I fracassoni

Da sempre ero convinto che agli anziani piacessero le vecchie canzoni romantiche e sentimentali, quali ad esempio “Mamma”, “Romagna mia”, “Il tango delle capinere”, “Balocchi e profumi”, o le più celebri romanze della lirica. La mia convinzione era così radicata che, faticando un po’, ho stampato perfino un canzoniere con i pezzi più significativi e popolari di questo genere di musica. In forza poi di questo convincimento, avevo sempre favorito che il “gruppo ricreativo culturale” del don Vecchi, che organizza i concerti domenicali, facesse intervenire cori che hanno nel loro repertorio canti di montagna, canzoni veneziane, canti popolari, romanze celebri e musica del genere, sconsigliando quindi la musica polifonica e i canti rinascimentali, che in genere favoriscono il sonno, piuttosto facile per noi anziani, ma soprattutto le canzoni e la musica moderna.

Invece, all’inizio della Quaresima, un po’ preoccupati per la stagione liturgica, i membri di quel gruppo mi chiesero se potevano far intervenire un complesso che cantava dal vivo canzoni moderne di cui faceva parte il figlio di una nostra residente, il quale si era offerto a suonare per offrire un pomeriggio diverso “ai nonni del don Vecchi”. Io che non ho “scrupoli quaresimali”, acconsentii, raccomandandomi però di moderare il volume degli strumenti elettronici (in cuor mio mi dissi: “farò un fioretto di quaresima”, partecipando, per dovere di rappresentanza, a questo concerto).

I corridoi silenziosi e solenni del “don Vecchi” cominciarono, fin dal primo pomeriggio, a riecheggiare di note assordanti, assolutamente inusuali per la nostra struttura. Fui subito preoccupato per il pisolino, che è un rito sacrosanto per tutti i residenti, poi mi rasserenai col pensiero che siamo quasi tutti mezzi sordi.

Alle 16 cominciò ufficialmente “la baldoria”: suoni e canti a squarciagola che proponevano – una dietro l’altra – canzoni a me sconosciute. Ma capii subito, con notevole sorpresa, che non era lo stesso per i miei vecchi che infatti cominciarono a cantare, a ballare, a battere le mani con un entusiasmo sorprendente. Non ho mai visto gli anziani residenti così numerosi, così euforici e così partecipi. Ho avuto l’impressione che esperienze del genere, nelle vecchie balere o in discoteca, le avessero già fatte e fossero rimaste in qualche parte del loro animo, e che le note marcate dalla tastiera le avessero ridestate.

Penso che d’ora in poi dovremo mettere più spesso in programma “musica dal vivo” per ridestare dal torpore chi ha forse perso il pelo ma non il “vizio”, e mi consolo pensando che anche il “pio re David” si comportò allo stesso modo.

Le preghiere

Chi, come me, è alle soglie dell’eternità, prova il bisogno – o forse sente il dovere – di verificare ciò in cui ha creduto ed ha tentato di passare ai fedeli in generale e ai suoi discepoli in particolare.

In quest’ultimo tempo mi è capitato di riflettere con insistenza su di un problema con cui un prete ha di frequente a che fare. Tra i più vicini, ma non solo, mi sento chiedere assai di frequente: “mi dica una preghiera”, “preghi per me, lei che è più vicino al Signore”, “mi ricordi nella Santa Messa”. Normalmente si tratta di persone che hanno un congiunto ammalato e per la cui sorte sono preoccupati, o di qualcuno che si trova in grave disagio a motivo del lavoro, qualcuno che sente venir meno la fede, o gente coinvolta in situazioni gravi e complicate.

In questi casi è molto difficile intavolare un discorso per inquadrare queste preghiere che sono richieste “come salvagente” ai propri guai. Sempre accondiscendo ed affido alla paternità di Dio la persona o la questione, lasciando alla Sua assoluta saggezza questioni che sono sempre superiori alle mie possibilità e sulle quali non saprei né cosa chiedere né, peggio ancora, come intervenire.

