Il canto del cigno

Non una predica di parole, ma un volume che riporta fatti, imprese e scelte concrete “Le mie esperienze pastorali 1954 – 2020” condensa il messaggio di 66 anni di sacerdozio

Mesi fa, Giorgio, mio caro coinquilino del Centro don Vecchi, la struttura nella quale vivo anch’io da quindici anni una volta che sono andato in pensione per limiti di età, è morto da coronavirus. Tutta la comunità, composta di 200 anziani, è stata messa in quarantena. Sono quindi rimasto recluso nel mio piccolo alloggio di quaranta metri quadrati, per interi quindici giorni. Confesso che questa reclusione mi è costata alquanto, come sono certo che è costata a tutti.

In questi lunghi quindici giorni, mi attanagliava l’incubo per le notizie poco rassicuranti che la televisione trasmetteva da mane a sera, notizie che mi facevano toccare con mano quanto fossi indifeso e quanto fosse precaria la vita. Dall’altro canto la reclusione e l’isolamento dagli altri mi esasperavano e mi facevano desiderare, come mai mi era accaduto prima, la libertà di movimento, la possibilità di incontrare e parlare con altre persone. Non avendo poi impegni particolari di cui occuparmi, avevo la sensazione che il numero dei giorni del calendario fosse sempre lo stesso, che le ore non passassero mai, e che le lancette dell’orologio, se non ferme, girassero molto più lentamente del solito!

La paura del virus e l’impossibilità di muoversi mi facevano capire che, o per la virulenza della pandemia o per la mia tarda età, 91 anni, mi ritrovavo a vivere “tempi supplementari”, tempi che sono notoriamente molto brevi.

Da questo stato d’animo è nata l’idea: perché non tentare di fare, forse, l’ultima omelia ai miei concittadini? Perché non condensare il messaggio che ho sempre reputato la mia più grande ricchezza in tutti i miei 66 anni di sacerdozio in un discorso definitivo? Non però una predica di parole, ma un discorso di fatti, di imprese e di scelte concrete? Subito s’affacciò alla mia mente l’interrogativo: “Come?”.

Mi ha aiutato a rispondere a questa domanda una confidenza che in tempi molto lontani mi ha fatto l’onorevole Costante Degan, che era mio parrocchiano ed amico. Il quale un giorno mi disse: “Sa, don Armando, gli annunci, le parole che convincono sono quelle che hanno le gambe!” e alla mia sorpresa e stupore soggiunse “I discorsi che convincono sono quelli che hanno il respiro e il volto della testimonianza!”. Allora mi sono detto: perché prima di andarmene, non tento di fare una “predica” raccontando la mia lunga e intensa vita di prete? Perché non fare un discorso riferendo con umiltà e onestà come ho tentato di passare concretamente il messaggio di Cristo in cui ho creduto e per cui ho speso tutte le mie energie?

Da questa riflessione è nato questo volumetto: “Le mie esperienze pastorali 1954-2020”. A questo punto, però, mi si sono aggiunti altri due obbiettivi, che potevano completare questa mia decisione. Il primo: informare le nuove generazioni di cristiani e soprattutto di sacerdoti sul punto raggiunto dai cristiani e dai preti della mia età circa l’annuncio del “Regno”. Quindi passare il testimone dell’impegno pastorale della mia generazione perché altri potessero continuare l’impresa e la splendida avventura di realizzare la proposta di Cristo. Il messaggio di Gesù ha bisogno di essere sempre aggiornato e ritradotto in rapporto alla sensibilità e alla cultura che è in costante e veloce evoluzione. Ora i preti della mia età stanno terminando il loro compito, spetta ormai ad altri continuare dal punto da noi raggiunto.

L’ultimo obiettivo me l’ha offerto mio nipote don Sandro Vigani, regalandomi un suo recente volume sulla ricostruzione della chiesa di Eraclea, mio paese nativo, chiesa che fu distrutta dalla prima guerra mondiale. Il realizzatore di questa impresa è stato Monsignor Giovanni Ghezzo, che in paese tutti ritenevano un grande prete, non solo santo, ma anche colto.

Fin dalla mia infanzia avevo sempre sentito dire che, prima di morire, questo sacerdote aveva scritto una bella e significativa poesia dal titolo “Il canto del cigno” versi con i quali egli si accomiatava dalla sua gente. Finalmente ho potuto leggere questa poesia nel volume di don Sandro. Non dico che sia rimasto deluso, ma essa è scritta in maniera tanto aulica che non è proponibile per il nostro sentire. Comunque il suo titolo – “Il canto del cigno” – potrebbe essere messo a capo delle “mie esperienze pastorali 1954-2020”, perché anch’io sono giunto al momento in cui vorrei concludere cantando e lodando il Signore per la vita che mi ha donato, vita che tutto sommato è stata bella, intensa e convinta! Dono ai miei amici e alla mia gente questo “cantico”, non tessuto di note o di parole, ma di fatti concreti, sperando che sia anche per loro motivo di speranza, di incentivo e di pungolo all’impegno, a continuare, a realizzare “il Regno” annunciato da Cristo.

N.B. è possibile reperire, a titolo gratuito, questo volume presso la segreteria del Centro don Vecchi di Carpenedo o nella chiesa del cimitero di Mestre.

