.

20.02.2014

Cominciamo con la “promozione”

Siamo alle solite! Le associazioni di solidarietà sono purtroppo, come scrissi già, un piccolo arcipelago di isolette abbastanza minute e non intercomunicanti. Motivo per cui nessuna di loro ha la forza di creare opinione pubblica e, meno che meno, cultura.

A Mestre, ma non solo, manca un governo che coordini e che sia in grado di parlare ed agire a nome di quel numero abbastanza consistente di associazioni e soprattutto del numero significativo di concittadini che si dedicano alla solidarietà. Anche il nostro “Polo solidale” del “don Vecchi”, pur costituito da tre associazioni e da una Fondazione che dispongono di strutture valide ed efficienti e soprattutto di più di 250 volontari, e pur potendo fruire come portavoce de “L’Incontro” e della benevola simpatia dei due quotidiani della città, “Il Gazzettino” e “La Nuova Venezia” e del settimanale “Gente Veneta”, non hanno ancora la forza di promuovere una campagna di stampa per boicottare i supermercati, i negozi e i centri di cottura che si dimostrano ancora assolutamente insensibili a qualsiasi forma di solidarietà, preferendo buttare nella pattumiera o riciclare clandestinamente i loro prodotti alimentari che legalmente non sono più commerciabili, piuttosto che metterli a disposizione di chi, in questo momento di crisi, versa in gravi condizioni di disagio.

Non riuscendo a contare sulla pubblica amministrazione, né su altri enti autorevoli, né sulla sinergia delle parrocchie, la “pressione” risulta ancora troppo debole per promuovere un serio boicottaggio verso chi pensa solo egoisticamente al suo vantaggio economico.

Potendo constatare ora il volume enorme di generi alimentari in scadenza che ci vengono forniti ad esempio dall’ipermercato Despar di Mestre e dai supermercati Cadoro, e la quantità di dolci fornitici dalle pasticcerie “Dolci e delizie”, “Ceccon” e Dolciaria mestrina”, viene istintivo domandarsi: “Dove vanno a finire i generi alimentari degli altri ipermercati e pasticcerie di Mestre?

Una campagna seria di boicottaggio verso le aziende insensibili ai bisogni dei poveri pensiamo che potrebbe sortire un positivo effetto a livello di solidarietà. Non essendo ancora attrezzati e capaci di far questo, abbiamo tutta l’intenzione di ritornare in maniera quasi ossessiva a dire ai nostri ventimila lettori: “Badate che scegliendo i negozi che hanno una qualche sensibilità sociale, non solamente vi approvvigionate dei beni di consumo che vi necessitano, ma anche, senza spendere un soldo in più, avete modo di aiutare chi non può permettersi di comperare questi generi alimentari. Perciò faremo pubblicità a titolo gratuito alle realtà che si dimostrano attente ai bisogni dei poveri.

08.03.2014

Tassa sulla spazzatura

Ho una tale confusione in testa sui nomi delle nuove tassazioni, tanto mi sono sembrati strani e di contenuto incomprensibile, che mi è rimasta in mente solamente una semplificazione che qualche giornalista caustico e burlone ha sintetizzato in modo purtroppo vero: “paga e tasi!”. Io però non sono assolutamente di questo parere.

Comunque la vicenda del “don Vecchi” in proposito è veramente strabiliante. Pare che non si sappia ancora come e quando e quanto si dovrà pagare. La solita burocrazia, che pare non abbia assolutamente scrupoli su quanto devono pagare gli altri, ci ha mandato cartelle esattoriali per ben novantamila euro.

Confrontando queste cifre ripartite per i singoli alloggi dei residenti al “don Vecchi”, che abitano in appartamentini graziosi e belli quanto si vuole, ma che in fondo hanno una superficie che va dai 18 metri quadri a un massimo di 49, è risultato che proporzionalmente avrebbero finito per pagare più di chi abita in una villa o un castello.

