I due principi alla base delle mie inizative sociali

Nel giro di una settimana mi è stato richiesto dall’Università della terza età prima e da RAI3 dopo un’intervista televisiva sui progetti e sulle strutture di solidarietà che mi stanno a cuore e di cui mi occupo attualmente. L’Università della terza età, alla fine di un corso si riproponeva di realizzare un servizio televisivo sul rapporto tra indigenza e solidarietà a Mestre, mentre RAI3 era interessata al progetto di cui la stampa aveva parlato; cioè della “cittadella della solidarietà” ossia di un luogo in cui si diano risposte concrete ad ogni tipo di bisogno: ostello, mensa popolare, emporio di vestiti, un'”Ikea” per i mobili, di arredo per la casa, un centro di distribuzione di generi alimentari e di supporti per gli infermi.
Tutto questo esiste già, anche se non completamente, presso il Centro don Vecchi, ma esiste in maniera sacrificata ed in ambienti inadeguati, mentre noi sognamo un centro pensato e realizzato con questa finalità specifica.

In ambedue queste occasioni gli intervistatori mi hanno chiesto il movente che mi spinge a queste “missioni impossibili” e dove trovare i mezzi economici per realizzarle. Sono felice di mettere a fuoco queste due questioni di fondamentale importanza.

Primo; è mia assoluta convinzione che l’essere cristiani comporta una fede forte e convinta in Dio ed una solidarietà concreta verso il prossimo. Mi pare che su questo punto Cristo sia stato chiaro; considero quindi un aborto cristiano la pretesa e l’illusione d’essere cristiani senza essere concretamente solidali verso il prossimo.

Secondo; l’impegno a sviluppare strutture e servizi di solidarietà non deve partire ed appoggiarsi sui mezzi che abbiamo a disposizione, ma sui bisogni che il prossimo ha. Questo l’ho imparato dal miracolo della moltiplicazione dei pani. Cristo quando disse agli apostoli: “Provvedete a dar da mangiare alla folla”, conosceva bene la situazione economica inadeguata dei suoi discepoli, ma conosceva ancor meglio la fame dei suoi ascoltatori.

Questi due principi hanno sempre sorretto le mie iniziative sociali, e questi due principi si sono sempre mostrati estremamente validi!

Il testamento spirituale

Prima che io entrassi in ospedale è venuto a farmi visita, nel mio piccolo alloggio al “Don Vecchi”, don Roberto, mio fratello minore, parroco di Chirignago. Io sono il primo e lui è l’ultimo di sette fratelli che, tutto sommato, si vogliono bene e condividono i valori fondamentali della vita che i nostri genitori ci hanno trasmesso.

Più volte ho confessato la mia stima e la mia profonda ammirazione per questo mio fratello parroco. Don Roberto è intelligente, generoso, seriamente impegnato a condurre la sua parrocchia e credo che stia ottenendo degli splendidi risultati, soprattutto a livello dei ragazzi e della gioventù. Tanto che credo che egli abbia una comunità cristiana così bella come poche parrocchie, o forse nessuna, in questo momento così difficile nella vita pastorale del nostro patriarcato e della Chiesa che in genere possiede!

Don Roberto è un idolo a livello parrocchiale, ma per scelta e per indole, dialoga poco, forse troppo poco, con la città e la Chiesa veneziana, mentre io sono convinto che oggi anche nell’ambito della Chiesa, dobbiamo assumere una mentalità ed uno stile globale che parli ad ogni ceto e ad ogni componente della vita cristiana.

Chiacchierando con don Roberto, gli accennai al testamento, che in altro momento cruciale gli ho affidato, dicendogli che i tempi passano veloci, le situazioni mutano e perciò si senta totalmente libero di disporre come crede delle mie pochissime cose.

