La lezione degli oleandri del don Vecchi

Tre, quattro anni fa, un ipermercato, non so per quale motivo ci ha regalato quasi 200 piccole piante di oleandri. Eravamo d’estate, un’estate veramente torrida, nonostante ciò il vecchio Mario, piccolo imprenditore con una magra pensione che si era convertito al giardinaggio, si rese disponibile alla piantumazione.

Mi affidai a lui per piantare i piccoli oleandri lungo il viale che circonda il don Vecchi. Mario con l’aiuto di qualche “pazzo” come lui, fece le buche col piccone su quella terra arida, cretosa e da mattoni, le annaffiò abbondantemente col suo sudore.

Ogni giorno andavo a vedere se le piccole piante di oleandro continuavano a vivere nonostante l’arsura. Sopravvissero e pian piano presero perfino troppo vigore, tanto da diventare una barriera impenetrabile che nascondeva il prato e lo splendido filare di carpini.

Le tentammo tutte per ridurne la vegetazione, cimandole non fiorivano, lasciandole crescere turbavano il paesaggio. I pareri degli esperti poi erano divergenti tanto da non sapere più cosa fare!

Finchè avendo visto in via Pasqualigo un oleandro ridotto ad alberello, con una splendida chioma fiorita, decisi di abbracciare questa soluzione.

Fatica improba! Un camion di ramaglia ed un filare di alberelli gobbi e storti da non dire. Dovemmo ricorrere a dei tutori per farli stare in piedi.
L’esperimento è in corso e le speranze si alternano alle delusioni.

Ogni settimana debbo far togliere i germogli che crescono abbondantissimi vicino le radici. Talvolta guardando ai miei oleandri in via di addestramento, mi vengono in mente gli elefanti o i cani nei circhi che sono stati addestrati a camminare sulle due gambe posteriori. Quattro passetti e fatti male!

Finalmente ho capito che gli oleandri sono degli arbusti e tali devono rimanere! Il guaio è che li ho fatti piantare in una posizione sbagliata ed ora non so cosa fare!

L’avventura non è finita e non so proprio come andrà a finire, però ho finalmente capito una cosa: il buon Dio ha dato ad ogni essere capacità, risorse, leggi particolari e solamente osservandole ogni essere può dare il meglio di sé e senza troppa fatica. Leggi, regole, disposizioni, canoni, circolari, codici, provvedimenti vari che tendono ad imbrigliare gli uomini non fan altro che complicare la vita, renderla faticosa, stantia e difficile con risultati meno che scarsi! Se permettessimo ad ognuno di essere se stesso, collocandolo al posto giusto il mondo sarebbe veramente uno splendore!

Il dialogo e la conoscenza renderebbero la nostra vita più facile

Più di una volta avevo incontrato nei corridoi, spesso affollati del don Vecchi, due giovani, un ragazzo ed una ragazza che venivano a trovare i loro vecchi genitori, che un po’ come tutti gli anziani del don Vecchi, erano acciaccati e traballanti.

Io poi abito in un alloggio la cui porta si affaccia nel “corso” principale della struttura, una specie di corso del Popolo o di viale Garibaldi per i quali passa tantissima gente.
Si solito un cenno di saluto e nulla più.

Al don Vecchi siamo decine e decine di persone che ogni giorno transitano all’interno del “borgo”.

Spesso è gente frettolosa, che tornando dal lavoro dà un saluto al proprio vecchio o gli porta un po’ di provviste e poi torna sollecito alla sua famiglia o alle sue cose.

Gli addetti ai rapporti con i residenti mi avevano più di una volta informato che quei figlioli avevano molta attenzione per i loro vecchi genitori, li aiutavano nelle loro difficoltà, che non erano proprio poche.

Non sempre avviene tutto questo, però fortunatamente non è raro che dei figli abbiano, pure tra le tante incombenze della vita d’oggi, queste premure per i loro genitori.

Il babbo di questo giovane era ammalato da tempo, pareva che la situazione si fosse stabilizzata, senonchè, non so per quale motivo s’è rotto questo equilibrio precario, fu necessario il ricovero in ospedale e in pochi giorni egli è venuto a mancare.

