Una bella chiesa al Villaggio S. Marco

E’ morta qualche settimana fa la sorella della mia vecchia governante, una cara donna più che novantenne che si è spenta dolcemente, in umiltà e silenzio circondata dall’affetto dei suoi figli. Mi è parso doveroso esprime il cordoglio e la mia profonda riconoscenza verso chi mi è stato accanto per ben 35 anni, nonostante la mia intransigenza nel chiedere tutto e più di tutto a chi mi offrì la sua collaborazione. Sono andato quindi nella chiesa di S. Giuseppe in viale S. Marco, chiesa che fu per molti anni quella di don Gino, il più fedele e il più vicino, come indirizzo pastorale, dei parecchi cappellani con cui sono vissuto in canonica a Carpenedo.

Sono arrivato per tempo come è mio costume, così ho avuto modo di osservare questa chiesa nata col villaggio S. Marco, credo quasi mezzo secolo fa.
Ne fui veramente ammirato.

La chiesa non ha pretese architettoniche, ma si rifà alle basiliche romane, sobrie, essenziali nelle linee, ordinate e silenti strutturalmente. Su questo impianto si sovrappone l’animo e lo stile di don Cristiano, il suo giovane parroco. Tutto lucido profumato di pulizia, di ordine e di buon gusto.

Questa chiesa periferica, può darsi che non sia frequentatissima, ma sono certo che si presenterebbe così anche se fosse affollata cento volte al giorno.

Arrivò don Cristiano, magro ed abbronzato per essere stato in montagna con i suoi ragazzi, la vacanza dei preti credenti, camice lungo con un gran pizzo, la pianeta preconciliare, una omelia preparata e linda. Una giovane signora ha letto con proprietà i brani della Scrittura, ed un volontario, facente funzione di sagrestano, collaborò col canto e col servizio. Chiesa e cristiani, puliti e seri. Buttai poi lo sguardo sulla parete di fondo, e scorsi come a Torcello la grande tela di Joos, il pittore triestino, mio amico, che dipinse con vera passione “Il giudizio sull’amore”, forse la più grande tela, ma comunque la più artisticamente pregevole, esistente nelle chiese di Mestre.

Provai un pizzico di orgoglio e di commozione. Il Joos del sacro è nato attorno al Cenacolo artistico de “La cella”, la galleria del Campanile di Carpenedo.

Mi parve che la mia antica concezione, che l’ umanesimo cristiano, non si esaurisce nel culto o nel catechismo, ma investe tutto l’uomo e ciò deve trovare riscontro anche nella pastorale, abbia attecchito, seppur timidamente, nella nostra città.

La nostra soluzione ai mali del mondo d’oggi

Nota: pubblichiamo questo articolo a varie settimane di distanza dal fatto che riporta per tutelare le persone coinvolte.

Oggi ho celebrato il funerale di una giovane donna che avevo conosciuto durante il commiato a suo fratello una ventina di giorni fa.

Non ha retto alla solitudine e al dolore per la morte precoce del fratello, con cui viveva in profonda simbiosi e pur dimorando in una “torre” della Cita in cui abitano centinaia di famiglie, per depressione e solitudine si è buttata dal 13° piano.

L’avevo notata, questa donna, perchè durante il mio sermone era intervenuta a favore del fratello che diceva fosse una cara persona, cosa su cui mi trovavo perfettamente d’accordo.

Pur non conoscendo il defunto avevo avuto la sensazione che si era fatto voler bene per la sua generosità e il suo impegno verso gli altri.

Ieri una ragazza che conosco fin da bambina, è venuta al don Vecchi sconvolta e piangente. Una sua amica le aveva telefonato di notte dicendole concitata che l’avrebbe fatta finita e mentre lei tentava di dissuaderla, ha premuto il grilletto della pistola di ordinanza, faceva infatti la guardia giurata.

L’annuncio della morte dell’amica l’è giunto nel cuore della notte mediante il rumore infernale dello sparo.

Questa è la società, il mondo, che si sono emancipati dai tabù del cristianesimo ed hanno raggiunto, secondo i radicali e non solo loro, un livello di una nuova e migliore civiltà.

A noi credenti tocca il compito di raccogliere i cocci dei valori che, politici, pseudo scienziati e pseudo uomini di cultura, stanno promuovendo con zelo degno di miglior causa.

