Essere umili

Io ho avuto la fortuna di vivere accanto, per molti anni, ad ottimi sacerdoti, dei quali spero di aver imparato qualcosa di buono e di averlo trasmesso a mia volta ai giovani preti che nel tempo hanno collaborato nella mia opera di pastore di anime.

Uno dei miei migliori maestri in questo settore è stato mons. Aldo Da Villa; un omone che sembrava una roccia, uno sguardo profondo che andava dritto alla coscienza, un modo di parlare incisivo, convincente e soprattutto un ottimo educatore di giovani. Credo che mons. Da Villa abbia cresciuto generazioni intere di studenti a scuola ed in parrocchia.

Di monsignore ricordo tantissime cose, ma mi è rimasto impresso un episodio particolare che mi ha aiutato qualche giorno fa ad inquadrare, a livello ascetico, un incontro casuale con una ragazza che un tempo era stata scout e poi capo scout convinta e generosa.

Vengo all’antefatto: accompagnavo monsignore ad un incontro a S. Marco, quando in una calletta vicino a S. Barnaba, monsignore riconobbe uno dei suoi ragazzi di un tempo.

Ci fermammo qualche minuto, monsignore chiese al suo ragazzo qualcosa della sua vita poi ci salutammo cordialmente. Quando fummo soli, il mio vecchio parroco mi disse: “Vedi il Signore mi fa incontrare ogni tanto questo ragazzo, ormai ingegnere da molti anni, per tenermi umile e facendomi toccare con mano i miei fallimenti a livello educativo”. Mi confidò che quel giovane beveva e stava rovinando la sua vita.

Accostai questo episodio alla giovane donna che mi salutò affettuosamente. Sapevo che questa capo scout aveva scelto di convivere, cosa che mi aveva addolorato e deluso assai. La cosa deve essere andata male e forse stava risolvendo in maniera ancora simile la sua situazione sentimentale.

Dall’incontro seppi che anche il fratello, pure lui cresciuto tra gli scout della parrocchia, si trovava nella stessa situazione. L’ottima famiglia dalla quale provenivano questi ragazzi e la lunga militanza nell’associazione della parrocchia avevano purtroppo portato a questi risultati.

Penso che debba anch’io trarre la conclusione a cui era arrivato monsignor Da Villa ad essere doppiamente umile per i miei risultati come pastore cristiano d’anime.

Una salvezza globale

Nella Bibbia, con linguaggio semplice, popolare e alla portata di tutti, si narra la creazione del mondo in sette giorni, anzi in sei, perché è scritto che il settimo giorno Dio si riposò.

Si tratta evidentemente di un linguaggio e di un racconto immaginifico per affermare la verità di fondo che la creazione è opera di Dio. C’è un passaggio, che costituisce quasi la firma sull’opera compiuta ogni giorno: “Iddio vide ch’era cosa buona!”, per affermare che nulla nella creazione è sostanzialmente negativo, ma che ogni realtà adoperata nel modo e nel tempo giusto ha una sua funzione positiva, diventa un tassello importante nel grande mosaico della creazione.

Qualche giorno fa feci una interessante scoperta, oh si tratta dell’uovo di Colombo! Ossia che anche la tanto vituperata “globalizzazione” che per taluni è la causa di tanti guai e per alcuni altri il motivo di infinite difficoltà, ha invece una funzione positiva, se adoperata come Dio comanda! Ossia diventa un elemento per creare giustizia e solidarietà universale che si riversa poi nel bene di ogni individuo.

L’altra mattina mi lasciai andare a questi pensieri in occasione di un brano del Vangelo, e ne divenne la sua chiave di lettura, così che mi aprì una comprensione profonda ed affascinante di quel brano.

Si trattava del paralitico posto davanti a Gesù perché lo guarisse. Gesù gli dice invece: “ti sono rimessi i tuoi peccati”, poi finì anche per mandarlo a casa guarito.

Compresi, per l’illuminazione di un raggio interiore, che Gesù è venuto a portare non una salvezza parziale riguardante l’anima, ma a salvare tutto l’uomo: il corpo, il sentimento, la moralità, la sua armonia, la sua vita familiare e sociale, quella economica e quella psicologica. In una parola il messaggio e la proposta di Cristo è globale, è tesa alla salvezza globale.

Questa “scoperta” mi fece enormemente felice. Un cristianesimo che investe, recupera, riordina e salva tutto l’uomo mi pare infinitamente più alto e nobile di una religione che riguardi solamente l’aldilà o i nostri rapporti con i comandamenti. Gesù è venuto perché l’uomo viva in pienezza a livello psicologico, fisico, morale, economico, politico e sociale, dei sentimenti della poesia e dell’amore.

In una parola Cristo ci offre una salvezza globale, per cui vale proprio la pena di accettarlo e di metterlo in pratica.