Però, per onestà mentale, sento il bisogno di precisare a me stesso questa questione della preghiera. Il rivolgersi a Dio nella preghiera per me dovrebbe consistere nel chiedere la forza e il coraggio di affrontare una situazione difficile, preoccupante, di comprendere possibilmente quello che Egli vuole da me attraverso quell’evento, di adeguarmi al progetto di Dio, di avere la forza e la fiducia di credere che tutto quello che Egli vuole, o permette, è sempre per il mio vero bene, anche se io non riesco, in quel momento, a capirne il motivo, e di abbandonarmi fiduciosamente al Suo volere, magari ripetendo, stringendo i denti: “Sia fatta la Tua volontà”.

Credo che solamente inquadrando così la preghiera, essa sia razionale e porti pace interiore. Rifiuto invece quel ricorrere assillante al Signore, pretendendo quasi che Egli diventi “il Dio tappabuchi”, come direbbe quel sant’uomo che fu Bonhoeffer, perché per queste cose il Signore ci ha già fornito tutte le risorse necessarie per risolverle da soli.

Il villaggio solidale degli Arzeroni

Il consiglio di amministrazione della Fondazione Carpinetum, e in particolare il suo giovane e valido presidente, don Gianni Antoniazzi, sono particolarmente cari con me, tanto da farmi partecipare alle riunioni e offrirmi l’opportunità di esprimere qualche parere e qualche progetto.

Nell’ultima riunione mi sono permesso di proporre un progetto tanto impegnativo ma che, data l’intelligenza, la buona volontà e il coraggio di questo consiglio, potrebbe anche diventare una felice realtà. Dato che non si tratta di un qualcosa di riservato, ma solamente l’offerta di un mio sogno, mi permetto di renderne partecipi anche i miei amici de “L’incontro”, sperando che ci sia qualcuno che possa aiutare a “calarlo dalle nuvole” alla terra, soprattutto mettendo a disposizione un suo generoso contributo.

BOZZA PER UNA PROPOSTA DI MASSIMA PER LA NUOVA STRUTTURA DI ACCOGLIENZA DA COSTRUIRSI PRESSO: “IL VILLAGGIO SOLIDALE DEGLI ARZERONI”

PREMESSA

* La struttura abbia pressappoco la stessa cubatura del don Vecchi 5.
* La struttura si articola in maniera che ogni singolo settore sia indipendente e nello stesso tempo comunicante con gli spazi comunitari che debbano essere fruibili dai residenti.

ARTICOLAZIONE
1. 15 alloggi bilocali con angolo cottura da destinarsi a padri o madri separati e in gravi condizioni di disagio economico:

– TIPOLOGIA RESIDENZIALE

– L’alloggio sarà messo a disposizione per 2 o 3 anni in maniera che sia possibile una costante rotazione. – Retta mensile fissa da euro150.00/200.00 più le utenze. Da convenzionarsi con il Comune Provincia o Regione.
2. 10 alloggi monolocali da destinarsi a disabili fisici che auspicano una vita indipendente con angolo cottura:
– retta mensile 150 euro più utenze. – da convenzionarsi con gli enti suddetti.
– tipologia residenziale.
3. 15 stanze tipo motel col “sistema economico formula uno francese” da destinarsi ai parenti dei degenti negli ospedali cittadini.
Tipologia alberghiera conto euro.20.00 notte a decrescere in rapporto al numero dei giorni di occupazione.
4. 10 alloggi per giovani sposi durata di permanenza 2 o 3 anni
– tipologia bilocale con angolo cottura.
– costi 200 euro più utenze al mese.
tipologia residenziale.

IN ALTERNATIVA:

15 stanze tipo motel “formula uno francese”
– tipologia alberghiera da destinarsi ad operai o impiegati maschi o femmine con basso reddito – contratti al massimo mensili rinnovabili fino al massimo di 2 anni. – costo mensile di euro. 150.00. – tipologia alberghiera.
5. 2 o 3 alloggi bilocali con angolo cottura per emergenze. – tipologia residenziale.
6. Richiesta alla Curia se è interessata ad avere 5-6 alloggi di tipologia residenziale tipo Don Vecchi 5 magari articolati nella tipologia bilocale da destinarsi a sacerdoti anziani oppure impegnati nella pastorale cittadina.
Convenzione con la stessa per i costi.