L’ultima spremitura

Ieri sera il tipografo, che è uno dei tanti artigiani che per sopravvivere al pesante fardello fiscale fa tutto da sé, è venuto a portarmi personalmente i mille volumi che raccolgono il mio diario del 2014: una vera montagna di carta stampata.

Più volte ho confidato ai miei amici che, con il progredire dell’età, sono diventato sempre più prolisso.

Vent’anni fa in otto, dieci righe riuscivo a mettere a fuoco un messaggio, un sentimento o una critica, mentre ultimamente, per esprimere gli stessi concetti, tre pagine manoscritte sono appena sufficienti.

Quest’ultimo volume, che conta ben 456 pagine, assomiglia più ad un vocabolario che ad una raccolta di riflessioni.

La curiosità morbosa mi ha spinto a sfogliarlo per leggere qua e là qualche pagina e vi devo confessare che ho trovato il volume abbastanza sbrodoloso.

Mi costa presentarmi così male in arnese ad amici e concittadini, purtroppo però tutto questo è uno dei tanti effetti della vecchiaia!

Ringrazio comunque Dio per avermi dato la possibilità di parlare a cuore aperto alla mia gente e di aver fatto sapere alla Chiesa e alla città come la pensa un prete ultraottantenne.

Tutto sommato credo che non sia male confrontarsi anche con il passato: io di certo lo rappresento!

“L’ultima spremitura”

In questi giorni è uscito l’ultimo volume che raccoglie le pagine del mio diario del 2014 con un titolo significativo e molto meditato: “L’ultima spremitura”.

Quando ho superato gli ottant’anni, alla fine di ogni anno, ho avvertito il bisogno di indicare anche nel titolo del volume il fremito dell’attesa del mio incontro con il Signore. Da questo stato d`animo sono nati i titoli: “Sul far della sera”, “Luci del tramonto”, “Tempi supplementari”, “Vespero”, “L’attesa del nuovo giorno”, “Crepuscolo” ed ora “L’ultima spremitura”.

Se il Signore mi accordasse ancora qualche anno, finirei per trovarmi a disagio e in difficoltà per trovare un titolo adeguato all’età ed al mio stato d’animo.

Quando ho scelto per il 2014 “L’ultima spremitura”, ho preso in considerazione non solamente la mia veneranda età ma, pure il tipo di vita che ormai nonostante tutti i miei sforzi riesco ad esprimere. Sono ben conscio come ho scritto nella prefazione, di essere arrivato al tempo del “vinello”, ossia un prodotto che del buon vino ha quasi solamente il colore.

Spero che questo volume vada in mano solamente agli amici più cari perché con gli altri non mi farebbe fare altro che una brutta figura.

Portavoce

Ho degli amici collaboratori semplicemente meravigliosi che sono per me più che una fortuna, una Provvidenza! Quest’anno ricorre il cinquantenario della morte tragica di Kennedy, il giovane e prestigioso presidente degli Stati Uniti, ucciso a Dallas. Ricordo che a quel tempo si diceva che il successo di J.F. Kennedy era dovuto in gran parte allo staff di persone quanto mai intelligenti che lui si era scelto come collaboratori.

Fatte le debite proporzioni, sono certo che se qualcosa mi è riuscita nel mio impegno di prete, lo debbo in gran parte ai miei collaboratori che io reputo capaci, ma soprattutto fedeli e generosi.

Vengo ad un fatto che a qualcuno sembrerà perfino banale. La data di questa “pagina” è il 3 dicembre 2013. Ebbene, la prossima settimana uscirà, ancora prima che finisca l’anno, il volume con il mio diario del 2013. La signora Laura, che inserisce e riordina pensieri, sintassi e grammatica dei miei scritti aggrovigliati e scorretti, il signor Luigi Novello, che ha stampato il prototipo del volume da mandare in tipografia, il signor Causin che ha corretto sollecitamente le bozze, il signor Cavinato che ha studiato l’impianto grafico della copertina e Gianni Bettiolo che ha fornito una splendida foto che mi ritrae mentre celebro messa nella splendida abbazia di Santa Maria in Silvis a Sesto al Reghena durante una gita pellegrinaggio, chi ha preso contatti con la tipografia e chi ha procurato i soldi per la stampa, tutti loro sono gli artefici di questa nuova edizione del diario 2013.

A questa bella gente debbo veramente tanto, anzi quasi tutto, e per questo ringrazio il buon Dio.

Ieri poi il cognato di Gianni, fotografo per diletto, mi ha perfino portato la magnifica foto inserita nel calendario 2014. Che cosa mai desidero di più? Tutta questa amabile gentilezza finisce poi per mettermi in crisi perché non riesco a ricambiare tanta generosità e a condividere quel po’ di successo che tanti addebitano a me, mentre va debitamente condiviso e la parte che mi spetta è quanto mai piccola.