Non appena il ragionier Candiani, che si occupa di queste cose, mi ha riferito questo triste discorso, gli imposi per prima cosa: “Ferma tutto!”, ed avendo inteso che avevano pagato già quarantamila euro, non solo gli chiesi di rimandare le cartelle al mittente, ma di studiare il modo di recuperare almeno un po’ del maltolto.

Dopo infiniti discorsi venne fuori che la Veritas ci aveva inserito nel settore “commerciale”, così poveri vecchi con una pensione di cinquecento euro ed un alloggio di venti venticinque metri quadri di media finirebbero per pagare proporzionalmente più degli Agnelli per la Fiat.

Non è stato facile venirne a capo: primo perché è più facile contattare Papa Francesco che non il funzionario della Veritas, secondo perché, a detta di qualcuno di questa azienda controllata dal Comune, la soluzione “don Vecchi” è in anticipo di almeno vent’anni sulla cultura della burocrazia dell’Ente, motivo per cui per loro è impossibile trovare la “casella” adatta per la nostra realtà.

Qualche telefonata concitata e qualche incontro piuttosto vivace con alcuni subalterni e soprattutto la minaccia di costringere la Veritas a tassare ogni singolo residente, ha fatto si che l’ente pubblico si decidesse a considerare i trecentocinquanta appartamentini dei quattro Centri come qualsiasi altra abitazione di ogni cittadino italiano.

Questo però è ancora poco: proprio per il fatto che noi concediamo gli alloggi agli anziani più poveri non vedo perché essi dovrebbero pagare le tasse come tutti gli altri cittadini, mentre i numerosi appartamenti che il Comune concede a 20 euro al mese a povera gente sono esonerati da qualsiasi tassa.

Una volta ancora capita che chi aiuta il Comune non solo non viene preso in considerazione, ma viene tassato per questo aiuto offertogli. Una volta di più mi viene da sognare e da desiderare una riforma ed un aggiornamento della burocrazia statale e parastatale quanto gli ebrei hanno desiderato e sognato la Terra Promessa. Temo però che, come Mosè, sarò costretto a vedere questa riforma solamente dall’alto, ma di non poterci mettere piede.

06.03.2014

L’ultima avventura

Io sono stato per una trentina d’anni educatore degli scout e perciò mi sono fatto una cultura e delle convinzioni in proposito. Ho frequentato a suo tempo il campo per assistenti scout a Colico, conseguendo il brevetto di capo e il diritto di portare il distintivo del “ranocchio”, simbolo di questa “università scout”.

Nello scoutismo, tra gli insegnamenti di fondo (considerare proprio onore meritare fiducia, essere fedeli alla parola data, vivere lo spirito di servizio…), c’è anche quello di considerare la vita una bella avventura; quindi non lasciarsi intimorire e sopraffare dalle difficoltà e avere il coraggio di affrontare con fiducia e serenità ogni ostacolo credendo nelle proprie risorse.

Forse per questo Matteo Renzi, che da ragazzino ha fatto la promessa scout e da grande fu educatore, credo che affronti la “missione impossibile” come una bella avventura. Solo se non la pensasse così sarebbe da pazzi sognare e tentare di mettere in piedi questa povera Italietta che, oltre alla mafia, è tormentata da politici chiacchieroni e inconcludenti. Spero che gli vada bene, però ripeto che credo ci voglia del bel coraggio ad affrontare un’impresa del genere.

Nella mia vita fortunatamente non mi sono mai dovuto cimentare in imprese così impervie, comunque di gatte da pelare ne ho avute più di una. Voglio soffermarmi sull’ultima che, confesso, sto vivendo come un’autentica avventura. Il direttore di una delle associazioni del Polo Solidale del “don Vecchi”, che è una autentica “verigola”, perché quando si pone un obiettivo non molla mai l’osso, ha ottenuto, dopo un anno di insistenze, i generi alimentari in scadenza dei cinque supermercati Cadoro di Mestre.

