“L’uomo non è fatto per il sabato, ma il sabato per l’uomo!”

Incontro talvolta, nei brani del Vangelo, che la chiesa ci fa leggere durante la Santa messa, delle parole che letteralmente mi esaltano. Mi fanno veramente felice suddette pagine perché, spesso mi pare di trovarmi solo, quasi isolato nel mio interpretare il messaggio cristiano.

Allora, quando mi pare che il pensiero di Gesù collimi esattamente con il mio modo di voler essere cristiano, o meglio quando mi accorgo che il mio pensiero è nella stessa linea di quello di Cristo, sono preso da una profonda ebbrezza interiore tanto da sentirmi sereno anche se la maggior parte dei confratelli, la pensa in modo totalmente diverso da me.

Il brano che mi ha fatto felice, qualche giorno fa, è quello arcinoto che descrive che gli apostoli, avendo fame e passando accanto ad un campo di grano, sfregano tra le mani le spighe e mangiano i chicchi di frumento.
Questo gesto, anch’io da bambino, vivendo in campagna, l’ho fatto.

Arriva pronta la critica di quei bigotti legalisti che erano i farisei. Accusano Gesù e gli apostoli non tanto perché avevano preso cosa non loro, ma perchè avevano infranto il precetto del sabato che imponeva giustamente il riposo nel giorno del Signore.

Gesù dà quella stupenda risposta: “L’uomo non è fatto per il sabato, ma il sabato per l’uomo!”

Le norme, le leggi hanno una loro giusta funzione e si debbono osservare, ma sempre vanno applicate avendo attenzione al bene dell’uomo.

La legge in assoluto, come vorrebbe un certo legalismo, purtroppo presente anche nel nostro tempo, è un assurdo, un’ingiuria contro l’uomo ed una “bestemmia” contro Dio!

Mi dicono che in Inghilterra non esiste il codice civile e penale, che ha una condanna per ogni tipo di mancanza, ma solamente alcuni principi che i giudici applicano, secondo coscienza, per aiutare i cittadini a far meglio.

Forse, può darsi, che anche per questo, i giudici inglesi non hanno la disistima e talvolta il disprezzo che riscuotono spesso gli italiani!

Ho incontrato un Pope

Ormai sono rimasto uno degli ultimi preti che, secondo i giovani preti, hanno il malcostume di accontentare i fedeli che desiderano che si reciti una preghiera e che si invochi la benedizione del Signore prima che il legno copra per sempre dal loro sguardo il volto dei propri cari prima della sepoltura. Lo faccio un po’ perché l’ho sempre fatto, un po’ perché convinto che una preghiera in più non faccia male e soprattutto per non spezzare quel sottile legame di fiducia che unisce il sacerdote al popolo di Dio.

Qualche giorno fa mi sono recato nella sala mortuaria del Policlinico per adempiere a questo gesto di carità cristiana. Quando arrivai c’era un pope ortodosso che stava compiendo lo stesso servizio religioso nei riguardi di un connazionale morto a Mestre. Sono ormai molti i cittadini dei Paesi dell’Est europeo che abitano da noi e quindi non sono infrequenti gli eventi luttuosi anche per questi ospiti della nostra città.

I riti religiosi della liturgia orientale non sono veloci e sbrigativi come da noi, indulgono in lunghe preghiere, canti e gesti quali l’aspersione con l’acqua benedetta ed incensazioni varie.

Essendo io sopraggiunto quando quest’altro ministro del Signore adempiva al suo compito, me ne stetti in disparte partecipando intimamente al dramma dei pochi presenti che, al dolore per la perdita di un loro congiunto, dovevano dargli l’ultimo saluto in terra straniera, lontano dalla loro gente, quasi sopportati per preghiere e vesti religiose diverse.

Il pope si accorse che io stavo aspettando, pazientemente e rispettosamente, che lui finisse. Terminata la sua lunga preghiera si avvicinò a me e mi diede il rituale abbraccio di pace, ma con calore e sincerità. Ne fui molto felice, vergognandomi quasi che la mia naturale riservatezza non mi spinga mai a gesti del genere.