SPAZI COMUNITARI

a. Un salone a stare.
b. Una sala da pranzo capace di 20 o 25 persone.
c. Un cucinotto con più fuochi utilizzabile dai residenti e contemporaneamente dal catering.
d. Un locale per lavanderia e stireria, -lavatrice ed asciugatrice a gettone.
e. Un piccolo ufficio.
f. Portineria ed ingresso unico.

Un progetto ridotto

Ritorno su un argomento che ho trattato innumerevoli volte, però che credo così urgente e necessario da sentire il dovere di ritornarvi.

Nella nostra diocesi, fortunatamente e per grazia di Dio, ci sono iniziative, enti e strutture che hanno una grossa e certa valenza di ordine solidale, ma che non sono messe in rete, non sono coordinate da una regia che, sola, le potrebbe rendere più efficienti e funzionali. Nel nostro tempo niente può essere lasciato al caso, perché esistono strumenti che possono razionalizzare anche questo comparto così importante e qualificato della Chiesa veneziana.

Oggi ognuna di queste realtà esistenti si muove in maniera autonoma, non è collegata ad altre realtà similari non si confronta, né si coordina, cosicché esistano doppioni e lacune notevoli.

La Caritas diocesana, che a mio modesto parere dovrebbe essere il cervello e il cuore di queste realtà, non so per quale motivo risulta assolutamente assente.

Abbiamo ipotizzato, in passato, la “Cittadella della Solidarietà” per razionalizzare e coordinare almeno le attività caritative di Mestre; c’erano, a questo proposito, delle opportunità particolarmente favorevoli però, sia per immaturità culturale dei responsabili che dovevano dar corpo al progetto, sia per qualche altro elemento imprevedibile – quale ad esempio il cambio del Patriarca – non se n’è fatto più nulla. Oggi il progetto è stato definitivamente sepolto e vi si è messa sopra una pietra tombale di marmo duro e pesantissimo, denominato “carenza di soldi”!

In questi giorni, fortunatamente, è sbocciata un’altra timida e seppur limitata speranza: coniugare in un’unica realtà “il polo solidale del `don Vecchi'” con le strutture caritative della parrocchia di Carpenedo, dato poi che essendo esse tra le realtà più significative della nostra città, potrebbero offrire una testimonianza – almeno a livello cittadino – quanto mai significativa.

Il seme è stato piantato alcune settimane fa, ora non mi resta che innaffiarlo ogni giorno ed in ogni circostanza, sperando che finisca per fiorire e dar frutto.

Il mio “Papa Benedetto”

Quando questa pagina del diario vedrà la luce, molto probabilmente il cardinale camerlengo si sarà già affacciato dal terrazzo della basilica di San Pietro annunciando alla folla: «Habemus Papam!».

Sulle dimissioni di Papa Benedetto, umile e coraggioso, non s’è detto tutto, ma più di tutto. Con l’immenso mondo degli addetti all’informazione oggi suonano superflui e scontati i pensieri di un povero diavolo di cristiano come me, eppure sento dentro il bisogno di mettere in ordine nel mio spirito tanti pensieri, spesso confusi, che mi sono nati dentro in occasione di queste “dimissioni”, nonostante tanti giornalisti abbiano già molto intrattenuto con le loro analisi, spesso acute ed intelligenti e, più spesso, gratuite e non giustificate e talvolta impertinenti e faziose.

Io ho sempre voluto bene a papa Benedetto, non solo per motivi di fede, perché per me, come per ogni cristiano, il Papa rappresenta “Il dolce Cristo in terra” – come lo definì santa Caterina da Siena, la persona che nel passato, ormai remoto, lo supplicò di tornare da Avignone a Roma, sua sede naturale.

Ho amato papa Benedetto per la sua fragilità, per il suo italiano stentato, per essere stato un papa tedesco che, nonostante tutto, si portava in qualche maniera addosso le colpe del suo Paese. Ho amato papa Benedetto per la lucidità, l’intelligenza e la costanza con le quali ha messo in guardia il mondo da quel nemico subdolo ed esiziale qual è il relativismo.

