Il canto del cigno

Non una predica di parole, ma un volume che riporta fatti, imprese e scelte concrete “Le mie esperienze pastorali 1954 – 2020” condensa il messaggio di 66 anni di sacerdozio

Mesi fa, Giorgio, mio caro coinquilino del Centro don Vecchi, la struttura nella quale vivo anch’io da quindici anni una volta che sono andato in pensione per limiti di età, è morto da coronavirus. Tutta la comunità, composta di 200 anziani, è stata messa in quarantena. Sono quindi rimasto recluso nel mio piccolo alloggio di quaranta metri quadrati, per interi quindici giorni. Confesso che questa reclusione mi è costata alquanto, come sono certo che è costata a tutti.

In questi lunghi quindici giorni, mi attanagliava l’incubo per le notizie poco rassicuranti che la televisione trasmetteva da mane a sera, notizie che mi facevano toccare con mano quanto fossi indifeso e quanto fosse precaria la vita. Dall’altro canto la reclusione e l’isolamento dagli altri mi esasperavano e mi facevano desiderare, come mai mi era accaduto prima, la libertà di movimento, la possibilità di incontrare e parlare con altre persone. Non avendo poi impegni particolari di cui occuparmi, avevo la sensazione che il numero dei giorni del calendario fosse sempre lo stesso, che le ore non passassero mai, e che le lancette dell’orologio, se non ferme, girassero molto più lentamente del solito!

La paura del virus e l’impossibilità di muoversi mi facevano capire che, o per la virulenza della pandemia o per la mia tarda età, 91 anni, mi ritrovavo a vivere “tempi supplementari”, tempi che sono notoriamente molto brevi.

Da questo stato d’animo è nata l’idea: perché non tentare di fare, forse, l’ultima omelia ai miei concittadini? Perché non condensare il messaggio che ho sempre reputato la mia più grande ricchezza in tutti i miei 66 anni di sacerdozio in un discorso definitivo? Non però una predica di parole, ma un discorso di fatti, di imprese e di scelte concrete? Subito s’affacciò alla mia mente l’interrogativo: “Come?”.

Mi ha aiutato a rispondere a questa domanda una confidenza che in tempi molto lontani mi ha fatto l’onorevole Costante Degan, che era mio parrocchiano ed amico. Il quale un giorno mi disse: “Sa, don Armando, gli annunci, le parole che convincono sono quelle che hanno le gambe!” e alla mia sorpresa e stupore soggiunse “I discorsi che convincono sono quelli che hanno il respiro e il volto della testimonianza!”. Allora mi sono detto: perché prima di andarmene, non tento di fare una “predica” raccontando la mia lunga e intensa vita di prete? Perché non fare un discorso riferendo con umiltà e onestà come ho tentato di passare concretamente il messaggio di Cristo in cui ho creduto e per cui ho speso tutte le mie energie?

Da questa riflessione è nato questo volumetto: “Le mie esperienze pastorali 1954-2020”. A questo punto, però, mi si sono aggiunti altri due obbiettivi, che potevano completare questa mia decisione. Il primo: informare le nuove generazioni di cristiani e soprattutto di sacerdoti sul punto raggiunto dai cristiani e dai preti della mia età circa l’annuncio del “Regno”. Quindi passare il testimone dell’impegno pastorale della mia generazione perché altri potessero continuare l’impresa e la splendida avventura di realizzare la proposta di Cristo. Il messaggio di Gesù ha bisogno di essere sempre aggiornato e ritradotto in rapporto alla sensibilità e alla cultura che è in costante e veloce evoluzione. Ora i preti della mia età stanno terminando il loro compito, spetta ormai ad altri continuare dal punto da noi raggiunto.

L’ultimo obiettivo me l’ha offerto mio nipote don Sandro Vigani, regalandomi un suo recente volume sulla ricostruzione della chiesa di Eraclea, mio paese nativo, chiesa che fu distrutta dalla prima guerra mondiale. Il realizzatore di questa impresa è stato Monsignor Giovanni Ghezzo, che in paese tutti ritenevano un grande prete, non solo santo, ma anche colto.

Fin dalla mia infanzia avevo sempre sentito dire che, prima di morire, questo sacerdote aveva scritto una bella e significativa poesia dal titolo “Il canto del cigno” versi con i quali egli si accomiatava dalla sua gente. Finalmente ho potuto leggere questa poesia nel volume di don Sandro. Non dico che sia rimasto deluso, ma essa è scritta in maniera tanto aulica che non è proponibile per il nostro sentire. Comunque il suo titolo – “Il canto del cigno” – potrebbe essere messo a capo delle “mie esperienze pastorali 1954-2020”, perché anch’io sono giunto al momento in cui vorrei concludere cantando e lodando il Signore per la vita che mi ha donato, vita che tutto sommato è stata bella, intensa e convinta! Dono ai miei amici e alla mia gente questo “cantico”, non tessuto di note o di parole, ma di fatti concreti, sperando che sia anche per loro motivo di speranza, di incentivo e di pungolo all’impegno, a continuare, a realizzare “il Regno” annunciato da Cristo.

N.B. è possibile reperire, a titolo gratuito, questo volume presso la segreteria del Centro don Vecchi di Carpenedo o nella chiesa del cimitero di Mestre.

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