E’ certamente bello ed opportuno coltivare nel cuore sentimenti di fraternità universale, ma è ancora più bello esprimerli esteriormente con calore ed amicizia fraterna.

A proposito dell’assistenza religiosa all’ospedale dell’Angelo

In questi ultimi giorni mi è capitato di riflettere più di frequente ed in maniera più profonda sul problema dell’assistenza religiosa nel nostro nuovo e splendido ospedale. Dapprima è prevalsa in me l’amarezza e la delusione che i due o trecento preti della diocesi di Venezia non facciano uno sforzo ulteriore per trovar modo di farsi carico anche di questa esigenza.

Penso che i preti del Patriarcato siano impegnati, ma non ritengo neanche che siano dei martiri del loro servizio! Poi pian piano mi è parso che si stia delineando il progetto alternativo del Signore, il quale non si scoraggia, né si avvilisce per la mancanza di una ulteriore generosità dei suoi ministri, ma anche in questo settore ci faccia intravedere la nuova soluzione che intende adottare. Mi pare anche che sia una soluzione innovativa, bella ed intelligente come sono tutti i progetti del Signore.

Nel passato più volte ho pensato e scritto che la crisi delle vocazioni non sarà quella che metterà in ginocchio la chiesa perché lo spirito di Dio ha una tale capacità inventiva per cui in ogni tempo, prima già che si esaurisca un progetto, mette all’orizzonte quello che lo dovrà sostituirlo e che è sempre maggiore e più adatto del precedente.

E’ ben vero che nell’ospedale all’Angelo non ci sono più i tre o quattro preti a disposizione degli ammalati come c’erano nel passato. Però è pur vero che oggi ci sono a disposizione alcuni diaconi, una suora, degli accoliti e tanti volontari che credono nella solidarietà, che ogni giorno sono a servizio degli ammalati ed offrono soprattutto una testimonianza di carità, di spirito di servizio e di fede. Quando entra nell’ospedale l’amore e la fraternità autentica, entra Cristo e quindi la salvezza.

Il Signore che pare sia uscito da una uscita secondaria è già entrato per quella principale!

Povera Chiesa, povero cristianesimo!

Questa estate gli anziani del don Vecchi mi hanno chiesto di fare qualcosa per il Redentore.

Il guaio è che non hanno chiesto di fare un ritiro spirituale, una lettura biblica dei brani del Vangelo che riguardano la figura del Redentore, oppure anche solamente la recita del Rosario per prepararsi ad una celebrazione tanto importante.

Per i miei vecchi “far Redentore” si riduce ad una cena particolare a base di anatra arrosta, sarde in “saor”, in sostanza di passare una serata un po’ diversa dal solito.

Al don Vecchi si osservano gli orari delle galline e del pollaio, alle 19,30 la gente si ritira nelle proprie case, cena, un po’ di televisione sonnecchiando, poi tutti a letto!
Il “Redentore” rappresenterebbe una eccezione!

Non è che il desiderio espresso mi scandalizzi, no, la penso come San Paolo; tutto quello che è bello e positivo e certamente gradito al Signore! Non posso però constatare, con amarezza e preoccupazione, come certe celebrazioni cristiane hanno mantenuto l’antico guscio ed etichetta, però hanno cambiato totalmente i contenuti e questo non è proprio il meglio che un prete possa desiderare.

Io non sono mai stato al Redentore, so del ponte di barche, so che le congregazioni del clero partecipano alla processione, so della gente che passa la notte in barca mangiando e vedendo i “foghi” e che i più tradizionalisti vanno al Lido per vedere il sorgere del “febo”, però nonostante il pontificale e il discorso del Patriarca, il clima, l’atmosfera si riduce a questo.

Colui che ci ha riscattato dal male ed aperto le porte del cielo si riduce ad un mero pretesto per far festa.

Povera chiesa, povero cristianesimo! Speriamo che il Signore ci mandi un altro San Francesco o un altro Savonarola, perché se dipendesse da noi preti d’oggi, penso che ci sarebbe ben poco da sperare!

