Qualche giorno fa due vecchi amici altoatesini, da molto tempo residenti a Mestre, mi portarono un depliant trovato durante una loro visita ad una chiesa tedesca, in una delle tante scorribande che sono soliti fare in Germania.
Sorridenti e sornioni porgendomi il foglio stampato in carta patinata con la riproduzione del soffitto di una grande chiesa gotica, mi chiesero: “E’ stato lei a suggerire al parroco tedesco l’espediente di vendere le stelle della sua chiesa per recuperare il denaro necessario per il restauro dell’edificio?”
Evidentemente ricordavano la mia impresa di vendere le stelle dorate della chiesa di Carpenedo per costruire il don Vecchi!”
I tedeschi con precisione teutonica avevano contato esattamente il numero delle stelle: 8758 presenti nei singoli segmenti separati dalle nervature del soffitto e avevano preparato il documento con cui si registrava il contratto d’acquisto consistente in 50 euro per stella.
Sono stato felice di aver aperto una via che altri stanno seguendo, spero che a qualcuno venga in mente di chiamarla con il mio nome.
Questa scoperta ha acuito la mia preoccupazione nel non riuscire più a scoprire che cosa posso ancora vendere per pagare il don Vecchi di Campalto.
Ho venduto le stelle della chiesa, le pietre del selciato, i mobili della canonica, le icone… Pur lambiccandomi il cervello da mane a sera, non so proprio cosa mettere all’incanto.
Qualcuno mi ha suggerito di mettere sul mercato dei bond da mille euro ciascuno, non esigibili prima di due anni, con la segreta speranza che gli investitori si dimentichino di chiedere il rimborso, essendosi nel frattempo abituati a farne senza, ne donino praticamente il controvalore alla Fondazione.
Per ora sto studiando con gli esperti l’operazione sperando che non risulti un flop come è toccato a Tremonti con le banche italiane!