Stamattina, mentre ho appeso il calendario con la bella foto scattata a Sesto al Reghena, sono stato colpito da un particolare che mi ha costretto a meditare: la foto mi ritrae mentre sto celebrando l’Eucarestia per i miei anziani e alle mie spalle c’è un grande e meraviglioso Cristo in croce. Guardandola ho sentito tutto il peso e la responsabilità di aver scelto di fare il prete. Il Cristo dell’antica basilica che è ritratto alle mie spalle, pare proprio che mi incarichi di essere il suo portavoce. Quante volte non mi sono sentito pesare questo compito così carico di responsabilità che, ogni giorno di più, mi fa sentire l’inadeguatezza ad una “missione impossibile”.

Spero proprio che Cristo non si sia sbagliato e non si sia stancato di farsi rappresentare da un povero gramo quale io so di essere.

03.12.2013

L’ultima impresa

Per inizio gennaio 2014 uscirà l’ultimo volume del diario: quattrocento e più pagine di “pensieri vaganti” di un vecchio prete, sotto il titolo “Crepuscolo”. Se duro ancora un poco mi troverò in difficoltà per trovare titoli capaci di inquadrare la mia “avventura umana”. I miei meravigliosi amici collaboratori sono stati così bravi che il nuovo volume potrebbe uscire anche prima che termini il 2013. Come al solito non mi sono sentito di chiedere a nessuno di farmi la prefazione, perché sono fin troppo conscio dei miei limiti e perciò non ho voluto mettere alcuno nella situazione di dire qualche bugia adducendo motivi di lode che in realtà non merito assolutamente.

Alcuni anni fa, in una circostanza analoga, ho scritto che mi trovavo ad un bivio: o seguire l’esempio di Reagan che, avvertendo l’avvicinarsi delle nebbie della vecchiaia, si congedò dal suo Paese e si spense in silenzio e in solitudine, o seguire Papa Wojtyla che si aggrappò alla sua missione fino all’ultimo respiro. Finora ho seguito l’istinto del grande pontefice polacco e perciò sto copiando la scelta di un mio amico che, ammalato di cancro, mi confidò che voleva che “la morte lo incontrasse vivo”.

Per ora ho deciso così, ma potrei anche cambiare idea o essere costretto a farlo. In realtà desidero accettare l’una o l’altra delle soluzioni che la vita, o meglio la Provvidenza, mi imporrà. Per ora, conseguente alla scelta di Papa Wojtyla, confido agli amici che sto lavorando ad un nuovo progetto editoriale. L’ansia di portare il messaggio a tutti, che in passato mi ha determinato a far nascere il settimanale “L’Incontro”, “La liturgia della domenica” e il mensile “Il sole sul nuovo giorno”, mi sta spingendo, assieme ad alcuni amici, a dar vita ad un nuovo periodico che riassuma i discorsi di Papa Francesco. Gli interventi del Papa sono così vivi, freschi, genuini, accattivanti, che ci è parso ingiusto che non giungano all’attenzione della nostra gente.

E’ vero che i giornali e la televisione ce ne informano, ma lo fanno quasi sempre mediante una battuta, però non sempre questa ne esprime tutta l’importanza e la ricchezza. Il nuovo periodico uscirà come supplemento de “L’Incontro” e avrà come testata “Il messaggio di Papa Francesco”. Sarebbe stata nostra intenzione inserirla a taccuino ne “L’Incontro” però, per motivi anche economici, per ora tenteremo di stamparne un numero contenuto di copie, ma se il foglio incontrerà il favore del pubblico, solo allora provvederemo ad una soluzione più consistente. Per ora ringrazio il Signore per questa nuova avventura pastorale che mi auguro possa offrire a tante più persone l’insegnamento del Papa.

20.11.2013

Una scelta obbligata

In clinica a Padova, purtroppo, sono diventato, un po’ alla volta, uno di casa. Credo che non capiti troppo spesso, neanche nella celebre clinica patavina, di ricoverare un vecchio prete dalla capigliatura folta, bianca e scapigliata, che entra ad intervalli abbastanza regolari.

Per i “compagni di sventura” sono sempre un illustre sconosciuto perché, specie nel reparto in cui mi ricoverano, c’è un rapido turn over di pazienti, ma medici, infermieri, inservienti e volontari ormai mi considerano uno di famiglia e mi trattano con bonomia ed affetto, cosa che mi fa sempre molto piacere. Sono arrivato, pian piano, anche alle confidenze.

Nell’ultimo ricovero ho incontrato di nuovo una signora che ha la mansione di rifare i letti: è una signora cordiale, espansiva e soprattutto “di chiesa”. Mentre in occasione dell’ultimo ricovero cambiava le lenzuola e riassettava il letto, ha cominciato ad informarsi sulla mia vita di prete e a parlarmi della sua, di semplice fedele. Mi disse che mentre a casa cucinava, partecipava al rosario o leggeva i messaggi aggiornati della Madonna di Medjugorje. Trasse di tasca un telefonino di ultima generazione e con rapidissimi tocchi dell’indice mi mostrò una “brutta” immagine della Madonna col rosario al collo e mi fece sentire sottovoce – perché altri non udissero – la preghiera mariana, soggiungendo, da esperta: «Il rosario lo si può sentire recitato con la voce di bambina, di uomo o di donna!». Poi, sempre toccando leggermente altri due o tre tasti, ne venne fuori la parola “preghiere” e scorse un elenco infinito di preghiere di tutti i santi e di tutti i gusti.