Un profondo esame di coscienza

Ieri ho messo nero su bianco il modo in cui medito al mattino. L’ho fatto con un certo rossore perché, se queste mie confidenze andassero in mano ad un teologo, un docente di ascetica, un biblista o anche ad un mio collega sacerdote, farebbero un sorriso di compatimento nell’apprendere il modo elementare con cui, nonostante la mia veneranda età e le esperienze di una intera vita di operatore pastorale, rifletto al sorgere di ogni giorno.

Mi ha confortato qualche settimana fa la confidenza di una suora che fa parte del consiglio generalizio di una grossa congregazione religiosa, suora che mi ha detto che fa meditazione sul mio diario.

Sono rimasto sorpreso e preoccupato, poi ho concluso che il Signore si serve di tutto per raggiungere i suoi fini. Mentre qualcuno si scandalizza del mio modo di pensare, questa “sposa di Cristo” trova utile il contributo del pensiero di questo povero vecchio prete.

Come scrissi ieri, da qualche tempo adopero un opuscoletto edito da una chiesa Valdese, estremamente modesto, ma che ben si coniuga con la mia pochezza.

Questa mattina il raccontino che trascrivo è stato motivo di un profondo esame di coscienza, di pentimento sincero, di richiesta di perdono al Signore e di un convinto proposito. Anch’io sono profondamente convinto che “solo Gesù ha parole di vita eterna” ma non sempre l’ho ripetuto con convinzione e tanto spesso quanto avrei dovuto fare e quindi faccio totalmente mio il proposito di questo cristiano d’America:

“Quando venni a sapere che Larry, un mio caro amico ha trovato la morte precipitando dal 17° piano del palazzo, rimasi fortemente scioccato ed afflitto. Subito dopo fui riempito da una ancora più profonda ed inconsolabile tristezza quando incominciai a pensare alla sua vita futura. Larry ed io eravamo stati buoni amici nella scuola superiore. Parlavamo di molte cose: dei compiti, della famiglia, di sport, del futuro. Avevo parlato con lui di tutto salvo che di Gesù. Ma ora non importa più ciò di cui parlavamo. Ciò di cui non avevamo parlato era ciò che ora più di tutto mi interessava di Larry. Non so se Larry abbia aperto il proprio cuore a Cristo. Ciò che so è, appunto, che non gliene ho mai parlato. Se penso a questa tragedia che è accaduta tanti anni fa, il pensiero della mia mancanza continua a ferirmi. Come discepolo di Cristo, mi rimane il dispiacere di non aver parlato di Gesù al mio amico. Ma non possiamo cambiare il passato. Possiamo, però, chiedere a Dio di perdonare il nostro silenzio e mutare il dispiacere nella determinazione di condividere con gli altri il nostro incontro con Cristo”.

Un magnifico manuale di istruzioni

C’è un detto popolare che afferma che gli estremi si toccano. Forse sarà in forza di questo principio che alla mia bella età, talvolta mi trovo a fare le esperienze e le considerazioni che ho fatto da adolescente.

Quando era ragazzino don Nardino Mazzardis, che era il mio cappellano, mi passava dei libretti per la meditazione. In verità non ero capace di meditare a quel tempo e continuo ad aver difficoltà a percorrere i difficili e intricati sentieri della mistica, però i libretti che mi passava quel carissimo ed intelligente sacerdote, contenevano dei fatterelli per cui li leggevo volentieri e ricordavo il messaggio che essi offrivano. Mi ritrovo ottantenne, quasi incapace di sopportare certi discorsi complicati ed astrusi e se voglio cogliere dei messaggi per la vita debbo ricorrere a testi che contengono immagini vive e concrete.

Il testo che adopero parte da una frase della Bibbia, ma poi è interpretata ogni giorno da un cristiano diverso che la cala nella sua esperienza quotidiana. Talvolta in maniera incisiva ed efficace, talora un po’ meno, comunque, tutto sommato, trovo messaggi utili e fecondi.

