Da molti anni leggo ogni settimana “Gente Veneta”, il periodico della nostra diocesi a cui sono abbonato.
La lettura mi aggiorna su quello che avviene in diocesi, ma soprattutto mi fa tastare il polso della sensibilità dei nostri cristiani e dei nostri preti. Gli articoli che presentano fatti ed iniziative, spesso peccano un po’ di trionfalismo, cosa comprensibile, un po’ perchè gli autori pensano di dar tono ai contenuti ed un po’ per incorniciare meglio quanto si va facendo nella diocesi e nelle singole parrocchie.
Ho lamentato, più di una volta, che a leggere “Gente Veneta” pare di incontrare una carrellata di successi e di cose che vanno bene, perché meno di frequente, anzi quasi mai si parla di carenze, di insuccessi e di problemi non ancora risolti.
Questo non credo sia un peccato grave, perché è una debolezza assai diffusa, specie nel mondo cattolico in cui il dibattito di voci libere pare poco gradito anzi assai scoraggiato. Quello che però mi interessa di più in “Gente Veneta” è la pagina che negli alti giornali è denominata “Lettere al direttore” mentre da noi ha una denominazione più in linea con la carità cristiana: “In dialogo” ma che in realtà potremo chiamare “La pagina del dissenso” o del “Visto da angolature diverse da quella ufficiale”!
Ho sottomano “Gente Veneta” del 26 luglio, ci sono tre lettere che mi fanno sperare su un dialogo libero ed onesto.
La prima fa cenno a don Gino Zuccon, che pare non abbia il complesso del “cristiano di sinistra” e critica apertamente PD e Di Pietro per la gazzarra contro il Papa; la seconda di don Aldo Marangoni, che se la piglia con il trionfalismo in missione e la dimenticanza di alcuni nostri preti che pure hanno lavorato o lavorano in Kenia; la terza di don Andrea Favaretto che parla senza peli sulla lingua degli zingari di via Vallenari.
Il direttore don Sandro, fa del suo meglio, come è suo dovere, per oleare le opinioni. Comunque mi pare un bellissimo sintomo di vitalità pastorale che, preti e laici, escano allo scoperto, senza inibizioni e complessi e dicano il loro parere con ruvida franchezza. Ritengo che questo sia l’unico modo per diventare “adulti nella fede” e per crescere a livello pastorale. Fortunatamente poi oggi questa libertà non ha prezzi eccessivi come un tempo e ciò facilita questa crescita ecclesiale!