Mentre assistevo a questa testimonianza di semplice, ma calda fede popolare, mi venne da pensare al nuovo volume “Sole sul nuovo giorno” che sto dando alle stampe: una raccolta di pensieri e di preghiere che ho raccolto con fatica e pubblico con una spesa non lieve. Pensai: “Scopro adesso un’America che tutto il mondo, aggiornato e giovane, ha ormai scoperto da tempo”.

Dapprima rimasi un po’ stupito e sconcertato, poi mi sono consolato ricordandomi una lettura di tanti anni fa. Due amici si incontrano e uno dice all’altro: «Di che cosa ti occupi?» e l’altro risponde: «Organizzo spettacoli da circo equestre». Il primo osserva: «Si tratta di un divertimento popolare per gente poco colta». Al che il secondo risponde: «Che percentuale di persone intelligenti e colte pensi ci sia nella nostra società?». E l’altro: «Forse il dieci o il venti per cento». «Ebbene, riprende il primo, io ho scelto di rivolgermi a quell’ottanta, novanta per cento non troppo colto!».

Forse è una magra consolazione, ma alla mia veneranda età non mi resta che rivolgermi al mondo dei tanti non aggiornati. Perciò pubblico il nuovo volume “Sole sul nuovo giorno”, anche se non rappresenta la novità e la “scoperta dell’America”.

La fortuna de “I tempi supplementari”

L’arrivo della raccolta del “Diario di un vecchio prete, anno 2012” sta destando nel mio animo una folla di sensazioni tanto diverse e spesso sorprendenti. La più forte e la più immediata di fronte al volume estremamente “pesante” – sia per la carta adoperata dal tipografo che perché conta ben 396 pagine – è quella di constatare quanto sia stata mai ardita e forse azzardata la decisione di scrivere tanto e su tanti argomenti, nonostante la consapevolezza dei miei limiti culturali ed anagrafici. Le imprese ardite si addicono ai giovani piuttosto che ai vecchi come me.

La sensazione seguente è stata poi quella di pensare: “Chi vuoi mai che abbia voglia di leggere un malloppo non solo “pesante” a livello di bilancia, ma ben più a livello di stile e di contenuti?” Sono ancora sufficientemente lucido per rendermi conto della ripetitività dei discorsi, del fatto che gli argomenti spesso trattano temi marginali alla vita di oggi e che, al più, riguardano il mondo paraecclesiastico. E poi capisco che la prosa è poco brillante e piuttosto aggrovigliata, nonostante la “mia maestra” Laura Novello, inserendo i testi in computer, sudi sette camicie per rispettare la sintassi, la grammatica e dipanare certi discorsi troppo contorti.

Nonostante tutto questo, mi accorgo con estrema sorpresa che il volume “tira bene”: in quindici giorni sono state “acquistate” quasi trecento copie delle cinquecento stampate. Mi vien da pensare che la foto di copertina, con quella “nuvola” di capelli bianco-latte e il titolo sportivo “Tempi supplementari”, abbia finito per destare la curiosità dei mestrini.

Ora poi che “La nuova” ha avuto l’amabilità di dedicarmi un’intera pagina di critica, mettendo in luce soprattutto gli spigoli più acuti del mio carattere e delle mie prese di posizione e quel pizzico in più di libertà che normalmente mi permetto sul diffuso disinteresse, sull’appiattimento e sulla rassegnazione dell’opinione pubblica del clero veneziano, credo che ben presto i volumi saranno esauriti. I miei concittadini però, e soprattutto i miei superiori, possono andar tranquilli perché non corrono il pericolo di una ristampa, se non altro per il costo!

Nota dell’autore

Nota della redazione: questa riflessione è stata scritta diverse settimane da e ora il volume “Tempi supplementari” è disponibile nella Chiesa del cimitero, al don Vecchi, all’Angelo e in tutti i luoghi indicati nei vari numeri de L’Incontro.

Oggi ho stilato una “nota d’autore” come prefazione del nuovo volume “Tempi supplementari”, che raccoglie il diario dello scorso anno. Lo anticipo all’uscita dell’ultima raccolta delle mie riflessioni quotidiane, perché penso che, tutto sommato, faccia il punto della mia vita di vecchio prete che spesso ritorna con nostalgia e rimpianto al suo passato, ma che non si è ancora arreso e desidera spender al meglio quel poco che gli resta, perché vorrebbe che “la morte lo incontrasse ancora vivo”.


Per evitare l’ulteriore disagio che provo ad offrire ai miei concittadini delle riflessioni povere, disadorne e spesso scontate, avevo trovato il coraggio di chiedere ad una cara collaboratrice de “L’incontro” di presentare brevemente il mio “diario” del 2012 e lei, con amabile gentilezza, aveva accettato di farlo. Poi però, ancora una volta, vi ho rinunciato perché sono certo, che per farmi piacere, avrebbe usato parole care e avrebbe taciuto sui limiti dei miei pensieri, sulla loro ripetitività e soprattutto sulla loro notevole modestia perché essi non hanno un supporto culturalmente adeguato.

Quindi, sperando di avere ancora sufficiente lucidità nel conoscere i miei limiti, ho preferito ancora una volta essere io, pur arrossendo, a motivare la mia scelta di raccogliere in questo mio ultimo volume le riflessioni che ho maturato lungo i giorni dello scorso anno.