Questi due figli sono venuti a trovarmi prima del funerale, hanno parlato quasi sempre loro. Nell’oretta che abbiamo passato insieme, come in un film ho preso conoscenza della vita di questa creatura e di questa famiglia.

Mi è stata tanto cara questa conversazione pacata, in cui ho preso conoscenza delle vicende di queste vite, con gli aspetti belli e quelli meno belli come avviene per tutti.

Quanto sarebbe opportuno che ci ritagliassimo degli spazi per il dialogo, per la confidenza, per l’incontro!

Se conoscessimo un po’ di più le nostre vicende, i nostri rapporti sarebbero certamente più caldi, più umani e più fraterni, li comprenderemo molto di più e forse ci daremmo meglio una mano a superare le difficoltà che non mancano mai.

Noi, uomini del nostro tempo, viviamo a stretto contatto di gomito, da mattina a sera con centinaia di uomini e donne, ma spesso, come afferma uno scrittore d’oriente “pare che tra noi e il prossimo che ci divide la muraglia cinese”.
Purtroppo ciò è vero!

Sono già felice che tra me e quei due ragazzi non ci sia più la muraglia, l’abbiamo abbattuta, come il muro di Berlino, soltanto con un’ora di confidenze!

Il Don Vecchi che sorprende

C’è una sorpresa per chi entra al don Vecchi per la prima volta che sorprende anche me quanto mai!

La gran parte dei nostri concittadini han sentito parlare del don Vecchi, da un lato perché stampa e televisione ne parlano di frequente per un motivo o per un altro, d’altra parte noi che vi abitiamo siamo più di trecento e ognuno di noi abbiamo parenti, amici e conoscenti, motivo per cui la fama è assai diffusa, però non bene e fedelmente diffusa. Tutti più o meno, purtroppo, la ritengono una casa di riposo, magari particolare, ma sempre una casa di riposo!

I pochi concittadini che varcano la soglia del Centro si sorprendono per la signorilità, i quadri, i mobili, l’ordine, la pulizia ecc.

E’ triste dirlo, ma il clichè delle case di riposo è abbastanza squallido, mentre noi abbiamo scelto per convinzione profonda che “i poveri sono i nostri padroni”, come diceva San Vincenzo De Paoli, perciò anche la loro dimora deve essere nobile e signorile, tutto questo è possibile!

Abbiamo appena presentato in Comune la richiesta di concessione edilizia per Campalto, ma già da tempo stiamo raccogliendo quadri e mobili perché anche a Campalto ci sia, per i futuri residenti dei quali non conosciamo ancora i nomi ed i volti, un ambiente accogliente signorile del quale non solamente non abbiano da vergognarsi, ma invece andarne orgogliosi. Mi pare sia un apostolo o comunque è certamente un personaggio autorevole che afferma che il bene va fatto bene!

Finchè avrò forza e respiro non sono disposto a tollerare, sciatteria, disordine, cattivo gusto né nell’ambiente né in chi vi abita, anche se ha cent’anni e mille acciacchi!

Quante storie sarebbe importante conoscere!

Al don Vecchi vive più di un bel pezzo da novanta ed oltre. Non tutti sono ugualmente efficienti, ma qualcuno brilla veramente per lucidità e saggezza.

In quest’ultimo tempo ho avuto modo di approfondire maggiormente la conoscenza e la stima verso un mio coinquilino, con cui non avevo avuto finora un rapporto approfondito. E’ stata veramente una bella sorpresa apprendere ciò che ci stava sotto il comportamento corretto e riservato di questo vecchio signore d’altri tempi.

Il suo ricovero in ospedale, prima per un incidente d’auto e la visita in casa sua, dopo i postumi dell’incidente, mi dettero modo di conoscere in maniera più approfondita non solamente la calda umanità, la lucidissima intelligenza, che lo sorregge ottimamente, ma anche le vicissitudini che hanno caratterizzato il suo lungo passato.

