Preoccupazioni

Ho cominciato dalle medie a sentirmi ripetere che la storia è maestra della vita”, ma essendo la storia figlia della cronaca, pure la cronaca dovrebbe insegnare qualcosa a noi, gente del nostro tempo, così dovremmo imparare anche da questa una lezione di vita.

Mi rifaccio alle notizie che due o tre volte la settimana appaiono sul Gazzettino circa le manovre che si sono cominciate a fare per individuare quelli che dovranno governare il nostro Comune. Fin subito, dopo il fallimento dell’amministrazione Orsoni, che non è caduta solamente per l’incidente di percorso del sindaco, ma soprattutto per l’incapacità di chiudere il bilancio, ho pensato che per Venezia sarebbe una vera fortuna avere il commissario ancora almeno per due tre anni, per risistemare alla meno peggio questo carrozzone che fa acqua da tutte le parti, operando di bisturi per i tagli necessari perché il Comune possa sopravvivere per rendere più efficace la burocrazia elefantiaca che è diventata ormai un peso insopportabile per la città.

Qualche tempo fa, in occasione di uno dei tanti convegni perditempo per individuare le caratteristiche del nuovo sindaco, avevo auspicato che si puntasse su un imprenditore di successo il quale fosse il più lontano possibile dai partiti politici e che amministrasse con oculatezza, saggezza e decisione la grande azienda del Comune, che come tutte le aziende ha le sue entrate, ma anche le sue uscite, ma che come tutte le aziende serie deve far quadrare il bilancio, non deve avere esuberi di personale, deve eliminare gli sprechi, le spese inutili, deve poter licenziare i fannulloni, eliminare passaggi burocratici inutili, ma soprattutto non deve essere in balia dei sindacati e dei dipendenti.

Il sindacato non può continuare ad essere pagato dall’amministrazione, ma fatto da volontari oppure stipendiato dai suoi aderenti e deve agire collaborando, non ridursi ad un organismo pagato dai cittadini perché viva per piantar grane solamente.

I primi approcci dei quali ci ha informato la stampa, vanno esattamente nel senso opposto. Sono apparsi i nomi dei vecchi personaggi che non si sono mai misurati con la vita reale, ma sono cresciuti non dico all’interno dei singoli partiti, ma al seguito di certi capetti che per ottenere il potere sono disposti a tutto, perché non sono per nulla preoccupati del bene della comunità, ma soltanto dell’affermarsi della propria fazione.

Una volta ancora non mi resta che far mia la preghiera di don Zeno Saltini il quale si rivolse al Cielo con queste parole: “Angeli dalle trombe d’argento, suonate l’accolta di tutti gli uomini di buona volontà, voi che conoscete i nomi e gli indirizzi, perché si mettano assieme per servire il Paese e per non lasciarlo ancora una volta in mano ai parolai, ai ciarlatani e ai vendivento!”.

Il gap pastorale

Che il mondo giri più rapidamente che in passato è certamente un dato incontrovertibile. Io sono ancora sufficientemente lucido da capire che sono fuori corso ormai da molti anni.

Un paio di anni fa è venuta da me una nipote intelligente e preparata che lavora in un’azienda importante, mentre io stavo impaginando “L’Incontro”.

Ho detto certamente ai lettori che la catena di montaggio del nostro periodico è assai complessa, lenta e laboriosa. Ma che molto dipenda da me forse non l’ho fatto per la vergogna di mostrare quanto io sia “arretrato”.

Le cose vanno così: io scrivo i testi a mano con la biro, la signora Laura li corregge ed inserisce in computer, suor Teresa li traduce in striscioline pari ad una colonna ed io ancora ritaglio le striscioline, le incollo su fogli già predisposti, uguali alle pagine del giornale. Quindi i tecnici esperti riportano il tutto nel computer e preparano le pagine perché possano esser stampate.

Torno alla nipote che, vedendomi fare questa operazione, mi disse sorpresa: «Ma zio, perché non fai tutto questo direttamente col computer? Risparmieresti tanto tempo!» Ho capito che aveva perfettamente ragione, ma soprattutto ho capito che sono assolutamente superato e soprattutto in arretrato perché non so usare il computer, cosa che oggi è assolutamente imperdonabile.

La tecnica, la scienza e pure il pensiero e la cultura oggi procedono velocissime. Tutti criticano l’Italia perché non investe di più sulla ricerca, sull’aggiornamento e perciò si trova in arretrato, non regge al mercato e risulta terribilmente superata.

Se questo discorso è purtroppo vero per me, lo è ancor di più per quanto riguarda l’aggiornamento e lo sviluppo della pastorale per le parrocchie. In questo settore siamo ancora all’età della pietra. Sono poche le persone intelligenti che hanno colto che questo gap ci danneggia in maniera irrimediabile col passare del tempo.

Ritorno alla lettura del volume sulla vita di monsignor Valentino Vecchi di cui ho parlato nel diario dei giorni scorsi. Ho letto questa mattina che nel progetto che monsignore venticinque anni fa ha presentato al patriarca Urbani, lui prevedeva fra l’altro l’apertura di una piccola tipografia per la stampa dei cosiddetti “bollettini parrocchiali”, ove ogni parroco poteva disporre di uno spazio specifico per le attività della sua parrocchia, mentre altri sacerdoti e laici qualificati avrebbero, in maniera competente, fatto un discorso di formazione e di nuova evangelizzazione.