Mi ricordai che nelle mie ultime volontà non ho neppure accennato a quello che tanti chiamano ancora il “testamento spirituale”. La mia vita rappresenta in maniera fedele ciò in cui credo e che ritengo importante, se ho qualcosa da dire al mondo in cui sono vissuto, lascio a ciò che ho fatto, che ho sognato, e a ciò per cui mi sono battuto di dirlo. Se dovessi però scendere al concreto, confesso che avrei veramente delle difficoltà ad indicare il nome di un prete a cui riterrei opportuno lasciare in eredità il mio amore per i poveri, per gli ultimi, per quelli che non contano, per gli anziani. Tutto questo però non mi amareggia più di tanto perché al buon Dio non manca la capacità e la volontà di trovare gli uomini giusti per le cause giuste.

Ho dispensato quindi don Roberto dal preoccuparsi del “Don Vecchi” e del polo della solidarietà che vive in simbiosi con esso.

Ho raccontato i semi del mio sogno per gli anziani quasi-autosufficienti

Un giornalista, a motivo della sua struttura mentale e soprattutto della sua professione, è sempre più informato su ciò che sta maturando nella vita odierna. Confidavo, nell’incontro avuto con il dott. Dianese, a cui sono legato da stima ed amicizia, che una volta nominata la nuova giunta comunale, avrei tentato di organizzare un incontro coll’assessore alla sicurezza sociale e i massimi funzionari del Comune che si interessano alle problematiche sociali, ossia il dottor Gislon e la dottoressa Francesca Corsi. Vorremmo spiegare che i due progetti avrebbero solo dei fondamenti di carattere sociale ma soprattutto rappresenterebbero un “affare” per il Comune, facendogli essi risparmiare una barca di soldi. Al “Don Vecchi” abbiamo certamente più di una ventina di anziani ancora consapevoli e capaci di autogestire la propria vita, ma con forti disabilità fisiche, anziani che dovrebbero essere trasferiti in casa di riposo per non autosufficienti, dato che nella nostra società non ci sono strutture che rispondono alle esigenze dello stadio intermedio tra l’autosufficienza e la non autosufficienza, mentre questo spazio esiste nella realtà.

La soluzione che noi proponiamo oltre agli immensi vantaggi per la qualità di vita di questi anziani, farebbe risparmiare all’amministrazione comunale circa quarantamila euro al mese e alla Regione almeno ventimila, ossia 720.000 euro all’anno. Ciò significa che in tre, quattro anni il Comune e la Regione coprirebbero i costi di una struttura che poi continuerebbe l’assistenza a venti anziani con autosufficienza precaria a costo zero.

Mi auguro che queste motivazioni di ordine economico possano convincere gli amministratori che stanno entrando in carica.

Il dottor Danese mi ha confidato che Orsoni vorrebbe assegnare al dottor Bettin l’assessorato alla sicurezza sociale e al dottor Micelli l’urbanistica. Se le cose andranno così penso che avremo già ottime premesse perché i nostri sogni possano realizzarsi.

L’intervista al Gazzettino

Una mattina prima mi ha telefonato e poi mi ha fatto visita al “don Vecchi” il dott. Maurizio Dianese, una delle penne più appuntite e più graffianti de “Il Gazzettino”.

Gli interventi di Dianese sul quotidiano cittadino non passano mai inosservati perché non rappresentano mai una cronaca distaccata, asettica, che informa la cittadinanza su qualche avvenimento, ma quasi sempre suonano a denuncia, propongono problematiche presenti e vive, o mettono il dito su qualche piaga.

Il giornalista mi telefonò spiegandomi che gli erano giunte all’orecchio due cose che lo interessavano e che riteneva interessanti per l’opinione pubblica. Quasi certamente aveva letto su “L’incontro” i due progetti che attualmente mi stanno appassionando, nonostante l’età e le vicissitudini della mia salute.

Fui ben felice di incontrarlo, da un lato perché avverto che c’è in ambedue una certa assonanza di idee e una certa repulsione per una vita paciosa e senza sbocchi ideali, e dall’altro lato perché sono ancora più convinto che se non si matura l’opinione pubblica a certi valori, ben difficilmente si riescono a portare avanti certe iniziative, specialmente da parte di persone che non hanno soldi come me.