Subire indifferenza, menefreghismo e disimpegno

Mi convinco sempre di più che la causa di molti guai del nostro Paese è l’egoismo.

Ognuno pensa ai fatti propri e gli altri che si arrangino, ognuno è ben desto e deciso di difendere i propri diritti, veri o presunti, non preoccupandosi di ledere in qualche modo quelli degli altri perché non sempre la legge può tagliare come una lama il confine del diritto dal dovere.

Ed un altro grosso guaio sta nel fatto che i funzionari che gestiscono la cosa pubblica talvolta non fanno il loro dovere, spesso sorvolano sulle soperchierie di qualcuno per non aver grane e più spesso ancora tirano a campare perché, che uno sia impegnato o meno, comunque arriva il 27 del mese.

Stando così le cose, senza intraprendenza, senza zelo nel proprio lavoro, senza attenzione per gli altri, soccombe sempre il più debole, quello meno propenso ad attaccar brighe, quello meno spregiudicato e meno incline alle denunce ed alle aule di tribunali.

A questo proposito sto facendo delle esperienze amare che talora mi lasciano tanto perplesso.

Quando uno conduce una sua vita privata, pur con qualche difficoltà, può talvolta subire per amor di Dio e del prossimo, certe ingiustizie, ma quando uno, come me e tanti altri, è responsabile di qualche centinaio di persone anziane, indifese, cariche di mille difficoltà, è giusto che subisca l’indifferenza, il menefreghismo e il disimpegno di certi funzionari che dovrebbero soprattutto avere a cuore la sorte dei più deboli, di quelli che non hanno più voce, che non sanno e non riescono più a difendersi da soli ed invece se ne stanno tranquilli nei loro uffici refrigerati a girar carte?

Spesso provo quasi angoscia nel dover prendere decisioni che possono sembrare frutto di un temperamento intemperante, mentre spero siano difesa doverosa del povero e dell’infelice!

Un ecumenismo più sostanzioso e meno teatrale

Ora non se ne parla più tanto, ma fino a qualche anno fa giornali e riviste religiose trattavano molto spesso dell’ecumenismo. Questo movimento tra le chiese cristiane tende a dare una sola risposta al grido di Gesù in croce che ha chiesto ai suoi discepoli “che ci fosse tra loro un solo ovile ed un solo pastore”.

Il cristianesimo nato dal messaggio di Cristo fin da principio si divise in mille rivoli, ed ha continuato così per i venti secoli in cui è presente nella storia umana.

Il processo non si fermò alle prime divisioni, ma continuò e continua tuttora, pur rifacendosi ognuno all’unica fonte.

Qualche risultato invero si è ottenuto, per lo meno ora le varie confessioni cristiane non si fanno più la guerra, non si insultano e adoperano anzi un linguaggio più corretto e tollerante. Ci sono stati e ci sono anche incontri significativi, preghiere comuni, atti di cortesia, ma non molto più di questo.

Il movimento ecumenico ristagna, gli esperti discutono con argomenti di lana caprina mentre i poveri cristiani, ma anche i loro preti, non conoscono nemmeno i motivi specifici delle varie diversificazioni. Fortunatamente la vita continua per la propria strada e non si preoccupa più di tanto di queste questioni teologiche.

Qualche giorno fa ho invece incontrato uno splendido esempio di ecumenismo di ordine famigliare. Mi soffermo un istante perché è di questo tipo di ecumenismo che la nostra società ha bisogno e la testimonianza a cui mi rifaccio è di certo esemplare.

Il marito, pur battezzato, era di origine ebraica, forse è stato battezzato per sfuggire alla persecuzione razziale. Ma a parte il battesimo era un ottimo laico, non so se fosse credente, ma certamente non praticante; persona onesta, professionista serio, impegnato, rispettoso.

Lei, cattolica praticante, che ha continuato senza alcuna difficoltà a partecipare alla vita della chiesa, ha educato alla vita religiosa i figli ed è morta in pace con Dio e col prossimo. Credo che la vicinanza al marito laico e forse non credente abbia giovato alla sua fede, sfrondandola da ogni incrostazione bigotta o clericale, come per il marito la vicinanza della moglie credente l’abbia aiutato ad essere più onesto e rispettoso delle scelte e delle idee degli altri.

Questo mi pare un ecumenismo più sostanzioso e meno teatrale!

“Prete fortunato”

Quasi mai celebro la messa quotidiana senza fermarmi per alcuni minuti sulle riflessione che normalmente colgo dal Vangelo.

Molto spesso sono imbarazzato perché il Vangelo è un pozzo senza fondo ed in ogni pagina vi sono tante verità che si offrono all’attenzione dei fedeli.

Il lunedì, quasi sempre faccio una breve premessa alla riflessione.

