Le preghiere del nostro tempo

Ormai da tre anni sto curando l’edizione di un opuscolo mensile che ha come titolo di copertina “Sole sul nuovo giorno”. Nella sostanza si tratta di un’antologia di pezzi d’autore noti o meno noti, ma che hanno in comune la capacità di un forte impatto sulla coscienza del lettore. Li pubblico con la speranza che i miei concittadini, aiutati da questi scritti, densi e forti, prendano posizione di fronte agli eventi quotidiani.

Raccolgo questi brani tra le mie letture vagabonde dei periodici e dei volumi che mi capitano sottomano. Quando verso il 20 del mese il signor Novello, che riordina e impagina, stampa questo periodico, rivedo il risultato di una scelta e di un lavoro fatto molto tempo prima, per cui anch’io sono sottoposto all’impatto esistenziale che spero coinvolga i lettori.

Ultimamente mi sono accorto che molti di questi “pezzi” sono scritti a mo’ di preghiera, tanto che con piacere leggo queste pagine insolite, ma sempre ricche. E mi sono accorto che queste “preghiere” del nostro tempo sono preghiere esistenziali. M’è parso che l’uomo moderno, piuttosto che lasciarsi andare ad espressioni di contemplazione, è alla ricerca di una preghiera che abbia come corde di violino i fatti del vivere quotidiano, dei rapporti con gli uomini piccoli, piccoli e grandi.

Ho la sensazione che le parole e i sentimenti espressi tendano a voler manifestare col vivere di ogni giorno la riconoscenza, la richiesta di perdono, l’impegno a fidarsi del Padre e vivere in pace con i fratelli.

La preghiera più autentica, e quindi quella più gradita al Signore, è quella scandita con i fatti, le scelte e i comportamenti più conformi alla volontà del Padre.

La primavera e l’autunno

Quando sono venuto via dalla parrocchia ho dovuto regalare, vendere o buttare la biblioteca che m’ero fatto in mezzo secolo di vita da prete. Sono stato costretto a farlo perché nel mio minialloggio al “don Vecchi” o ci mettevo i libri o il letto per dormire e il tavolo da mangiare! Ho optato necessariamente per questa ultima soluzione.

Di tutti i volumi ho conservato solamente quelli che abbiamo sfornato con l'”Editrice Carpinetum”. Pensavo che in pensione mi avrebbe fatto piacere ritornare ai “bei tempi andati”, sfogliando i numerosi volumi che raccolgono le mie innumerevoli riflessioni, prese di posizione, sogni e speranze. Un capiente armadio di noce custodisce ora i cinquantacinque anni di vita della parrocchia: dagli articoletti romantici dei Gesuati agli articoli più maturi nati a San Lorenzo e a Carpendo, alla “storia di un ottuagenario” prete in pensione.

Tutto questo lungo passato rimane ben custodito nell’armadio di noce.

Ben raramente trovo il tempo di sfilare un volume per ricordare tante vicende che portano il segno del tempo in cui le ho scritte. Talvolta però, seppur fuggevolmente, rubo qualche momento a ciò che mi impegna attualmente, per lasciarmi andare alla memoria e alla nostalgia.

Qualche giorno fa, terribilmente angosciato perché mi pareva che il mio scrivere stesse diventando sempre più involuto e banale, ho preso il secondo volume dei miei “diari”. E mi sono trovato tra le mani un volumetto compatto di 240 pagine stampate in 2500 copie dall’editrice “Il prato” di Padova e curato da Giovanni Stefani, caporedattore della Rai TV di Venezia. Dopo la cara prefazione del noto giornalista televisivo, la prima pagina porta la data del 3 gennaio 1990, ventun anni fa, e termina col 29 settembre 1998.

Leggendo qua e là le note di qualche giorno, ho scorto la stessa differenza che passa tra l’immagine, matura si, ma non ancor vecchia di allora, e quella cadente e logora di oggi. Ho capito che debbo assolutamente rassegnarmi ad accettarmi anche nello scrivere, come ora sono.