Il signor Manzella, che all’apparenza sembra un tranquillo e nobile signore del Centro sud, ha un passato vivace ed intenso, infatti ha partecipato, da protagonista, alla guerra sui mari dell’ultimo conflitto mondiale.

Ufficiale di complemento ha conosciuto direttamente le vicende epiche delle squadriglie di sommergibilisti che hanno operato nell’Adriatico, nell’Oceano Atlantico e perfino nel lontanissimo Oceano Pacifico.

E’ stato per me interessante ascoltare il racconto appassionato di questo vecchio lupo di mare che narrava con sapienza e distacco vicende così tragiche e disumane.

In questi ultimi tempi, tante volte mi è venuto da pensare: “Noi vediamo spesso volti stanchi e logori, ma dietro quei volti quante vicende, quanti drammi e quante storie che rimangono coperte da un velo di riservatezza, se si permettesse che venissero a galla scopriremmo la calda umanità di uomini e donne che hanno rischiato, sofferto e lottato e che meritano tutta l’attenzione, la stima e la riconoscenza dell’intera comunità.

Oltre il punto di non ritorno per tanti progetti importanti

Quasi tutto è realizzabile, però bisogna essere disposti a pagare dei prezzi tanto più consistenti quanto sono più importanti i progetti che si perseguono.

Pare finalmente che sia sul binario giusto il progetto della Casa di accoglienza per familiari che vengono da lontano per assistere i loro congiunti ospiti nell’ospedale dell’Angelo. Ormai i giornali della città parlano sempre più di frequente e sempre più nei particolari della struttura per la cura dei tumori mediante i protoni.

Il “Samaritano” è come la barchetta legata a questo transatlantico; quanto grande, come verrà realizzato, chi lo gestirà, sono elementi ancora avvolti nel mistero, però pare che in due-tre anni s’arriverà in porto.

Quante pressioni, quante varianti, quante delusioni, quante arrabbiature… spero che non ci siano ancora aumenti di prezzo!

Per il don Vecchi di Campalto, con infinite modifiche, preoccupazioni, telefonate, suppliche pare che ormai siamo prossimi al fischio di partenza.

Non tutto è ancora risolto, ma mi pare che ormai si sia superato il limite di non ritorno!

Per la chiesa del cimitero si è passati dal monumento alla baracca, dalla cattedrale al prefabbricato, comunque per novembre e quindi per l’inverno i fedeli potranno pregare al riparo della pioggia e al caldo.

Già amo appassionatamente la “mia nuova chiesa in grembiule” la chiesa povera per la gente che crede e va al sodo!

Per i generi alimentari le cose vanno ancora meglio. Con tanta fatica e buona volontà abbiamo messo su una struttura d’avanguardia, con una catena del freddo invidiabile, con un corpo di operatori affidati ed efficienti.

Spero soltanto che l’assessore Bortollussi dia l’ultimo tocco e ci dia la possibilità di “raccogliere evangelicamente gli avanzi” del miracolo della moltiplicazione dei pani! (don Armando ha scritto questo appunto prima che la cosa si compiesse, NdR)

Costi? Notti insonni, blandizie ai giornalisti, telefonate agli amici, pazienza, costanza, faccia tosta e fiducia nella parola di Cristo “A chi batte sarà aperto, a chi domanda sarà dato!”

Però quando il bimbo è nato, la mamma dimentica le doglie ed è felice!
Così è per me!

Una meta che voglio raggiungere!

Sono stato dal cardiologo, una valente e cara persona, che segue le vicende del mio vecchio cuore come se la cosa lo riguardasse personalmente. Sono stato contento del responso e molto e molto più contento dell’incontro.

Mi fa bene dialogare con questo illustre professionista che, con tono pacato e sicurezza professionale, dosa le medicine in modo che il cuore faccia la sua funzione con regolarità nonostante l’usura degli anni.

Le decisioni, che assieme al consiglio di amministrazione, sto prendendo sono abbastanza serie e perciò sono preoccupato di essere nelle condizioni di assolvere nel prossimo futuro, agli impegni che amerei non dovessero gravare poi su altri.