Ora amo ancor di più papa Benedetto perché, con la sua scelta nobile e coraggiosa, ha favorito in maniera decisa l’ingresso della Chiesa nei ritmi, nel respiro e nel cuore della società moderna liberando il papato, ma soprattutto il Vaticano, da quella cornice di sacralità che sa di passato, immettendo la vita della Chiesa nel corso di una normalità umana, rendendola evangelicamente “lievito” immerso nella “pasta” dell’umanità del nostro tempo.

Confesso sommessamente agli amici che a me non dispiacerebbe e soprattutto non mi mancherebbe il rispetto, la devozione e la fede nel ministero del Papa, se un giorno potessi vedere il successore di San Pietro vestito in clergyman, magari con una crocetta bianca sul bavero della giacca nera o su fondo grigio scuro.

Il Papa è Papa non perché porta addosso vesti fuori moda, pronuncia formule incomprensibili, ma soltanto perché crede alla Parola di Dio e cerca di testimoniarla il più fedelmente possibile con la sua vita.

Voglia di primavera

La Bibbia, molto giustamente, ci invita a lodare e ringraziare Dio anche per il ghiaccio, la neve e per ogni tempo. La Bibbia, come sempre, ha ragione perché ogni fenomeno proprio delle diverse stagioni ha una sua funzione specifica e quanto mai valida per l’equilibrio dell’ecosistema e forse anche perché non apprezzeremmo sufficientemente la bellezza di certe stagioni se non avessimo provato l’asprezza di certe altre.

A me, confesso, è molto più facile la lode per la primavera, dolce e sorridente, piuttosto che per l’inverno aspro e pungente. Io sogno con tutto il mio essere i colori freschi e tenui della primavera, il tepore del suo sole sorridente, il risveglio della natura che, vezzosa e bella, comincia lentamente a vestirsi a festa. Ho sempre la cara sensazione che la primavera sia una “carezza” di Dio che mi invita ad avere fiducia e a credere nella vita e nel domani.

In questi giorni ho appena visto spuntare nelle aiuole del “don Vecchi” dei teneri ed arditi piccoli germogli verdi di tulipano, nonostante la neve residua di questo inverno che non si rassegna a lasciarci. Quando ho scoperto nel prato, che ogni giorno si fa più verde, una primula gialla sorridere, timida si, ma ardita, col suo giallo oro e ho scorto questi germogli che fra poche settimane diventeranno una tavolozza variopinta dei colori più vivi, ho avuto quasi un sussulto di gioia interiore e di ebbrezza aspettandomi presto un mondo vestito a festa, ma soprattutto nel constatare che molto probabilmente il Signore intende farmi avere il regalo così prezioso della primavera, nonostante la mia “verde” età e le mie miserie.

Io amo l’arte, la musica, i volti puliti e sorridenti dei nostri bambini e la bellezza soave delle nostre donne, splendidi doni di Dio, ma amo altrettanto l’alba, il tramonto, il sole e le stelle e l’incanto della primavera che ogni anno fa da cornice, quanto mai appropriata, alla Resurrezione di Cristo.

Aspettando Godot

“Quello che devi fare fallo subito!” disse Gesù incontrando Giuda, suo discepolo infedele. Io mi trovo d’accordo con lui anche su questo punto. Non mi va proprio chi va per le lunghe, trascina avanti una pratica o un discorso.

Però non è solamente per questo motivo di ordine biblico che non riesco a capire ed accettare il tiramolla del Comune di Venezia circa il progetto del “don Vecchi 5” degli Arzeroni.

In Italia la crisi economica è giunta all’estremo, decine di migliaia di aziende chiudono, il settore edilizio, che tutti dicono sia al tramonto, è fermo, eppure ora che la nostra Fondazione ha un progetto di estrema valenza sociale, che in seguito farà risparmiare al Comune milioni di euro, riducendo il costo ormai iperbolico per il ricovero in casa di riposo per gli anziani non autosufficienti e offrirà una soluzione estremamente innovativa col suo progetto pilota, Il Comune aspetta, tergiversa, aggiunge ostacoli, avanza sempre ulteriori pretese e tarda ancora a dare la concessione edilizia.