Questa operazione avrebbe offerto periodici personalizzati alla propria comunità specifica e, oltretutto, con discorsi seri e ben fatti. Se poi ogni parrocchia avesse mandato ogni settimana il periodico ad ogni famiglia, il discorso sulla nuova evangelizzazione avrebbe cominciato ad essere un discorso serio. Il progetto non è andato in porto. Ora, se ogni parrocchia continuerà a produrre bollettini parrocchiali vuoti e deludenti, i discorsi sulla nuova proposta del messaggio di Gesù rimarranno una assoluta chimera.

Evoluzione o involuzione pastorale?

Quando è uscito il volume di Paolo Fusco sulla vita e le opere di monsignor Valentino Vecchi e qualcuno me ne ha regalato una copia, vi diedi un’occhiata assai sfuggevole pensando “con lui sono vissuto così tanti anni, prima da studente e poi da cappellano, che non dovrei avere proprio nulla da scoprire di nuovo”. Così misi da parte il volume riproponendomi di leggerlo quando fossi stato un po’ più libero.

Il volume è uscito nel 2001, era il tempo in cui avevo presentato le dimissioni da parroco come esige il codice di diritto canonico. Poi ci fu un tiramolla perché il Patriarca e il suo vicario insistevano perché rimanessi ancora qualche anno avendo difficoltà a sostituirmi. Io allora ero pressato da due pensieri altrettanto gravi e angosciosi. Da una parte temevo che una comunità così complessa ed articolata finisse per implodere ed io dover assistere allo sfascio di una realtà che avevo tanto amato e per la quale mi ero veramente spremuto tutto. Dall’altra parte, essendo sempre stato un prete estremamente attento all’evoluzione così rapida del nostro tempo, temevo pure di non aver più la lucidità per interpretare i tempi nuovi e quindi di darne una risposta adeguata.

Comunque, nel trasloco da una “villa veneta” di parecchie centinaia di metri quadri, ad un quartierino di appena 49 metri, dovetti liberarmi di tutto quello che non mi era essenziale. Per i libri non potevo disporre che di un modesto armadio e perciò dovetti liberarmi di una biblioteca raccolta in cinquant’anni di vita e tra i tanti volumi ci fu anche quello sul mio vecchio maestro.

Me ne dispiacque, ma fortunatamente, proprio in questo ultimo tempo, me n’è stata donata un’altra copia che sto leggendo avidamente e con estremo interesse. In questi giorni sto rivedendo e pure scoprendo una documentazione di cui non ero in possesso e di cui non ero a conoscenza, circa il progetto pastorale cittadino che monsignor Vecchi propose al patriarca Urbani. Allora non se ne fece nulla perché Venezia, in tutte le sue articolazioni, ha sempre considerato Mestre come “una città di campagna” – come dicono, con un certo sussiego e sicumera i veneziani – ma ora sto constatando che c’è una involuzione ed una regressione veramente da far spavento da un punto di vista pastorale.

Il progetto di monsignor Vecchi, a più di un quarto di secolo, appare semplicemente avveniristico, mentre ora non solo non c’è progetto, ma neppure gli elementi base per poterlo sognare in futuro. Sto dicendomi: “Dove sono andati a finire l’AIMC, i Maestri cattolici, la Fuci, i Cappellani del lavoro, il Centro sportivo italiano, l’Associazione imprenditori, l’Azione Cattolica e tante altre realtà? Mi pare di dover constatare, con tanta amarezza, una involuzione quanto mai preoccupante.

Carità e solidarietà

Nota: come le altre, questa riflessione risale a svariate settimane fa.

L’altro ieri mi ha telefonato una giornalista de “La Nuova” per avere un parere sull’intervento sui questuanti del giovane parroco di Carpenedo, don Gianni Antoniazzi. Quello dei poveri è sempre stato un problema, ma ora con l’invasione dei poveri della Romania, della Moldavia, dell’Albania e di qualche altra nazione che se la passa male, il problema è diventato ancora più grave.

Per primo ha dato fiato alle trombe per segnalare il disagio che “l’azienda dei poveri” sta creando in città, don Fausto Bonini, il parroco dimissionario del duomo di San Lorenzo, denunciando l’invadenza e la prepotenza di questi giovani mendicanti che di certo fanno parte di un’organizzazione che li sfrutta. Ora sono pressoché scomparsi i poveri di casa nostra, rappresentati da persone minorate o in grave disagio mentale che la nostra società disinvolta, efficiente e spietata ha abbandonato sulla strada come “rifiuti di uomo”. Mentre è subentrato il “sindacato” dei poveri, organizzato, espertissimo in tutte le forme di mendicità che dall’insistenza giunge al ricatto e ad una certa “violenza”.

La stampa ha raccolto la presa di posizione, abbastanza insolita per un prete, e ne ha fatto oggetto di interesse pubblico. L’amministrazione comunale ha fatto le solite dichiarazioni fasulle e per nulla efficaci, e tutto continua come prima.

Il Comune, come sempre, se ne frega, specie ora che non ha più un sindaco. I vigili (mi dicono che Venezia abbia un esercito di quattrocento agenti) sono “impegnati” nei loro uffici e non gradiscono questo compito fastidioso che li costringe a lasciare le loro scrivanie e a stare per strada.

Come dicevo, il parroco di Carpenedo è intervenuto sul Gazzettino; la presa di posizione è rimbalzata da una pagina all’altra, ma penso che questi “poveri” abbiano capito che questi interventi assomigliano alle “grida” di manzoniana memoria, anche se non sanno che cosa siano “le grida”.

Dunque i giornalisti della “Nuova”, in costante ricerca di notizie, mi hanno telefonato, sapendo che sono uno dei pochi preti che tenta di avere idee piuttosto chiare e poi ha il coraggio di dirle pubblicamente.