L’inizio della settimana mi spinge a dire a me stesso e a chi partecipa alla preghiera della chiesa di fissare un obiettivo per i sette giorni che stanno davanti, uno stile, una modalità per affrontarli. Stamattina poi questa abitudine si è coniugata con un bellissimo pensiero che mi aveva, più che interessato, affascinato, durante la mia personale meditazione mattutina.

Suggeriva il testo: “Invece di lasciarti preoccupare dalle possibili difficoltà che potrai incontrare, dalla presunta fatica e dalle amarezze temute, parti per il nuovo giorno con un atteggiamento di curiosità e di attesa lieta delle cose buone che potrai avere, degli incontri di persone care che potrai fare, di quello che di interessante ti potrà capitare, vedrai allora che la giornata o la settimana scorrerà piacevole ed interessante quanto mai”.

Presi sul serio il suggerimento, riproponendomi di annotare gli avvenimenti positivi che mi sarebbero capitati. Le miei annotazioni sono iniziate alle sette del mattino fino alle nove, poi lasciai perdere perché mi accorsi che avrei dovuto riempire un quaderno intero.

Appena chiuso il libro suonò il campanello, era una cara amica che veniva a porgermi gentilmente il solito yogurt e la tazza di caffé e latte. Uscendo incontrai due anziani che puntuali andavano al mercato per raccogliere frutta e verdura.

Arrivato in cimitero, incontrai un giovane pensionato che molti anni fa ho sposato e che mi trattò con tantissimo affetto.

Poi una nonnetta venne con 50 euro per “L’incontro”, il periodico amato di cui lei tessé lodi sperticate. Prima della messa un mio amico architetto mi chiese di ricordare la moglie morta vent’anni fa, una carissima ragazza che ricordai con infinita dolcezza e che mi fece felice saperla amica cara lassù. Dopo il segno di croce di inizio messa scorsi il dolce volto della vedova di un mio compagno di stanza all’ospedale, coniugi che per tanti anni pensai lontani dalla fede e che da quell’in-contro in corsia capii che erano più vicini che mai. Un po’ più in là scorsi una giovane sposa dal volto bello e sorridente che veniva a salutare di buon mattino il marito che l’ha preceduta presso il Signore, ma che la sua fede lo faceva sentire caro ed ancora vicino.

Poi pian piano si formò una piccola comunità di una ventina di fedeli che si accostarono devotamente all’Eucarestia.

“Prete fortunato” mi dissi, “d’avere attorno a te tanta cara gente!” decisi di smettere di annotare le cose buone con cui ho iniziato questo giorno e questa settimana, perché mi sentivo troppo colpevole di non apprezzare normalmente quanto devo le benevolenze del Signore!

La nuova chiesa del cimitero di Mestre: qualche riflessione

Qualche giorno fa è uscito un trafiletto su “II Gazzettino”. in cui si riporta la decisione del Comune in merito alla nuova chiesa del cimitero, che io già conoscevo, per aver partecipato ad un incontro, a villa Querini, tra l’assessore Laura Fincato e il dottor Andrea Razzini, amministratore delegato della VestaVeritas che gestisce i cimiteri del comune di Venezia, ma che ora diviene di pubblico dominio con la pubblicazione sul quotidiano cittadino. Riporto l’articolo e poi faccio un po’ di storia della vicenda ed alcune precisazioni d’ordine personale in maniera che ognuno prenda la sua responsabilità e che i cittadini sappiano come sono andate le cose.

CHIESETTA DEL CIMITERO SENZA URNE CINERARIE

Il Comune ha deciso di cambiare progetto della struttura che sorgerà al cimitero.

(al.spe.) Cambia il progetto per la nuova chiesa del cimitero. Nessun stravolgimento, è giusto rilevarlo, ma il Comune ha deciso che, almeno in prima battuta, la struttura, già progettata, non avrà più sulle pareti le cellette destinate a conservare le urne cinerarie. L’assessore ai Lavori Pubblici per Mestre, Laura Fincato, vuole che il luogo di culto sìa finanziato dall amministrazione e sorga contestualmente con l’attigua sala laica. Con uno specifico atto d’indirizzo, che sarà votato entro il mese.
La chiesa, intitolata all’Ascensione, sarà considerata come opera di cui si farà carico l’intera collettività. Per questo è necessario che il preventivo di spesa, stimato attorno ai 4 milioni, di euro, sia ridotto drasticamente, in pratica dimezzato, e l’architetto Giovanni Caprioglio ha già ricevuto la sollecitazione in questo senso a rivedere e a correggere i suoi disegni. II nuovo tempio, destinato a sostituire l’attuale piccolissima cappella di Santa Croce,è fortemente voluto dal responsabile della pastorale del lutto, don Armando Trevisiol, che intanto il patriarca, Angelo Scola, ha confermato come cappellano all’ospedale “dell’Angelo’. Da quando è una presenza fissa al camposanto, il sacerdote si è sempre battuto per ottenere il via libera alla costruzione della struttura, che dovrebbe sorgere al posto del giardinetto, che si trova proprio di fronte all’entrata dal lato dell’obitorio. Un’ idea che ha incontrato molte voci critiche, anzitutto tra i parroci del circondario, ma che sin dall’inizio ha ricevuto l’approvazione del patriarca oltre che del sindaco. Massimo Cacciari. La soluzione di rinviare ad un secondo momento la realizzazione delle urne cinerarie (ne sono previste 1.344) che attraverso la cessione assicureranno il finanziamento dell’opera, è scaturita dopo l’ultima riunione tra l’assessore Fincato, il presidente di Veritas, Andrea Razzini, e Io stesso don Trevisiol. Il quale teme che il cantiere slitti a non finire e si .arrivi ad un altro ponte Ognissanti senza notizie certe.