A giorni si aggiungeranno anche quelli di Mogliano. Pur essendoci nel Polo Solidale un’altra associazione che fa un ottimo lavoro in questo settore e aiuta ogni settimana tremila poveri, per motivi particolari non è stato ancora possibile far confluire i generi alimentari della Cadoro in questa associazione. Quindi in circa una settimana fu giocoforza impegnarsi fino allo spasimo per avere un magazzino, un luogo per collocare il nuovo “spazio solidale”, per mettere in atto la catena del freddo, per acquistare un furgone per il ritiro dei generi alimentari, per trovare un certo numero di autisti ed un numero più abbondante di volontari per la distribuzione.

Comunque, dopo otto giorni, cioè il 17 febbraio, tutto fu pronto! Non so se per il senso di avventura appreso fra gli scout o per la disperazione, fatto sta che in otto giorni il “locomotore” ha cominciato a sbuffare e a girare.

Nei primi cinque giorni di ritiro e di distribuzione abbiamo accontentato ben 470 richieste di aiuto. Se si osa, nella vita talvolta può andar bene. Ora spero che pure Renzi, che è impegnato in questi giorni in un’avventura ben più importante, abbia lo stesso successo.

25.02.2014

Almeno Papa Francesco!

Da alcuni mesi vado seguendo le vicende di un nuovo dormitorio per senzatetto che il nostro Patriarca ha annunciato ormai da molto tempo.
Da quanto ho avuto modo di apprendere da “Gente Veneta” e pure dal “Gazzettino”, il nostro vescovo, prendendo coscienza che a Mestre vi sono decine e decine di senzatetto che dormono alla stazione, sotto il cavalcavia o sotto i portici di certi palazzi della città, quale segno di solidarietà e di conversione, in occasione dell’anno della fede appena conclusosi, ha deciso di dar vita ad un altro dormitorio.

La Caritas, che ha realizzato l’iniziativa, ha ottenuto, pur con una certa fatica a causa della contrarietà della municipalità di Marghera, un piano di una scuola dismessa, l’ha restaurato ed a giorni sarà inaugurato.

Io non posso che plaudire a questa iniziativa e quindi sono quanto mai felice che si siano superati gli ostacoli e si possa dare il via a questa struttura. Sono contento anche perché in questi ultimi trent’anni innumerevoli volte si era parlato di una mensa dei poveri nel vicariato di Marghera; io stesso, almeno tre volte, sono stato invitato, come “esperto” del settore, a tavole rotonde o a commissioni di studio in merito, l’ultima volta nella parrocchia di Catene per preparare volontari che dovevano gestire la mensa. Non se ne fece nulla.

Finalmente però “la montagna ha partorito il topolino!”. In spirito di fraterna collaborazione mi permetto di osservare che forse sarebbe stato opportuno un incontro tra gli “addetti ai lavori” per un coordinamento e per inserire la nuova struttura in un progetto globale (io sono per la realizzazione di un piano organico che si occupi della carità a Mestre). Pazienza, “cosa fatta capo ha!”.

Ma l’apertura di questo dormitorio con colazione mi pone almeno due “spinosi e tormentosi problemi”. Primo: la dedica di questo dormitorio per senzatetto a Papa Francesco mi sa un po’ di culto della personalità, che mai profuma di nobiltà e di disinteresse (ma questo, anche se fosse, è un “peccatuccio veniale”). Secondo: i giornali hanno annunciato con una certa enfasi che per l’inaugurazione è stato invitato il Segretario di Stato del Vaticano, il cardinal Parolin; praticamente il vicepapa!

Ma allora, quando il prossimo maggio, la Fondazione inaugurerà in quel degli Arzeroni una struttura tutta nuova, come stabile e come soluzione per gli anziani poveri in perdita di autonomia, con sessanta appartamentini, ambulatorio, palestra, parrucchiera, lavanderia e tantissimi spazi comuni, senza domandare un centesimo alla curia, chi mai dovremmo invitare? Fosse anche Papa Francesco è ancora poco!

Mi consolo perché penso che verrà lo stesso nostro Signore!

