Quando sono andato in pensione, cinque anni fa, ho dovuto disfarmi della mia “biblioteca” perché, mentre la canonica di Carpenedo è un grande edificio (che faceva esclamare alla mia perpetua, con un pizzico di ironia e di disprezzo, perché non favoriva l’intimità familiare: «Questa non è una casa, ma un municipio!»), la mia nuova abitazione è una specie di cella monacale in cui ci sta solamente l’essenziale. Un vecchio armadio di noce contiene ora tutti i libri in mio possesso.
Confesso però che, mentre non mi è mai costato molto liberarmi di centinaia di volumi, che poi non mi sono mai serviti, come non servono a niente tutte le biblioteche dei preti, ora ho riempito tutto lo spazio con le varie raccolte de “La Borromea”, di “Carpinetum”, de “L’anziano”, de “L’incontro” e dei numerosi volumi che prima con l'”Editrice Carpinetum” ed ora con l'”Editrice de L’incontro” siamo andati a pubblicare in questo mezzo secolo della mia vita pastorale che ha avuto la stampa come protagonista.
Ogni tanto mi lascio risucchiare dai ricordi e dalla nostalgia e sfoglio qualcuno di quei volumi, che tutto sommato fanno un tutt’uno con la mia avventura sacerdotale.
Qualcuno di questi volumi, nonostante io li custodisca con cura gelosa, comincia ad ingiallire nella carta, come pure nei contenuti. La vita, la nostra vita, è quella che pulsa nel cuore e nelle vene oggi, il passato è un po’ il “rudere” di noi.
Qualche giorno fa ho ripreso in mano la raccolta della rivista mensile di quella parrocchia che oggi è chiamata “Il duomo”, mentre ai nostri tempo si denominava più prosaicamente “San Lorenzo”. Quante nottate passate con monsignor Vecchi, che correggeva i testi a non finire, tanto che le pagine diventavano dei geroglifici, un vero rompicapo per i tipografi. Ricordo ancora certi inviti perentori di monsignore: «Armando, fammi una didascalia, scrivimi un pezzo sui giovani e butta giù un po’ di cronaca su quell’incontro».
Ogni tanto qualcuno dei miei vicini mi dice che sono troppo esigente con me stesso e con gli altri, più spesso mi dico che sono troppo caustico con i preti. Credo che questi “critici” abbiano ragione. Da parte mia ho avuto nel mio passato un’avventura sacerdotale con i miei parroci – mons. Mezzaroba, mons. Da Villa e mons. Vecchi – così bella e così intensa che non riesco, non posso e non voglio tollerare la pigrizia, l’indolenza e il quieto vivere, che ora mi pare siano imperanti anche nel clero veneziano.