Questa mattina, un cristiano d’America ha commentato così la funzione che ha la Bibbia nei riguardi della nostra vita: “Un giorno ho acquistato un mobile per la televisione. Tornato a casa, cominciai a mettere insieme i diversi componenti seguendo le indicazioni del manuale che avevo accanto. Quando ebbi finito, rimasero nella scatola delle viti in più e due altri pezzi, ma il mobile sembrava a posto. Tuttavia, quando vi posi sopra la televisione ed altri oggetti, si curvò da una parte perché non reggeva tutto quel peso. Ovviamente, non avevo montato tutti i pezzi correttamente, secondo le istruzioni del manuale. Per quanto riguarda la nostra vita spirituale, abbiamo una risorsa che ci guida, un manuale di istruzioni composto di sessantasei libri pieno di consigli saggi perché si possa vivere secondo la volontà di Dio. Questo manuale è la Bibbia. Se la leggiamo, la studiamo ed applichiamo la sua saggezza come guida per vivere una vita che ha Dio al centro, possiamo portare il peso che la vita ci reca. Non solo questo. Guidati dalla parola di Dio possiamo vivere vittoriosamente”.

Non si tratta di certo di un volo di alta mistica, però è efficace per convincerci che una lettura ed una conoscenza approfondita della Sacra Scrittura ci aiuterebbe ad acquisire sapienza.

La Bibbia è punto di riferimento per le nostre scelte e per acquisire una mentalità sana, però bisogna conoscerla bene per applicare gli insegnamenti.

Suor Laura Piazzesi

Ho ricevuto una cara visita. Accompagnata dalla sorella Francesca è venuta a trovarmi, al don Vecchi, suor Laura Piazzesi, missionaria ormai da decenni nelle Filippine.

Suor Laura è un personaggio di spessore tra le suore Canossiane; infatti ne è stata economo generale per molti anni.

Entrata in convento fin da ragazza, pronunciò i voti religiosi, moltissimi anni fa. Suor Laura è nata a Venezia, sorella di un mio compagno di scuola, si è trasferita da adulta a Mestre e a motivo dei rapporti che avevo con il mondo delle maestre, in qualità di assistente dell’associazione maestri cattolici, nella quale lavoravano due o tre sorelle di Laura, riallacciai i rapporti con questa cara e numerosa famiglia e poi da parroco di Carpenedo stabilimmo una testata di ponte a livello missionario col paese in cui lavorava da missionaria la nostra suora.

Dicevo che suor Laura non è una suoretta incolore e da convento, ma una vera manager che ha raccolto fondi in Germania, in Italia e ha aperto strutture a livello assistenziale in mezzo mondo.

Avevo incontrato più volte nel passato questa missionaria sempre ricca di sogni, di progetti, ma soprattutto di calda umanità e di grande spirito apostolico.

Mi è apparsa ora un po’ stanca, si appoggia ad un bastone da passeggio ed ha perso un po’ della sua grinta. Ho avuto la sensazione che ora non sia più la protagonista di un tempo, ma sia arrivata quasi alla soglia della casa di riposo.

Il volto è rimasto dolce, la voce calda e gli occhi vivi, ancora innamorata della sua scelta e della sua missione, però mi è parso di notare un pizzico di nostalgia e due di impotenza di fronte alla complessità della vita e la sua ormai evidente fragilità. Le chiesi se sarebbe rimpatriata e mi rispose con impeto: “Oh no!” era evidente la sua volontà di spendere anche gli ultimi rimasugli della sua vita per quella gente lontana che tanto ama!

Bella creatura davvero!

A ottant’anni sacerdote all’ospedale dell’Angelo

Nota: questo articolo è stato scritto da don Armando alcuni mesi fa, non appena assumto il nuovo impegno presso l’ospedale dell’Angelo a Mestre.

Ringrazio il Signore e lo scoutismo di avermi donato il senso dell’avventura. E’ bello e provvidenziale che ragazzi, adolescenti e giovani sognino ad occhi aperti, ma è veramente straordinario che un prete ottantenne, che ne ha passati di tutti i colori, continui a sognare mentre ha già i piedi sul ciglio della tomba! E’ cominciata così: ad ottobre 2007 mi è stato chiesto di dare una mano in ospedale per supplire, i padri Camilliani, che se ne erano andati. Mi stancai, ma comunque sono venuto a conoscenza di un settore in cui la presenza di un prete può fare immensamente del bene.

