I “bond del paradiso”

Veramente non è la prima volta che mi sia capitato di trovarmi coinvolto in una avventura mediatica quale quella che sto vivendo da qualche giorno.

Dopo essermi scervellato per trovare una soluzione per la copertura finanziaria del costruendo don Vecchi di Campalto, mi è parso di comprendere che, se io avessi messo in vendita dei certificati di parziale proprietà, anche se a livello sostanzialmente simbolico del don Vecchi di Campalto, facendo sottoscrivere azioni della Fondazione che lo gestirà, molto probabilmente avrei ottenuto qualche risultato, sempre che fossero quote a prezzo accessibile.

Fissai il costo in 50 euro. Poi mi feci stampare dai miei collaboratori un certificato di forma un po’ spagnolesca, che si rifà ai certificati di credito delle poste italiane di una volta che avevo visto per caso.

Lanciai l’iniziativa finanziaria dalle colonne de “L’incontro”.

La cosa ebbe immediato successo, dato anche delle numerose spintarelle che io non ho cessato di darle.

Ad esempio quando uno mi faceva un’offerta di 50 euro o un suo multiplo, stampavo il nome come se mi avesse chiesto un’azione. Mi sentii legittimato a farlo avendo dichiarato pubblicamente che tutto quello che ricevevo l’avrei messo sul conto del don Vecchi quater.

Compresi però ben presto che il bacino de “L’incontro” era troppo piccolo per avere un risultato adeguato al bisogno. Allora preparai una documentazione abbondante con elementi che interessano i mass-media e la spedii agli amici de “Il Gazzettino”, della “Nuova Venezia”, di “Gente Veneta” del “Corriere della Sera” e di “Rai Tre”.

Il primo che ha risposto è stato il “Corriere del Veneto” con un articolo di Alberto Zorzi dal titolo così stuzzicante che ha fatto il “miracolo”. Una vecchiaia tranquilla con i “Bond del Paradiso”.

Probabilmente il titolista dell’articolo tradusse la parola “azione” con quella più moderna e corrente di “Bond” e la congiunse al “paradiso”, Io infatti a scanso di equivoci mi sono garantito da possibili richieste di risarcimento col dire che le azioni erano esigibili solamente al momento del giudizio finale che tutti sanno segue la morte.

E’ nato subito un putiferio; ha telefonato l’Ansa, Antenna Veneta, Rai Tre, un’agenzia milanese e tutti i quotidiani cittadini.

Non credo d’aver scoperto ed essermi appropriato dell’oro dell'”Eldorado” comunque il “lancio” ha rimesso in moto tutta l’operazione.
Così va la vita!

Abbagliante, Divina Provvidenza che testimonia il grande passo di un giovane

Già qualche settimana fa ho sentito il bisogno di fissare sulla carta un incontro particolarmente significativo che ho fatto al termine della messa celebrata in cimitero. Si trattava di uno di quegli incontri che fanno più bene degli esercizi spirituali di sant’Ignazio, che durano un mese intero in meditazioni, verifiche, silenzio e preghiera.

Un giovane mi domandava i riferimenti bancari perché aveva deciso di fare una donazione al Don Vecchi per la nuova struttura che sogniamo di aprire a Campalto, volendosi egli spogliare di una ricchezza inutile.

Non li ricordavo, perché ora che abbiamo adottato la prassi europea, per versare anche quattro soldi occorre ricordare mezza pagina di numeri e di sigle. L’Europa forse ci ha caricati di tutta la pignoleria della burocrazia francese e soprattutto tedesca. Forse i tedeschi si sono abituati al “chiodo” da secoli; io, che amo la “finanza creativa” e la vita senza legami, sento sempre più spesso il bisogno di mandare a quel paese questa pignoleria europea.

Il giovane mi fece capire che la sua decisione non nasceva da un colpo di filantropia, ma derivava da una scelta lucida di disfarsi di ciò che appesantisce la vita per “cantare la gloria di Dio, come gli uccelli dell’aria e i gigli del campo”.

Passarono alcune settimane e non successe nulla, pensai che a questo mondo si incontrano spesso persone strane, sennonché, qualche giorno fa, il mio “direttore”, che frequenta la banca come io faccio la visitina al Santissimo, mi ha riferito che erano stati accreditati sul conto corrente della Fondazione ben settantacinquemila euro da una persona che chiedeva l’anonimato.