Per quanto mi riguarda, mi rifaccio ancora una volta al pensiero di don Vecchi, mio maestro, che mi diceva: «Armando, se fai la carità ad un povero fai bene, se però questi soldi li destini ad una struttura per i poveri, ne aiuti molti e per molti anni, ma soprattutto risolvi i loro problemi». Non dimentico però il parere di una “Piccola sorella di Gesù” che, con discrezione, mi ricordava che anche un piccolo gesto è sempre un gesto di cortesia e di fraternità e perciò qualche spicciolo lo do ancora. Questo però lo faccio avendo alle spalle quattro associazioni di volontariato che ogni giorno dispensano vestiti, mobili, generi alimentari, frutta e verdura e che in un anno compiono quasi quarantamila interventi.

Non so però se le parrocchie e il Comune hanno un retroterra così solidale che conforti le loro coscienze.

Finalmente!

In questi giorni, con mia infinita sorpresa, un mio collega, un po’ più giovane di me, prima a voce, poi per iscritto, mi ha manifestato la sua ammirazione per il “diario” che io vado scrivendo da una vita ma che lui ha scoperto solo recentemente su “L’Incontro” e mi ha pure incoraggiato a continuare per il bene della Chiesa di Mestre. La sorpresa è stata ancora più grande perché, sempre nella sua missiva, mi ha confessato che in passato non aveva nei miei riguardi una posizione del tutto positiva. Riaffermo che sono stato veramente sorpreso perché mai, o quasi mai, un collega sacerdote mi ha confidato di leggere i miei scritti, anzi più di uno ha proibito nel tempo che “L’Incontro” fosse in distribuzione nella sua chiesa.

Talvolta sono andato in crisi al pensiero che i miei colleghi reputassero pericoloso per i loro fedeli il mio messaggio e la mia proposta cristiana, che per quanto la giudichi in maniera critica, si rifà, o vorrebbe rifarsi, totalmente al messaggio di Gesù. E’ vero che non sono preoccupato di usare una terminologia e delle riflessioni troppo attente di piacere ai capi, ma nella sostanza ho sempre cercato di proporre una Chiesa libera, povera, aperta al confronto ed estremamente convinta della validità del suo messaggio.

Aldilà di qualche espressione un po’ decisa, credo di non aver mai sfiorano i limiti dell’ortodossia, comunque mai intenzionalmente ho voluto farlo. In molte occasioni, invece, m’è venuto da pensare – ma questo non è di certo virtuoso da parte mia – che certi colleghi e soprattutto certi parroci, temessero il confronto tra il nostro periodico e il loro foglietto.

Un carissimo amico, cristiano convinto e coerente, al quale ho confidato che il foglietto del suo parroco – che è appunto uno di quei parroci che rifiutano il nostro periodico – è veramente inconsistente, anzi desolante, mi ha fatto osservare che ognuno ha le sue doti particolari e perciò si deve comprendere anche chi è meno dotato. Ho trovato saggia e valida questa osservazione, però da un lato rifiuto chi si comporta da despota, o peggio da satropo nel suo territorio e dall’altro lato penso che far spazio a chi ti può dare un aiuto e fargli una supplenza, sia non solo intelligente, ma anche virtuoso.

Comunque sono stato contento di incassare questa approvazione che spero mi faccia da contrappeso alle critiche e ai rifiuti di altri “confratelli”.

Deludenti come sempre

I cittadini più attenti alle problematiche della nostra comunità cittadina sanno, anche perché il nostro periodico “L’Incontro” ne ha parlato di frequente, che una volta inaugurato il “don Vecchi 5” per gli anziani poveri della città, la Fondazione Carpinetum dei Centri don Vecchi ha già presentato in Comune un progetto teso a dare risposta alle più gravi urgenze abitative.

E’ evidente che la Fondazione non può farsi carico di quello che è dovere specifico della civica amministrazione, ma cerca invece di creare cultura e sensibilità dando vita a soluzioni innovative che sia da un punto di vista sociale, che da quello economico, aprano la strada ad interventi più massicci da parte del Comune.

Finora la Fondazione s’è occupata in maniera specifica della domiciliarità degli anziani poveri, mettendo a disposizione della città quasi cinquecento alloggi a costi che nessun altro ente è finora riuscito a fare e con delle soluzioni a livello abitativo ed esistenziale quanto mai ottimali. Ora la Fondazione ha ritenuto opportuno impegnarsi anche su un altro versante, quello della criticità dell’alloggio per determinate categorie di cittadini, quali persone divorziate ridotte alla miseria per le conseguenze del fallimento della loro famiglia, disabili che sentono il bisogno di una vita indipendente, ragazzi che vorrebbero sposarsi ma non riescono a trovar casa e che hanno bisogno di essere aiutati nella fase iniziale della loro vita coniugale, lavoratori di altre città che dovendo risiedere a Mestre non riescono a pagare una pigione onerosa che impedisce loro di mandare i soldi alle loro famiglie lontane, persone che vengono a Mestre per assistere i loro cari degenti in ospedale, che non sono in grado di pagarsi una stanza in albergo, persone che si trovano provvisoriamente in grave urgenza di ottenere un alloggio ed altro ancora.

Il progetto è passato alla conferenza dei servizi alla quale una ventina di uffici interessati deve esprimere un parere. Un altro passaggio stabilito dai borbonici regolamenti comunali è il parere consultivo della municipalità.