La questione pareva che si fosse risolta con la solita toppa, se non che una volta ancora si è avverato l’ammonimento evangelico dall’inutilità di “toppe nuove su vestiti vecchi!” In verità in ospedale è capitato esattamente il rovescio, perché si è messo infatti una toppa vecchia su un vestito nuovo, il frate cappuccino se n’è andato.

Amici cari, che forse non sanno che ho ottanta anni, mi hanno telefonato esortandomi a ritornare.

Nostalgia, rimorso o forse spirito di avventura mi hanno “costretto” a telefonare al responsabile ufficiale mons. Pistolato, mio vecchio cappellano a Carpenedo, a cui dissi che avrei tentato di fare qualcosa.

Per ora celebrerò alla domenica e forse un altro paio di giorni alla settimana, rendendomi disponibile per confessioni ed unzioni in occasione di queste celebrazioni.

Mi impegnerò a fare della cappella un “faro” ed un “rifugio” per chi cerca ristoro e conforto e darò vita ad un settimanale per la preghiera e la riflessione di chi la malattia costringe a fermarsi, a riflettere e a prendere coscienza della propria fragilità e di aver bisogno di Dio.

Comincerò subito, perché nè gli ammalati nè io abbiamo tempo da perdere!

“Là c’è la Provvidenza!”

Alessandro Manzoni ha messo in bocca al povero e spaesato Renzo Tramaglino la battuta che ha fatto tanta fortuna e che spesso rasserena pure me, tanto che spesso, quando mi sento frastornato e travolto dalle istanze della vita, esclamo “Là c’è la Provvidenza!” e sempre in qualche modo si apre uno spiraglio di speranza e di soluzione.

L’ultima volta che si è accesa questa lampada rasserenante è stato qualche giorno fa quando alle otto di sera suonarono alla porta del mio quartierino, Lino, il responsabile del don Vecchi Marghera, assieme a Stefano, il suo fedele scudiero, tecnico della ristorazione.

Dapprima ebbi un tremito di preoccupazione “Cosa sarà successo?” poi invece l’atmosfera si rasserenò di colpo quando mi dissero: “Abbiamo ottanta polli allo spiedo da metterle a disposizione”.

Nello stabilimento che ha assorbito la Rex, la Zanussi ed aziende del genere, stanno mettendo a punto un programma per cuocere polli allo spiedo e Stefano ci ha portato, per il Seniorestaurant, i polli sui quali stavano facendo esprimenti di cottura.

I commensali hanno gradito quanto mai i polli fuoriprogramma, mentre io ho gradito di più ancora l’intervento quanto mai propizio della Provvidenza! Il giorno dopo Rocco è andato all’INS per acquistare un quintale di pasta perché il nostro “Banco alimentare” era sfornito, se non che una signora ha accompagnato con un bigliettino bianco “il suo pensierino” con 60 chili di zucchero, 60 di riso e 80 vasi di pelati, non potei non esclamare “Là c’è la Provvidenza!”

Pochi giorni fa Luigi, il responsabile dell’operazione “Alzati e cammina” mi ha riferito che erano giunte una quarantina di carrozzine e di comode per infermi, strumenti dei quali da giorni eravamo sprovvisti.

Assieme abbiamo esclamato “Là c’è la Provvidenza” tanto che questa esclamazione sta diventando “un altro pro nobis” delle litanie della Madonna!

Ritratto di una bella signora

I miei rapporti con la stampa sono veramente positivi, nell’ambiente della carta stampata conto tanti amici ed ogni volta che ho bisogno di un piacere essi si fanno in quattro per darmi una mano.

Di questo sono loro molto riconoscente e più volte, a voce e per iscritto ho manifestato la mia gratitudine. Però ho capito da un pezzo quello che posso chiedere a quello che sarebbe inutile chiedere perché non sono in grado di accontentarmi. I giornali, specie i quotidiani, hanno bisogno di notizie e quanto più sono fuori norma, dallo scontato, tanto più sono appetibili.