Capii immediatamente chi aveva donato quei centocinquanta milioni! Dentro la mia coscienza s’accesero immediatamente due fari. Il primo mi fece capire che grazia e che fortuna sia constatare che a questo mondo ci sono ancora giovani che si giocano la vita sulla proposta di Cristo; averne incontrato anche soltanto uno è per me come aver incontrato Giovanni Battista, Elia o san Paolo! Il secondo faro, che mi ha abbagliato gli occhi, m’ha fatto vedere il volto della Divina Provvidenza. E per me, uomo di poca fede, questo è un miracolo super!

Se solo tutti i mestrini si lasciassero coinvolgere dall’utopia della città solidale!

Quant’è difficile proporre valori positivi! Ormai da molti anni sento il dovere di promuovere ad ogni costo la solidarietà come valore che può rendere più vivibile e civile la vita a livello cittadino. Faccio una gran fatica a comprendere ed accettare che chi dispone di mezzi economici più o meno considerevoli non senta, prima che il dovere, il bisogno di aiutare chi è in difficoltà, specie se è anziano e quindi non è più in grado di puntare all’autosufficienza.

In questi giorni sono intervenuto presso i mass-media della città perché mi aiutino a collocare “le azioni della Fondazione Carpinetum”. In fondo non si tratta che di raggranellare solamente due milioni di euro! Per una città come la nostra questo obiettivo è ben modesto, eppure son certo che dovrò sudare sette camicie per recuperare questa somma.

Il problema più grave non è poi tanto questo, quanto la messa in moto di una mentalità solidale, ossia la mentalità di far proprio un meccanismo per il quale ognuno fa quel che può, o riesce, per aiutare chi è in maggior difficoltà. Dove questo meccanismo funziona, veramente fioriscono “miracoli” veri e propri.

Le due associazioni di volontariato che operano al Don Vecchi e si ispirano a questa dottrina, in qualche modo “costringono” i concittadini ad entrare in questa catena solidale. Centinaia, migliaia di persone indigenti ogni giorno ritirano vestiti, coperte, bigiotteria, mobili, “pagando” prezzi pressoché simbolici e sempre alla loro portata. Centinaia di volontari offrono gratis qualche ora alla settimana, senza faticare più di tanto, arrivando così a recuperare cifre notevoli (più di duecentomila euro a fine dicembre), con le quali contribuiscono a creare 60 nuovi alloggi per anziani poveri.

I mestrini più poveri stanno realizzando questo “miracolo”; se a questo sistema di solidarietà si unissero anche i cittadini più abbienti, più intelligenti, professionalmente più preparati, potremmo offrire alla città servizi di prim’ordine beneficiando i più poveri e gratificando i più ricchi.

Il problema rimane però quello di convincere tutti a lasciarsi coinvolgere dall’utopia della città solidale. Splendida utopia, che però ha bisogno della “fede” per essere intrapresa.

Ho incontrato un’anima bella e autentica!

Mi trovavo qualche giorno fa nella hall del don Vecchi. L’ambiente era pieno di gente: i soliti membri dei “club storici”, altri presso il bar, altri ancora che parlottavano a crocchi, che si componevano e scomponevano rapidamente. Verso le 17 “la nostra piazza grande” è assai animata e vivace.

Notai subito una signora un po’ spaesata; portava con sé due borsoni, uno con una grande imbottita e l’altro straripante di indumenti.

Rimasi per un istante perplesso, non avevo capito se proveniva dai magazzini San Martino o se fosse venuta per portare materiale agli stessi magazzini?

Non appena si accorse della mia presenza, mi si accostò immediatamente e senza tanti preamboli, dandomi del tu con un veneziano diciotto caratti, mi chiese un alloggio per sé e per il marito acciaccato almeno per l’inverno: “Ho quaranta metri di spazio, a piazzale Roma, ma tutto è rotto, sono senza riscaldamento, c’è bisogno di restauro” “Dai, dammelo un buco!” “Conosco Massimo, la Murer, la Miraglia,”… Conosceva tutti aveva parlato con tutti, e penso che sia vero; un po’ alla volta ne venne fuori il volto e il cuore della vecchia militante comunista.

Aveva fatto tutte le campagne, tutte le marce, aveva partecipato a tutti i comizi, aveva distribuito montagne di volantini,…. Tutti i suoi capi avevano cambiato nome, casacca, lei sola era rimasta la vecchia passionaria, convinta ed appassionata. Non aveva in verità trascurato il campo opposto, perché conosceva ugualmente preti, frati, era perfino andata a finire tra i neucatecumenali, imparando nomi dei profeti dell’antico testamento!
Parlava, con parlata veloce, calda, affettuosa, talora un po’ sorniona, ma sempre coerente.