31.01.2014

La nostra piccola “cattedrale”

Domenica, prima della messa delle dieci, un fedele che puntualmente viene a visitare la sua amata Concetta Lina che riposa nel nostro camposanto, mi ha portato in sagrestia la raccolta degli articoli che in tempi ormai lontani scrivevo per “Il Gazzettino” e che la sua amata consorte aveva raccolto in una cartella.

Curioso di ricordare ciò che pensavo allora, presi un foglio a caso: era il “Diario di un prete” della fine del secolo scorso, un quarto di secolo fa. L’ho letto con curiosità ed ingordigia. M’è parso di prendere in mano una fotografia di quando ero giovane: freschezza, poesia, sogno, coraggio! Lo ricopio, nel desiderio che da un lato gli amici sappiano che c’è stato un tempo in cui non ero scontato, prolisso ed aggrovigliato come ora, e dall’altro lato perché non mi dispiace che la città venga a conoscere i protagonisti e le vicende che accompagnarono quella bella realtà che oggi a Mestre sono i Centri don Vecchi.

Spero che mi si perdoni questo soprassalto di nostalgia di tempi andati.

Domenica 9 settembre 1990

Qualche anno fa, assieme ai miei anziani, ho avuto modo di fare il giro della Toscana. Porto ancora nel cuore le dolcissime sensazioni di quei caldi paesaggi fatti di colline arate di fresco, di quegli orizzonti trapunti dal verde scuro dei cipressi, ora solitari, ora in fila come fraticelli oranti, di quelle cittadine raccolte, intime e belle di una bellezza pudica e gentile.

La Toscana è una terra benedetta dall’arte, dalle pietre e dalla parlata sonora, veloce e pungente.

C’e però un’emozione intensa che non potrò mai dimenticare anche se campassi, mill’anni. Un giorno dal cielo cupo, carico di odore di pioggia imminente, in un silenzio greve, sbucai quasi improvvisamente in quello spiazzo d’erba verde cui sono raccolti, come gioielli, la cattedrale, il battistero, il cimitero e la torre pendente: eravamo arrivati a Pisa!

Mi si mozzò il fiato, la gola mi si rinchiuse e a stento trattenni le lacrime. Non ho mai visto tanta bellezza in uno spazio così ristretto: il biancore dei marmi, l’armonia totale delle linee, maestà e dolcezza, bellezza e poesia, sogno e realtà. La cattedrale pisana e gli edifici che la circondano sono veramente l’apice di una cultura, la punta di diamante di un popolo colto e laborioso che seppe pregare Dio sommo con la pietra, gli archi, le colonne e la poesia. Ricordo come fosse un istante fa che in quel momento nell’ebbrezza di quella visione, mi dissi, quasi sognando: «Anche noi dobbiamo costruire la nostra cattedrale, testimonianza del nostro tempo, della nostra cultura e dei nostri ideali».

Il «don Vecchi», per cui solamente giovedì scorso il sindaco mi ha consegnato la concessione edilizia, sarà la nostra piccola cattedrale; sorgerà ai margini di un parco erboso, là dove le pietre si raccordano con la terra e il presente industriale tende la mano al passato agricolo.

La nostra piccola cattedrale nascerà con la fatica e l’intelligenza dell’intera città. Già le sue fondamenta sono state poste con il concorso di tutti: politici, amministratori, donne del popolo, vecchi, operai, preti, socialisti e democristiani, destra e sinistra. Come non ricordare l’assemblea dell’antica Società dei 300 Campi che decretò il dono del terreno, Cesare Campa che raccolse il consenso dei fieri e liberi cittadini di viale don Sturzo, il prosindaco Righi che con pazienza certosina pose le premesse legali per l’assegnazione del terreno, la scelta coraggiosa del socialista Pontel che ne propose in giunta l’assegnazione, la telefonata del sindaco Bergamo, che dopo una notte insonne a qualche ora dall’elezione mi disse «Non si preoccupi don Armarndo, gliela diamo la licenza», gli incontri agostani di Salvagno e di Pavarato che misero attorno ad un tavolo una turba di funzionari più desiderosi di legittime vacanze che di lavoro e le tessiture intelligenti e puntuali di Santoro e della Miraglia, la pazienza di Chinellato nello sfornare progetti su progetti, e le preghiere delle nonnette e gli incoraggiamenti dei parrocchiani fedeli ed «infedeli»?