Qualche giorno fa il nostro progetto è stato sottoposto a questo giudizio e la maggioranza ha avuto a che dire, ed in maniera pilatesca, per non dare un parere negativo che avrebbe esposto la municipalità al pubblico ludibrio, ha demandato il problema ad una commissione perché faccia una ulteriore indagine. I consiglieri della municipalità sono l’ultimo gradino dei politici, però pare che pure loro si comportino alla stessa stregua di quelli che sono le persone che nella nostra società riscuotono meno stima di qualsiasi categoria. E’ normale purtroppo che i falliti nella vita tentino di mettere i bastoni fra le ruote a chi ha buona volontà e capacità di fare. Ancora una volta la maggioranza dei consiglieri della municipalità di Mestre e Carpenedo non ha perso l’occasione per dimostrarsi quello che è. Mi auguro quindi che quanto prima venga abolito questo ente non solo inutile, ma dannoso.

La “cena” di Scaggiante

La comunità di San Giorgio di Chirignago ha giustamente deciso di onorare un suo concittadino quanto mai benemerito: Giovanni Scaggiante. La delegazione del gruppo culturale di quella parrocchia sta organizzando una grande mostra antologica della produzione artistica di un’intera vita di questo pittore e mi ha chiesto in prestito la decina di quadri che sono presenti nella nostra galleria che è collocata sulle infinite pareti dei corridoi e della grandi sale dei cinque Centri don Vecchi. E’ stato perfino troppo facile reperire queste opere perché sono quasi tutte concentrate nei Centri don Vecchi uno e due. Infatti a suo tempo si è proceduto alla catalogazione dei quadri presenti appunto nei primi due Centri.

Mi lega all’artista una lunga frequentazione ed un caldo rapporto di stima e di affetto perché Giovanni Scaggiante non è solamente uno dei maggiori pittori viventi della nostra città, ma è pure un gentiluomo dai tratti caldi e signorili ed un cristiano a tutto tondo. Sono quanto mai felice dell’iniziativa della sua comunità perché egli merita questo riconoscimento per la sua statura d’artista, ma pure per la nobiltà del suo animo quanto mai disponibile e generoso.

In una testimonianza che mi è stata richiesta dal comitato promotore di questa grande mostra antologica in cui saranno esposte più di un centinaio di sue opere, ho scritto che il solo dispiacere per me è di constatare che questa iniziativa non è stata promossa dal Comune o dalla Chiesa veneziana, perché molte sono le opere di carattere religioso di questo artista, e neppure dalla municipalità cittadina, ma soltanto dalla sua comunità.

Scaggiante merita molto e molto di più anche se sono informato che il comitato che promuove questa antologica sta facendo le cose veramente in grande.

La nostra galleria, ripeto, è felice di prestare questa decina di opere di valore, mi rammarico però che non riusciamo a portare a Chirignago l’opera più significativa e forse maggiore di Scaggiante che vent’anni fa gli ho “commissionato” a costo zero: “L’ultima cena oggi”, un’opera di notevoli dimensioni – quattro metri x due e mezzo, che ho collocato, come nei grandi monasteri del passato, nel refettorio del “don Vecchi” uno. L’opera è veramente notevole per l’armonia dell’insieme, per l’impasto dei colori, per la presenza di una trentina di personaggi e soprattutto per il messaggio. Penso proprio che la si possa accostare, pur in chiave attuale, alle grandi tele del Veronese.

L'”Ultima Cena” di Scaggiante ha dentro tutto il nostro mondo e l’evento della cena del commiato, del dono dell’Eucarestia e del testamento di Gesù: diventa un fatto attuale che coinvolge tutti e ci rende consapevoli che la Redenzione non appartiene al passato ma che è viva e presente anche per noi, oggi.

Poco noti

Io sono un grande ammiratore dell’AVAPO (Associazione Volontari Assistenza Pazienti Oncologici) perché essa offre alla città un servizio innovativo, in quanto rende possibile a chi è colpito dal cancro di rimanere a casa sua tra i suoi famigliari.

L’AVAPO poi svolge il suo servizio in maniera eccellente, tanto che le famiglie che hanno fruito o fruiscono di questo servizio, rimangono sempre riconoscenti ed ammirate. Inoltre ammiro e stimo tantissimo la presidente che è l’animatrice di questo folto gruppo di volontari, la dottoressa Stefania Bullo, una creatura minuta, una volitiva, intelligente e soprattutto una donna che ha scelto di donare tutto il suo tempo e tutto il suo cuore a questa associazione. Talvolta io l’ho definita la “pulzella d’Orleans”, la “Giovanna d’Arco” di Mestre, per il coraggio e la determinazione con cui porta avanti la sua “crociata”.

A riprova di questa ammirazione ho scritto più di una volta dell’AVAPO, ho accettato di esserne socio e di prestare, purtroppo solo a livello legale, il mio nome come direttore del periodico di questa associazione. Quando esce il periodico lo leggo con attenzione e mi prodigo, per quanto posso, per facilitarne la diffusione.

Mi sono dilungato di proposito a manifestare la mia ammirazione e la mia stima perché sono convinto che il gruppo di volontari dell’AVAPO sia uno dei gruppi di solidarietà tra i più seri, i più efficienti e più meritevoli a Mestre.

Ora non appaia minimamente come una critica, perché di critiche non ne ho minimamente da fare. Leggo sull’ultimo numero del periodico il risultato della campagna del cinque per mille dell’anno 2012 (lo Stato italiano è sempre più lento e ritardatario). E in quest’anno per l’AVAPO: ben 2558 concittadini hanno scelto questa associazione che avrà un contributo di 79.455,50 euro.