Ed ora un po’ di storta e qualche rllessione.

Sono stato nominato dal Patriarca, Rettore della chiesa del cimitero il I ottobre 2005 dopo il mio pensionamento da parroco. Come ho sempre fatto, sono impegnato seriamente nel nuovo servizio pastorale che mi era stato affidato, ottenendo dei risultati a mio umile parere promettenti.

Presi immediatamente coscienza dei gravi disagi da parte dei numerosi fedeli sempre in balia del tempo, per la capinza limitatissima della cappella nessun servizio; d’altronde la chiesa è stata costruita nell’ottocento, quando Mestre non contava più di 30.000 abitanti. Chiesi all’architetto Caprioglio di darmi una mano, per avere almeno una sala come l’ha Margherà, Chirignago, per non parlare di Venezia.

Feci questa richiesta a Caprioglio perché lo conoscevo fin da bambino, perché nel passato aveva già fatto un progetto per una chiesa in cimitero e perché essendo stato assessore ai lavori pubblici conosceva i meccanismi dell’amministrazione comunale. Fornii a Caprioglio una soluzione per il finanziamento.

Nella chiesa sarebbero stati costruiti dei loculi cinerari venduti a costi più elevati di quelli del cimitero. Chi avrebbe voluto seppellire i resti mortali in luogo sacro avrebbe pagato la chiesa e anche la sala laica, che io ritengo giusto si costruisca. In questa maniera il Comune non avrebbe speso un centesimo, anzi avrebbe avuto gratis la sala laica, e chi non avesse condiviso l’iniziativa non sarebbe stato gravato di un centesimo. La chiesa e la sala laica l’avrebbe pagata solamente chi avesse scelto liberamente questa soluzione.

L’architetto Capriolilo si disse entusiasta dell’iniziativa, anzi si offrì di donare il progetto per amore della sua città e in memoria dei suoi genitori. In poco tempo abbozzò II progetto che a me pareva bello anche se ambizioso. In tutta questa operazione al Comune sarebbe steto chiesto solamente di accendere un mutuo il cui importo avrebbe recuperato con la vendita delle urne cenerarie.

Nel progetto ne erano previste 1.344 che vendute a 5.000 euro all’una si sarebbero recuperati 6.720,000 euro somma più che sufficiente a coprire l’intera spesa. Questo discorso continuò per quasi tre anni, in un continuo tira e molla, che per me, ignaro di regolamenti e di burocrazia, non riuscivo a comprenderer

IL 12 agosto chiesi ed ottenni un colloquio dal dottor Razzini della Vesta, colloquio in cui gli chiesi un si o un no! Egli mi fece dei discorsi che non compresi, per concludere che il percorso da me proposto non era percorribile, a meno che io non ottenessi almeno i tre quarti di prenotazioni dei loculi previsti. Gli dissi che questa era una strada per me impossibile; non è infatti tanto frequente che la gente si prenoti la tomba! Ma mi promise di fissarmi un incontro con l’assessore Fincato dopo che egli ne avesse parlato con lei dell’argomento.

Cosi fu, sono andato all’inizio di settembre a villa Querini e mi disse che si scorporavano i loculi, si ridimensionava il progetto e si sarebbe fatto carico il Comune di tutto, facendo partire contemporaneamente Chiesa e sala laica. Io avevo detto che per me sarebbe andato bene anche un pallone gonfiato, pur apprezzando una soluzione consona alla dignità della nostra Città.

Più volte ero stato tentato di mobilitare l’opinione pubblica, poi ho rimandato pensando ai tempi difficili che stiamo vivendo e che per una vita intera ho preferito rispondere prima ai bisogni dei figli di Dio che al tempio di Dio, pur convinti che l’uomo ha pure delle esigenze spirituali.