Le crociate non sono più di moda, però è tempo e forse anche troppo tardi, di affermare in maniera chiara e senza sfumature che il messaggio cristiano è l’unica soluzione ai mali infiniti del mondo d’oggi.

Il tenore di vita dei sacerdoti di oggi

In campo sacerdotale un tempo si parlava frequentemente del ruolo del prete nella società tenendo sempre ben distinto il mestiere, la professione dalla missione del ministro di Dio.

La gente, specie quella poco di chiesa, tentava di sottolineare con acrimonia, che il prete faceva il suo mestiere curando i suoi interessi, mentre i sacerdoti ribadivano con forza che la loro era una missione e se anche, come ogni essere umano, aveva bisogno di qualche compenso per vivere, però le motivazioni profonde che sorreggevano il loro ministero erano dettate da motivazioni ideali.

Sempre nel passato i preti più zelanti facevano loro il motto di S. Giovanni Bosco, motto mutuato da una errata interpretazione della Bibbia “Dammi le anime che il resto non mi interessa”. Ora penso che questa impostazione impostazione mentale sia pressoché tutta crollata e in questo crollo abbia travolto basso e alto clero.

Il basso clero perché la inquadratura impiegatizia e sindacale è meno impegnativa e l’alto clero probabilmente, meno legato con la base, non riesce più a proporre a livello pratico ai propri sacerdoti un tenore di vita e quindi si rassegna ai discorsi ideali.

Questo ha purtroppo i suoi risvolti concreti nel popolo di Dio: le chiese sono chiuse per molte ore del giorno, l’attività pastorale chiude a giugno per riaprire a fine settembre, la parrocchia si riduce al 10-15% dei battezzati, mentre l’80-90% restante vive e muore con nel cuore i lontani ricordi del catechismo.

Tutti in ferie, anche le parrocchie!

“Le ferie” sono diventate un termine quasi magico, una specie di mistero arcano a cui si deve aderire ad ogni costo. In verità tutto questo non è una novità, già il nostro Carlo Goldoni parlava nella sua Venezia, in via di dissoluzione e verso il declino “Le smanie della villeggiatura”.

Ai tempi della Serenissima “le smanie” riguardavano però solamente la nobiltà e la ricca borghesia, da un paio di decenni il fenomeno ha interessato il ceto impiegatizio, gli operai specializzati, le famiglie con doppio stipendio. Ora il fenomeno è generalizzato e solamente i poveri diavoli pare siano immuni da questa frenesia collettiva che si accoda sempre più numerosa al “flauto magico” che costringe le masse a debiti, a condizioni di vita scomode, a code autostradali interminabili, per subirsi “i paradisi artificiali” di folle accaldate, ammassate nelle spiagge, nelle città d’arte incapaci e non attrezzate tecnicamente ad accogliere una popolazione che spesso decuplica quella normale.

Pazienza, così va la vita!

Quello che però mi stupisce, mi interpella e mi mette in crisi è che il fenomeno ferie ha investito anche la chiesa e il clero.

Con fine giugno la pastorale chiude i battenti, le messe sono dimezzate, le canoniche si chiudono lasciando aperte solo le segreterie telefoniche che con voci di rito ripetono le solite bugie di comodo.

I preti debbono andare comunque in ferie e ci vanno anche se sono soli, se hanno parrocchie numerose e problemi pastorali drammatici ed infiniti.

Di tutto questo nessuno si meraviglia, nessuno ne parla. Se prendo la parola per stupirmi, sono certo che mi dicono “è vecchio e fuori tempo!”

Mestieri in via d’estinzione

Il pomeriggio di qualche domenica fa è venuto a trovarmi mio fratello Luigi, che ha portato avanti la bottega di falegname di mio padre. Il nonno Vittorio ha fatto il carraio, il babbo il carpentiere, mentre mio fratello è diventato un esperto di serramenti.

Luigi aveva una bella notizia da dirmi; in verità me l’aveva telefonata appena sfornata, ma evidentemente sentiva il desiderio e il legittimo orgoglio di dirmela a voce: ossia aveva ottenuto 110 e lode dalla Commissione Universitaria Europea che dà la certificazione ai modelli di serramenti.