Quando uno è convinto della validità di un progetto trova sempre il coraggio di affrontare tutte le difficoltà che incontra sulla strada del suo realizzo, mentre diventa assai più difficile e gravoso portare il peso di progetti non condivisi o comunque non presi personalmente.

Io non ho alcuno dubbio sulla validità di offrire alla nostra città trecento alloggi protetti in cui altrettanti anziani in difficoltà economiche nel naturale avvicendamento, possono fruire per almeno i prossimi cent’anni, senza pesare su alcuno e così trascorrere gli ultimi anni della vita con dignità ed in autonomia.

Ed ho ancora meno dubbi che la chiesa locale debba aprire questa strada, dar testimonianza di questa attenzione, farsi carico di questa nuova povertà, se non vuol ridursi ad essere chiesa da sagrestia!

Per questo spero che il Signore, avvalendosi dei nostri medici, mi permetta di portare a termine questo obiettivo senza doverlo caricare sulle spalle di chi non sente queste mie convinzioni o che comunque non abbia intrapreso questa strada.

Nel cuor mio sto cedendo a tutti quelli che mi aiutano, direttamente o indirettamente, una porzione di “azioni”, da presentare all’incasso, a suo tempo, presso San Pietro, pur ché il don Vecchi di Campalto sia realizzato!

M’importa poco se il mio “patrimonio” sia ridotto, tanto io sono sempre stato favorevole ad un azionariato popolare!

Bisogna avere più fiducia nella testa e nel cuore che nelle carte!

Ho avuto un lungo colloquio col responsabile di “obiettivo lavoro” l’ente che, a nome del Comune, fornisce ore di assistenza agli anziani poveri e in difficoltà, in rapporto al loro deficit e ai mezzi economici di cui dispongono loro e il Comune.

Mi rendo perfettamente conto che è ben difficile fornire un’assistente familiare proprio nel momento più necessario per i barcollanti residenti al don Vecchi.

Fatalmente “Obbiettivo lavoro” seguendo i protocolli distribuisce un’ora o due di assistenza fissando il giorno e l’ora in rapporto ad una infinità di elementi.

Capita quindi che l’assistente inviata impieghi mezz’ora per il trasferimento ed arrivi proprio nel momento che l’anziano dorme o non sa proprio cosa farsene dell’aiuto offerto.

La fatica quindi nello spiegare che se potessimo noi, pur usando del tempo fissato dall’assistente sociale del Comune, gestire direttamente l’operatrice familiare, abbatteremmo così i tempi morti, faremmo fare gli interventi nel tempo debito.

Si tratterebbe quindi di non modificare sostanzialmente il contributo del Comune, ma di gestirlo in maniera intelligente ed opportuna.

Pare che ci siamo capiti ed abbiamo concordato sulla linea dell’intervento. Ora si tratta di adottare o meglio ancora di interpretare ed applicare le norme che sono state studiate in maniera valida, ma vanno applicate con intelligenza nelle situazioni concrete.

Pensavo stamattina a San Paolo, quando duemila anni fa ha affermato che “la lettera uccide, mentre lo spirito vivifica”

Solamente la disponibilità al discorso dell’altro, il coraggio di assumersi una qualche responsabilità, l’amore all’uomo reale, risolvono i problemi, ma allora ci vuole più fiducia nella testa e nel cuore piuttosto che il garantirsi dietro le carte che spesso documentano stupidità e disinteresse!

L’Italietta che ci danno i nostri politici

Una delle tante utopie che sto inseguendo è quella ambiziosa e quanto mai ardua di permettere agli anziani che godono della pensione minima (516 euro mensili), e non sono pochi gli anziani al don Vecchi in queste condizioni, di poter vivere decorosamente senza mendicare presso i loro figli quel denaro necessario ad arrivare a fine mese.

Già scrissi di un’anziana signora, mia coinquilina da qualche mese, che andò a servizio presso una signora di Venezia a otto anni di età ed ha continuato a servire fino agli ottantatre anni, tempo in cui è stata accolta al don Vecchi; ebbene questa anziana signora per i suoi 75 anni di lavoro percepisce 710 euro.