Mi scuso con tutti coloro che ripetutamente mi avevano chiesto una degno dimora per ì loro cari; ho fatto quanto ho potuto, ma non sono riuscito; ora non accennerò più a questi argomenti lasciando a Vesta e al Comune di fare le loro scelte su modalità e tempi di esecuzione; non sarà poi una disgrazia se terminerò la mia vita di prete celebrando i Divini Misteri nella chiesa più piccola e più povera della Città e dico ai fedeli che la praticano, che la cosa più bella e più ricca è la fede e la fraternità che regna tra noi.

I bollettini parrocchiali

Molte volte ho confessato la mia curiosità, verso i cosiddetti bollettini parrocchiali, da qualche anno quasi tutte le parrocchie stampano questi foglietti. Questa iniziativa editoriale non può certamente essere riportata come un vanto delle chiese di Mestre, taluni di questi bollettini sono così poveri, striminziti da far pietà, altri da un punto di vista tipografico sono un po’ migliori, evidentemente c’è dietro ad essi un parroco o un volontario che ha maggior dimestichezza col computer; la sostanza però è povera anche se la grafica è di buona fattura.

Io sono contento che tanti parroci abbiano finalmente compreso che la proposta religiosa deve avere canali adeguati e non si può fermare ove termina l’ombra del campanile. Spero sempre, che prima o poi anche il piccolo mondo parrocchiale scopra la funzione degli strumenti di comunicazione di massa e sia disposto a pagarne il prezzo economico, di ricerca e di fatica.

Il mio interesse per questi strumenti pastorali, nasce anche dal fatto che posso vantare una qualche paternità nei riguardi dei fogli parrocchiali, essi a Mestre, ma pure in diocesi sono nati da un viaggio pastorale fatto in Francia assieme a Monsignor Vecchi. In una chiesa di Parigi ne trovammo un esemplare, in quel tempo la Francia era la mosca cocchiera della pastorale. Tornati a casa partimmo subito.

Conservo la raccolta di questi incunaboli. Il primo numero porta la data del 15 ottobre 1967- 40 anni fa! Un semplice foglio A4- stampato fronte retro a ciclostile.

Eccovi i titoli degli articoli: Concerto a S. Lorenzo- giornata missionaria- Il Ristoro- Sos Televisivo- Comunione- Club della Graticola- Messe per gli studenti- conferenze al Laurenzianum-.

Ho ora sottomano la “Mercedes” della parrocchia di S. Lorenzo che quarantanni ha prodotto quel prototipo. E’ una “Mercedes” bellissima all’avanguardia. L’unico neo è che nel numero che ho qui davanti a me è scritto- “la pubblicazione è sospesa fino a settembre”. Cosa si direbbe se anche il Gazzettino sospendesse le pubblicazioni d’estate?

Vivere la vita come un dono è essenziale!

Recentemente sono stato a Quarto d’Altino per concelebrare l’Eucarestia di commiato per la sorella della signorina Rita, la governante che ha accudito la canonica per i trentacinque anni che ho trascorso colà da parroco.

Don Gianni, il parroco, con garbo e gentilezza mi ha offerto l’opportunità di fare un breve intervento. In genere non amo il moltiplicarsi di allocuzioni, io sono sempre per riti scarmi, essenziali, poco verbosi e di intensa sobrietà. La sollecitazione del giovane collega fu però tanto calda ed affettuosa che mi sentii in dovere di prendere la parola.

Io avevo conosciuto la cara estinta durante le gite pellegrinaggio organizzate dalla mia parrocchia a cui ella partecipò per venti anni.

Non sapevo quasi nulla della sua pratica religiosa, della partecipazione alla vita parrocchiale; notizie che emersero nel sermone del parroco, che illustrò con dovizie di particolari questi aspetti, cosa che mi fece piacere. Non sapendo neppure fino prima del funerale quanti anni avesse questa creatura. La ricordavo, appunto in queste gite pellegrinaggio, alle quali partecipava con la sorella Rita; era una personcina sempre elegante, vestita sempre in maniera sciolta e sportiva, garbata nei modi, ma frizzante, curiosa, interessata a tutto, godeva di ogni scoperta e di ogni novità sembrava almeno più giovane di vent’anni di quanti non ne avesse.

La mia testimonianza non poteva rifarsi se non a questo aspetto della sua vita che conoscevo, ma mi sembrava una testimonianza degna di essere ascoltata, perchè essa era a mio umile parere un aspetto importantissimo della vita religiosa.

Le preghiere, il culto, i riti hanno una loro importanza, ma è la vita che è essenziale! Se un cristiano non vive la vita come un dono, non l’apprezza, non canta la gloria di Dio con la gioia di vivere, dello scoprire la natura e l’opera dell’uomo di partecipare, come può essere grato a chi gli ha fatto questo dono come può amare chi gli ha concesso tutto questo?
Non certamente limitandosi a dire due rosari al giorno!