Il “don Vecchi 5” costerà pressappoco sei milioni di euro, c’è un piano finanziario definito, un progetto elaborato da uno degli studi di architettura della città tra i più noti, una coda infinita di anziani che aspettano, eppure tutto è ancora aggrovigliato nelle ragnatele della burocrazia del Comune. Il progetto è stato presentato il 10 agosto, quindi sei mesi fa e la Fondazione ha dovuto sbrogliare una matassa infinita di problemi catastali che, sempre il Comune, aveva lasciato irrisolti.

Ora tutto è pronto, è stato fatto il progetto e il piano finanziario, è stata scelta l’impresa, s’è progettata una nuova strada… Tutto potrebbe partire domani, occupando decine e decine di operai. Perché tanta inerzia? Perché queste lungaggini?

La classe politica è di certo deficiente ma, peggio ancora, la burocrazia comunale non è per nulla agile, veloce, intelligente ed attenta al bene della collettività. Rimango convinto che non basta dimezzare il numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali e comunali, ma finché non si dimagriranno questi enti di almeno due terzi di addetti, non ci sarà efficienza.

Un notissimo imprenditore della città un tempo mi ha confidato che ci sono studi americani quanto mai seri e dati scientifici che attestano che quando un’azienda supera un certo numero di burocrati, questa è destinata al fallimento perché essi producono fatalmente solamente “lavoro” cartaceo assolutamente improduttivo.

Chi ho votato

Quando sarà stampato il numero de “L’incontro” che riporterà questo mio diario il risultato delle elezioni sarà ormai un lontano ricordo. Se questa pagina fosse uscita prima delle elezioni non avrei fatto questa confidenza, perché convinto che un sacerdote, pur avendo il dovere di dare voce alla democrazia e di offrire il suo contributo personale alla comunità, per il ruolo che esercita in essa, non deve approfittarsi della sua posizione, ma deve rispettare fino in fondo la scelta elettorale dei propri concittadini.

Il mio voto vi dico che è stato estremamente tormentato; ci ho pensato quanto mai e mi è stata quanto mai difficile la decisione. L’obiettivo che mi ha guidato è stato quello di sempre: rendere più degna, libera e serena la vita dei miei concittadini, soprattutto preoccupato di fare il bene delle persone più fragili: vecchi, poveri, extracomunitari, persone meno dotate. Ho fatto la mia scelta non a cuor tranquillo, ma solamente perché dovevo, alla fin fine, contrassegnare il simbolo di un partito escludendo gli altri, anche se avrei desiderato mettere assieme il meglio di ogni schieramento, riconoscendo che ognuno aveva qualcosa di valido.

Aggiungo ancora che, dati tutti questi miei dubbi, proprio per questo comprendo e rispetto tutti coloro che sono giunti a conclusioni diverse dalla mia e spero che sia la Divina Provvidenza, che è la sola che sa preventivamente quello che è giusto e che soprattutto sa “scrivere il meglio anche sulle righe sbagliate”, saprà trarre il bene da queste elezioni.

Eccovi il risultato del mio tormentone elettorale: convinto che Bersani, nonostante i suoi trascorsi delle Botteghe Oscure, sia una persona per bene e pure la sua squadra, tutto sommato, non sia male, perché composta da persone di cultura, sensibilità e tendenze diverse, ho votato per Monti. Lo ritengo persona competente, onesta, stimata e soprattutto con i piedi per terra, un politico che persegue una economia di mercato che, pur con tutti i correttivi di ordine sociale e solidale, è quella che produce la ricchezza da poter dividere, e perciò penso che Monti potrà essere complementare a Bersani.

Ho votato Monti perché, oltre alla competenza economica che oggi, data la crisi, è di capitale importanza, ha prestigio internazionale e, non ultimo, credo che sia un garante per quei valori di fondo per i quali il laicismo quanto mai diffuso e trasversale non garantisce il nostro Paese.

Aggiungo che mai e poi mai dirò all’altare cose del genere, là tenterò di offrire la Parola di Dio che è verità certa ed assoluta, ma agli amici penso di poter fare questa mia confidenza.