L’autunno non potrà mai pretendere d’avere il volto della primavera e neanche dell’estate. Voglio perciò essere almeno contento d’aver vissuto con intensità tutte le stagioni della vita.

Il diario di questo vecchio prete

L’altro ieri ho consegnato a mio nipote, funzionario di una grossa azienda nel settore dei mobili e dell’arredo per la casa, le ultime cinque copie del mio “diario” del 2009, uscito col titolo “In riva al fiume”.

«Zio, visto il successo del tuo volume e dell’interesse con cui alcuni miei colleghi l’hanno letto, mi piacerebbe regalarlo ai dirigenti della mia azienda, che ti conoscono in qualche modo per i tuoi interventi sulla stampa locale».

Le cinque copie erano le ultime delle cinquecento che i miei magnifici collaboratori hanno stampato mediante la tipografia artigianale de “L’incontro”. Quest’anno sono riusciti a far uscire il volume prima del termine del 2010, cosicché esso è diventato il regalo di Natale per altrettanti concittadini, in qualche modo interessati all’opera e alle idee di questo vecchio prete.

Cinquecento copie non sono un granché nell’abbondante produzione libraria della nostra città, però cinquecento copie scritte da un prete, e da un prete ultraottantenne, su argomenti prevalentemente religiosi, e da un prete già in pensione che non ha mai fatto parte della gota della diocesi, possono destare una qualche sorpresa ed una certa meraviglia.

Mi sono chiesto tante volte il perché del relativo successo de “L’incontro”, con la sua tiratura di cinquemila copie settimanali, pur avendo una veste tipografica modesta ed un gruppo redazionale sparuto.

Penso che, tutto sommato, l’opinione pubblica stia premiando l’onestà della ricerca, la passione per l’uomo, la presa di posizione libera, senza presunzioni e senza complessi, l’umiltà del riconoscere i propri limiti e soprattutto il sogno di una religione più aderente alle istanze dell’uomo d’oggi e almeno desiderosa di rifarsi alla “sorgente”.

Io spero proprio di far del bene ai miei concittadini, o perlomeno di aiutarli a porsi domande e risolvere problemi, non dando nulla per scontato.

Un proposito per il mio diario

Nota della redazione: come tutti, questo appunto di don Armando è stato scritto diverso tempo fa su un foglio di carta, prima della pubblicazione del “Diario 2009” che è in effetti già disponibile.

La mia “scoperta” di parlare alla gente mediante “il diario” è piuttosto datata. Sono più di trent’anni che ho compreso che mi è più congeniale trasmettere intuizioni, messaggi o critiche mediante lo strumento agile, non impegnativo del diario, piuttosto che mediante un “editoriale” o un “saggio” benché breve e senza pretese.

Constatando, in questi ultimi mesi, che il mio riflettere “ad alta voce” diventa sempre più prolisso, sono entrato in crisi.

Il mio tipografo, che sta curando la stampa del “Diario di un vecchio prete” del 2009, mi ha avvertito, preoccupato, che alle 300 pagine del diario 2008, si sono aggiunte, nell’edizione del 2009, altre trenta, quaranta pagine. Il signor Novello, che con pazienza certosina e perizia infinita sta stampando l’ultimo volume, non era preoccupato di certo per il fatto che le mie osservazioni sulla vita fossero diventate sempre più prolisse, ma solamente perché i mezzi tecnici ultra-artigianali della tipografia di cui disponiamo, faticano a sopportare un tale numero di pagine.

Io però mi sono messo in posizione di allerta e di autocritica per questo sforamento. Sono andato a rivedere il “diario” di trent’anni fa ed ho constatato che i “giorni” mai superavano le 10-15 righe; però c’era uno stile frizzante ed arguto, una concisione tale per cui ogni volta il messaggio era racchiuso come in un piccolo brillante che destava perlomeno curiosità.

Ho fatto perciò un proposito immediato e risoluto: voglio stringere per lasciare posto agli altri! E’ bene che i vecchi parlino meno, e sempre lo facciano con ponderatezza e sapienza. Non ritengo giusto non “dire la mia”, ognuno deve mettere la sua tessera, anche se è povera e grigia, nel mosaico della vita, ma solamente la tessera, quella che lui ha scoperto nel cuore della sua coscienza!