Forse la mia è una delle tante illusioni, o peggio ancora una presunzione, pensare che siano così rare le voci libere nella nostra città e pure nella Chiesa locale, che abbiano la voglia o l’ardire di offrire, seppure con rispetto ed amore, il loro contributo anche se un pizzico controcorrente dall’opinione prevalente e credere doveroso da parte mia compiere questo “servizio” pur sapendolo non sempre ben accetto.

Ripeto che il mio pensiero è nato nel secolo scorso e perciò risente, oltre che della sua vecchiaia, anche, ripeto, del limite di un prete che è vissuto sempre ai margini ed in periferia, che si è impegnato da “manovale” nelle cose della Chiesa e che non ha quasi mai frequentato “i salotti” della cultura laica ed ecclesiale. Non credo proprio di essere espressione del dissenso e della fronda – perché non ho mai inseguito questo obiettivo ma spero di essere almeno la voce della “base”, dei poveri, di quelli che non contano e “tirano la carretta” da sempre. Questo mi basta per motivare l’uscita del volume.

Vi debbo ancora una nota per giustificare il titolo: “Tempi supplementari”.
Fra pochi giorni avrò 84 anni e se questa età non fosse sufficiente per considerarla una “aggiunta” alla vita normale, non saprei proprio quando considerare finiti i tempi regolamentari. Vivo questo tempo, che so breve, con il desiderio di “fare centro”, di non sprecare un solo minuto ed una sola occasione, perché vorrei tanto spendermi tutto, andarmene senza pesi ed ingombri, con assoluta libertà.

Se a qualcuno possono interessare le opinioni di un vecchio prete “libero ma fedele”, eccomi! Se trovate anche qualcosa di buono, sono qui ad offrirvelo di cuore.

don Armando Trevisiol

La terza fase della mia vita

Sono nato nel ’29 e sono diventato prete nel ’54.

La prima fase della mia vita fu quella della preparazione alla missione umana e sacerdotale. La seconda fase, dal 1954 al 2005, fu il tempo “cuore” della mia esistenza, durante il quale mi sono impegnato per farmi testimone e portavoce di Cristo Gesù. Il 2 ottobre di sette anni fa è iniziata la terza fase della mia vita. Iniziò con la pensione, nel 2005, un tempo che non avevo programmato, motivo per cui mi sono trovato totalmente spiazzato, quasi mi fosse venuta meno la terra sotto i piedi, tanto che arrischiai un esaurimento nervoso.

Inizialmente, annaspando, mi cercai un lavoro “in nero”. Poi, celebrando da quarant’anni in cimitero, mi orientai verso la pastorale del lutto. Nacque con fatica un gruppo di mutuo aiuto per l’elaborazione del lutto, che poi passai all’Avapo.

Per anni celebrai la messa a San Rocco per i genitori che han perduto un figlio in giovane età. Poi sono riuscito ad avere una nuova chiesa di 250 posti in cimitero e soprattutto una comunità che la gremisce ogni domenica. Ho collaborato alla stesura di un volume, “L’albero della vita”, di cui ho curato l’aspetto religioso di “nostra sora morte corporale”, come san Francesco chiamò il lutto, volume diffuso in più di 20.000 copie e che “tira” ancora.

Mi sono offerto di celebrare la messa festiva in due frazioni lontane dalle relative parrocchie, però i parroci declinarono la mia offerta per motivi che sono rimasti sconosciuti. Mi sono offerto, a titolo gratuito di celebrare in una chiesa vicina, guidata da un parroco che non ha cappellani, ma dopo sei mesi sono stato licenziato in tronco, con preavviso di alcune ore.

Ho fondato il settimanale “L’incontro” che esce regolarmente, senza pausa alcuna, in 5000 copie, risultando così il periodico di natura religiosa più letto in assoluto a Mestre.

Nel frattempo ho collaborato alla nascita del Centro don Vecchi di Marghera per il cui finanziamento avevo già provveduto per intero. Ho acquistato il terreno per il Centro di Campalto e collaborato alla sua realizzazione.

Ho dato vita, con la redazione degli amici de “L’incontro”, al mensile “Il sole sul nuovo giorno” e pubblicato una decina di volumi.

Ultimamente mi sono offerto di celebrare una messa settimanale a Carpenedo ed una mensile a Ca’ Solaro.

Sono grato al Signore che ha benedetto ed ha reso interessante la terza ed ultima fase della mia lunga vita e soprattutto mi ha aiutato finora a mettere in pratica il proposito “voglio che la morte mi incontri vivo” e ad impegnare bene “i tempi supplementari”.

I “tempi supplementari”

Nota della Redazione: questo appunto è stato scritto, come gli altri, diverse settimane fa. Ora il volume contenente il diario del 2012 di don Armando è in distribuzione al don Vecchi, nelle chiese del cimitero e in ospedale all’Angelo. Ogni offerta è devoluta per finanziare il don Vecchi 5.

Tra le tante benedizioni e fortune della mia vita, ho avuto anche quella di avere sempre tanti e bravi collaboratori che sono riusciti a fare delle cose veramente belle. Quando penso ai duecento volontari impegnati a Radiocarpini o ai quattrocento in parrocchia di Carpenedo e ai duecentocinquanta e più che attualmente sono impegnati nette varie attività che gravitano attorno al “don Vecchi”, non posso che benedire il Signore.