Pensieri “in congelatore”

La gente è buona con me. Se penso che fra le migliaia di persone che ogni settimana leggono “L’incontro” (ne stampiamo cinquemila copie ogni settimana) finora non ce n’è stata una sola che mi abbia detto: «Don Armando, lei è in ritardo sul tempo con le sue riflessioni»! Mi pare questo un atto di immensa gentilezza.

Le mie riflessioni sulla vita, quando va bene, sono in ritardo almeno di un mese ed oltre. Perché? Non è che pensi e reagisca a scoppio ritardato, anzi la mia emotività è rapida, anzi immediata. Il mio ritardo sul tempo, però, è dovuto a tre motivi diversi.

Il primo è tecnico. La filiera attraverso la quale il settimanale vede la luce è laboriosa e lenta: giornalisti che hanno mille altre occupazioni; inserimento in computer e correzione dei testi (li fa una signora che ha casa, marito, figli e nipoti); impaginazione da parte di almeno quattro tecnici (che hanno una loro occupazione e quindi nel dopocena compongono un pezzetto per ciascuno e poi lo assemblano); suor Teresa che “traduce” il tutto in striscioline con cui io compilo il menabò; ricorrezione dei testi ed infine il capotreno, signor Giusto (che si occupa di mille e una cosa) che inserisce le foto. Poi c’è la stampa, la piegatura e la distribuzione. Vedete quindi che il percorso è lungo e tortuoso!

Seconda cosa: io sono vecchio e, per la mia età, sono sovraoccupato; ho anche il limite che se mi trovo all’ultimo momento senza aver buttato giù i miei pensieri, mi paralizzo e vedo buio davanti a me.

Terzo: sono convinto che ciò che “ha consistenza” non teme il passare del tempo. Il prof. Angelo Altan, mio insegnante in liceo, ci diceva che lui, per scelta, leggeva “Il Gazzettino” almeno una settimana dopo la sua uscita perché così le notizie si decantavano e vedeva subito quello che valeva la pena leggere.

Quindi “confesso a Dio e a voi fratelli” che le cose stanno così e perciò non mi è proprio possibile fare altrimenti. Gli argomenti che tratterò questa settimana sono tutti abbastanza lontani e già abbondantemente “bruciati” per i mass media normali. Però vi dico, in confidenza, che io non mi sono mai preoccupato e non voglio preoccuparmi dell’opinione pubblica, della moda, dei ritmi dei mass media; io desidero confrontarmi con la mia gente sulla vita e su quello che vi accade, sperando così di offrire un piccolo contributo perché ognuno ne possa trarre qualcosa di utile e vantaggioso. Tutto questo non mi costa fatica e per di più non mi par poco.

I cattolici in politica

Come tutti, ho tentato di seguire la breve ma intensissima campagna elettorale. I nuovi “mezzi di comunicazione sociale” oggi ci permettono di avere informazioni di prima mano in diretta da parte delle “menti pensanti” dei vari schieramenti politici. Devo confessare che, tutto sommato, mi ha fatto piacere notare un confronto, sia pur appassionato e duro, su problemi reali e concreti piuttosto che discussioni sui “massimi sistemi”, come avveniva un tempo quando imperavano le ideologie.

Qualche tendenza precostituita di fondo è emersa ancora, però non in maniera così determinante come ai vecchi tempi, quando destra e sinistra rappresentavano una lettura assoluta della vita sociale in tutte le sue manifestazioni, anche le più neutre ed insignificanti per uno schieramento politico.

C’è stata qualche incursione della gerarchia ecclesiastica sui “valori irrinunciabili”, m’è parso però che sia caduta nel vuoto perché, fortunatamente, è un po’ venuta meno quella contrapposizione di un tempo e prevale finalmente in tutti la volontà di una ricerca, seppur faticosa, di un accordo attento sulle motivazioni ideali degli altri, desiderosa di non imporre e sopraffare chi è orientato in maniera diversa.

Quello poi che mi ha fatto particolarmente piacere è stata la constatazione che i politici di matrice cattolica, seri e di spessore, sono ormai spalmati in tutti i gruppi presenti nella competizione elettorale e che, tutto sommato, sono riusciti con il loro stile e la loro sensibilità ad ammorbidire i rapporti e ad evitare dure contrapposizioni di carattere ideologico che hanno spesso poco a che fare con le problematiche reali della nostra gente.