Ancora un volume, questa volta “In riva al fiume”

Dei carissimi amici, con la complicità di suor Teresa, ogni anno raccolgono tutte le pagine di questo mio “diario” e le pubblicano in un unico volume. Sanno che mi fa piacere e perciò sono tanto cari da stampare le varie annate.

Io tento di giustificarmi di fronte alla mia coscienza dicendomi che “quando sarò vecchio” troverò conforto nel recuperare episodi, nomi, pensieri e problemi del passato. Poi però il solito “grillo parlante” mi dice onestamente: «Ma sei già vecchio!» Dato poi che neanche minimamente mi illudo che la lettura delle mie divagazioni possa tornar utile a qualcuno, mi lascio andare a questo gioco e a questo autoinganno abbastanza infantile.

A tutt’oggi i miei amici stanno lavorando sulla raccolta del 2009. Siccome facciamo tutto in casa, per non spendere soldi in questo tempo di ristrettezze economiche, ogni tanto sentono il bisogno di consultarsi con me. L’ultima volta che abbiamo parlato del prossimo volume, che dovrà uscire prima di Natale, questi cari amici mi dissero che c’era il problema del numero di pagine, che col tempo vanno sempre crescendo. Infatti col tempo divento sempre più prolisso. Poi c’era il problema della prefazione e quello del titolo.

Per quest’ultimo proposi “Il canto del cigno”. E’ stata però una ribellione! Troppo funereo! Ma ad ottant’anni cosa possono attendersi ancora da me? Per affetto e riconoscenza ho ripiegato su un altro titolo, che dice pressappoco la stessa cosa, ma lo dice con un po’ più di ipocrisia “In riva al fiume”.

Il mio tempo ormai non è più quello del protagonista, ma semmai quello dell’osservatore che vede il corso della vita, delle vicende umane ed ecclesiali che scorrono verso la foce, talora come relitti e talaltra, fortunatamente, come speranze. Per la prefazione, poi, mi sono imputato, mi pare indecoroso costringere qualcuno a dire bugie, e a tentare di coprire le vergogne di pensieri contorti, irrequieti o polemici con dei pannolini che comunque rimarrebbero sempre trasparenti o non capaci di rendere ricco ciò che è povero. Ho detto loro che alla prefazione ci penserò io. Chiederò scusa per tanta audacia, o meglio per tanta sventatezza, promettendo preghiere di riparazione per i pochi che leggeranno il nuovo volume.

Non potrò mai tollerare la pigrizia, l’indolenza e il quieto vivere di parte del clero!

Quando sono andato in pensione, cinque anni fa, ho dovuto disfarmi della mia “biblioteca” perché, mentre la canonica di Carpenedo è un grande edificio (che faceva esclamare alla mia perpetua, con un pizzico di ironia e di disprezzo, perché non favoriva l’intimità familiare: «Questa non è una casa, ma un municipio!»), la mia nuova abitazione è una specie di cella monacale in cui ci sta solamente l’essenziale. Un vecchio armadio di noce contiene ora tutti i libri in mio possesso.

Confesso però che, mentre non mi è mai costato molto liberarmi di centinaia di volumi, che poi non mi sono mai serviti, come non servono a niente tutte le biblioteche dei preti, ora ho riempito tutto lo spazio con le varie raccolte de “La Borromea”, di “Carpinetum”, de “L’anziano”, de “L’incontro” e dei numerosi volumi che prima con l'”Editrice Carpinetum” ed ora con l'”Editrice de L’incontro” siamo andati a pubblicare in questo mezzo secolo della mia vita pastorale che ha avuto la stampa come protagonista.

Ogni tanto mi lascio risucchiare dai ricordi e dalla nostalgia e sfoglio qualcuno di quei volumi, che tutto sommato fanno un tutt’uno con la mia avventura sacerdotale.

Qualcuno di questi volumi, nonostante io li custodisca con cura gelosa, comincia ad ingiallire nella carta, come pure nei contenuti. La vita, la nostra vita, è quella che pulsa nel cuore e nelle vene oggi, il passato è un po’ il “rudere” di noi.