Oggi per la legislazione in atto che si rifà al Parlamento d’Europa nessuna fabbrica e nessuna bottega artigiana può lavorare se non presenta suddetta certificazione, che consiste nel sottoporre il serramento a prove estreme di tenuta al vento, all’acqua ed altre inclemenze atmosferiche.

La certificazione è, da quanto ho capito, una specie di master per cui il falegname è riconosciuto come un professionista serio e capace e può esercitare il suo mestiere.

Questo è esigito per un semplice falegname, come auspicherei, a maggior ragione, che anche i preti fossero sottoposti ad esami così rigidi per esercitare il sacerdozio ben più importante di una finestra o di un balcone!

Il discorso non si è fermato alla certificazione per cui mio fratello può costruire la finestra “Aisha” e la portafinestra “Anne” i nomi delle nipotine per cui egli va pazzo, ma si è spinto più in là. Ma qui le cose si sono fatte tristi: oggi non ci sono più nè garzoni nè apprendisti, morti questi artigiani ormai anziani, dietro a loro c’è il nulla a cui la Comunità Europea non pensa! Dietro ai nostri muratori, falegnami, fabbri, idraulici, ci sono rumeni, turchi, algerini, marocchini.

Ormai siamo giunti alla mollezza, in un tempo in cui la globalizzazione esige un impegno ulteriore i nostri giovani scelgono di fare i signori, con la benedizione delle televisioni e dei sindacati!

“La pagina del dissenso” su Gente Veneta

Da molti anni leggo ogni settimana “Gente Veneta”, il periodico della nostra diocesi a cui sono abbonato.

La lettura mi aggiorna su quello che avviene in diocesi, ma soprattutto mi fa tastare il polso della sensibilità dei nostri cristiani e dei nostri preti. Gli articoli che presentano fatti ed iniziative, spesso peccano un po’ di trionfalismo, cosa comprensibile, un po’ perchè gli autori pensano di dar tono ai contenuti ed un po’ per incorniciare meglio quanto si va facendo nella diocesi e nelle singole parrocchie.

Ho lamentato, più di una volta, che a leggere “Gente Veneta” pare di incontrare una carrellata di successi e di cose che vanno bene, perché meno di frequente, anzi quasi mai si parla di carenze, di insuccessi e di problemi non ancora risolti.

Questo non credo sia un peccato grave, perché è una debolezza assai diffusa, specie nel mondo cattolico in cui il dibattito di voci libere pare poco gradito anzi assai scoraggiato. Quello che però mi interessa di più in “Gente Veneta” è la pagina che negli alti giornali è denominata “Lettere al direttore” mentre da noi ha una denominazione più in linea con la carità cristiana: “In dialogo” ma che in realtà potremo chiamare “La pagina del dissenso” o del “Visto da angolature diverse da quella ufficiale”!

Ho sottomano “Gente Veneta” del 26 luglio, ci sono tre lettere che mi fanno sperare su un dialogo libero ed onesto.

La prima fa cenno a don Gino Zuccon, che pare non abbia il complesso del “cristiano di sinistra” e critica apertamente PD e Di Pietro per la gazzarra contro il Papa; la seconda di don Aldo Marangoni, che se la piglia con il trionfalismo in missione e la dimenticanza di alcuni nostri preti che pure hanno lavorato o lavorano in Kenia; la terza di don Andrea Favaretto che parla senza peli sulla lingua degli zingari di via Vallenari.

Il direttore don Sandro, fa del suo meglio, come è suo dovere, per oleare le opinioni. Comunque mi pare un bellissimo sintomo di vitalità pastorale che, preti e laici, escano allo scoperto, senza inibizioni e complessi e dicano il loro parere con ruvida franchezza. Ritengo che questo sia l’unico modo per diventare “adulti nella fede” e per crescere a livello pastorale. Fortunatamente poi oggi questa libertà non ha prezzi eccessivi come un tempo e ciò facilita questa crescita ecclesiale!

La concretezza di San Giacomo

Ho ricevuto una telefonata da una persona che si è complimentata per il mio diario. A suo dire, la franchezza, l’umanità dei discorsi, la libertà di pensiero, l’amore per l’uomo ed il messaggio cristiano espressi in maniera disinvolta, senza complessi e senza fronzoli pietistici, sono aspetti graditi e che fan bene.

La cosa mi fa molto contento. Finora non ho ricevuto che consensi per il mio diario.