Il giornale ha bisogno di interessare il lettore e di farsi leggere incuriosen- dolo con notizie che stupiscono e che diano la sensazione di un qualcosa di interessante e sorprendente.

Soltanto nel romanzo lo scrittore può lasciarsi andare a descrizioni da acquerello, ricche di lirismo e di poesia, ma per queste cose ci vuole vero talento; per dire invece cose abbastanza scontate, ma dando al lettore la sensazione di scoprire nella normalità qualcosa di interessante ci vuole ancor più talento.

Io credo però di non avere questo talento, pur tuttavia tento di tracciare un breve profilo di una signora di mezza età che conosco da anni e che merita di essere conosciuta.

Ella continua a sgobbare ai magazzini dei poveri di santa ragione, chiacchierando continuamente, con frizzi, battute affettuose, rimbrotti apparenti, incitamenti e autocommiserazioni. E’ difficile inquadrare con parole banali questa creatura, che non ha nulla di particolare nè a livello estetico nè a quello razionale, da sottolineare con pennellate di colore che ne tracciano il volto, la sensibilità e il cuore, ma il lavoro generoso, la parlata pulita e cordiale di Giuliana ne fanno un numero caro ed interessante di donna tanto da sentire il desiderio di ringraziare il Signore di farcela incontrare tanto spesso là nello scantinato dei magazzini S. Martino nei quali ogni giorno dona il meglio di sè e rasserena l’animo di tutti.

Incontri e funerali

Per molti anni mi sorprendeva e mi meravigliava il fatto che, una volta terminato il funerale al quale tutti normalmente partecipano compunti, la gente si fermasse poi sul sagrato della chiesa a chiacchierare, talvolta in atteggiamenti sorridenti ed anche scherzosi, per nulla in linea con il lutto che direttamente e indirettamente li aveva colpiti.

La cosa succede anche ora davanti al piccolissimo slargo che c’è di fronte alla chiesetta del cimitero in cui celebro il commiato.

Diventando più vecchio però sono diventato anche più tollerante e comprensivo. La vita va così; guai se la tristezza delle partenze per la casa del Padre si sommassero nel nostro animo, il mondo diventerebbe presto un mortuorio! In fondo, il funerale diventa anche un’occasione per ritrovarsi per incontrare gente, che per i motivi più diversi non vedevi da tanto tempo.

Qualche giorno fa mentre osservavo la stessa scena, dopo che l’autobara era partita per Marghera per la cremazione, mi raggiunse, in sacrestia, una signora, che a prima vista mi sembrò di mezza età, ma che poi compresi che l’età l’aveva tutta intera; ma un po’ l’abbronzatura, un po’ l’eleganza e un altro po’ la naturale spigliatezza, me la fecero sembrare più giovane.

Mi disse sorridente e compiaciuta che ero rimasto sempre uguale, ed era una bugia, ma per le donne le bugiette del genere sono loro congeniali e che mi rivedeva con estremo piacere ricordandomi che nel ’58 l’avevo sposata.

Le chiesi un po’ preoccupato, perché ai nostri giorni gli incidenti di percorso nel matrimonio sono piuttosto frequenti: “Come era andata!” – “Benissimo”, mi rispose pronta e sorridente, “sono in pensione, dopo 40 anni di insegnamento e mio marito anche se un po’ malconcio è qui con me”.

Era vero, mentre lei sprizzava vita, lui era un po’ malridotto!

Sono rimasto contento; un’altra semente aveva trovato il terreno buono e aveva prodotto in sovrabbondanza!

Una crepa sulla diga

Gloria per i radicali e amarezza per il Vaticano per la sentenza che permette di non continuare ad alimentare la giovane donna che da 16 anni vive a livello vegetale per un grave incidente.

Ho ascoltato le parole pacate ma convinte del padre che da una decina di anni chiede di mettere fine alla vita irrecuperabile della figlia, ho ascoltato le affermazioni trionfalistiche di Pannella e company che da un lato combattono accanitamente la pena di morte nei riguardi dei peggiori delinquenti e da un altro lato rivendicano di strappare i teneri virgulti della vita nascente e di coloro che sono stanchi di vivere e di chi non può più decidere. Ho pure ascoltato le parole decise degli esperti della Chiesa che una volta ancora affermano convinti che qualsiasi autorità non può autorizzare la fine di una creatura umana, perché solo a Dio compete il nascere e il morire e l’uomo non può ne manomettere la vita e tanto meno spegnerla.