Era appena tornata dalla manifestazione di Roma; trenta euro e due notti in treno per gridare contro Berlusconi, promossa da Di Pietro, ma a cui lei partecipò come rifondazione comunista!

Mentre parlava mi pareva di sentire mio padre, vecchio democristiano che non era stato smontato ne da tangentopoli, né da nessuna delle ultime disavventure della D.C.

Quanto mi sarebbe piaciuto dirle “Venga ho un appartamentino!” So che avrebbe innescato più di qualche polemica, perché non tutti i miei vecchi riescono a guardare a queste cose dalla mia altezza di quasi due metri!

Quando mi lasciò, dopo uno sfogo lungo e appassionato, ho pensato a quella masnada di furbi che giocano con i sogni e gli ideali di anime belle quali quelle di mio padre democristiano o quelle di questa donna del popolo che ha ancora l’orgoglio di sentirsi comunista autentica!..

La testimonianza che propongo: accostarsi ai poveri, non parlarne e basta!

Don Marco, il giovane e barbuto sacerdote veneziano, che per ben 11 anni mi fu collaboratore nella parrocchia di Carpenedo, e che ora è parroco ai Tolentini, e si occupa della formazione degli universitari, mi ha chiesto di raccontare ai suoi giovani le mie esperienze caritative.

Come sempre la richiesta mi ha messo in grande imbarazzo e in grande apprensione.
So lucidamente di non essere un conferenziere né brillante e neppure modesto! Io spero, anzi ritengo di non essere uno stupido, comunque so per esperienze remote e recenti di non avere questa qualità.

D’altronde diventa veramente difficile dire di no ad un giovane prete pieno di entusiasmo che è convinto che possa fare del bene ai suoi ragazzi, sentire un vecchio prete che parla delle sue esperienze con i poveri.

Un secondo motivo che mi tratteneva era che avrei potuto dare l’impressione di uno che vuole mettere in luce le sue “prodezze”. Ho deciso comunque per il sì, accettando in partenza anche di fare una magra figura. Avrò così qualcosa da offrire al Signore!

Ricordo un prete che era stato invitato in parrocchia a tenere una conversazione che cominciò dicendo: “Normalmente quando si chiede ad un prete una cosa del genere, quasi sempre dice di no, deludendo le aspettative. Io pur riconoscendomi povero e non all’altezza di questo compito, per rompere questa brutta abitudine ho accettato ed eccomi qua!” In verità non fu per nulla brillante, ma comunque mi ha fatto bene la sua testimonianza tanto che in questa occasione mi ha spronato ad acconsentire alla richiesta di don Marco!

In questi giorni ho tentato di riordinare qualche idea ed una cosa che vorrò ribadire è che i poveri si devono frequentare direttamente.

Devi accostarti a loro, ascoltarli, vederli, sentire le loro pene. Altro è il dissertare sulla povertà e sul bisogno e altro è vedere le attese di chi non conta, di chi è impotente, di chi non ha voce in capitolo.

Se i funzionari del comune vedessero o sentissero i vecchi che chiedono un alloggio non farebbero tante difficoltà per dare una interpretazione positiva alle loro circolari e alle loro leggi, che di fronte al bisogno sono una più stupida ed iniqua dell’altra!

Se solamente passassi questa convinzione la mia conversazione sarebbe un gran successo!

La lunga odissea del Don Vecchi 4…

Spero che l’opinione pubblica della nostra città non abbia abbinato i nostri frequenti annunci di prossima apertura del cantiere del don Vecchi di Campalto, alle parole del coro di certe opere liriche in cui si ripete quasi ossessivamente “Partian, partian” ma in realtà esso rimane immobile sulla scena, incollato al pavimento del palco, nonostante le modulazioni diverse con cui motiva l’intenzione di partire.

Avevamo avuto assicurazioni incoraggianti, anzi certe, dal nostro tecnico l’architetto Giovanni Zanetti, che non solamente l’amministrazione comunale, ma anche i relativi tecnici degli uffici preposti alla concessione, erano non solamente consenzienti, ma anzi intenzionati ad adottare un percorso veloce e semplificato perchè si potesse procedere all’apertura del cantiere. Questi annunci i lettori de “L’incontro”, ma pure della stampa cittadina quale “Il Gazzettino”, “La nuova Venezia”, “Gente Veneta”, hanno potuto leggerli in primavera, prima delle ferie estive, dopo le ferie estive, all’inizio dell’autunno.