Gli ho parlato del progetto di una struttura per rispondere ai problemi degli anziani che sono in una fase di perdita di autosufficienza e che, pur idonei a rimanere ancora in una struttura di persone libere ed autonome, hanno bisogno di una struttura che essa sia ancor maggiormente protetta, per rimanere ancora padroni di casa ed autonomi nelle loro decisioni.

Gli ho parlato infine della “Nomadelfia” mestrina, ossia di una cattedrale della solidarietà in cui i cittadini in disagio economico possano trovare una risposta dignitosa ed esaustiva alle loro difficoltà.

M’è parso entusiasta sia dell’una che dell’altra cosa. Molto probabilmente almeno centocinquantamila lettori de “Il Gazzettino” sapranno che tra loro c’è chi sta sognando e lavorando per due soluzioni che faranno fare a Mestre e Venezia un passo avanti nel campo della solidarietà.

Gran parte dei confratelli forse penserà che sono un illuso o un prete con mania di protagonismo, spero però che gli uomini di buona volontà inizino a condividere questi due nuovi obiettivi.

Un nuovo sogno: la cittadella della solidarietà!

Sognare non costa niente ed io che di soldi ne ho sempre troppo pochi per fare ciò che riterrei necessario per il prossimo al quale ho scelto di dedicarmi, mi consolo sognando.

Poi capita che finisco di innamorarmi pazzamente dei miei sogni, ne rimango così contagiato dall’opportunità di concretizzarli tanto da finire a confidarli prima ai vicini e poi anche ai lontani.

Forse mi ha indirizzato in questo processo, una confidenza ricevuta personalmente dallo stesso Papa Giovanni, quando era nostro Patriarca a Venezia.

Diceva l’allora Patriarca: “Quando hai un progetto che ti sta particolarmente a cuore, parlane a destra e a manca, perché così è più facile che tu incontri qualcuno che ti possa dare una mano!”
Spero che questo sant’uomo abbia ragione.

Ogni giorno vengono al don Vecchi centinaia di persone italiane e straniere che cercano indumenti, mobili, arredo per la casa, generi alimentari ed altro ancora. Io sono orgoglioso e felice della carità che “profuma” il don Vecchi, ma sono anche preoccupo perché tutto è tanto inadeguato. E’ nato quasi per caso, sulla falsariga del progetto di don Zeno “Nomadelfia la città dei fratelli” il sogno di costruire sul grande campo in abbandono “la cittadella della solidarietà” un ristorante al prezzo fisso di 3 euro al pranzo, un ostello a 5 euro la notte, un grande outlet per indumenti, un’Ikea per i mobili, un banco alimentare, un gran bazar ed altro ancora.

Sognare queste cose alla vigilia dell’ottantunesimo compleanno e con un nemico in corpo può essere etichettarsi, come “illusione, dolce chimera!” o utopia!

Vi prego lasciatemi sognare, mi fa bene anche alla salute!

Politici al Don Vecchi

Il mio diario è sì un diario di incontro, di sensazioni e di riflessioni che nascono nel mio animo in un giorno ben determinato, con l’impatto con fatti e situazioni, ma questo giorno è solamente un giorno anonimo non contrassegnato da una data precisa. Motivo per cui a chi capitasse di leggerne il contenuto, ben difficilmente può far riferimento ad un giorno in particolare. Può darsi quindi che qualcuno possa scoprire che il riferimento ai fatti non coincida al momento in cui il periodico esce fresco di stampa, può quindi verificarsi che quando vedrà la luce questa pagina, ciò di cui parla sia totalmente superato.

In queste ultime settimane, il don Vecchi è stato visitato da tantissimi aspiranti ad amministrare la municipalità, il Comune o la Regione, forse spinti anche dalla mia pubblica dichiarazione che la nostra struttura rimaneva aperta ed accogliente a qualsiasi cittadino che intendeva candidarsi alla guida di suddette realtà.

A tutti io ho tentato di fornire informazioni adeguate dei bisogni e delle attese della categoria di cittadini che abitano al Centro: anziani autosufficienti o quasi, di condizioni economiche ultramodeste.