Come volete che io abbia rispetto per il nostro Stato, per il Senato, per il Parlamento e per l’intera classe politica e sindacale quando avvengono cose del genere?

Tornando all’utopia, mettendo in atto tutti gli stratagemmi possibili e inimmaginabili (lo spaccio della frutta e verdura, il banco alimentare, e l’attenzione che non avvengano sprechi anche minimi), faccio pagare affitti che talvolta non raggiungono neanche i 100 euro, finora pare che i nostri anziani ce la facciano!

Certamente non possono andare in vacanza a Cortina e debbono vestire ai magazzini S. Martino! Se non che ogni tanto a qualcuno capita la “grandinata” allora sono guai!

L’altro giorno sempre una mia compagna di ventura, dovette farsi levare un dente, non ne poteva più dai dolori. Mi confessò, pur riconoscente quanto mai al nostro dentista che fa sconti impossibili e poi dona al don Vecchi quel poco che percepisce, togliere un dente le è costato 200 euro, se avesse applicato la tariffa sarebbe costato 300-350 euro. Allora da cittadino informato le dissi: “perché non è andata alla ULSS?”.

E lei prontissima: “Avrei dovuto portarmi il mio mal di denti per sei mesi!”

Questa è l’Italietta che i politici, che qualche giorno fa abbiamo votato, ricambiano per la fiducia che abbiamo riposto in loro.

Finché le cose non cambiano non sarò certamente fiero nè per le ville di Berlusconi nè per il veliero di D’Alema ed altrettanto per gli stipendi dell’intero apparato dello Stato Italiano!

Canti liturgici a un Dio sorridente

Una sera, alla messa vespertina, la signora Maria Giovanna, la maestra del coro S. Cecilia che anima le liturgie prefestive al don Vecchi, ha intonato una nuova canzone. Diciamo nuova perché non è mai stata eseguita alla messa degli anziani, ma che ha aperto praticamente la primavera del rinnovamento dei canti religiosi, una stagione fresca e luminosa che chiudeva quella di “Noi vogliam Dio Vergine Maria”.

Gli anziani hanno eseguito il canto senza accentuare il ritmo, con cui i ragazzi per tanti anni hanno cantato questa canzone, ma comunque la cadenza veloce ha portato un soffio di primavera e di ottimismo. A me poi “Lui mi ha dato” non soltanto mi ha donato una ventata di entusiasmo, ma anche un’ondata di dolci ricordi e di tanta nostalgia.

La prima volta che udii questa canzone, accompagnata dal ritmo della chitarra, fu durante una S. Messa celebrata nel grande prato di Valbona a Misurina, sotto un cielo limpido in quella stupenda vallata circondata da una abetaia sconfinata.

Attorno all’altare cantavano con voci fresche e sorridenti una cinquantina di ragazzi, cantavano con le loro voci squillanti di giovinezza ma cantavano anche il corpo, gli occhi, i piedi che segnavano il tempo.

Ricordo con infinita gioia che mentre i ragazzi cantavano: “Non so proprio come far per ringraziare il mio Signor, mi ha dato i cieli da guardar e tanta gioia dentro il cuor” e poi ricaricavano la voce e l’entusiasmo con il ritornello: “Lui mi ha dato i cieli da guardar, Lui mi ha dato la bocca per cantar, Lui mi ha dato il mondo per amar e tanta gioia entro il cuor” avevo la dolce sensazione che la chiesa avesse riscoperto la vita, il mondo vero e interpretasse la gioia del vivere, di contare su un Dio sorridente, accomodante, non quello musone, riservato e taciturno che mi avevano presentato al catechismo.

Sono passati quarant’anni, non tutto il sogno s’è avverato, ma almeno per qualcuno finalmente la chiesa s’è sintonizzata al passo delle attese degli uomini d’oggi!

I doveri di un capo

Un tempo mi è capitato di leggere uno di quei pezzi brillanti, mediante cui, con un dosaggio attento ed appropriato di parole, si definisce un problema o una persona.

Sono pezzi che poi cominciano a girare specie tra i periodici di ispirazione religiosa e vengono ripresi da una rivista ad un’altra, tanto da diventare abbastanza noti.