Qualche giorno fa ho ripreso in mano la raccolta della rivista mensile di quella parrocchia che oggi è chiamata “Il duomo”, mentre ai nostri tempo si denominava più prosaicamente “San Lorenzo”. Quante nottate passate con monsignor Vecchi, che correggeva i testi a non finire, tanto che le pagine diventavano dei geroglifici, un vero rompicapo per i tipografi. Ricordo ancora certi inviti perentori di monsignore: «Armando, fammi una didascalia, scrivimi un pezzo sui giovani e butta giù un po’ di cronaca su quell’incontro».

Ogni tanto qualcuno dei miei vicini mi dice che sono troppo esigente con me stesso e con gli altri, più spesso mi dico che sono troppo caustico con i preti. Credo che questi “critici” abbiano ragione. Da parte mia ho avuto nel mio passato un’avventura sacerdotale con i miei parroci – mons. Mezzaroba, mons. Da Villa e mons. Vecchi – così bella e così intensa che non riesco, non posso e non voglio tollerare la pigrizia, l’indolenza e il quieto vivere, che ora mi pare siano imperanti anche nel clero veneziano.

C’è chi cerca “aria di onestà, di ricerca appassionata di libertà interiore e di sano coraggio!”

Anche oggi, come faccio da quattro anni due volte la settimana, sono andato a portare nell’espositore vicino alla cappella dell'”Angelo” e nel grande ballatoio soprastante “l’oasi” verde, la produzione dell’editrice de “L’Incontro”.

Lunedì scorso avevo portato un migliaio di copie del settimanale, una cinquantina del volume “L’albero della vita” per l’elaborazione del lutto, una cinquantina di copie del libretto delle preghiere, un centinaio di copie di “Coraggio” ed una cinquantina del mensile “Sole sul nuovo giorno”.

Come avviene quasi sempre, non c’era più niente del grosso malloppo che avevo portato alcuni giorni prima.

Si potranno trovar fuori mille difetti e limiti della produzione letteraria della nostra editrice, ma non quello, e non è certamente poco, che le sue pubblicazioni non risultino gradite al pubblico della nostra città!

Sentivo in questi giorni che tutti i quotidiani, settimanali e mensili, anche a livello nazionale, subiscono un enorme calo, tanto che qualcuno è costretto a chiudere, mentre le nostre pubblicazioni, che certamente non competono con questi giganti della carta stampata, non solo non sentono questa crisi, ma sarebbero in costante aumento, se non fossimo trattenuti dalle difficoltà di carattere finanziario.

Una signora, qualche giorno fa, forse me ne ha dato un motivo credibile: «In quello che scrivete si avverte aria di onestà, di ricerca appassionata di libertà interiore e di sano coraggio!” Sono convinto poi che a questo si aggiunge che gli argomenti trattati non sono mai oziosi e marginali, ma vanno sempre al cuore della vita.

Scrivo per costruire non per demolire

Non mi è capitato di frequente, ma in verità non è neanche l’unica volta che qualche sacerdote mi chieda una copia dei miei volumi.

Normalmente non riesco ad accontentarlo perché, per la mia “mania” che nulla vada sprecato, sono sempre stato preoccupato di far circolare non solo fino all’ultimo foglio dei periodici, ma anche dei libri; conservo una o due copie solamente per i momenti di ripiegamento sul passato e di nostalgia. Non sono mai partito con l’intenzione di scrivere un libro, non ne avrei le risorse né il coraggio di farlo. Le mie sono sempre state antologie o raccolte di interventi fatti nelle occasioni più disparate che colgono lo stato d’animo, l’atmosfera, il fatto o l’illuminazione interiore del momento. Passata l’emozione, il momento di rivolta, la scoperta o la luce di una verità che mi si manifesta, pare che tutto si spenga dentro di me e che diventi non interessante.