E’ mia viva speranza che chi ha preso coscienza diretta della situazione se ne ricordi quando sarà al governo della città. In questa occasione ho avuto anche modo di confrontare le campagne elettorali alle quali ho partecipato nella mia giovinezza a quella attuale.

Un tempo c’erano grandi tensioni sociali, proposte, ideali , orientamenti, scelte di fondo, grandi utopie!

Ora invece qualche progetto concreto, qualche soluzione di problemi esistenti, ma nulla più.

Mi è parso di avvertire un grande grigiore in cui tutti i colori, le proposte e i progetti si stemperavano tanto da non riuscire più a comprendere la matrice.

Seminare un’utopia

Più di una volta ho confessato pubblicamente di essere un accanito collezionista di episodi esemplari, di iniziative benefiche, di strutture assistenziali e di testimonianze di uomini che credono nella solidarietà e si impegnano a servizio dei fratelli.

Nel contempo mi faccio scrupolo di far girare queste notizie in maniera tale da fare quello che posso e riesco per maturare una cultura ed una mentalità positiva nel mondo in cui vivo. Qualcuno può pensare che questa fatica sia spesa per la riuscita delle iniziative di cui mi sto occupando, in realtà, pur avendo perfetta coscienza del mio limite, ritengo giusto e doveroso seminare a piene mani perché la società maturi a questi valori positivi.

Ciò non dovrebbe apparire così strano perché sono discepolo di quel Maestro che ha raccontato la parabola del seminatore la cui conclusione è quella, che nonostante la gran parte della semente sia andata a finir male, almeno una piccola parte che ha incontrato il terreno propizio ha prodotto il trenta, il sessanta e perfino il novanta per cento.

In questi giorni nonostante il poco tempo di cui dispongo, ho dedicato ben due giorni ad una troupe televisiva giapponese che s’è impegnata a proporre l’iniziativa delle dimore protette per anziani al lontano impero del Sol Levante. Ogni utopia ha assoluta necessità di qualche “folle” che sogni e s’impegni per un futuro migliore, per l’avvento di un mondo solidale.

Mosè pur avendo speso l’intera vita per dare una patria al suo popolo, non ebbe la fortuna di entrare nella Terra Promessa, ma senza la sua fede e la sua tenacia forse neanche la sua gente vi sarebbe mai entrata.

Ora almeno posso sognare dei vecchietti con gli occhi a mandorla vivere la loro vecchiaia in un don Vecchi di Tokio o di Nanchino!

Le strade moderne della provvidenza

Talvolta mi è capitato di lasciarmi scappare qualche cenno di preoccupazione per i due milioni di euro che debbo reperire per finanziare la costruzione della nuova struttura protetta per anziani autosufficienti da costruire in quel di Campalto.
A chi posso confidare le mie preoccupazioni se non al mio diario?
Cosa che ho fatto trapelare tra le mie riflessioni che spaziano tra il sacro e il profano.

Talvolta mi viene da credere che i miei pensieri siano dispersi dal vento gelido di questi mesi d’inverno, invece no, spesso sono raccolti con affetto da qualcuno e talvolta c’è perfino chi sente il bisogno di dire una parola di consolazione a questo vecchio prete che si carica di fardelli forse troppo pesanti per le sue spalle.

Qualche giorno fa m’è giunta questa e-mail: “Caro don Armando, riguardo le sue preoccupazioni per il denaro occorrente a costruire il Centro don Vecchi 4 le invio un aneddoto della vita di don Bosco che stava costruendo la grande chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino, tratto dalla sua biografia.

Intanto, per l’acquisto del campo e del legname per le recinzioni si erano spese 4.000 lire; l’economo don Savio, rimasto senza soldi, consigliava di aspettare, ma don Bosco gli replicò: “Comincia a fare gli scavi; quando mai abbiamo cominciato un’opera avendo già i denari pronti?
I lavori, affidati all’impresa del capomastro Carlo Buzzetti, iniziarono nell’autunno del 1863. terminati gli scavi, nell’aprile del 1864, don Bosco disse a Buzzetti: “Ti voglio dare subito un acconto per i grandi lavori”.
Così dicendo tirò fuori il borsellino, l’aprì e versò nelle mani di Buzzetti quanto conteneva: otto soldi, nemmeno mezza lira.
“Sta tranquillo la Madonna penserà a provvedere il denaro necessario per la sua chiesa”.