Tutto questo non mi illude affatto che non vi siano anche critiche e dissensi, ma questo fa parte della vita. Quello che però mi conforta è che a manifestarmi compiacimento siano normalmente cittadini, “liberi pensatori” ossia poco allineati e poco partecipi alle consorterie religiose della nostra chiesa e soprattutto persone poco praticanti, ossia cristiani che sostanzialmente si sentono tali, ma che non amano troppo il linguaggio e il comportamento delle cosiddette persone di chiesa.

Qualche settimana fa, celebrando la festa dell’apostolo Giacomo, dissi ai pochi fedeli che partecipavano all’Eucarestia, che stavo celebrando nella cappella dell’ospedale all’Angelo, che mi sentivo amico di questo apostolo perché condividevo la sua libertà, la sua franchezza di linguaggio, la sua concretezza e la sua profonda convinzione che la solidarietà umana sia l’espressione più autentica della fede ed è ancora ciò che la rende credibile alla gente di ogni tempo.

Giacomo è un apostolo, ed è il primo degli apostoli, che versa il suo sangue a segno della sua fedeltà al Signore, la chiesa lo venera e propone ai fedeli la sua testimonianza e il suo messaggio. Sono convinto che San Giacomo sia un tassello essenziale per dare il volto a Cristo!

Lascio volentieri ad altri seguire il misticismo di S. Giovanni, o la razionalità profonda di S. Paolo; io mi ritaglio questo spazio, questa componente del messaggio, senza la pretesa di presentare tutto il Cristo.
Lascio volentieri ad altri più convinti e più idonei di testimoniare altri aspetti della vita di Gesù.

Povera Italia sì bella e perduta!

Stavo, idealmente, compiacendomi con Berlusconi e il suo staff per la rapida e decisa azione con cui ha eliminato, dalle strade di Napoli e delle cittadine campane, i cumuli di immondizia.

Se non che qualche mattina fa è venuto a messa in cimitero il marito di una mia indimenticabile e generosissima collaboratrice, che avendo il consorte che lavorava in meridione aveva anche molto tempo libero da dedicare al prossimo.

Finita la messa venne in sagrestia a salutarmi.
Questo signore è un tipo un po’ burbero, di poche parole, abituato a comandare un esercito di operai avendo fatto il capo cantiere nei paesi in cui la mafia regna sovrana.

Conoscendo la sua lunga dimestichezza con quell’ambiente, gli manifestai, appunto, l’ammirazione per il governo che in quattro e quattrotto aveva vinto ove Prodi aveva fallito. Ebbe un risolino di compatimento per la mia dabbenaggine e poi con fare scontato mi disse: “Si sono messi d’accordo con la mafia, hanno trovato un compromesso!”

Tentai di obiettare qualcosa. Rimase irremovibile come avesse proclamato un dogma di fede. “Là, don Armando è così! Pensi che la prima volta che andai alla stazione dei carabinieri per una difficoltà di ordine legale, che era insorta nel mio cantiere, il vecchio maresciallo dei carabinieri mi disse in un orecchio: ”Quando avesse una qualche difficoltà, vada da loro che gli risolveranno in qualche modo il problema, da noi lo complicherebbe comunque!”

Quindi Berlusconi non c’entra pur disponendo, oltre la polizia, anche dell’esercito!
Non so proprio cosa pensare!
Un terzo dei deputati pare che non disdegni la droga, un terzo del Paese è comandato dalla mafia.

Povera Italia sì bella e perduta!

Io ho la fortuna di confidare nel Signore, che prima o poi giudica e castiga con giustizia, ma chi non avesse questa fede non so proprio come possa sperare in un domani migliore per la nostra Paese!

Cercando la povertà evangelica

Umberto Eco io lo conosco, quasi esclusivamente, per aver letto il suo romanzo “Il nome della rosa”.

Qualcuno mi ha detto però che Eco è di cultura radicale e perciò tendenzialmente anticlericale e forse anche antireligioso.

In verità i frati, che sono i protagonisti del romanzo, non ci fanno una gran bella figura, sia nel film, ma soprattutto nel romanzo.

Nel film il regista non poteva indugiare più di tanto nel descrivere il clima ecclesiale di quel tempo, ma nel romanzo ci sono pagine e pagine in cui lo storico fa il punto sui movimenti religiosi del tempo che era pressappoco quello in cui visse Francesco d’Assisi.