Qualche giorno fa una “pecorella” del mio ovile raccogliticcio mi chiese, a nome del suo giovane parroco a part-time, i volumi che lui non aveva. Non potei accontentarlo, ma mi fece enorme sorpresa questa richiesta perché sono sempre stato convinto, a me pare a ragione, che le mie tesi fossero per nulla condivise dai confratelli, tanto d’aver paura d’essere un don Chisciotte fuori tempo che combatte una inutile battaglia!

Se la mia ricerca interiore e tradotta in parola o con la penna potesse interessare o mettere in crisi positivamente qualche collega, specie se giovane, questo mi darebbe molto conforto e tanta gratificazione.

Spero di non aver mai preso la penna in mano col desiderio di demolire o di far del male alla chiesa che ho considerato sempre come madre, ma mi ha sempre mosso il desiderio di promuovere autenticità, coraggio, coerenza, speranza.

Se a qualche confratello tutto questo potesse essere di una qualche utilità potrei intonare in pace il “Nunc dimittis” Perché vorrebbe dire che anch’io avrei incontrato il Salvatore, il Risorto!

Il diario come forma di dialogo con praticanti e non praticanti

Molti anni fa un caro amico che collaborava con una piccola casa editrice di Padova, avendo letto il mio diario, suggerì al giovane editore di pubblicarlo.

Io non ebbi evidentemente alcuna difficoltà a concedergli i diritti di autore, perché era ed è ancora il mio unico interesse passare il mio pensiero, nella speranza che esso contribuisca a diffondere il messaggio cristiano e a dare della religione un volto meno ritualistico possibile, bigotto e avulso dal quotidiano.

L’operazione andò in porto, se ne stamparono 2500 copie che andarono diffuse nel circuito delle librerie del nostro Paese.

La pubblicazione ebbe un certo successo tanto che ci fu un quotidiano a tiratura nazionale che ne fece una critica alquanto lusinghiera, mettendolo a confronto col diario di un altro sacerdote.

Nel passato ebbi modo di leggere, pure su un mensile, un diario di un prete, che però si muoveva ad un livello estremamente mistico, perciò adatto a conventi piuttosto che a gente normale, ma quel diario era tutt’altra cosa di quanto io sogno.

Il diario mi ha sempre offerto l’opportunità di intervenire in maniera veloce e non troppo impegnativa, aprendo un dialogo con praticanti e non praticanti, buttando ponti di intesa e di apertura, di ricerca con la gente di buona volontà che tutto sommato sogna una chiesa aperta e capace di dialogare con gli uomini veri e non con manichini cristiani.

Mi fa particolarmente felice che due giovani preti, intelligenti ed impegnati, quali sono don Gino Cicutto, parroco di S. Nicolò di Mira, e don Cristiano Bobbo di viale S. Marco, abbiano ritenuto valido questo strumento e l’abbiano adottato per i periodici delle loro comunità.

E’ meglio lasciare che il Signore faccia quello che crede e ciò che è meglio per tutti!

Spero di non essere venale, ma talvolta sarei quasi tentato di chiedere un qualche compenso ai miei fratelli che usano il mio nome come certificazione di sana provenienza. Mio fratello Luigi, successore di mio padre nella minuscola azienda di falegname, più di una volta mi ha confessato candidamente, che quando si presenta per un lavoro dice di essere mio fratello come garanzia di serietà.

Lucia, invece figura storica di infermiera all’oculistica in ospedale a Mestre, che ha legato la sua vita alla notorietà del prof. Rama, delle sue imprese filantropiche in Kenya, teme che la mia presunta fama oscuri le sue gesta umanitarie, però non si fa scrupoli di dispensare il mio “diario” per aumentare il suo prestigio nell’ambito dell’ospedale o forse per poter fare i regali di Natale a buon mercato, anzi senza oneri!

Comunque qualche giorno fa mi riferì che il primario dell’urologia aveva gradito il dono, leggeva volentieri il volume, ma che avrebbe gradito una mia dedica.

C’è da notare che suddetto primario, segue i miei guai, perciò gli sono particolarmente grato per essersi fatto carico dei malanni che mi affliggono.