Ringrazio vivamente il mio interlocutore per l’incoraggiamento, ma vorrei ricordagli che io non ho la statura e la santità di don Bosco.

Certamente il santo della gioventù era un cliente privilegiato della Divina Provvidenza e perciò penso che la sua linea di credito sia stata ben più consistente del fido ch’essa voglia concedere ad un cliente molto meno affidabile quale io sono. Comunque ho l’impressione che la Provvidenza abbia scelto avvalersi per darmi una mano o della Banca Prossima che mi chiede lo 0,60%, o del Monte dei Paschi di Siena disposto a darmi i due milioni con l’interesse attivo dell’1%!
Mi pare che sia già un buon trattamento!

Il prete ed il banchiere

La Fondazione Carpinetum che ho l’onore ma soprattutto l’onere di presiedere, si qualifica un po’ pomposamente, mentre in realtà è molto più modesta di quanto non appaia.

Quando la parrocchia di Carpenedo diede vita a questo ente, in pratica affidò la gestione dei Centri don Vecchi, ma si tenne la proprietà.

L’operatività della Fondazione è estremamente condizionata dal fatto di non aver beni immobili, la considerazione e la stima pubblica non fanno certamente male, ma quando entro in contatto con enti ed imprese di ordine finanziario, che sono quanto mai guardinghe ed hanno i piedi posati a terra, prima di arrischiare ci pensano mille volte e poi non arrischiano per quanto ti possono stimare e per quanto apprezzino l’impegno solidale che vai svolgendo.

Tempo fa mi sono incontrato con un funzionario di primo piano dell’antica Banca Senese “Il Monte dei Paschi” una delle più antiche e prestigiose banche del nostro Paese.
Questa banca ora controlla l’Antonveneta e non so chi altro.

La proposta fattaci per metterci a disposizione il denaro occorrente per il don Vecchi di Campalto, m’è parsa vantaggiosa tanto che la proporrò al Consiglio di Amministrazione.

Mentre questo signore mi illustrava l’operazione finanziaria che ci proponeva, non potei non ammirare la competenza, la lucidità del ragionamento, l’estrema disponibilità a trattare, a mettere a punto il rapporto, a valutare anche la nostra situazione per trovare la soluzione più idonea possibile. Confrontavo questo comportamento professionalmente eccellente e umanamente caldo e cordiale con la normale prassi della mia categoria.

Purtroppo il confronto non reggeva. Noi preti abbiamo un ottimo “prodotto” ma lo presentiamo nella maniera peggiore possibile e poi ci meravigliamo se non sfonda!

Vogliamo dare una risposta al problema dell’autosufficienza limitata negli anziani

Io non ricordo granchè dei miei studi classici; sono passati troppi anni e troppe vicende dai tempi ormai del secolo scorso quando ho frequentato il liceo del seminario.
Ogni tanto emerge dalle nebbie fitte del passato qualche reminescenza.
Ricordo la massima del filosofo greco Eraclito “Panta rei” tutto si evolve nulla rimane fermo.

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere la lapide di marmo rosso di Carrara che ho posto il giorno dell’inaugurazione nell’ingresso del Centro don Vecchi; 1 ottobre 1994.

A quel tempo scrissi a destra e a manca che aprivamo un’esperienza pilota per quello che concerne il problema della residenza degli anziani, specialmente poveri. Credo che senza motivi referenziali e senza vanaglorie si possa affermare che ci è andata bene che, tutto sommato, abbiamo fatto scuola. Gli “alloggi protetti” costituiscono certamente un passo avanti per quanto concerne la terza età.