Il senso del dovere

Gli anziani con cui vivo talvolta appaiono logori, suonati o rassegnati alla monotonia del quotidiano, quasi sempre poco propensi all’impegno e a nuove iniziative. In realtà non è proprio così, almeno per certi aspetti della vita sto rendendomi conto che sono più informati di quanto non sembri su tutte le provvidenze che la civica amministrazione e la Ulss pongono in atto a loro favore. A cominciare da metà giugno, e credo che la cosa procedaerà fino a settembre, li vedo spesso che arrancano dietro a valigioni trascinati da qualche figliolo o nipote diretti ai luoghi di villeggiatura.

Gli anziani conoscono veramente bene tutti la provvidenza messa in atto dal comune; non hanno certa bisogno di “Centri di ascolto o di sportelli di informazione per sapere le modalità e i calendari dei turni di villeggiatura al mare e ai monti. Taluni partono ritornano e ripartono senza darlo troppo a vedere, mentre mostrano d’essere sorpresi per qualche euro d’aumento. Con estrema facilità hanno scoperto molto in fretta di poter fruire dei generi alimentari offerti dal Banco alimentare e della medesima opportunità di beneficiare dello spaccio che mette a disposizione gratuitamente frutta e verdura.

Anche nel settore della terza età c’è una grande sensibilità e prontezza per quanto riguarda i diritti mentre spesso si fa orecchio da mercante per quanto riguarda ciò che si può e deve fare per gli altri.

Tempo fa un opinionista osservava in un periodico che dopo Mazzini non c’è stato alcun altro in Italia che abbia parlato dei doveri del cittadino! Mi convinco sempre di più che nel nostro Paese la necessità più grave non sono tanto le leggi, provvedimenti perequativi, le riforme sociali che facciano cambiare la mentalità, il costume della nostra gente. I politici, i sindacalisti e i mass media hanno arrecato dei danni che sono pressoché irreparabili, che solamente grandi riformatori possono riparare.

Gli amici della carta stampata e del piccolo schermo

Le mie vicende o le mie povere vicende le conoscono un po’ tutti. La cosa, lo confesso, mi fa piacere.

Non passa giorno non passa incontro che qualcuno mi chieda: “ come va il don Vecchi Marghera?” “si fa, don Armando la nuova chiesa del cimitero?” “Hanno già cominciato il Samaritano, la casa per i familiari degli ammalati dell’Ospedale?” “Allora si fa o non si fa l’ostello San Benedetto, per ospitare i lavoratori che vengono dal sud, dalle coste africane, o dai paesi dell’est d’Europa?” Per non parlare poi de “L’Incontro” dei Magazzini San Martino e San Giuseppe, dei supporti per gli infortunati o del Banco alimentare!

Sono felice che la città sia coinvolta nelle opere della solidarietà, vi partecipi almeno con la curiosità, senta che sono problemi di tutti e sia un po’ orgogliosa che questa nostra Mestre, che negli ultimi decenni s’è un po’ impigrita ed è diventata sonnolenta, desideri almeno, di brillare per una solidarietà che deve coinvolgere tutti.

Da sempre sono convinto che se non matura una cultura diffusa, ben difficilmente, emerge l’uomo o il gruppo sociale che tenti di produrre a livello operativo le risposte ai bisogni e alle nuove esigenze della collettività. In tutto questo mi da una buona mano L’Incontro, che anche durante le ferie viaggiava a quota quattromila copie settimanali.

Ma sono pur riconoscente e felice delle spintarelle, e talvolta delle spallate che mi danno “Il Gazzettino” “La Nuova Venezia”, “Gente Veneta” il “Corriere del Veneto” e Rai Tre!

Tutta questa buona gente che costruisce l’opinione pubblica non mi tiene tanto sulla cresta dell’onda, ma soprattutto mantiene viva la memoria, l’urgenza e la necessità delle cause a cui ritengo utile dedicare le mie residue energie. Gli amici della carta stampata e del piccolo schermo sono veramente cari e preziosi amici del bene e della solidarietà.

Lo scrupolo

Ora non faccio quasi più “il mestiere” del confessore, un po’ perché vivo in un modo di vecchi che son convinti, quasi con rammarico di non poter più peccare, ed un po’ perchè ormai la confessione fa parte del museo dei vecchi mestieri ora non più praticati.

Un tempo quando confessavo e molto, ogni tanto m’imbattevo in qualche penitente scrupoloso.

Era una pena, perché lo scrupoloso non trova mai pace, sempre convinto di non aver detto tutto, o di non aver detto bene.

Io credo di non aver mai sofferto di scrupoli, anzi talvolta mi pare d’essere di manica larga, forse troppo larga con me stesso.