Mi è parso perciò opportuno promettergli, con un po’ di spirito goliardico, che gli avrei volentieri donato metà dei meriti che avrei acquisito durante il tempo in più che mi avrebbe eventualmente donato con le sue cure. Poi ci ho pensato un po’ più seriamente perché in suddetto tempo potrei combinare dei guai e perciò sarebbe stato opportuno che accettasse l’offerta col beneficio dell’inventario.

Comunque meglio di tutto è lasciare che il Signore faccia quello che crede e ciò che è meglio per tutti!

Una lettera di Cristo

Ho letto in questi giorni un bel commento alle parole che San Paolo ha indirizzato ai suoi amici di Corinto: “Voi siete una lettera di Cristo, scritta non con l’inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente”.

Il commento a questo pensiero luminoso ed incisivo si articolava pressappoco in questi termini:
“Nel nostro tempo di corrispondenza elettronica non dedichiamo più tempo a scrivere una lettera. E’ più veloce e forse anche meno costoso, semplicemente inviare delle e-mail. Si preme un tasto del computer e la comunicazione è istantanea. La nostra vita può essere una lettera istantanea al mondo, indirizzata a chiunque incontriamo ogni giorno. Questa lettera è breve e va subito al dunque. Essa può essere letta istantaneamente da coloro con i quali veniamo a contatto: da un negoziante, da un collega di lavoro, da un altro autista sull’autostrada, da un bambino che tira calci dietro a noi, da qualcuno in chiesa. Cristo vuole servirsi di noi per comunicare amore a coloro che incontriamo. Facciamo in modo che Cristo comunichi tramite noi il messaggio che vuole trasmettere, oppure permettiamo che i nostri desideri, i nostri umori e le nostre manovre sostituiscano quel messaggio? Non siamo lasciati soli in quest’opera di comunicazione dell’amore. Dio ci dona lo Spirito Santo per rinnovare le nostre menti così che diventiamo quel messaggio vivente ed amorevole come Dio lo desidera”.

Questo è un bel discorso se lasciato volare in cielo come un aquilone o un palloncino multicolore.

Se però lo tiro giù dalle nuvole, dai pii desideri o dai propositi fatti a tavolino durante la preghiera o la meditazione le cose sono ben diverse.

In questi giorni ho riletto la presentazione del mio diario del 2007. Ho riflettuto una volta ancora su quello che ho sentito l’impellente bisogno di premettere per i probabili lettori. Nelle mie povere parole introduttive, emerge tutta la mia preoccupazione di non scandalizzare, di non voler sformare il messaggio di Gesù, la paura che la gente non mi prenda troppo sul serio solamente perché sono un vecchio prete. Mi pesa veramente sul cuore il timore di non essere una lettera fedele di Cristo, di non pronunciare le sue parole, di non manifestare appieno la sua buona notizia!

Temo che nel mio messaggio non siano pochi gli sgorbi e gli scarabocchi!

Le preghiere che nessuno conosce più

Circa un anno fa entrando in una chiesa della città, trovai un opuscoletto, stampato artigianalmente, dal titolo abbastanza scontato dato il luogo ove l’avevo trovato: “Le preghiere del mattino e della sera”.

Il libretto era povero di contenuto e più povero ancora a livello tipografico. Comunque questa scoperta mi offrì l’opportunità di riflettere sul fatto che moltissimi cristiani oggi ignorano anche le più elementari formule di preghiera.

Da quando si è abbandonato il catechismo di San Pio X e da quando a scuola non si imparano più le poesie a memoria, la gente di quaranta o forse cinquanta anni in giù, non solo non conosce più una formula di preghiera, ma ignora ogni verità religiosa, non sa più scrivere una lettera e forse non riesce neppure a fare una dichiarazione d’amore.

La tecnica e la cultura del nostro tempo ci hanno ridotto a questo stato di povertà intellettuale e di capacità di esprimere i propri sentimenti in modo diverso dai monosillabi o dagli americani ok e ko!

Per me tutto può insegnarci qualcosa, se non in positivo, almeno in negativo.

Nel caso del libretto trovato in parrocchia, l’insegnamento è stato perfino doppio: in positivo, l’idea di raggruppare le principali e più semplici preghiere assieme al concentrato del pensiero evangelico rielaborato lungo i secoli della tradizione cristiana; in negativo, l’adoperare uno stile più dignitoso.