Anche il “granello di senape” da cui è germogliato “L’Incontro” e che oggi conta una cinquantina di collaboratori, è partito dal nulla, ma in pochi anni è diventato un albero frondoso che sforna cinquemila copie del periodico alla settimana ed almeno due o tre volumi all’anno.

Qualche giorno fa uno di questi collaboratori mi avverti che i primi dieci mesi del diario del 2012 erano già pronti e quindi mi invitò a pensare al titolo e alla prefazione del volume che l’avrebbe raccolto, perché vorrebbero darlo alla stampa fin dai primi mesi del 2013. Riflettendo sulla mia veneranda età, 84 anni, e confrontandola con l’età media degli africani, che supera di poco i quarant’anni, m’è venuto da pensare che comunque sto vivendo i “tempi supplementari” come nelle partite di calcio: quel breve quarto d’ora in cui si risolve la partita.

Su questa riflessione s’è sviluppata fatalmente la mia riflessione: i tempi supplementari per loro natura sono brevi, essi sono risolutivi per il buon esito della partita, quindi bisogna mettercela tutta, tirar fuori le risorse residue, vivere intensamente, non ogni giorno ma ogni minuto, cogliere al volo ogni opportunità.

Da queste conclusioni m’è venuto spontaneo e necessario un attento esame di coscienza. Circa l’impegno ad occupare tutto it tempo, non mi è parso di avere rimproveri da farmi, ma sul vivere con la consapevolezza che i minuti sono contati e che le occasioni opportune sono sempre più rare e che in ogni incontro ed in ogni rapporto è doveroso che io dia il meglio di me, sono meno tranquillo. Non mi resta che sperare sulla comprensione di Dio e sull’aiuto dei fratelli.

Spero che il messaggio valga l’impegno che richiede

Nota: come sempre ricordiamo che don Armando scrive questi articoli con largo anticipo. Il libro oggetto di queste riflessioni è infatti già disponibile nella chiesa del cimitero di Mestre.

Il signor Luigi, con l’aiuto sporadico di qualche altro volontario e con quello della moglie Laura, sta lavorando a tutto vapore per rilegare i cinquecento volumi dell’ultima mia opera, il diario tratto dal settimanale “L’incontro” del 2011, che uscirà con il titolo “In attesa del giorno nuovo” .

L’impegno e la fatica di questo meraviglioso collaboratore, preciso ed infaticabile, da un lato mi fa enormemente felice, perché il suo lavoro è per me uno splendido segno di amicizia e di affetto: chi mai può rimaner indifferente al fatto che una persona che ha casa, moglie, figli e nipoti, trovi il tempo per dedicare giornate su giornate per stampare il diario di un vecchio prete? Stampare e rilegare un volume di più di 300 pagine con mezzi davvero artigianali, quali quelli di cui noi disponiamo al “don Vecchi”, è veramente un’impresa epica, poco meno difficile della scoperta dell’America che Cristoforo Colombo fece disponendo di quei gusci di noce che erano le caravelle con cui affrontò l’immenso e turbolento oceano. Comunque sperimentare questo tipo di sana amicizia mi fa veramente bene e m’aiuta a non mollare quando sono stanco e sarei tentato di ritirarmi in casa di riposo.

Dall’altro lato però mi impone ancora delle domande più inquietanti: ha senso impegnare tanto tempo a più di una trentina di volontari che scrivono, inseriscono in computer, stampano, piegano e portano ogni settimana in più di sessanta postazioni all’incirca cinquemila copie de “L’incontro”? Ha senso spendere una cifra ragguardevole anche se il volume è stampato in proprio con l’opera gratuita di tanti volontari?

Sono domande alle quali vorrei potermi rispondere con un “si” preciso, invece mi rimangono dei dubbi che mai riuscirò a risolvere. Sono ancora convinto, o almeno spero, che almeno le tesi di fondo delle quali è permeato tutto il volume – quali promuovere una Chiesa povera ed un atteggiamento di servizio, pungolare il popolo cristiano e specie il clero per un servizio sempre più generoso, sottolineare ciò che di positivo c’è nella Chiesa e promuovere una corresponsabilità da parte di tutti i credenti ed altri valori complementari – meritino tanta fatica e tanto denaro. Spero di “mettere nel mercato” quanto prima le 500 copie che ribadiscono fino all’esasperazione le suaccennate proposte.

La “mia” ricchezza sono i volontari

Nota: come gli altri anche questa riflessione risale a varie settimane fa e il volume citato è già disponibile nelle chiese del cimitero di Mestre.

Di fronte al “don Vecchi 1, 2, 3, 4” i miei concittadini mi chiedono come sono riuscito a trovare tanti miliardi per costruire strutture così belle e signorili, tanto che qualcuno pensa che siano alberghi di lusso. Molte volte qualche visitatore mi ha detto: «Sono venuto per vedere una casa di riposo, ma questo è un albergo a quattro stelle!» In queste affermazioni c’è anche della galanteria, ma di certo anche molta verità. I Centri don Vecchi sono ben altra cosa dalle case di riposo, perché essi sono nati da ideali, da gente che riesce a sognare ancora!