Ultimamente però ho uno scrupolo che mi perseguita e che mi toglie pace, nonostante sia più che in regola con i canoni della chiesa, mi pare d’aver abbandonato troppo presto la vita attiva a livello pastorale, e anche se ho accettato il fatto della pensione, mi viene da temere che anche nella condizione in cui mi trovo potrei fare di più o di diverso di quello di cui sto occupandomi.

Mi ero offerto senza ricevere risposte ed “essere preso a giornata” dai miei confratelli. Contrariamente dissero di non aver bisogno, questi rifiuti mi avevano tranquillizzato sennonché l’aver sentito che l’unico frate sacerdote, quindi in grado di celebrare l’Eucarestia, amministrare il perdono e dare l’unzione degli infermi se n’è andato con il 30 giugno dall’ospedale mi ha riacceso il tormentone, tanto da costringermi di fare una seppur modesta e limitata avance. L’aver un’ ospedale di eccellenza sotto ogni punto di vista, ma carente di una adeguata assistenza religiosa è diventato per me un assillo. Sebbene che prima di me a dover preoccuparsi di queste cose c’è il cardinal Patriarca sua eminenza Angelo Scola, il patriarca emerito cardinal Marco Cè, il vescovo ausiliare sua ecc.za monsignor Beniamino Piziol, il delegato per la pastorale degli infermi monsignor Dino Pistolato, il delegato per l’evangelizzazione monsignor Orlando Barbaro, ma nonostante questo rimane pure “il servo dei servi di Dio” don Armando Trevisiol.

La responsabilità morale lambisce pure la mia coscienza tanto da farmi dire “posso fare ancora qualcosa anch’io!”

“Non giudicate!”

Qualche giorno fa ha rivisto una cara signora con la quale avevo lavorato per una ventina di anni a favore degli anziani della casa di riposo di Mestre.

Ambedue eravamo più giovani e ricchi di sogni. Ora siamo ambedue più anziani, ma fortunatamente ancora impegnati e sognatori di un mondo migliore.

Ci fu un tempo in cui le nostre strade presero direzioni diverse; il fallimento del suo matrimonio e la sua scelta politica fece si, che senza trauma di sorta ognuno prese la sua strada, ci ritrovammo occasionalmente qualche volta, sempre timorosi che quasi si fosse allargata la crepa della separazione. Ci ritrovammo poi quasi anziani, una decina di anni fa a sognare e lavorare ancora per il bene degli altri. I risultati sono stati abbastanza miserelli, comunque credo che abbiamo avuto almeno il merito d’avercela messa tutta!

Ora lei collabora ancora con me ma a partime perché si occupa di mille altre cose positive con l’entusiasmo di sempre.

Quando le rividi giorni fa, mi apparve un po’ stanca e sciupata, gli domandai il perché di questa stanchezza.

Mi rispose che aveva fatto la notte all’uomo da cui ha divorziato forse da un quarto di secolo. Mi confidò con tanta naturalezza con pudore e pietà umana, che essendo quest’uomo ormai morente, facevano la notte a giorni alterni lei e la nuova “moglie” perché non c’era alcun altro a poterlo fare. Questa confidenza mi costrinse a pensare al casellario formale che la società e la chiesa mi offrono per inquadrare questi drammi umani: divorzio, separazione, peccato, amore coniugale. Confrontando questi termini con queste due donne che alternativamente avevano amato lo stesso uomo e poi con pietà e fraternità l’aiutavano nell’ora estrema della vita.

Quanto sono inadeguati, angusti i nostri termini per dare cornice alla vita! Provai quasi un senso di smarrimento e di compatimento per chi ha sicurezze formali a questo riguardo ed accostai costoro all’intimazione di Cristo: “non giudicate!”

Mi parve più saggio, più umano e più cristiano mettere queste due donne e il morente nel cuore di Dio. Così stavano molto meglio!

“Fa più rumore un ramo che cade che una foresta che cresce!”

Mi fece molta impressione qualche anno fa una citazione, che non avevo mai sentito, e che il prof. Rama, che non era solamente un celebre oculista, ma anche un ottimo ed incisivo conferenziere fece, durante il suo discorso: cioè: Fa più rumore un ramo che cade che una foresta che cresce!

Dopo quella volta ho sentito in tante e tante altre occasioni citare questa sentenza.

In verità è un’immagine vera e felice, L’immagine che in un’altra occasione avevo sentito dall’avvocato Carnelutti, principe del foro veneziano, con un’altra espressione ma con identico contenuto: “Il male è come i papaveri in un campo di grano, bastano pochi di questi fiori dal color rosso vivo per farti sembrare il campo pieno di questi fiori, mentre il bene è come le viole, anche se in un campo ce ne sono moltissime e profumate, devi cercarle con attenzione perché sono umili e nascoste.