Nonostante questo, il coro sta ancora canticchiando sempre più svogliatamente “Partian, partian”

Il maestro del coro, sollecitato con sempre più impazienza e frequenza, ci offre delle spiegazioni che un comune mortale e per di più vecchio come me, non riesce proprio a comprendere.

Pare impossibile che il comune, rappresentato operativamente da un apparato burocratico elefantiaco, a dir poco, quattromila e seicento dipendenti, la più grossa ed improduttiva azienda del territorio, non riesca ad approvare in poco tempo, un progetto che gli permetta di avere a disposizione trecento alloggi per gli anziani più poveri della città.

Nonostante possa verificare che quelli esistenti, sono ambienti signorili, gestiti in maniera tale che anche chi ha la pensione minima vi può vivere senza mendicare nulla da nessuno e senza pesare sui figli!

Al tempo del don Vecchi 1° l’allora neo assessore Armando Favaretto, di fronte alle mie vivaci rimostranze mi aveva promesso che da allora in poi i cittadini del Comune di Venezia avrebbero avuto risposta ai loro progetti al massimo entro 15 giorni.
Dolce chimera!

Chiedo al sindaco Cacciari, che prima di lasciare l’amministrazione, mandi per qualche giorno in Austria tutti i funzionari dell’edilizia pubblica e privata, là mi si dice, fanno in un giorno ciò che i nostri fanno in un anno!

Questa non è una mia sparata, l’ha detto la nostra televisione di Stato un paio di settimane fa. Quello che poi non capisco è come mai Brunetta non cominci far pulizia nella sua città?

Una speranza e un altolà per il domani!

L’unica speranza perché la Fondazione, di cui sono presidente, possa avere un domani e possa, come stabilisce il suo statuto, creare a Mestre dei servizi a favore delle persone più fragili è quella che i cittadini, che non abbiano discendenti diretti, facciano testamento a favore di questa realtà, che ha come unico scopo quello di aiutare i più poveri.

L’esperienza pregressa come parroco a Carpenedo, mi ha dato ragione.
La bellissima villa ad Asolo, Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta ed altro ancora sono il risultato di questo messaggio che ho tentato di passare alla città e che i mestrini hanno recepito.

I benefici di questa seminagione non sono neppure totalmente esauriti perché una cara signora ha già donato la nuda proprietà di un grosso complesso immobiliare, che alla sua morte, passerà alla parrocchia di Carpenedo permettendogli così di realizzare altre strutture per i meno abbienti.

Un paio di anni fa, quando s’è pensato a questo vecchio prete cocciuto e testardo, per farlo presidente della Fondazione Carpinetum, non avendo essa proprietà e mezzi economici, non mi è rimasto che battere la stessa strada, forte dell’esperienza già fatta.

Certamente questa soluzione è simile al piantare un olivo, ci vogliono decenni e decenni perché quest’albero produca frutti!

Io sono ben cosciente di lavorare per chi verrà dopo di me, ad 80 anni compiuti, quali prospettive di tempo si possono avere?

In questi due anni ho seminato “in spem contra spem” pur sapendo di non essere io a raccogliere i frutti di questa proposta. Anche stamattina mi ha chiamato un signore per confidarmi che ha deciso di fare testamento a favore della Fondazione. Io ho raccolto contento per lui e per i poveri del futuro questa saggia e provvidenziale decisione.

Io dovrò arrabattarmi per il don Vecchi di Campalto, ma la confidenza ricevuta mi fa sognare che altri raccoglieranno i frutti e faranno di Mestre una città veramente solidale ripromettendomi però che se i miei successori osassero usare per scopi diversi questa fiducia e questa generosità, cosa purtroppo sempre possibile, verrò anche dall’altro mondo per tirarli per i piedi!

Quel clima di rassegnazione e resa nelle istituzioni cittadine…

Ero convinto di essermi aperto una strada con i primi tre Centri don Vecchi. Mi ero quindi illuso che quando ho chiesto la licenza edilizia per il quarto, i funzionari del Comune, mi avrebbero srotolato una corsia rossa di velluto.

Non sono in verità molti i cittadini che mettono a disposizione della collettività trecento appartamenti per anziani e scommettono di farli vivere anche con la pensione minima senza pesare sui figli e sul Comune.