Nelle fondamenta della piccola cattedrale che sorgerà ad onore di don Valentino Vecchi, il prete che sognò una città migliore e solidale, ci siamo tutti, proprio tutti, e tutti insieme abbiamo vinto: il comune e la parrocchia, la stampa e la preghiera, la poesia e la politica.

Se non riuscissi, a mettere neppure una pietra, sarei comunque contento perché un’intera città, una volta tanto, s’è trovata unita e concorde per progettare un qualcosa di nuovo e di più umano per i propri anziani.

don Armando Trevisiol

30.01.2014

Cadoro

Spero proprio che la crepa prodottasi nella diga che sembrava impenetrabile, stia felicemente aprendosi sotto la richiesta pressante delle persone che hanno a cuore la sorte dei concittadini in maggiore difficoltà a causa della crisi economica che imperversa nel nostro Paese.

Gesù ci aveva insegnato, già duemila anni fa, come fare per ottenere quello di cui il nostro mondo ha bisogno: “Bussate e vi sarà aperto, domandate e vi sarà dato…” Purtroppo noi siamo, sì, suoi discepoli, però non abbiamo imparato ancora molto dal nostro Maestro.

E’ risaputo ormai da venti, trent’anni, che gli ipermercati e le aziende che trattano i generi alimentari devono buttare una notevole quantità di cibo, pur essendo esso ancora perfettamente commestibile: questo a motivo delle norme attuali che ne proibiscono la vendita. I giornali infatti, periodicamente, denunciano questo scandalo.

Non è sempre per cattiveria che questi generi non sono messi a disposizione di chi ne ha bisogno, ma vengono buttati; spesso è l’organizzazione della distribuzione – che deve essere la più agile e la più economica possibile – che sconsiglia queste elargizioni perché diventano un costo per l’azienda.

Noi del Polo Solidale del “don Vecchi”, ne abbiamo parlato mille volte ed abbiamo fatto quanto mai pressione presso il Comune che avrebbe strumenti per risolvere il problema. Purtroppo il nostro Comune s’è dimostrato tanto insensibile a questo problema: preferisce preoccuparsi delle “grandi navi” piuttosto che dei poveri.

Comunque, tanto abbiamo fatto che prima il “discount di Noale”, più di un anno fa, ha cominciato a consegnarci questi prodotti, poi sono arrivate alcune pasticcerie, quindi, da due mesi, la “Despar”, ed ora finalmente la “Cadoro”.

Il signor Bagaggia, direttore di una delle associazioni di volontariato del “don Vecchi”, ha bussato per un intero anno alla porta della direzione di questa catena di ipermercati e finalmente la richiesta ha superato la muraglia burocratica ed è arrivata al signor Bovolato, nostro concittadino, proprietario dei magazzini della catena della “Cadoro”.

Abbiamo avuto un incontro in cui questo signore ha dimostrato una assoluta disponibilità, anzi entusiasmo nel poter collaborare a quest’opera di bene, Ora stiamo imbastendo un’organizzazione per il ritiro dei prodotti, impresa non facilissima perché almeno due volte al giorno per sei giorni la settimana i nostri volontari dovranno passare per tutti i cinque ipermercati per il ritiro dei prodotti alimentari.

Avremmo bisogno di almeno un’altra quindicina di volontari per il ritiro e la distribuzione. Comunque sono convinto che riusciremo a farcela pensando che il numero di giovani pensionati è davvero notevole. Ai pensieri vecchi se ne aggiungono di nuovi, però la soddisfazione di poter aiutare qualcuno che è in difficoltà è già una ricompensa più che sufficiente per continuare questa bella avventura.

29.01.2014