Il Comune, la Regione e lo Stato, pur con velocità diverse stanno recependo e facendo propria la soluzione abitativa che noi abbiamo sognato e realizzato, felici di avere aperto una nuova “via”.
Sono passati appena 16 anni ed avvertiamo il bisogno di fare un passo avanti.

Tutte le epoche, ma soprattutto il presente non permettono la staticità.
La moda muta ogni anno, ma anche le strutture seguono un ciclo evolutivo veloce e necessario.

In questi ultimi mesi al don Vecchi stiamo lavorando per dare una risposta “all’autosufficienza limitata”.

Riteniamo che umanamente socialmente ed economicamente, dobbiamo ritardare ulteriormente l’ingresso nelle strutture per non autosufficienti, strutture che sono comunque poco rispettose della persona, della loro autonomia decisionale, nel loro diritto di vivere con persone autonome, e della possibilità di porre in atto tutte quelle funzioni delle quali dispongono ancora.

Stiamo lavorando attorno a dei moduli abitativi, integrati con la struttura per autosufficienti, che permettono con opportuni ulteriori servizi, agli anziani con autonomia funzionale, a rimanere nel mondo delle persone vive e non essere costretti ad entrare nel mondo delle anime morte costituito dalle case di riposo per non autosufficienti.

Mi hanno offerto un castello normanno!

Fino alla mia veneranda età ho sempre sentito parlare di un “sogno di mezza estate”, però in queste ultime settimane ho incontrato anche un “sogno di mezzo inverno!”

Qualche tempo fa ho ricevuto in maniera un po’ rocambolesca una lettera spedita da Rapallo il giorno della befana.

Siccome durante i viaggi assurdi che l’organizzazione postale fa fare alle lettere, pensate se da Carpenedo voglio scrivere alla Bissuola, le poste mandano la lettera a Padova e il Centro di Smistamento di Padova la manda alla Bissuola! La lettera spedita da Rapallo il 6 gennaio, rimase sgualcita e semiaperta durante questa trasferta perigliosa. Così che il postino per consegnamela mi ha fatto firmare, secondo il regolamento, che nella lettera c’era tutto quello che il mittente ci aveva messo, come se io avessi affermato che dentro c’era un assegno di qualche milione di euro, le Poste l’avrebbero risarcito!

La befana però quest’anno è stata particolarmente generosa con me, infatti mi ha messo dentro la calza un castello normanno.

Un signore che aveva visto alla televisione una mia intervista in occasione del “Paradiso bond” mi scrisse che condivideva il mio progetto e perciò mi metteva a disposizione un castello normanno che lui possedeva in Calabria.

Con l’ausilio di internet dalla Calabria arrivai fino a Vibo Valentia, a Mileto, al comune di San Calogero ed infine alla frazione di Calimera ove si trova il castello normanno.

Quel che mi è rimasto della mia fantasia di adolescente si scatenò facendomi subito sognare ponte levatoio, fossati, merli, torri, saloni con armature e bombarde.

Internet però mi informò pure delle distanze e pian piano emerse che il castello normanno era stato rimaneggiato e ricostruito tante volte riducendosi ad una bicocca di una ventina di stanze irregolari, sconnesse ed inabitabili che fino a non molti anni fa erano abitate dalla povera gente del paese.

Il proprietario mi assicurò che il posto era bello, che il mare si trovava solo a 5-6 chilometri e che con un pulmino, convenzionandomi con un albergo, avrei potuto portare al mare i miei vecchi.

Ben presto, dopo molte telefonate all’apparato comunale che, a mio modesto parere è rimasto al Regno delle due Sicilie di re Franceschiello, ho paura che dovrò, pur con dispiacere, rinunciare al castello normanno!

Una festa alla “city degli anziani”

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere, in un non so più quale periodico, una di quelle frasi ad effetto che contengono una verità, forse scontata, ma che fa centro.

Le parole della frase erano scelte con cura, parole levigate, vive e penetranti, che dicevano in maniera concisa e molto efficace quello che io riesco a riassumere in maniera prosaica: “Non serve che tu cerchi oltre gli oceani con lunghi e faticosi viaggi la bellezza, l’armonia del creato, la puoi trovare anche molto vicino a te; basta che tu apra il balcone della tua casa e di fronte a te si presenterà uno spettacolo sempre nuovo e sempre sorprendente”.