Invece no, nell’Italia di “Franceschiello” c’è una tale ragnatela di leggi, ordinanze, disposizioni e quant’altro, che quando uno ci cade dentro, finisce per avvilupparsi come un ragno e perdere il senno e la vita.

Ero poi particolarmente irritato perchè il funzionario che stava mettendoci i bastoni tra le ruote, era uno dei ragazzini del Patronato di Carpenedo. In verità “aveva fatto combattere” anche da ragazzino, ma mentre la gran parte dei ragazzi crescendo “fa giudizio” in questo caso temo che egli abbia perso anche quel po’ che aveva.

Mi si suggerì di ricorrere al sindaco per non trovarmi in mezzo al guado in prossimità delle elezioni comunali.

Mi fu concessa udienza prestissimo. Ci andai con il progettista ed un membro del consiglio della Fondazione.

Venezia era appena emersa, bagnata come un anatroccolo, da un metro e trenta di acqua alta, umidità, spazzature, passerelle scompigliate!

A Ca’ Farsetti c’era consiglio comunale, un andirivieni disordinato e crocchi ad ogni angolo, uscieri poco protocollari, gli unici che si salvavano in quell’ambiente che sapeva di decadenza erano i vigili in uniforme.

Incontrai il sindaco in un salone con una tavola rotonda piena di carte in disordine, era stanco morto e parlava sottovoce. Credo che Daniele Manin il giorno della resa fosse più gagliardo, tanto mi parve stanco e sconfitto!
Fu cortese, telefonò al funzionario dicendogli di “darsi una mossa”.

Ci congedò in fretta perché doveva andare nella “fossa dei leoni” almeno così mi parve.

Certamente la forma è marginale in rapporto ai problemi, ma la Venezia di case e di uomini che ho incontrato, mi è apparsa desolata e rassegnata alla resa. Peraltro in questo paesaggio triste e melanconico, non mi pare che all’orizzonte appaia un “salvatore della Patria”. Tutt’altro!

Lentezze burocratiche insostenibili

Quindici anni fa ero più giovane e più battagliero, ad 80 anni molte armi risultano logore e spuntate.

A quel tempo non riuscendo ad ottenere la licenza edilizia per il progetto di una “residenza collettiva protetta per anziani autosufficienti” , chiesi ad una impiegata comunale gli indirizzi dei 60 consiglieri dei vari schieramenti politici ed ogni settimana per due mesi spedii “Lettera aperta” il settimanale della mia parrocchia d’allora, che riportava ad ogni numero un attacco all’inerzia e alla insensibilità sociale del Comune nei riguardi degli anziani della città.

Quando poi mi capitava di “sparare” mediante “Il Gazzettino” o “Gente Veneta” lo facevo con ebbrezza.

Resistettero neanche per due mesi poi finirono per capitolare!
Era inevitabile che avvenisse!

Ricordo che l’allora assessore all’edilizia mi garantì che tra la domanda e la risposta sarebbero passati al massimo 15 giorni.

Poi suddetto assessore scomparve, suppongo con il naufragio della democrazia cristiana, ma le cose non sono per nulla mutate anzi peggiorate!

Abbiamo un Comune di sinistra, che dovrebbe essere particolarmente sensibile ai problemi dei poveri, dispone di 4600 dipendenti, la più grande e la più improduttiva azienda della città, abbiamo il ministro Brunetta, che pur militando dalla parte opposta, ha fatto motivo della sua vita smascherare i fannulloni però niente si muove.

Un tempo l’amministrazione comunale e gli enti pubblici erano forse scettici sulla formula che proponevamo, ora siamo diventati un “fiore all’occhiello!” La facoltà di Economia e Commercio ha commissionato una tesi di laurea su “I centri residenziali per anziani don Vecchi” una soluzione innovativa nei servizi per “le nuove povertà”.

La Regione l’altro ieri ci ha mandato una commissione di un grosso comune che ha in animo di realizzare qualcosa di simile, per visionare “un prototipo all’avanguardia” e sta iniziando ad inquadrare a livello legislativo gli alloggi protetti. Nonostante questo la nostra burocrazia comunale continua a mettere bastoni tra le ruote e a pretendere “percorsi di guerra” impossibili. La gente dice che io sono “battagliero” ora non bastano più le parole credo che si debba auspicare ben altro!

La mia formula

La redazione augura un sereno Capodanno ai lettori sperando che nessuno si faccia male per festeggiare il 2010!

