Il tenore di vita dei sacerdoti di oggi

In campo sacerdotale un tempo si parlava frequentemente del ruolo del prete nella società tenendo sempre ben distinto il mestiere, la professione dalla missione del ministro di Dio.

La gente, specie quella poco di chiesa, tentava di sottolineare con acrimonia, che il prete faceva il suo mestiere curando i suoi interessi, mentre i sacerdoti ribadivano con forza che la loro era una missione e se anche, come ogni essere umano, aveva bisogno di qualche compenso per vivere, però le motivazioni profonde che sorreggevano il loro ministero erano dettate da motivazioni ideali.

Sempre nel passato i preti più zelanti facevano loro il motto di S. Giovanni Bosco, motto mutuato da una errata interpretazione della Bibbia “Dammi le anime che il resto non mi interessa”. Ora penso che questa impostazione impostazione mentale sia pressoché tutta crollata e in questo crollo abbia travolto basso e alto clero.

Il basso clero perché la inquadratura impiegatizia e sindacale è meno impegnativa e l’alto clero probabilmente, meno legato con la base, non riesce più a proporre a livello pratico ai propri sacerdoti un tenore di vita e quindi si rassegna ai discorsi ideali.

Questo ha purtroppo i suoi risvolti concreti nel popolo di Dio: le chiese sono chiuse per molte ore del giorno, l’attività pastorale chiude a giugno per riaprire a fine settembre, la parrocchia si riduce al 10-15% dei battezzati, mentre l’80-90% restante vive e muore con nel cuore i lontani ricordi del catechismo.

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