Non so ancora come è andata per la Fondazione Carpinetum dei Centri don Vecchi, ma sono assolutamente certo che sarà di gran lunga inferiore. E’ pur vero che la città ha finanziato in maniera splendida questa fondazione, tanto che sta realizzando delle opere veramente eccellenti per gli anziani poveri della città. Però ho la sensazione che noi del “don Vecchi” non siamo ancora riusciti a farci conoscere e stimare quanto forse sarebbe necessario.

In questi ultimi anni abbiamo tentato di martellare a tamburo battente le coscienze dei nostri cittadini circa il 5 x 1000, ma nonostante questi appelli ormai settimanali, i risultati sono ancora modesti. Credo che la stragrande maggioranza dei concittadini conosca pressappoco le nostre attività a favore degli anziani poveri, però abbia una conoscenza piuttosto nebulosa. I brillanti risultati dell’AVAPO spero che stimolino il consiglio di amministrazione della Fondazione a verificare il modo con cui possiamo presentarci e farci conoscere meglio dalla città.

Faticosa conversione

Mi pare di aver scritto un paio di settimane fa che il progetto per la nuova struttura per le urgenze abitative, che la stampa preferisce inserire sulla sequenza dei Centri don Vecchi dandole il numero sei – mentre essa non si occuperà di anziani – nell’iter burocratico ha dovuto passare all’esame della municipalità.

Il parlamentino del quartiere può dare un parere soltanto consultivo, però un po’ per darsi una certa importanza e un po’ perché i membri della sinistra hanno ancora nel loro Dna il peccato originale dei discendenti di Marx, Stalin e Togliatti, hanno avuto a che dire sul nuovo progetto. Se poi non fossero questi due motivi, probabilmente inciderà il complesso che nasce dal constatare che mentre loro chiacchierano sul bene dei meno abbienti, c’è invece chi parla meno e si dà da fare concretamente.

Questa discussione con le relative obiezioni e la trovata salomonica di domandare ad una commissione l’approfondimento della questione, mi ha mandato in bestia. Gente che invece di facilitare i cittadini di buona volontà che fanno quello che dovrebbero fare codesti amministratori, seppur di ultimo rango, invece mette loro i bastoni fra le ruote, è cosa che mi risulta assolutamente insopportabile.

Oggi la “Nuova Venezia” annuncia, in un articolo di sei colonne, che domani la municipalità voterà il progetto che poi passerà alla firma del commissario Zappalorto. Sono assolutamente certo che il progetto passerà. Se votassero contro sarebbe un boomerang a tutto loro danno.

Il presidente della commissione urbanistica municipale, Giacomo Millino, ha saggiamente affermato che questo progetto “è una risposta concreta della Fondazione Carpinetum che da decenni è attenta ai nuovi disagi della nostra città e si occupa stavolta di quella popolazione esclusa dagli interventi dei servizi sociali”. Mentre mi ha alquanto irritato la presa di posizione del delegato del PD Vincenzo Conte che ha affermato: «Non discuto minimamente la bontà di questo progetto. Anzi. Però faccio notare la velocità con cui gli uffici lo hanno approvato a scapito di altri interventi edilizi di privati cittadini.».

E’ persino inimmaginabile che un pubblico amministratore, anche se di infimo grado, critichi la “velocità”, che poi è una “velocità da lumaca” perché sono mesi che abbiamo presentato in Comune la richiesta di concessione edilizia. Comunque, invece di tallonare la burocrazia comunale eternamente lenta e invece di auspicare che gli interventi di ordine sociale abbiano un iter privilegiato, è stupefacente che trovi da dire per l’approvazione del progetto.

Mi auguro che il commissario Zappalorto, che non esce da una sede di partito, sia più saggio e determinato di chi è solito impostare ogni cosa con discorsi inconcludenti. Questi politici sono ben tardi “a convertirsi” alla concretezza e all’efficienza.

27.08.2014

Il pope dei moldavi

Qualche mattina fa mi ha raggiunto nella sagrestia della mia “cattedrale” il pope della chiesa ortodossa moldava. Già mi aveva contattato alcune settimane prima per chiedere il mio aiuto, cosa che ho fatto, però senza alcun risultato.

Questo pope (vengono chiamati pope i sacerdoti delle chiese ortodosse dei paesi dell’est, come pure quelli del medio oriente), è un giovanottone robusto ed aitante, con moglie ed una figlia, che si guadagna da vivere facendo l’autista, perché la sua Chiesa gli passa “coerentemente” con i magri stipendi della Moldavia, ben 50 euro al mese! Il problema di questo ministro del culto è quello di trovare un locale per le messe domenicali, il catechismo per i bambini e per tutto quello che attinge all’attività di una parrocchia. Attualmente celebra a Marghera in una stanza di 50 metri quadri che gli costa 200 euro di affitto al mese.

Nel primo incontro mi chiese se l’aiutavo a trovare un capannone a modico affitto che lui, con i suoi fedeli, avrebbe adattato a chiesa. Condividendo fino in fondo il motivo di questa richiesta, feci per due tre volte un appello su “L’Incontro”, senza però ottenere risposta alcuna. La nostra città è, lo si voglia o no, in posizione di diffidenza e di rifiuto nei riguardi degli extracomunitari, perfino per quel che riguarda le cose della religione.

L’altra mattina il pope è ritornato tutto speranzoso, avendo scoperto che la chiesetta falsogotica dell’ex ospedale Umberto Primo è stata lasciata in piedi. Perché non venga profanata le hanno murato la porta. Quella chiesa io la conosco assai bene perché è stata restaurata dal commendator Chiozza, il cittadino che più di 30 anni fa avrebbe costruito pure il nuovo ospedale di Mestre se i democristiani di sinistra, partito al quale pure Chiozza apparteneva, non gli avessero messo i bastoni fra le ruote per motivi di faide interne. La conosco bene perché vi ho celebrato tante volte quando mi fu chiesto di sostituire i padri camilliani come cappellano dell’ospedale.