Infine ho guardato il volto bello di quella creatura, miracolo di bellezza e mistero insondabile, sulla cui sorte tanta gente disserta e vuol decidere.

Ho riflettuto penosamente, lungamente e liberamente non lasciandomi condizionare dalla tradizione, dalla cultura e perfino dai dogmi, avendo comprensione e soprattutto pietà per lei e per suo padre e sono giunto a questa conclusione: ad Atene, in Egitto, in Israele, nell’Impero Asburgico più vicino a noi ed infine Hitler ha deciso e spento la vita degli ebrei, degli zingari, degli ammalati psichiatrici, dei gay, degli avversari politici. E purtroppo Hitler non è l’unico esempio, perché Stalin fece altrettanto e come questi due tristi campioni molti altri despoti si comporteranno egualmente.

Una volta che si provoca una crepa sulla diga, non si sa dove si può andare a finire.

Intaccato il principio assoluto e la sacralità ed intangibilità della vita, non ci saranno più leggi, norme, tribunali che riescano a fermare la crepa provocata sul principio assoluto. Meglio tenerci il “non uccidere” che trovarci correi in uccisioni per i motivi più banali.

Già ora si sopprimono centinaia di migliaia di virgulti innocenti di bimbi solo per capriccio!

Sull’integralismo cattolico

L’integralismo cattolico è per me esattamente il rovescio della medaglia del radicalismo.

I radicali, in nome della libertà assoluta e secondo loro di una religiosità sostanziale, combattono con un accanimento degno di una miglior causa, ogni regola ed ogni istituzione, soprattutto quella religiosa, che si rifà a dei principi assoluti ai quali ogni società ben ordinata e sana deve riferirsi.

Tutti i santi padri, del radicalismo italiano, che trovano in Pannella, la Bonino e la loro piccola congrega alla quale il Partito Democratico, con infinita stoltezza, ha fornito pulpito e denaro e che hanno trovato in Zapatero, degno erede dei massacratori di preti di monache, un modello politico, predicano da mane a sera contro la scuola cristiana, contro la chiesa, contro la morale, contro il Papa ed ogni istituzione che proponga moralità. Però il rovescio di questa miseranda medaglia è altrettanto deludente e disumano, anche se apparentemente si rifà ai dogmi cristiani.

Mi riferisco all’integralismo religioso, movimento di pensiero e di comportamento che in questo momento storico alligna nella chiesa quanto il radicalismo nella società. Credo, sempre a mio modesto parere, che sia altrettanto disumano e deleterio quanto il suo opposto.

Il clericalismo è certamente una malattia cristiana, ma è curabile, l’integralismo credo invece sia un male devastante che distrugge l’anima cristiana.

Il purismo, per cui sono cristiani solamente quelli che sono totalmente “allineati e coperti”, che appartengono e frequentano solamente i “nostri”, si adeguano in maniera assoluta alla prassi, ai canoni, alle encicliche, alle norme liturgiche, credo sia una degenerazione cristiana, che pretende di buttare fuori dal corpo della chiesa, ma soprattutto dal cuore di Dio, l’ottanta, il novanta per cento dei battezzati che non sono regolarmente praticanti.

In questi giorni ho letto un articolo di un giovane prete che mi ha fatto venire i brividi tanto lo sentivo lontano dal Cristo della Maddalena, della Samaritana, di Tommaso e di Pietro e soprattutto di quel Cristo venuto per i peccatori non per i giusti!

Una società fallimentare senza principi e senza valori

Ho ben chiaro il monito di Cristo “Non giudicate se non volete essere giudicati”. Detto questo credo di non contravvenire a questa giusta norma evangelica facendo delle riflessioni su certi comportamenti di costume che sono ormai diventati norma accettata dalla società che di contraddizioni ne ha ormai troppe. Mi riferisco a due episodi di cronaca nera avvenuti a poco tempo di distanza e che riguardano una giovane del sud ed una del nord.