Mi sorprende alquanto come la chiesa facesse fatica a riconoscere i movimenti che si rifacevano alla povertà evangelica.

In quei tempi, in contrapposizione all’opulenza della chiesa romana e di molti vescovi che avevano tanto poco del rigore di quel Gesù che disse che, mentre le volpi avevano le loro tane e gli uccelli i loro nidi, il Figlio dell’uomo non aveva neppure una pietra su cui posare il capo.

Francesco è un esempio della fatica di farsi approvare la regola che rifiutava la proprietà che proclamava “Madonna povertà!”

Sembra assurdo ma è pur vero che quasi sempre è stato guardato con sospetto dalle gerarchie ecclesiastiche chi, nei lunghi secoli di storia cristiana, abbia tentato di rifarsi al Vangelo senza chiose e senza interpretazioni ballerine che permettono di vivere nell’agiatezza e nel privilegio.

Poi se uno ci pensa più a fondo finisce per comprendere che queste testimonianze radicali e coerenti seppur silenziose e umili, finiscono per diventare un’accusa dura e tagliente allo sfarzo, al lusso e alla vita agiata di certe strutture ecclesiastiche che hanno dimenticato non solo il Cristo del Vangelo, ma anche le loro povere origini popolari.

Fortunatamente in ogni tempo all’interno della chiesa c’è sempre stato qualcuno che senza puntare il dito accusatorio, ha semplicemente scelto per sé la povertà evangelica ed è diventato punto di riferimento per coloro che vogliono scegliere Cristo come maestro, senza mediazioni, ma così com’è presentato nel Vangelo!

Con un filo si può recuperare uno spago, con uno spago si può acquisire una fune…

Da un po’ di tempo, in attesa di una soluzione adeguata, sto celebrando messa nella cappella del nuovo ospedale.

Confesso che sono affascinato dal nuovo ospedale, è semplicemente splendido!

Sento molte critiche, ogni giorno “Il Gazzettino” riporta un problema sempre nuovo, comunque, per me, il nuovo ospedale dell’Angelo rimane splendido!

Pure la cappella è bella: raccolta, posta in un sito opportuno, in cui il raccoglimento si coniuga con il verde, il silenzio e la facile accessibilità per tutti. Ora però manca un prete che la faccia vivere, vibrare, che dia voce a Cristo! Per ora tento di farlo io, seppur vecchio ed impegnato sull’altro versante della vita, ossia in quello del cimitero. Qualche domenica fa ho celebrato e la chiesetta si è pian piano riempita e a detta della suora della cappella dell’ospedale, non si era mai vista tanta gente così. Ho celebrato volentieri, ho riflettuto a voce alta sulla parabola del grano e della parabola che come ogni brano del Vangelo, offriva motivi di riflessione attualissimi e validi.

A fine messa mi ha raggiunto in sagrestia una signora la quale, forse incoraggiata dalle mie aperture fiduciose sull’uomo, mi ha posto il problema del nipotino non battezzato. Le solite storie! Il genero che si dichiara ateo, la figlia, praticante fino alla vigilia del matrimonio segue pedissequa il marito, che fare per il nipotino? La mia risposta è stata pronta, senza perplessità: “è opportuno battezzarlo, checché ne dicano gli specialisti in chiacchiere religiose” .

Col papà non è difficile ottenere un consenso. Forse è lui il primo che desidera che lo si “costringa” a battezzare il figlio; l’ateismo nostrano è sempre epidermico! Secondo non bisogna mai tagliare i ponti; con un filo si può recuperare uno spago, con uno spago si può acquisire una fune. Terzo, il sacramento, ossia la grazia, ha una sua vitalità che agisce indipendentemente da ogni realtà.

Di certo bisognerà superare le resistenze del parroco, aggirando “i percorsi di guerra” della preparazione, ma soprattutto ci vorrà una parrocchia viva in cui il bimbo, l’adolescente e il giovane di domani, incontri un cristianesimo non lagnoso ma splendido.

Mi affascina la vita di don Angelo Lolli

Ho confessato più volte che “L’Incontro” non è tutto “farina del mio sacco” e neppure del “sacco” del piccolo manipolo di collaboratori che offrono le loro riflessioni ogni settimana ai lettori de “L’incontro”.