Da quando è nato l’Incontro, mi sto costruendo alla meno peggio un archivio, con tutto quel materiale che è nella stessa lunghezza d’onda della linea editoriale scelta per il nostro periodico. Col materiale ricavato in poco più di due anni avrei personaggi, testimonianze, avvenimenti, pensieri ed iniziative benefiche che mi potrebbero bastare per più di dieci anni. Attualmente non ho che l’imbarazzo della scelta per portare all’attenzione dei lettori un mondo nascosto e sconosciuto che si rifà al vangelo, al bene e alla solidarietà.

Talvolta soffro di non riportare tutto quello che di vero, di bello e buono vado scoprendo, non solamente nella stampa, ma anche nei rapporti normali e quotidiani con la vita di tutti i giorni. La foresta meravigliosa vigorosa e promettente che sta crescendo nel silenzio e nell’umiltà è veramente immensa e ricca di prospettive. Peccato che i mass-media non le riportino!

Annullamento di un matrimonio

Don Danilo, il mio successore alla guida della parrocchia di Carpenedo, qualche giorno fa mi ha telefonato dicendomi che il tribunale eclesiastico per l’annullamento dei matrimoni chiedeva un’informazione su due coppie che io ho sposato una decina di anni fa. In realtà non ricordavo proprio nulla di questi parrocchiani ai quali il matrimonio era andato male, motivo per cui essi ne chiedevano l’annullamento, ma in ogni caso queste richieste esigite dalla prassi legale mi han sempre irritato. Se avessi riscontrato irregolarità lo avrei segnalato, ed anche se avessi nutrito dubbi sulla opportunità delle nozze non avrei potuto legittimamente impedire di sposarsi.

Ho ritenuto e ritengo ancora valido il fatto che la Chiesa, constatando alla prova dei fatti, delle anomalie o delle carenze sostanziali alla vita coniugale di una coppia, dichiari che il matrimonio era stato un fatto solamente formale e quindi lo dichiari nullo. Non sono affatto d’accordo e continuo a sperare e pregare per un ripensamento della Chiesa sulle modalità, sui parametri del giudizio, sui costi e sulla lunghezza dell’inchiesta giudiziaria.

Avrei bisogno di un libro per una argomentazione adeguata, mi limito solamente ad una immagine. La casa, che ha avuto licenza edilizia e collaudo statico, se crolla, a meno che il proprietario non abbia messo della dinamite per farla saltare, significa che essa era carente di elementi essenziali. Se un matrimonio fallisce significa che mancavano i presupposti perché potesse reggere, e nove volte su dieci dovrebbe essere dichiarato nullo senza tanti discorsi inutili!

E’ tempo che prendiamo coscienza che…

Il giorno in cui ho scoperto d’essere il datore di lavoro che stipendia ogni impiegato dello Stato, e che gli garantisco lo stipendio, ho superato ogni complesso di inferiorità nei riguardi di qualsiasi funzionario sia modesto che importante; pretendo risposte rapide, rispetto, impegno, obbedienza.
Mi ha aiutato a superare questo complesso il famoso avvocato Cacciavillani che mi raccontava, che essendo stato un capotreno arrogante nei suoi riguardi tirò fuori dalla tasca la carta di identità ed ergendosi in tutta la sua altezza, con voce vibrante gli disse: “Lei non sa chi sono io?” L’altro probabilmente pensò di essere di fronte ad un onorevole, o forse peggio ancora ad un magistrato, ma lui soggiunse invece “Io sono un cittadino italiano, ed ho quindi tutti i diritti che mi garantisce la costituzione e il codice civile!”

Io ho preso da un pezzo coscienza d’essere non solo un cittadino, anche una persona, un cristiano ed un figlio di Dio. Non ho più complessi verso i burocrati, verso gli amministrativi, verso i politici, verso i letterati, verso i partiti! Come vorrei che tanti cittadini e tanti cristiani perdessero i complessi di inferiorità verso gente presuntuosa che crede di essere non so chi!

La sinistra s’è impadronita della resistenza, della cultura, dei mass media, della magistratura, del cinema, della storia e si è talmente montata la testa certi da pensare d’essere il battistrada del pensiero, detentrice della verità, l’espressione più autentica della democrazia, il domani per il nostro Paese. Balle! Tutte balle! Fortunatamente l’ha capito anche il popolo italiano e nelle ultime elezioni pur non avendo alternative meravigliose, l’ha mandati a casa con un calcio nel sedere!

E’ tempo che prendiamo coscienza che i cristiani posseggono i valori più validi, l’umanesimo più rispondente alla natura umana, esprimono gli uomini migliori, più seri, più concreti, più audaci. Finche non avremmo preso coscienza di queste certezze ci lasciamo schiacciare da imbonitori da piazza.