Un tempo un vecchio parroco, sornione ma arguto quanto mai, disse che io avevo trovato “la gallina dalle uova d’oro” alludendo alla parrocchia, rifiutata un tempo da altri assegnatari, che mi era stata offerta 40 anni fa.

La nomea di aver incontrato comunità ricche economicamente mi ha accompagnato per tutta la vita.

Perfino mio fratello, don Roberto, che mi vuol bene e credo che mi stimi, un giorno facendo il confronto, a livello economico, tra la mia parrocchia e la sua, uscì con un paragone da par suo. Disse che come si trovano docce in cui l’acqua fluisce abbondantemente da tutti i fori, ci sono altre docce più povere d’acqua perchè molti dei forellini sono otturati.

Traducendo l’immagine egli voleva significare che a Carpenedo piovevano dollari, o oggi meglio ancora euro, moneta più apprezzata, mentre a Chirignago si poteva solo sopravvivere a causa dei fori otturati.

Penso che questa fama persista anche se ora ho come unico reddito la pensione del clero, mentre altri beneficiano di pensioni scolastiche o di altro genere di certo più remunerative della mia.

A dire la verità più di una volta ho tentato di insegnare la formula “magica” ai miei confratelli vicini o lontani che lamentavano scarsità di risorse economiche. Forse essa è sembrata troppo semplice come quella del profeta Eliseo quando suggerì a Naon il siro, per guarire dalla lebbra. Taluno pensa che il benessere economico sia imputabile alla fortuna, alle condizioni economiche dei parrocchiani o a qualche stratagemma particolare, mentre le cose stanno ben diversamente.

Ecco il segreto per riuscire: 1) lavorare seriamente da mane a sera e anche dopo sera; 2) vivere in maniera parsimoniosa, rinunciando a viaggi e vacanze esotiche; 3) essere coerenti con ciò che si predica; 4) occuparci prima del prossimo che della canonica, della chiesa e dei suoi arredi, perché la gente riconosce Cristo più nei poveri che nei riti; 5) uscire sempre allo scoperto e servire prima la verità che qualsiasi personaggio pubblico o ecclesiastico; 6) non avere ambizione alcuna di carriera.

Non ho mai tentato di brevettare questa formula pur essendo certo della sua validità, perché vedo che anche al don Vecchi funziona bene come a San Lorenzo e a Carpenedo.

Quindi la cedo gratuitamente a tutti coloro che ne sono interessati!

In equilibrio sul presente

Da qualche tempo a questa parte sto conficcandomi nella coscienza, con ripetuti forti colpi di martello questa verità: devo impegnarmi comunque per il presente anche se le previsioni per il futuro di certe mie imprese non sono rosee, date certe esperienze che ho già fatto. A proposito di questa scelta mi sono messo via un trafiletto del grande teologo ma soprattutto del grande testimone cristiano che fu il pastore Dietrich Bonhoeffer fatto impiccare dai nazisti pochi giorni prima della capitolazione del Reich.
“Il presente è l’ora, gravida di responsabilità di Dio con noi, ogni presente; oggi e domani, il presente in tutta la sua realtà e multiformità; in tutta la storia del mondo esiste solo e sempre un’ora realmente importante: il presente, chi fugge dal presente fugge le ore di Dio, chi fugge dal tempo, fugge da Dio. Servite il tempo. Il signore del tempo è Dio”

Ho fatto il proposito di leggermi di frequente queste parole vere, profonde e sagge di questo uomo di Dio.

Sto raccogliendo quadri e mobili per il futuro don Vecchi 4, sto impegnandomi per rendere sempre più accoglienti e signorili gli ambienti ove vivono come fossero in un grand’hotel gli attuali 300 anziani più poveri della nostra città. Ma ho un tarlo che mi rode la coscienza, che non mi lascia mai in pace facendomi presente in ogni momento: “Hai ottant’anni come puoi sperare che la tua impostazione, che non interessa a nessuno dei tuoi colleghi, possa reggere? che né è stato di tutto quello che ti sei impegnato precedentemente? non ti accorgi che stai camminando controcorrente? che c’è una mentalità nuova, che il tuo piccolo mondo sta ormai scomparendo?”

Bonhoeffer quando scrisse queste cose sull’impegno da svolgersi nel presente, aveva già il cappio del boia al collo, eppure anche negli ultimi istanti diede il meglio di se!

Perché io dovrei fare diversamente? Voglio impegnarmi come se dovessi vivere ancora mille anni!

Un educatore alla solidarietà fallito

Io sono vissuto con gli scout e per gli scout almeno una trentina di anni.