Stavo percorrendo il lungo corridoio che rappresenta il “Corso” della city degli anziani, il don Vecchi, quando m’accorsi che una piccola processione di persone di varie età si dirigeva verso la porta di una mia vicina di casa. La signora Giuseppina è una veneziana purosangue, che abitava a Castello in una casa che letteralmente le cadeva addosso tanto era vecchia e sfasciata, motivo per cui è stata accolta al don Vecchi nonostante i suoi 90 anni. Nonna Giuseppina cammina appoggiandosi al suo bastone da passeggio, chiacchiera col suo veneziano fiorito e vive abbastanza autonoma, lei dice pure che ha fatto tutto da sè in casa, anche se le figlie non sono sempre d’accordo!

Capii subito che c’era una festa di mezzo perché scorsi un mazzo di fiori, un dolce e figli e nipoti e generi, la coinquilina compiva 96 anni.

Mi unii alla comitiva per entrare nella piccola dimora ordinata e pulita di nonna Giuseppina. Se non chè capitò un piccolo inconveniente, la nonnetta, un’anima bella trattenuta da poche ossa sconnesse, non era ancora pronta a riceverci, infatti si era riempita la testa di bigodini ed aveva una retina che le copriva ancora tutta la testa. O lei o i parenti avevano fatto male i conti con l’orologio. Ci ricevette lo stesso, pur scusandosi di non presentarsi in tutto lo splendore della sua femminilità.
Le facemmo gli auguri e la baciammo con affetto perché era bella anche così!

Per scoprire un mondo caro e simpatico ed una umanità pulita e semplice non serve andare a Salsomaggiore per il concorso di bellezza, la puoi trovare anche nel “Corso” del don Vecchi!

Grazie ai “Paradiso bond” ho fatto conoscere a tutti gli alloggi protetti per anziani!

L’onda lunga dei “Paradiso bond” continua a lambire l’opinione pubblica, non c’è stata testata giornalistica o televisiva che non abbia raccolto la notizia e non l’abbia rilanciata ai propri ascoltatori o spettatori.

Come ripeto, i mass-media non sono stati interessati più di tanto dal fatto che un vecchio prete stia tentando di racimolare i quattrini per aprire una nuova struttura per anziani poveri e che voglia far prendere coscienza alla propria città che non può lavarsi le mani di fronte al problema che i vecchi, con le loro pensioni modeste, non ce la fanno a pagare l’affitto e a mantenersi e quindi non è giusto che si sentano mortificati di pesare sui figli.

L’interesse invece è nato perché il ragazzino di un tempo, diventato intelligente giornalista, ha avuto la sensibilità e l’intuizione che la richiesta di sottoscrivere “un’azione fasulla” di 50 euro e peggio ancora la richiesta di un’offerta di questa cifra modesta alla portata di tutti, sarebbe stata più incisiva se tradotta in un linguaggio d’avanguardia “bond” e fosse stata avvicinata al concetto rifiutato dalla cultura corrente, della famigerata “vendita delle indulgenze” al tempo della Riforma Protestante. (acquisto del Paradiso mediante il vil denaro)!

L’operazione ha funzionato fin troppo, e alla distanza di quasi un mese ricevo ancora richiesta da parte di testate soprattutto televisive.

Molto probabilmente non incasserò euro a palate, e quindi dovrò continuare a mettere via centesimo su centesimo, ma almeno avrò fatto conoscere all’intero Paese l’iniziativa del don Vecchi, con la sua soluzione così attenta e rispettosa al diritto degli anziani di vivere gli ultimi giorni e di morire senza dipendere dalla carità degli altri in strutture signorili e serene.

Un incontro bello e utile per il futuro

Qualche giorno fa ho ricevuto un gruppetto di aspiranti consiglieri della Regione che hanno motivato la richiesta dell’incontro per avere un parere e dei suggerimenti da inserire nel programma da attuarsi, qualora la coalizione alla quale appartenevano, avesse vinto la competizione elettorale.