Non ho letto molto al riguardo perché non amo quella cronaca nera in cui ci sguazza dentro la curiosità morbosa non solo del popolino ma che coinvolge un po’ tutta la società e alla quale tutti i giornali forniscono esca per molti giorni e con innumerevoli servizi quasi sempre ripetitivi e banali.

Il primo in ordine di tempo riguarda una sedicenne meridionale, rimasta incinta, da uno, ma non sapeva neppure lei quale, dei suoi amici che normalmente frequentava. Saputo della gravidanza, l’uccisero e buttarono il suo corpo in un pozzo. Scoperti, si sono comportati nemmeno coerentemente alla profanazione di una compagna e all’assassinio, ma da incoscienti stupidi ed irresponsabili. Ma quel che è peggio, è che l’intero paese trattò quella ragazza come una eroina con un battimano a fine funerale. La seconda, una ragazza del nostro Veneto, in vacanza in Spagna con una amica, che dopo una notte brava, è stata assassinata da non so chi. Già parenti ed amici si sono premurati ad affermare che era una brava ragazza, solare e sana.

Io ho pregato per loro e spero che il buon Dio trovi anche per loro un pertugio in un qualche angolo del paradiso. Però mi si lasci dire che queste non sono brave ragazze, che il loro comportamento e la loro educazione non ha nulla a che fare con un comportamento corretto e con una sana educazione. Queste due povere ragazze sono il risultato plateale di una morale sbagliata, di una educazione inconsistente e il risultato di una società fallimentare senza principi e senza valori, altro che eroine da applaudire!

Un’utopia al don Vecchi

Le scoperte che vado facendo con il passare degli anni non sono tutte felici e positive.

Mi capita spesso di constatare che i mass-media e l’opinione pubblica hanno un’efficacia persuasiva enormemente superiore di quanto io riesca a passare anche alle persone che mi vivono accanto e che perciò sono nella condizione di conoscere direttamente gli ideali che perseguo e la testimonianza che cerco di dare. Finché si tratta di un’approvazione generica della nostra attività tutto va per il meglio, ma quando qualcuno dovrebbe calare nella propria vita i valori che tento di trasmettere casca pesantemente l’asino. È noto a tutti che l’istituzione del don Vecchi tende a permettere agli anziani che hanno redditi più che modesti di poter vivere una vita serena, circondati da simpatia, aiutati in tutto quello che è possibile dar loro.

È noto anche a tutti, ma soprattutto a chi vive all’interno della struttura del don Vecchi che è obiettivo ambizioso, ma certamente nobile, che al Centro si fa ogni sforzo perché chi ha la fatidica pensione sociale, che ad oggi ammonta a 516 euro mensili, possa vivere senza mendicare, senza privarsi dell’essenziale e senza pesare sugli altri.

Questa è la nostra utopia!

Riconosco che purtroppo sta divenendo un’utopia, non nel senso nobile del termine, ma forse in quello popolare, ossia quando ad utopia corrisponde come contenuto all’illusione.

Per perseguire questo obiettivo tutti, anche i meno esperti a livello economico, dovrebbero comprendere che per raggiungere questo risultato bisogna economizzare su tutto: luce, uso di imprese e di tecnici, acqua, e soprattutto sui dipendenti, che normalmente costituiscono sulla lista dei costi una delle voci più gravose.

Purtroppo quando una persona entra nel libro paga pare che tutti questi discorsi non la riguardino più e che diventi “vangelo” solamente lo statuto dei lavoratori, con tutti i relativi diritti che oggi, specie per le attività caritative, qual è la nostra, sono più che mai pesanti. Al don Vecchi avremmo bisogno che uno, non solamente rispettasse i compiti stabiliti dal contratto, ma abbracciasse la causa, più preoccupato del bene degli anziani che dei propri interessi.

Pare che questa sia veramente una chimera! A Marghera abbiamo perciò eliminato i dipendenti per puntare sull’autogestione sperando che il sogno si realizzi.