Sono abbonato da molti anni a tante riveste, più o meno belle ed interessanti, dalla cui lettura spulcio tutto quello che ritengo possa interessare e soprattutto far del bene a chi legge il nostro settimanale.

Tra le tante riviste ce n’è una, a cui sono abbonato da molti anni, è “L’amico degli infermi”, un mensile povero, disadorno con cui l’opera Santa Teresa di Ravenna parla ai suoi concittadini della propria attività a favore dei disabili ravennati e dei dintorni.

Suddetta rivista, non è tipograficamente bella, nè ha contenuti tanto interessanti, ma parla di un’opera splendida, una perla di grande valore evangelico: L’opera di Santa Teresa. Era necessario un prete così in quella Romagna mangia preti, ma che comprende, ama ed aiuta in maniera veramente generosa, poiché fede o non fede, clericali o anticlericali, di fronte alla carità ogni uomo si inchina, riflette e si lascia coinvolgere.

Il fondatore di questa splendida opera è un prete, don Lolli, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita.

Alcune settimane fa ho dedicato l’editoriale de “L’incontro” a questo prete meraviglioso e alla sua opera; lo meritava davvero anzi meriterebbe molto di più!

Ho pensato bene spedire all’attuale direttore dell’opera, pure prete, il nostro settimanale. Pochi giorni dopo mi è arrivata una lettera cara di ringraziamenti ed un volume di Alessandro Pronzato, vecchio prete scrittore, dal titolo: “Don Angelo Lolli. Le follie dell’amore” dell’editrice Gribaudi. Don Pronzato scrive benissimo e la vita di don Lolli è quanto di più affascinante si possa sognare da un prete “folle” per i poveri.

Nella Ravenna, repubblicana, anarchica e anticlericale, solo un prete così poteva sopravvivere, però sono convinto che ogni città avrebbe bisogno di almeno un prete così!

Sto leggendo il volume come il romanzo più interessante, ma invece di un romanzo questa è una vita vera cioè veramente affascinante!

Religione e sette

Non sono moltissimi gli uomini che pensano, però fortunatamente ogni tanto ne incontri qualcuno, non sempre questo qualcuno è un cattedratico, un filosofo o un ricercatore che spende tutta la sua vita sui libri.

Qualche giorno fa mi ha accompagnato al cimitero di Chirignago, per dire un’ultima preghiera e benedire il loculo ove attenderà la resurrezione finale, una giovane sposa, un impresario di pompe funebri della nostra città, al quale, piuttosto di starsene in ufficio a dirigere l’impresa, piace muoversi ed avere contatto con la gente.

Questo signore, che suppongo non sia laureato nè in filosofia nè in teologia, che provenendo da una famiglia che si è sempre interessata di pompe funebri, immagino abbia, soprattutto, una grande esperienza di epigrafi, bare e regolamenti mortuari, ma che si caratterizza però un po’ perché partecipa a voce alta e in maniera disinvolta, alla preghiera del sacerdote e dialoga volentieri dei problemi della vita. Mentre molti altri impresari, del settore, pare che siano religiosamente asettici e pur trafficando da mane a sera con preti, chiese e riti funebri, sembra che trattino queste cose in maniera distaccata quasi che quello che vedono e sentono non li riguardi affatto e parlano solamente della concorrenza.

Comunque il discorso cadde sulla religione e sul modo di essere religiosi nel nostro tempo. La cosa mi faceva quanto mai piacere perché su questo argomento è impegnata la mia vita. Ebbene questo signore disse delle cose su cui mi trovo totalmente d’accordo, affermando, con convinzione, che la proposta cristiana è la più seria, la più umana, la più rispondente alle attese e ai bisogni degli uomini del nostro tempo e si meravigliava che tanta gente pare rifiuti i segni con cui questa fede si alimenta e si esprime e si meravigliava alquanto che vi siano certe persone che voltano le spalle a questa sana interpretazione della vita e della morte per abbracciare sette con riti assurdi ed esoterici, estranea dalla nostra cultura, che impongono norme e comportamenti inconsistenti e risibili dal punto di vista razionale ed esistenziale.

Fui felice del discorso tanto che lo proporrei come presidente del consiglio pastorale della diocesi!

“don Armando parla poco, ma scrive molto e non sempre ha ragione!”

A botta calda non ho avvertito più di tanto il colpo.