Pur svolgendo il servizio di assistente ecclesiastico mi “hanno costretto” a partecipare ad un campo scuola per avere la qualifica di capo e prima ancora mi hanno chiesto di fare la “promessa scout”.

Comunque quella degli scout è stata una delle mie più belle esperienze nel campo giovanile come educatore; il metodo è certamente valido ed ha ancora presa sull’animo dei ragazzi.

Una delle mete che gli scout passano a chi aderisce al movimento, è certamente quella “di lasciare il mondo un po’ più bello e più buono di quello che hanno trovato”.

Io, onestamente ci ho provato! Non so però se ci sono riuscito almeno in minima parte! Questo m’addolora alquanto e soprattutto non so a che o a chi imputare questo probabile insuccesso.

Di natura sono uno stacanovista e perciò credo proprio che la causa non sia uno scarso impegno!

Ho fatto queste considerazioni proprio in questi giorni. Al don Vecchi capita che, essendo tutti vecchi, qualcuno sia costretto a causa dei propri acciacchi ad andare, pur a malincuore, in casa di riposo, qualche altro invece è costretto, suo malgrado, a trasferirsi in Cielo, ma che ci sia uno fra i tanti che lasci le sue poche cose all’organizzazione che l’ha salvato dalla solitudine, dalla miseria e da mille altre preoccupazioni, non c’è verso di trovarlo!

La quasi totalità approfitta volentieri del trattamento di favore, dei vestiti a prezzi simbolici, dei generi alimentari donati, della frutta e verdura distribuiti gratuitamente, ma è ben raro, se non rarissimo, che si trovi qualcuno che si ponga la domanda: “Hanno aiutato me, senza che io potessi accampare alcuno diritto, quindi anch’io voglio aiutare altri che si trovano nella triste situazione in cui mi trovavo!” tutti sono pronti a beneficiare di ogni provvidenza, come fosse un diritto sancito da non so quale legge, ma ben pochi pare che comprendano la lezione che ogni giorno è loro proposta, e da noi non si tratta di chiacchiere ma di fatti.

Non so quindi se sia neppure più vero l’antico detto: “Le parole volano, mentre gli esempi trascinano”
Ma chi e dove trascinano?

Come educatore alla solidarietà, debbo ammetterlo, sono fallito! Peccato!

Sarebbe così importante far crescere la solidarietà nel nostro mondo!

“Grazie, grazie, Signore, alleluia!”

Qualche settimana fa siamo stati con i residenti del don Vecchi, e qualche altro anziano di Mestre, in pellegrinaggio al Santuario della Madonna dei Miracoli di Motta di Livenza.

Non potrei assicurare che le motivazioni, del centinaio e più di anziani che vi hanno aderito, siano state esclusivamente o prevalentemente di ordine religioso.

Un pomeriggio diverso, l’occasione di far quattro chiacchiere con gente amica, la merenda casereccia e soprattutto il costo contenuto: 10 euro tutto compreso, può darsi che abbiano decisamente concorso a far diventare “pellegrine” persone di abitudini abbastanza stanziali.

Io ho partecipato volentieri, il vedere delle persone contente fa sempre piacere, ma soprattutto il riandare a ricordi della mia infanzia, perché la Madonna dei Miracoli di Motta è per il mio paese natio il santuario più vicino e i miei compaesani di un tempo, ma anche gli attuali, da quanto mi risulta, ci sono sempre andati e ci vanno ancora volentieri quando hanno qualche grossa preoccupazione.

Uno dei momenti forte del pellegrinaggio, almeno ufficialmente, consiste nella messa e nella predica relativa.

Il tutto è stato fatto con molta attenzione e dignità, e dato che io ne ero il regista, ho tentato di aiutare i miei coetanei a ringraziare per tutti i “miracoli” che il buon Dio e la Madre di Gesù, ci hanno fatto e continuano a fare, piuttosto che andare a presentarci con la lista delle richieste.

Ho avuto la sensazione che i vecchi mi abbiano seguito, comunque le riflessioni hanno giovato particolarmente a me.

Mi pare che sia stato Leon Blois, Pelni o Bernanos, ad affermare che “Tutto e grazia!”

E’ vero, se ci pensassimo veramente dovremmo, da mattina a sera, ringraziare senza pausa il buon Dio per quanto, nonostante tutto, continua a donarci.