Per venire incontro al pope il primo inghippo era di sapere se l’immobile apparteneva alla ULSS 12 o al Comune. Mandai il pope da Venturini della municipalità. Stamattina il sacerdote moldavo mi riferì che apparteneva al Comune e perciò mi chiedeva di dargli una mano per contattare il responsabile. Ora, col commissario, non saprei più a che santo rivolgermi. Avendo saputo che tra Mestre e Venezia i moldavi sono seimila, il gruppo etnico più numeroso, dapprima pensai che uno sciopero delle badanti moldave metterebbe in ginocchio le famiglie dei vecchi di tre quarti della città. Poi suggerii di far firmare una petizione da parte dei moldavi e dei preti mestrini in appoggio alla richiesta. Infine mi è venuto in mente di far stampare una lettera circolare e farla spedire da ogni singolo moldavo al commissario. Spero che questa “crociata” abbia un esito più positivo di quello per la conquista del Santo Sepolcro!

21.07.2014

Il nuovo “vescovo” di Mestre

Il Gazzettino ha pubblicato, senza troppo rilievo, la nomina di don Gianni Bernardi a parroco della più importante parrocchia di Mestre: il duomo di San Lorenzo. Questa nomina mi ha interessato molto di più di altre che sono state annunciate e già poste in atto durante questi ultimi mesi. Il motivo di questo interesse nasce dal fatto di esser vissuto e di aver esercitato il mio ministero sacerdotale per quasi una ventina d’anni in quella comunità parrocchiale in tempi particolarmente significativi, prima con monsignor Aldo Da Villa e poi con monsignor Valentino Vecchi, ai tempi della contestazione del sessantotto che impose alla Chiesa una verifica di fondo.

Posso affermare con tranquillità che se a qualcuno venisse in mente di scrivere la storia della Chiesa a Mestre, dagli anni cinquanta del secolo scorso ad oggi, dovrebbe scrivere soprattutto la storia della parrocchia di San Lorenzo perché è di certo l’unica realtà che ha dato un volto significativo alla vita cristiana a Mestre e che ha dialogato con la città e con le sue componenti civili. Questo è avvenuto indipendentemente dagli incarichi ufficiali che sono sempre stati piuttosto formali che reali, a motivo della forte personalità di Da Villa, di Vecchi e, ultimamente di Bonini. Ho sempre avuto la sensazione che la curia veneziana abbia avuto quasi un complesso di inferiorità nel trovarsi di fronte, specie per il passato, ma anche ora, una Chiesa mestrina giovane, aperta, consistente e intraprendente, mentre ove risiede il governo del Patriarcato c’è una situazione di stallo con aspetto sì supponente, ma in realtà vecchio, povero e infossato in una tradizione stanca e povera di vitalità.

In passato, forse intuendo questa situazione, s’è aggiunto al titolo di parroco di San Lorenzo, che la gente ha promosso in maniera autonoma, Duomo, qualche incarico, quale “delegato per la terraferma”. Queste “deleghe” sono state sempre piuttosto formali, forse temendo che una Chiesa, qual è quella di Mestre, numerosa almeno tre volte tanto quella insulare e più giovane di almeno due generazioni, finisse per “prevalere” sulla sede vescovile. Per questo motivo monsignor Vecchi, in tempi ormai lontani, s’era perfino pensato e mosso qualche passo perché ci fosse a Mestre una sede patriarcale, mettendo gli occhi su Villa Tivan, però poi non se ne fece nulla e le deleghe date al titolare del duomo si dimostrarono inconsistenti perché solo di facciata.

Don Fausto, che mi pare avesse solo la delega al dialogo con le autorità civili, pare che non si sia mai avvalso della nomina, ma in realtà si è imposto per la sua forte personalità e per aver offerto alla città un modello di parrocchia assolutamente valido, innovatore ed efficiente.

Mi auguro che il nuovo parroco del duomo, con deleghe o senza deleghe, sappia che comunque dovrà essere per Mestre almeno un “vice vescovo”, o comunque un sacerdote ed un parroco di riferimento per l’intera città e soprattutto per le altre parrocchie.

17.06.2014

“Gallerie gratis”

In questi giorni il ministro dei beni culturali, Franceschini, ha annunciato, con una certa enfasi, una serie di provvedimenti che facilitano l’accesso e la fruibilità di quell’immenso tesoro di opere d’arte che l’Italia possiede.

Io non ho una buona memoria, però mi pare di ricordare che per anziani, studenti e ragazzi l’ingresso a musei, gallerie d’arte e siti archeologici ed altro ancora, sia gratis e pure lo sia, una volta al mese, per tutta la cittadinanza.

Per Mestre il nostro ministro potrebbe essere anche maggiormente generoso, perché purtroppo non vi è alcuna struttura di questo genere, a meno che non sia considerato un bene paesaggistico lo scorrere lento delle acque fangose e maleodoranti dell’Osellino appena “scoperto” dall’intelligentia del nostro Comune, oppure non si voglia mostrare il progetto ultra zebrato del futuro museo.

Perché invece non offrire l’ingresso gratis nelle gallerie del “don Vecchi” nelle quali sono in mostra più di duemila opere di artisti contemporanei?