Nel passato ho anche pubblicato “la ricetta” per ottenere dai concittadini aiuti così consistenti, ma sento il bisogno di riaffermare che l’aver incontrato e poter contare su una schiera veramente grande di volontari, è stata la mia fortuna e la mia vera ricchezza.

Da tempo discutiamo con gli amici sulla pubblicazione del “Diario 2011”. Io ero perplesso, tanto perplesso perché, pur avendo trovato nel signor Ruberti un tipografo ultraonesto, la pubblicazione di 500 copie di un volume di 350 pagine è veramente costosa. Nello stesso tempo pubblicare in proprio, con i mezzi efficienti dei quali disponiamo, ma sempre macchine artigianali, è un’avventura pressoché impossibile.

Come sempre mi avviene, rimandai la decisione in attesa di non so che! Grande fu la mia sorpresa quando, un paio di settimane fa, entrando nella “tipografia” del “don Vecchi” mi accorsi che le due stampanti andavano a tutto vapore e che in un angolo c’era una pila di fogli già stampati.

L’impresa non è finita! Bisogna tagliare i fogli A3 in A4, impaginare, incollare i fogli, preparare la copertina a colori, rifilare i 500 volumi. Un lavoraccio da non dire!

Eppure fra un altro paio di settimane sono certo che mi suoneranno il campanello per presentarmi “la primizia” del volume “Verso il giorno nuovo”, il diario di un vecchio parroco 2011.

La nostra “tipografia” sforna sessantamila pagine stampate de “L’incontro” ogni settimana, oltre a quelle de “Il sole sul nuovo giorno” e dei fogli per la liturgia festiva. La tipografia del “don Vecchi” conta su una splendida squadra di giornalisti, redattori, tipografi, rilegatori, da far invidia ad un’azienda cittadina. Tutta questa cara gente lavora e non percepisce un soldo, anzi ci rimette tempo a non finire e, molto spesso, anzi quasi sempre, paga di tasca propria. Mi piacerebbe che i concittadini vedessero queste maestranze al lavoro: cordialità, impegno, scrupolo, cameratismo e quanto ci può essere di più affascinante tra lavoratori senza stipendio e senza sindacati.

Mentre vedevo il signor Novello e il signor Giusto che, sornioni, scrutavano la mia reazione per la sorpresa, in un lampo mi è parso di vedere la schiera infinita di volontari ai “Magazzini San Martino e San Giuseppe, al Banco alimentare, al Seniorrestaurant, quelli impegnati per il giardinaggio e per la diffusione del periodico, quelli che già lavorano per i presepi del prossimo Natale, i responsabili dei Centri don Vecchi, gli addetti al chiosco di frutta e verdura, i collaboratori per la liturgia, il coro, il servizio di cortesia. Veramente conto su tanta e gran bella gente che “manda avanti la baracca” per amore di Dio e del prossimo! Tanto che quando qualcuno mi fa complimenti, mi sento in gran disagio e “giro” immediatamente a questi volontari l’ammirazione e la riconoscenza della città.

Il nuovo volume del “Diario di un vecchio prete”

I miei collaboratori mi hanno informato che sono pronte le bozze che raccolgono il “Diario di un vecchio prete” dello scorso anno, 2011 e mi hanno chiesto quindi una prefazione. Come il solito non ho voluto scomodare alcuno per una cosa di così poco conto ed ho buttato giù la nota che accludo per dire l’animo con cui consegno per una volta ulteriore le mie riflessioni alla città.

Nota dell’autore
In questo vespero inoltrato della mia lunga vita spesso il mio pensiero e la mia coscienza vanno alle scelte di due grandi personaggi del nostro tempo: il presidente Reagan e il papa Wojtyla.

Il primo, avvertendo l’annebbiarsi della mente e il venir meno delle sue forze, prese coraggiosamente commiato dal suo popolo manifestando pubblicamente la scelta lucida di entrare nel silenzio del profondo mistero che ormai incombeva sulla sua vita.

Il secondo, pur “morto” fisicamente, scelse di rimanere al suo posto per dare testimonianza di fedeltà alla sua Chiesa fino alla fine estrema del suo mandato.

Ho ammirato profondamente entrambe queste due belle figure e le scelte relative, forse per questo vivo in maniera un po’ drammatica il mio tramonto.

Finora ho scelto di fare come il presidente americano. Quando ho avvertito il venir meno delle mie risorse fisiche e spirituali ed ho temuto di non riuscire a guidare con lucidità la mia comunità verso il domani, ho scelto, pur con tanta sofferenza, di lasciare la parrocchia. Lo stesso ho fatto più recentemente con la Fondazione dei Centri don Vecchi, passando la mano ad un giovane prete.

Ora però che il periodico, “L’incontro”, ha sfondato, sta imponendosi all’attenzione della città e sta raccogliendo felici e vasti consensi, mi trovo nel dramma, se continuare a seguire la scelta di Reagan o continuare fino all’esaurimento di ogni risorsa come papa Vojtyla.

Per adesso, con fatica, ho scelto d’attendere ancora un po’, pur “provandomi la pressione” più frequentemente.