Una volta tanto mi unisco ai membri del Rinnovamento dello Spirito per dire con entusiasmo e convinzione: “Grazie, grazie, Signore, alleluia!”

Per far il bene servono fondi!

Qualche giorno fa due vecchi amici altoatesini, da molto tempo residenti a Mestre, mi portarono un depliant trovato durante una loro visita ad una chiesa tedesca, in una delle tante scorribande che sono soliti fare in Germania.

Sorridenti e sornioni porgendomi il foglio stampato in carta patinata con la riproduzione del soffitto di una grande chiesa gotica, mi chiesero: “E’ stato lei a suggerire al parroco tedesco l’espediente di vendere le stelle della sua chiesa per recuperare il denaro necessario per il restauro dell’edificio?”

Evidentemente ricordavano la mia impresa di vendere le stelle dorate della chiesa di Carpenedo per costruire il don Vecchi!”

I tedeschi con precisione teutonica avevano contato esattamente il numero delle stelle: 8758 presenti nei singoli segmenti separati dalle nervature del soffitto e avevano preparato il documento con cui si registrava il contratto d’acquisto consistente in 50 euro per stella.

Sono stato felice di aver aperto una via che altri stanno seguendo, spero che a qualcuno venga in mente di chiamarla con il mio nome.

Questa scoperta ha acuito la mia preoccupazione nel non riuscire più a scoprire che cosa posso ancora vendere per pagare il don Vecchi di Campalto.

Ho venduto le stelle della chiesa, le pietre del selciato, i mobili della canonica, le icone… Pur lambiccandomi il cervello da mane a sera, non so proprio cosa mettere all’incanto.

Qualcuno mi ha suggerito di mettere sul mercato dei bond da mille euro ciascuno, non esigibili prima di due anni, con la segreta speranza che gli investitori si dimentichino di chiedere il rimborso, essendosi nel frattempo abituati a farne senza, ne donino praticamente il controvalore alla Fondazione.

Per ora sto studiando con gli esperti l’operazione sperando che non risulti un flop come è toccato a Tremonti con le banche italiane!

L’inno di san Paolo “Ubi caritas, ibi Deus” e il don Vecchi

Non avrei mai pensato che il don Vecchi, che qualche concittadino si ostina ancora a ritenere una casa di riposo, in poco tempo sarebbe diventato un vivaio in cui si muove tanta gente, si fanno tante cose e soprattutto in cui pulsa rigogliosa la vita.

Era quello che volevo ma non avrei mai pensato che sarebbe avvenuto tanto presto e con tanta intensità.

Il sogno iniziale era quello di offrire agli anziani, senza tanti mezzi economici, una dimora in cui essi potessero rimanere uomini, donne e soprattutto persone fino all’ultima goccia di vita.

Questo è avvenuto! Al don Vecchi c’è un campionario del mondo, magari non con volti e comportamenti all’ultima moda, e con stili di vita all’ultimo grido, ma comunque ci sono uomini e donne liberi, che fanno le scelte che vogliono, che vivono, amano e si comportano come ognuno crede.

Talvolta amerei che rientrassero un po’ di più nel clichè della comunità dei cristiani, li sollecito a questo, ma mi impegno e garantisco loro la libertà di praticare e di vivere come credono.

La costituzione del don Vecchi, ha pochi paragrafi: solidarietà, rispetto, libertà, per il resto ognuno si arrangia.

Quello che però mi esalta è l’interrato, la parte meno nobile dell’edificio, la è sbocciata la vita: i magazzini dei mobili, dell’oggettistica, dei supporti per gli ammalati, del banco dei generi alimentari, dei vestiti.

Credo che non ci sia angolo o istituzioni di Mestre in cui si incontri in maniera così intensa e numerosa e diversificata la solidarietà.

Dire che ne sono orgoglioso non è giusto, perché non è opera mia, ma espressione corale di un volontariato tanto diversificato per età, sesso, cultura, lingua, religione.

Il denominatore comune di questo formicaio di volontari, nato quasi per caso, è la solidarietà, espressa in mille modi e con stili diversi, ma comunque è sempre solidarietà.

Il don Vecchi è sempre vivo perché non cessa mai l’andirivieni di anziani, figli, nipoti, badanti, amici e fornitori, ma il pomeriggio il popolo dei piani alti e di quello dei piani bassi, si mescolano e tutti insieme cantano l’inno di san Paolo “Ubi caritas, ibi Deus” dove c’è la solidarietà la c’è Dio, forse per questo il don Vecchi è così vivo e così nuovo!