Pensavo ai provvedimenti di Franceschini mentre in questi giorni ho scelto i quadri con i quali arredare i corridoi e i soggiorni del “don Vecchi” degli Arzeroni. La nuova struttura degli Arzeroni offre già più di trecento opere di artisti, specialmente locali. Se per esempio uno vuol conoscere e godere del miglior Felisati, non ha che da visitare la galleria del “don Vecchi 2” che ne possiede ben cento. Felisati lo si trova anche al Centro don Vecchi di Marghera, ma soprattutto nel salone dell’ultimo “don Vecchi” agli Arzeroni. Al “cinque” sono esposti una ventina di paesaggi di Vittorio Felisati, incorniciati in maniera del tutto particolare ed innovativa, con larghe cornici nere che, appese alle pareti bianche della grande sala, offrono una visione quanto mai gradevole, valorizzando al massimo i colori vivi ed intensi del nostro artista concittadino.

Sono convinto che nessuna delle tante mostre organizzate per questo artista sia mai stata capace, come quella del “don Vecchi” degli Arzeroni, di offrire un Felisati così inebriante per gli scorci del nostro territorio che egli ha ritratto con grande maestria e per l’impasto di colori così vivi che “escono” quasi dal quadro e che s’impongono all’attenzione del visitatore.

Chi vuol conoscere l’arte contemporanea espressa dagli artisti del nostro territorio in questo ultimo mezzo secolo, non la può trovare se non nei Centri don Vecchi sulle pareti dei quali sono esposte, come dicevo, più di duemila opere, non tutte dello stesso pregio, però tutte capaci di documentare la produzione artistica degli artisti nati nel nostro tempo e nella nostra terra.

19.06.2014

Un terno al lotto!

Un proverbio afferma – credo, tutto sommato, giustamente – “cosa fatta capo ha!”.

Il “don Vecchi”, così come è stato realizzato, forse non è il top di come avevo sognato la nuova struttura per anziani in perdita di autonomia, comunque ora sono straconvinto che debba essere messo in funzione al più presto e che debba essere al completo egualmente il prima possibile.

Nell’intento dell’assessore Sernagiotto, ma anche nostro, questa struttura deve diventare un’esperienza pilota per dare risposta a quella grande fascia di anziani che non sono totalmente autosufficienti, ma contemporaneamente godono ancora di una certa autosufficienza.

La bozza di risposta che nacque immediatamente fu quella di una struttura adeguata alla non perfetta autonomia e doveva essere compendiata con un servizio offerto da un contributo della Regione, di gran lunga inferiore ai cento euro che l’ente pubblico o l’anziano devono versare alle strutture per anziani non autosufficienti.

C’è stata subito tra di noi discussione sul tipo di servizio possibile con i 25 euro promessi. Sennonché la velocità della realizzazione della struttura – 10 mesi – ha sparigliato le carte e noi ci siamo trovati, per motivi di costi, a dover introdurre gli anziani senza poter contare subito sul contributo promesso.

Inizialmente la cosa mi ha turbato alquanto e messo in ambascia. Ora però sono felice che sia avvenuto così perché la sperimentazione diventa più avanzata e più realistica per la nostra società. Infatti con poco più di 300 euro al mese, circa, offriamo un alloggio personale di quasi 30 metri quadri, comprensivo di bagno attrezzato, angolo cottura, grande terrazza; ed in aggiunta spazi immensi ed attrezzati perché gli anziani vivano in compagnia: servizio di portineria, lavanderia, parrucchiere ed ambulatorio per il medico di famiglia, palestra, parcheggi a volontà, verde pubblico, servizio di catering per il pranzo. Inoltre offriamo un servizio di monitoraggio costante, giorno e notte, e possibilità di poter utilizzare un servizio di assistenza condominiale (quindi a basso costo in quanto una sola assistente scelta secondo il proprio gradimento potrà badare a più anziani contemporaneamente).

Perciò sono convintissimo che con questo “pacchetto di offerte” ultraconvenienti possiamo sfidare qualsiasi altra struttura similare e possiamo inoltre ospitare anche anziani centenari purché siano coscienti, non allettati e non siano bisognosi di un presidio medico costante.

Le perplessità e le preoccupazioni non mancano finché la struttura non sarà a regime, però se l’anziano potrà contare, come è assolutamente doveroso, sulla presenza e l’aiuto della famiglia, anche chi “gode” della pensione minima, fruendo della “accompagnatoria” che gli è dovuta, potrà non pesare sulla famiglia, vivere una vita autonoma e in una “reggia” con tutti i confort e potrà scegliere a piacimento gli amici tra i 65 residenti. Ditemelo voi se questo non è un terno al lotto ed una vincita sicura al totocalcio!

18.06.2014

La vicenda del Casinò

Nota della redazione: come tutti gli articoli del blog, anche questo risale a diverse settimane fa, prima che esplodesse lo scandalo che ha coinvolto l’ormai ex Sindaco Orsoni.

Qualcuno si sorprenderà venendo a sapere che un vecchio prete come me è interessato alla vicenda che sta turbando i sonni di Orsoni, il sindaco di Venezia e mette in subbuglio ed in contrasto l’intero Consiglio Comunale, cioè quello della vendita del Casinò. Sia ben chiaro che non ho alcun interesse nei riguardi di questa “triste” azienda, però ritengo che ogni problema che interessa la comunità in cui vivo interpelli pure la mia coscienza.

Don Milani aveva fatto mettere ben in vista nelle stanze della sua canonica, che aveva adibito ad aule di scuola per i suoi ragazzi, un cartello con scritto “I care!” (mi interessa!); Gaber, il cantante anomalo le cui canzoni diventavano sempre messaggio o critica, affermava, col suo canto sempre graffiante: “Vivere è partecipare!”.