Chi, a proposito, non ha mai letto il pezzo, ormai famoso sul “sorriso” o quello di quell’autore, dell’America latina, in cui il protagonista descritto si lagna con Dio perché nel momento del maggior bisogno non ha scorto le tracce di Cristo accanto alle sue e la risposta di Gesù: “le tracce che hai visto erano quelle dei miei piedi, le tue non c’erano perché in quel momento ti portavo in braccio!”.

Un tempo ho letto uno di questi pezzi sulle qualità del capo. Era un pezzo un po’ ironico: “il capo non dorme, ma pensa, il capo si sacrifica sempre per gli altri, il capo non cura i suoi interessi, ma quelli dei dipendenti e via di questo genere!” Fosse vero!

Mi piacerebbe essere capace di scrivere qualcosa di questo genere, sui doveri del capo: “Il capo deve decidere, il capo deve assumersi sempre la responsabilità, il capo non deve nascondersi dietro la decisione del consiglio. Il capo deve chiamare fannullone chi è tale, il capo deve combattere decisamente l’egoismo, l’arroganza, le azioni dei furbetti. Il capo deve impedire agli ingordi di approfittare delle situazioni favorevoli, il capo non deve favorire i privilegi, il capo deve avere il coraggio di essere impopolare, di ricordare a chi è favorito dalla società di ricordarsi di chi sfortunatamente non gode di suddetti privilegi. Il capo deve tener conto di non favorire alcuni a scapito di altri, ecc..”

Mi piacerebbe saper scrivere bene cose del genere per ricordarmi dei miei doveri, e per ricordare a quel piccolo popolo di privilegiati, tra cui vivo, che anche gli altri vecchi hanno diritto d’essere aiutati e non soltanto loro! Purtroppo anche il don Vecchi non è composto soltanto di anziani santi, ma ci sono anche i peccatori che il capo ha il dovere di mettere in riga!

L’autogestione al don Vecchi Marghera

Il dottor Piergiorgio Coin era un grande amico di monsignor Vecchi, spesso lo veniva a trovare e talvolta si fermava a mangiare con noi. Monsignore non aveva complessi, anche se per pranzo avessimo avuto aringhe lesse, invitava come se si fosse preparato un pranzo di gala per l’illustre ospite. Al dottor Coin, che in quel momento era al massimo della sua azienda, piaceva offrire lezioni nel settore di cui si occupava.

Ricordo una di queste lezioni, che nel tempo ho verificato quanto saggia fosse. Ci disse che quando un’azienda ha più di un certo numero di addetti ai servizi, finiscono di darsi lavoro uno con l’altro e perciò di pesare piuttosto che rendere.

Io ho sviluppato ulteriormente questa teoria, arrivando alla conclusione che se una azienda non ha alcun dipendente, lavora meglio e costa meno.

Al Centro don Vecchi di Marghera, ho applicato integralmente la teoria che il dottor Coin ha appreso in America e che io ho sviluppato in Italia.

I residenti a Marghera, sono circa una settantina, e sono quasi tutti coinvolti nella gestione.

Al mattino tengono la portineria ed il telefono gli uomini, al pomeriggio le donne, il taglio dell’erba è fatto in proprio, la cura delle rose e delle piante interne ed esterne è curata dai residenti, la preparazione per il pranzo, la sparecchiatura avviene sempre in autogestione.
In una parola solamente gli invalidi sono dispensati dal servizio.

Il lavoro fa bene, aguzza l’ingegno, tiene viva l’intelligenza e in allenamento il corpo, rende corresponsabili e costa niente. Allora perché spendere per prendere bili, per vedere le cose mal fatte e per sprecare denaro?

Credo che siamo già un passo più avanti di Brunetta!

Una riunione di condominio costruttiva

In questi giorni abbiamo fatto, al don Vecchi, la riunione di condominio, riunione in cui l’amministratore ha presentato il bilancio e in cui si sono discusse le varie questioni riguardanti “la vita condominiale”.