Le mie esperienze e le mie competenze sono ben limitate e riguardano comunque lo stato sociale, soprattutto nel settore della residenza per anziani.

Ho avuto piacere di esporre quanto ho maturato in questi quindici anni di attività al don Vecchi per quello che riguarda gli alloggi protetti. Credo che questa gente, che fa politica, sia sollecitata da mille istanze e da mille esigenze e perciò il piccolo tassello di cui mi occupo e l’esperienza empirica che vado facendo è certamente ben poca cosa confrontata alle problematiche complesse che deve affrontare la Regione, realtà che va sempre più sviluppandosi come ente sempre più autocefalo.

Io sono sempre più convinto che le soluzioni arrivano quando si dà vita ad una cultura che matura gli organi dello Stato e la collettività a soluzioni che qualcuno ha studiato e sperimentato.

Soprattutto in questi ultimi quindici anni il discorso degli alloggi protetti per anziani, s’è dimostrata una realtà vincente e credo che non si sia lontani che Comune, Regione ed infine Stato, lo recepiscano nel loro ordinamento e promuovano leggi ad hoc.

Oggi ho ricevuto una delegazione comunale e ho ribattuto il chiodo. Ottenere consenso da spiranti amministratori è perfino troppo facile, però credo che nella loro coscienza rimanga un segno che io poi mi farò premura far riemergere.

La mia umile ricetta per vivere bene gli 80 anni

La gente si sorprende quando dico con tutta tranquillità che tra un paio di mesi compio 81 anni.

La gente è spesso buona e soprattutto vivo tra persone che mi vogliono bene e perciò immagino facciano finta di complimentarsi per la decisione con cui tento di andare avanti, questo fa onore a loro e bene a me!

Io mi ritrovo quasi nella stagione in cui si domanda alle persone anziane la ricetta per la presunta vitalità e il segreto per aver raggiunto tale meta.

Io certamente non mi metto a dispensare ricette perché comincerei a compatirmi, a ridere di me stesso!

Posso però affermare e credo di non scoprire l’acqua fredda, che l’impegnarsi, il continuare a sognare, a lavorare fisicamente ed intellettualmente costituisce di certo un aiuto anche se non elimina tutti gli acciacchi della mente e del corpo perchè essi continuano a crescere pian piano e in maniera inesorabile. La seconda confidenza che mi sento di fare e che aiuta molto è il fatto di accettare i miei limiti, la mia età, di scegliere di impegnarmi totalmente finchè si riesce e di sfruttare principalmente quei settori in cui riesco a far qualcosa. Da ultimo, ed è una cosa che ho imparato solamente qualche settimana fa, è quella di cercar di godere delle cose che ancora si riesce a cogliere, piuttosto di crucciarmi di ciò che ormai non è più alla mia portata. Io credo di non essere ancora pronto per “partire”, penso che farei molta fatica ad accettare stoicamente ed in maniera imperturbabile se mi dicessero che la partenza è fissata fra qualche settimana o fra qualche mese, pur sapendo che attualmente il buon Dio sta mandando la “cartolina di precetto” alle classi vicine al 1929, la classe a cui appartengo.

Comunque mi distrae, mi fa passare serenamente il tempo il preparare settimanalmente “L’incontro” ogni 15 giorni il “Coraggio”, ogni mese “Il sole sul nuovo giorno”. L’impegnarmi per abbellire la chiesa della Madonna della Consolazione e soprattutto far crescere la comunità che si riunisce settimanalmente per la lode al Signore, realizzare il don Vecchi di Campalto e tutto quello che va dietro a questa avventura che credo sia ancora alla mia portata.

Non mi illudo per nulla, né mi turbo quando la stampa cittadina mi descrive come un prete vulcanico, solo io conosco bene i miei limiti, i miei acciacchi e le mie paure. Comunque vorrei impegnarmi, finchè posso, a spendere bene e generosamente il mio tempo e le mie risorse!