Risultato di questa operazione pastorale; abbiamo stampato cinque edizioni per complessive sei-settemila copie.

Credo che i cittadini di tutte le comunità cristiane della città, abbiano beneficato di questo povero, ma essenziale strumento di preghiera e tutto fa pensare che la richiesta continui perché le copie continuano ad andare a ruba. Unico neo dell’impresa pare che i parroci neppure s’accorgono dell’iniziativa o peggio la snobbino con atteggiamenti di superiorità teologica!

Il Vespero

Avevo pensato come titolo del volume che raccoglie “il diario” del 2007: “Prima del tramonto”

Avevo scelto questo titolo riferendomi ai guai fisici per nulla debellati e che mi lasciano costantemente in uno stato di precarietà psicologica ed esistenziale.

Già nel passato avevo tentato, per quanto ciò sia possibile, di prepararmi bene al transito, poi invece i sintomi sono risultati segnali di una falsa partenza e perciò sono ritornato ai blocchi.

Ogni tanto mi pare di sentire i segni dei “tempi nuovi”, e ad ottant’anni è più che facile sentire questi ammonimenti che però non sono mai veramente chiari, ma invece rimangono sempre problematici. Ora, pur rimanendo, come sempre, l’orizzonte un po’ rannuvolato, ho la sensazione di poter sperare d’avere ancora un po’ di tempo a disposizione e perciò ho deciso di riservarmi il titolo che avevo pensato per un eventuale domani e di ripiegare su uno che mi offra la possibilità di poterlo usare semmai un’altra volta.

Stando così le cose ho deciso che il nuovo volume porterà come titolo “Il Vespero”, rimane tutto sommato la cornice temporale, però mi offre la possibilità di poter utilizzare un po’ di spazio ulteriore.

Strana cosa leggere le registrazioni di fatti, sensazioni, sogni, realizzazioni recenti, che però mi sembrano ormai lontani nel tempo.

Ci sono cose che, rileggendo la loro registrazione a così poca distanza, non vorrei aver detto, pensato e fatto ed altre che desidererei aver fatto meglio e con più intensità.

Sto capendo che la vita bisogna viverla con più sapienza, con più lungimiranza e con più responsabilità.

Spero di aver ancora un po’ di tempo, e gestire meglio il tempo che mi sarà donato!

Il seme della parabola

Il mio piccolo gregge è formato in maggioranza da donne di tutte l’età, ma fortunatamente non mancano i giovani e gli uomini, taluno anche di prestigio.

Vedo frequentemente tra la folla dei fedeli il giudice del tribunale dei minori, specie ora che ha perso la sua dolce Chiara, viene nel camposanto per onorarne la memoria, per pregare per la sua anima, ma credo anche per chiederle d’aiutarlo nella sua solitudine. Qualche giorno fa, con quel suo fare semplice, cordiale e bonario mi disse alla fine della messa “a quando don Armando il diario del 2007? quello del 2006 l’ho già terminato di leggerlo!” Gli sorrisi riconoscente ed un po’ imbarazzato, perché vedendo come stanno andando le cose, sono propenso di dare alla stampa quello del 2007, dato che le bozze sono gia pronte.

Qualche settimana fa una suora dello stato maggiore delle Dorotee, mi ha confidato che fa la meditazione sul mio diario; questo non mi imbarazza soltanto, ma mi mette in crisi, perché non vorrei traviare un’anima semplice e bella con le mie rudi prese di posizione, se a volte esse sono talmente prive di garbo e di prudenza. Credo d’aver si il veleno dei serpenti, ma non la semplicità delle colombe,come ci chiede Gesù!

Una suora missionaria m’ha mandato una foto con il mio diario sul tavolo di lavoro. Taluno mi ringrazia per la franchezza, talaltro mi dice che si diverte nel leggerlo. Io spero e trepido augurandomi che le mie tante parole siano come il seme della parabola e non come le piume della maldicenza che San Filippo Neri precisò che erano ormai irrecuperabili.