Ricordo che da parroco prestavo le sale del patronato per suddette riunioni per le quali, quasi sempre, si facevano le ore piccole, e spesso si terminava con gran baruffe.

Da noi le cose sono molto più veloci e soprattutto molto più civili, ma non mancano anche da noi le difficoltà. Alcuni residenti hanno pensioni così risicate motivo per cui anche un modesto conguaglio crea problemi, altri sono così attaccati ai soldi (questa è una tipica tentazioni da vecchi), motivo per cui tutto sembra tanto anche se infinitamente inferiore di quanto pagherebbero in qualsiasi altro alloggio. Altri inquilini sono talmente pressati dalle richieste dei figli tanto che sono sempre a corto di soldi. Purtroppo a questo mondo non mancano mai problemi, difficoltà ed incomprensioni, anche nelle migliori famiglie.

In questa occasione mi sono ricordato che un giorno fui fermato da un vigile perché aveva constatato che ero passato per il centro del Paese ad una velocità superiore al consentito. Suddetto vigile mi fermò e mi disse: “Reverendo ho un problema di convenienza su cui vorrei sentire il suo parere. Dovrei secondo lei, multare o no, un autista che ha infranto la legge correndo troppo veloce?”
Evidentemente si riferiva a me.

Io chiesi perciò all’assemblea degli anziani: “Datemi un parere, ci sono cento anziani che mi chiedono di aiutarli per avere un alloggio a prezzi accessibili per le loro magre finanze. Secondo voi è opportuno che suddetti alloggi, a condizioni estremamente favorevoli li dia solamente a cinquanta lasciando a bocca asciutta gli altri cinquanta, o è più giusto che aiuti tutti i cento però ponendo una pigione superiore di quanto potrei fare aiutandone solo cinquanta?”

Dapprima parve che non capissero o peggio che non volessero capire! Conclusi: “Ricordatevi che voi appartenete ai cinquanta super aiutati, mentre gli altri cinquanta che rimangono sono fuori che aspettano!”

Spero che il discorsetto abbia posto un paletto al peccato di egoismo da cui non vanno esenti neppure gli anziani del don Vecchi!

Voglio far rifiorire il deserto!

Al don Vecchi non si è mai fatta una gara a premi, come avviene, per motivi turistici, in qualche cittadina delle nostre Alpi e come mi pare che talvolta si sia fatto anche in qualche sestiere di Venezia.

Ormai è tardi, ma se campo ancora un poco, vorrei bandire per il prossimo anno un concorso per il pergolo più fiorito tra gli abitanti del nostro borgo, che conta ben 194 abitazioni con relativi poggioli.

Ogni tanto percorro la circonvallazione esterna del don Vecchi; ora butto un occhio sulle “pietre del cuore” che lastricano la viuzza della larghezza di due metri e dico un’Ave Maria per tutti coloro che hanno contribuito alla costruzione della nostra casa ed hanno lasciato il loro nome inciso ad Impruneta sul cotto con cui è lastricato questo chilometro di circonvallazione.

Ora giro gli occhi per godere della schiera multicolore degli oleandri in fiore. Ora mi fermo di fronte ai due possenti olivi pluricentenari che si sono adattati meravigliosamente al nostro parco e vivono felici, vecchi tra vecchi. Ora accarezzo con lo sguardo il campo sempre rasato a dovere da parte di Gregory, o spingo lo sguardo alla possente barriera di carpini che ondeggiano dolcemente anche alla brezza più lieve.

Talvolta mi soffermo a coniugare i terrazzini con i residenti negli appartamenti relativi.

Vi sono alcune verande che sono un tripudio di colori, altre un coktail di piante diverse, altre ancora solamente cemento. Guardando i fiori dai terrazzi incornicio la vita e la sensibilità dei vari residenti: poesia, sentimento, disinteresse o aridità umana!

Pare che ci sia poco da fare per educare al bello vecchie vite condizionate in maniera irrimediabile dal passato non sempre bello!

Se Dio mi darà vita, il prossimo anno, tenterò anche la carta del concorso a premi per il balcone fiorito più bello, sperando che la trovata faccia fiorire il deserto!