Ora, però, un po’ perché me lo hanno fatto osservare i tanti presenti all’inaugurazione del don Vecchi di Marghera ed un po’ perché ci ho ripensato più attentamente, l’osservazione fattami pubblicamente dal Patriarca mi pare sempre più pesante. Il Patriarca, in tono bonario, ma affermando ciò che probabilmente maturava da tempo nel suo animo disse: “don Armando parla poco, ma scrive molto e non sempre ha ragione!”

Apparentemente disse una cosa ovvia e scontata, quasi superflua.

Il dogma cristiano che afferma, e non da tanto tempo, che lo Spirito Santo garantisce l’infallibilità solamente al Papa ed in pochissime occasioni e su pochissimi argomenti, sancito dal Concilio Vaticano primo, essendo dissenzienti Vescovi e cristiani, oltre a tutte le chiese protestanti che erano e sono fermamente contrari a questa definizione.

In verità il Santo Padre ha fatto pochissimo uso di questa prerogativa, che poi riguarda i “massimi sistemi” che perciò normalmente interessa poco la vita della gente comune.

Quindi che un povero prete, per di più vecchio, non dica sempre cose sagge ed opportune, dovrebbe essere più che normale e quindi nemmeno degno di essere sottolineato.

C’è stato chi si è dato la briga di raccogliere in un libro gli svarioni dei ragazzi a scuola, ne è risultata un’antologia esilarante.

Penso che se anche qualcuno si desse da fare per raccogliere tutte le corbellerie e le affermazioni improprie o inopportune pronunciate da teologi ed uomini di chiesa, anche di alto rango, se ne potrebbe fare un’enciclopedia!

Venendo a me, non ho mai pensato di essere un saggio, di affermare sempre ciò che è vero ed opportuno, però ho sempre tentato di riflettere, di contribuire con la mia ricerca umile e discreta al bene dell’uomo e del cristiano e l’ho fatto sempre per amore della comunità e della religione.

E’ vero che voci del genere sono mosche bianche, fastidiose perché mosche ed insolite perché bianche! Terrò certamente presente l’ammonizione doverosa, ma non più di tanto dato che oggi non si usa più la mordacchia!

La religione non è per Dio, ma per l’uomo!

Quando una persona fa una scoperta elementare, quasi ovvia, si dice che ha scoperto l’uovo di Colombo.

Si dice infatti che qualcuno aveva sfidato un gruppo di cittadini di far stare in piedi, ossia in assetto verticale, un uovo; cosa impossibile. Infatti nessuno ci riusciva, si dice che Colombo avrebbe vinto la sfida schiacciando un po’ una estremità così da far sì che l’uovo potesse stare in piedi. Facile! Sì, però uno soltanto, lo scopritore dell’America, ebbe questa intuizione. A me, leggendo il brano del Vangelo di ieri, mi è parso di fare la scoperta dell’uovo di Colombo!

Da tanto tempo mi stavo domandando perché al Creatore del cielo e della terra piacesse tanto pretendere certe preghiere, certi riti, da imporre comandamenti, sacramenti e tutta quella congeria di salmi, prescrizioni, precetti, novene, feste e norme varie?

Un personaggio così intelligente, creativo, ricco di iniziativa, fantasioso nella sua creazione e con un senso estetico che ha dimostrato di avere costruendo l’universo, gli dovrebbero piacere certe funzioni monotone, ripetitive, noiose anche per noi poveri mortali, dovrebbe essere dispiaciuto così da soffrirne per le nostre beghe, le nostre scappatelle e le nostre trasgressioni? Non trovavo risposta! E per di più nessuno me ne aveva parlato mai.

S’accese la lampada interiore, così che riuscii a far stare in piedi il famoso uovo! Mi pare di aver finalmente capito che tutto l’apparato di una religione non è finalizzato al gradimento, al piacere e alla soddisfazione di Dio, quasi avesse bisogno della nostra “commediola” per essere felice, ma è tutto impostato per rendere più nobile, alta, serena, pacifica e felice la vita degli uomini!

La religione non è per Dio, ma per l’uomo!

Così i conti tornano e mi paiono giuste le norme e le attese di Dio! Non so quanti fedeli abbiano capito questo e se l’hanno capito perché non me l’hanno detto?

Comunque sono tanto contento anche se sono arrivato tanto tardi!