Mi pare che da più di un anno vada avanti sulla stampa veneziana la manfrina del Casinò: venderlo o non venderlo, come venderlo, a quanto venderlo, a chi venderlo. Non ho ben chiari i termini della questione, anche perché normalmente leggo il titolo e l’occhiello perché queste le considero “notizie di cronaca nera”, quindi disdegno di seguirle. Mi pare però di aver sommariamente capito che il Comune di Venezia, per tappare i buchi del suo bilancio disastroso, non solamente è costretto a vendere i “gioielli di famiglia”, ossia gli antichi palazzi che possiede, ma ora anche il Casinò che in passato versava nelle casse comunali fior di milioni.

Io ho sempre considerato il Casinò come una casa di malaffare; ricordo le truffe ricorrenti da parte dei croupier, le infinite beghe dei dipendenti superpagati, per le mance, gli scioperi proclamati dai sindacati, le eterne baruffe per la nomina dei dirigenti e, recentemente, non solo la diminuzione degli incassi, ma pure per i buchi nella gestione. Comunque, a parte tutto questo, che non depone di certo a favore del Casinò e del Comune, io ho sempre considerato il gioco d’azzardo e soprattutto chi lo promuove, come qualcosa di assolutamente immorale.

In passato, quando il Casinò rendeva (eccome!) provavo vergogna che la nostra città vivesse sulle spalle del vizio. Ricordo quando appena prete ai Gesuati, di primo mattino ho incontrato un imprenditore di mezza età, sfatto dalla stanchezza e dall’angoscia. Durante la notte s’era giocato persino la casa dove abitava e non aveva più il coraggio di tornare dai suoi. Dovetti dargli i soldi del biglietto del treno.

Il gioco d’azzardo è una truffa ignominiosa, sempre! Ma quando è gestito da un ente pubblico, come nel nostro caso, è un’infamia sociale, e prima il Comune se ne disfa, meglio è!

08.06.2014

La tariffa

Mi sono sempre domandato quale sia il motivo di un certo anticlericalismo quanto mai diffuso in Italia. Pare che in altri Paesi europei che hanno una storia pressoché simile alla nostra, non sia presente questo sentimento di diffidenza, di rifiuto e di sospetto come lo è tra la nostra gente, perfino in chi è vicino ai preti.

Spesso mi è capitato di sentire il frizzo, la battutina sospettosa che irride alla mentalità del sacerdote. Tra i non pochi motivi di critica penso vi sia anche quello che il sacerdote approfitta del proprio servizio per spillare denaro.

Ora che ho una certa età e che mi sono guadagnato con una vita intera una certa autorevolezza è molto, molto raro che mi sia rivolta una battutina sospettosa, però quando ero seminarista furono infinite le volte che ho sentito criticare i preti per l’attaccamento al denaro. Anche oggi la gente stima ed ama i preti che vivono poveramente. Questa critica però non è un vizio da recriminare ma una virtù che è di stimolo al prete ad esser coerente con la sua scelta.

A volte vi sono anche situazioni – e sono assolutamente convinto che si tratti di eccezioni piuttosto rare – nelle quali qualche prete presta un lato assolutamente scoperto a qualche critica più che legittima.

Qualche giorno fa un dipendente di una delle ormai numerose agenzie di pompe funebri di Mestre, mentre mi accompagnava a benedire una salma che si trovava nell’obitorio dell’Ospedale dell’Angelo, mi raccontava con un certo pizzico di sarcasmo, che un mio collega, del quale faceva nome e cognome e chiesa in cui esercita il suo ministero, si presenta immancabilmente all’addetto delle pompe funebri con una ricevuta di cento euro in mano e non inizia il rito funebre se prima non gli si è saldata la somma richiesta.

Penso che la notizia sia purtroppo vera, perché altre volte ho sentito accennare a questo comportamento. La cosa mi pare quanto mai perlomeno penosa e disdicevole.

Io al riguardo mi trovo in una situazione privilegiata perché la pensione di cui godo, come tutti i miei colleghi, vivendo al “don Vecchi” nel mio quartierino di 49 metri quadri, mi è sufficiente, anzi di soldi ne avanzo ogni mese; perciò quando ricevo un’offerta, la destino ai poveri. Però per aiutare la mia “categoria” a meritare più stima e alla mia gente di avere coscienza di come vengono destinate le loro eventuali offerte in occasione di un funerale, ho fatto stampare una busta e l’ho distribuita a tutte le agenzie della città. Riporto il testo, se mai qualche confratello voglia fare una scelta simile.

“In qualità di titolare della Chiesa del Cimitero di Mestre, dichiaro di essere sempre disposto a celebrare, a titolo gratuito, il commiato religioso dei defunti che hanno famiglie che si trovano in difficoltà economiche.
Informo invece chi desidera fare un’offerta in occasione del funerale del proprio caro scomparso per onorarne la memoria ed in suo suffragio, che ogni offerta sarà interamente devoluta alla Fondazione Carpinetum per mettere a disposizione nei Centri don Vecchi alloggi per anziani poveri della nostra Città. Avverto pure che nell’occasione del trigesimo e dell’anniversario della morte del defunto, ne farò memoria durante la Santa Messa, ed informerò per lettera i famigliari sul giorno e l’ora del suddetto suffragio”.

don Armando Trevisiol

Se poi qualcuno avesse qualche perplessità nel credere a quanto ho scritto, non ha altro che verificare le mie affermazioni presso la Fondazione dei Centri don Vecchi che sono i destinatari di tutte le offerte dei fedeli.

04.06.2014