I miei due “uomini della Provvidenza”

Parlare di uomini della Provvidenza è certamente pericoloso, dati i nefasti precedenti storici. Ma non è sempre così, specie quando uno non parla a suo vantaggio, ma l’adopera a favore di qualche altro.

Io veramente non sono mai stato troppo preoccupato di questi luoghi comuni messi in circolazione o dalla stupidità di chi li ha affermati per autoincensarsi o dagli avversari per demonizzare chi li aveva contrastati.

Gli uomini, che la Provvidenza ha avuto la generosità di farmi conoscere e di affiancarli ai miei progetti, sono persone per bene senza grilli in testa e soprattutto disposti a servire i fratelli con tanta generosità e spirito di sacrificio.

Al don Vecchi di Marghera, il buon Dio mi ha donato non uno, ma due “uomini della Provvidenza!”

Come tali li ho ricevuti dalle mani del Signore ed ogni giorno di più li considero una grazia. In spirito di umiltà e di servizio hanno iniziato la loro missione di condurre avanti la comunità di una settantina di anziani, provenienti da ogni dove, per farne diventare una realtà di amici e fratelli.

A scrivere tutto ciò è facile, ma a realizzare un progetto con gente dalle esperienze, cultura e vicende tanto diverse non è proprio così semplice.

Qualche giorno fa, avvertendo la mia preoccupazione per Campalto, perchè è molto più facile trovare chi costruisce i muri piuttosto che le comunità, questi “uomini della Provvidenza”, con spirito evangelico mi hanno proposto: “Aiutiamo qualcuno a formarsi a Marghera e noi ci spostiamo a Campalto quando sarà pronto!”

Sono rimasto veramente folgorato dalla proposta. Ed io, povero vecchio, da mesi mi sono lambiccato il cervello per trovare una soluzione!

Lino e Stefano hanno dimostrato che una forma di autogestione guidata è la conduzione ideale del don Vecchi!

A Campalto sarà così e anche a Carpenedo pian piano imboccheremo la strada ormai aperta e collaudata!

Anche i vecchi cambiano, a volte in peggio

Ogni tanto mi capita di leggere dei pezzi particolarmente felici, scritti da autori più vari, pezzi talmente incidenti e fortunati che si imprimono nella memoria molto di più che una fotografia.

Lo stesso scrittore riesce a suscitare emozioni che si coniugano talmente bene con la fantasia cosicché rimangono quasi ricordo indelebile. Ricordo di aver letto una mezza paginetta di Piero Bargellini che parlava delle “vecchine”, termine proprio del suo bel fiorentino, che frequentano la chiesa, quasi ci vivono dentro facendo un tutt’uno con il luogo sacro, le funzioni liturgiche e la pietà popolare.

Da quella lettura conservo nella memoria immagine di figurine piccole, asciutte, vestite di nero, che pregano raccolte tra i banchi, riordinano i lumi, sistemano i fiori, tanto da fare un tutt’uno con l’arte, il silenzio e il mistero del sacro tempio.

Ora però non so se le cose stiano proprio così anche in quel di Firenze e nelle chiese toscane.
Da noi certamente no!

Io credo di essere un esperto di donne anziane; al don Vecchi ne abbiamo un campionario infinito.

Da noi abbiamo anziane che vestono come arlecchino, altre che si innamorano come ragazzine quindicenni e non si vergognano di farlo, altre che si atteggiano come vamp indistruttibili, altre ancora che non vengono a messa neanche “per morte morire”, altre che hanno un linguaggio da porto o da marittima, altre ancora che in cimitero rubano i fiori che la Vesta, una volta o due all’anno, pianta nei luoghi più in vista e poi abbandona alla loro sorte, che può essere morte di sete o per furto da parte di quelle che Bargellini chiamava “vecchiette” con un dolce ed affettuoso appellativo, ma io non disturberei un termine tanto gentile, per gente dal cuore meschino, senza scrupoli e senza poesia. Purtroppo oggi non cambia solo la gioventù ma anche i vecchi si adeguano alla nuova moda di vivere!