Da questa scelta provvisoria nasce questo volume, che perfino nel titolo, “In attesa del giorno nuovo”, vuol dire la consapevolezza della mia fragilità fisica e spirituale e la coscienza della precarietà con cui affronto questi giorni del tramonto, anche se ricco di fiducia e di speranza.

Mi auguro che queste scelta, un po’ difficile, possa rappresentare almeno un punto di confronto per i miei coetanei ed un monito per i giovani a vivere con onestà e nello stesso tempo con generosità e spirito di sacrificio.

Questo volume non rappresenta ancora il mio commiato definitivo dalla città e dalla Chiesa che ho amato appassionatamente, ma di certo vuol dire ai miei concittadini che, pur desiderando che “la morte mi incontri vivo”, sono consapevole d’essere ormai entrato nei “tempi supplementari”.

“Le luci del tramonto”: il diario del 2010

Per un “blitz” di persone che mi vogliono bene e han creduto di farmi piacere, è stato dato alle stampe il mio “Diario del 2010”. Questa cara gente non solamente si è sobbarcata l’enorme fatica di inserire al computer le 330 pagine di testo, correggere quanti più errori possibile, ma anche ha mitigato il titolo del volume, sostituendo quello che avevo ipotizzato “Il canto del cigno”, con quello più saggio “Le luci del tramonto”, dandomi così la possibilità di trovare seppur un piccolo spazio per il titolo del diario 2011.

Fra pochi giorni avrò 83 anni, segnati soprattutto negli ultimi venti da interventi chirurgici di non poco conto. Talvolta mi sorprendo di essere ancora vivo e più ancora mi provoca gioia e riconoscenza l’avere ancora la possibilità di impegnarmi per l’avvento del Regno e la grinta per portare avanti le mie idee circa la pastorale, la vita, la società e la Chiesa.

Sono sempre stato un solitario, pur costantemente partecipe agli eventi che riguardano la collettività e il cristianesimo in particolare. Ora mi sento ancora più solo perché la mia visione della vita mi pare così poco condivisa.

Scrivevo poco tempo fa nelle pagine di questo testo di “confidenze” e di “reazioni”, che torno spesso sugli stessi argomenti, non solamente perché sono vecchio, ma soprattutto avvertendo che mi resta ancora poco tempo, e perciò sono preoccupato di ribadire le “mie verità”, perché temo che non ci sia più alcuno ad offrire quegli apporti che nascono dal profondo della mia coscienza che, fondamentalmente, è rimasta libera dalle mode dell’opinione pubblica e dalle convenienze.

Confesso che ogni tanto mi capita di leggiucchiare qua e là qualche pagina del volume tanto lungo e tanto pesante del mio diario e finisco sempre per ringraziare tutti quei cari amici che hanno reso possibile questa bella avventura e il buon Dio che mi aiuta a contribuire in positivo – o forse anche in negativo – alla maturazione di una Chiesa più coerente ed una società più sana.

Mezzo secolo di vita da prete da rileggere

Finalmente, dopo tanti ripensamenti, ho deciso: riunirò in un armadio “l’opera omnia” della mia vita.

Già nel passato ho confessato che al momento di trasferirmi dalla mia immensa canonica – che la mia perpetua aveva definito con un po’ di disprezzo “un municipio” – al piccolo guscio di alloggio al “don Vecchi”, ho dovuto liberarmi della mia biblioteca. In verità non mi è costato molto, perché in effetti non mi serviva punto. Ho potuto portare con me solamente un armadio in noce di media grandezza ove ho stipato tutti i volumi che ho fin qui pubblicato, i quali sono in gran parte antologie di articoli apparsi nei molti periodici di cui mi sono occupato durante il lungo ministero pastorale. Quando voglio recuperare il mio passato, non avendo una buona memoria, devo fatalmente aprire uno dei tanti volumi che vanno pian piano ingiallendosi.

Sono stato un po’ perplesso per il luogo ove collocare il nuovo armadio e per il costo che m’è parso un po’ consistente, dato il valore di ciò che conterrà. Poi ho concluso che il mio mezzo secolo di vita da prete poteva perlomeno valere tale somma.

A giorni mi accingerò a mettere in bell’ordine i volumi de “La Borromea”, “Carpinetum”, “L’anziano”, “Lettera aperta”, di “Radiocarpini attualità”, di “Coraggio”, “L’incontro” e poi di tutte le pubblicazioni date alle stampe attraverso l'”Editrice Carpinetum”, prima, e poi quella de “L’incontro”.

Questa operazione mi aiuterà a mettere un po’ di ordine nel mio passato per verificare la mia testimonianza di prete della fine del secondo millennio e dell’inizio del terzo e per sondare lo sviluppo del mio messaggio nel susseguirsi di tanti anni.

M’è pure frullata per la testa l’idea che un domani questo materiale potrebbe aiutare chi volesse stendere una biografia, ma è stato solo un attimo che ho scacciato con la prontezza e la decisione con cui si caccia una vespa o un calabrone, avviandomi sul sentiero più giusto che quando andrò “in pensione dalla pensione” mi sarà più facile sorridere per le mie illusioni, sorprendermi per l’audacia delle mie utopie, ma soprattutto per chiedere perdono di tante pretese, tanti giudizi e soprattutto tanta mediocrità.