Con questo non nego che vi siano stati talvolta rigurgiti di passato, comunque negli schieramenti più consistenti e responsabili m’è parso di notare moderazione e rispetto per le coscienze e m’è sembrato ancora che i cristiani militanti nella politica attiva abbiano finalmente un ruolo estremamente positivo, mentre immediatamente dopo la dissoluzione del partito dei cattolici pareva che non si potesse sperare quello che è poi avvenuto.

I problemi che sono sul tavolo sono enormi e di ogni genere però, a mio modesto giudizio, sembra che anche grazie a questa presenza di cristiani nei principali schieramenti, sia possibile votare l’uno o l’altro partito senza mettere in difficoltà la propria coscienza e senza tradire i propri convincimenti di carattere morale e religioso.

Io non ho per nulla la presunzione di poter valutare cose di così grande rilevanza, però confesso che ho sentito un respiro di libertà per me e anche per chi pensa diversamente da me.

Positivo accordo

Proprio in quest’ultimo tempo, grazie alla mediazione del dottor Blascovich, che è uno dei responsabili della “messaggeria” che distribuisce “L’Incontro” alla sessantina di postazioni presso le quali, fin dai primi giorni della settimana, è reperibile regolarmente il nostro periodico, si è giunti ad un concordato fra la redazione di “Comunità e Servizio”, che è la testata della rivista della parrocchia di San Giuseppe di viale San Marco e quella nostra. Il patto sancisce che “Comunità e Servizio” sarà esposto in una delle chiese del cimitero e “L’Incontro” sarà esposto nell’ultima chiesa di viale San Marco, che ha come santo protettore San Giuseppe.

Non nascondo che questo accordo mi ha fatto molto piacere perché dovrebbe sempre potersi trovare un punto di incontro anche se ci fossero stili ed indirizzi diversi, piuttosto che chiudere la porta al confronto, che è sempre un fatto positivo ed arricchente per tutti.

Questa volta la cosa è stata certamente possibile perché il parroco di San Giuseppe è una persona intelligente ed aperta al dialogo, ma soprattutto perché quella comunità esprime un “foglio parrocchiale” che ha un suo stile, una linea redazionale e dei contenuti, mentre questi accordi non si realizzano mai quando ci sono parrocchie con “bollettini” pressoché insignificanti, perché poveri di contenuti e malandati nella loro strutturazione. In questi ultimi casi è più che evidente che i relativi responsabili non riescono a sopportare “la concorrenza”.

Le due “riviste”, “Comunità e Servizio” e “L’Incontro” hanno poi in comune la rubrica “Il diario”: il primo di un giovane parroco zelante e pio, con uno stile affabile e conciliante, il secondo che porta il riflesso di un vecchio prete, quale io sono, angoloso, critico e particolarmente sensibile alle problematiche sociali e al confronto religioso.

Sono convinto che sia ai parrocchiani della parrocchia di San Giuseppe che ai fedeli del cimitero farà certamente bene cogliere la vita spirituale vista sia da destra che da sinistra, anche se questi termini sono assolutamente impropri. Il confronto farà bene perché chi vive la religiosità nell’intimo della sua coscienza avrà giovamento nello scoprire l’altro lato della medaglia e a chi è abituato a cogliere l’aspetto orizzontale della sua fede, farà bene cogliere anche quello verticale.

A parte il fatto che in tutti gli ambiti in cui vivono cristiani ci sono persone che per natura o per scelta prediligono una o l’altra chiave di lettura della religione, è cosa buona che ognuno possa conoscere e valutare il pensiero di chi non condivide il suo modo di ragionare, infatti il poter cogliere l’altro lato della medaglia, ossia di chi la pensa diversamente è sempre positivo ed arricchente!

Battuto sul tempo!

Sfogliando l’ultimo mio volume “Tempi supplementari”, una delle tante critiche che gli faccio, io che ne sono l’autore, è che risulta assai ripetitivo negli argomenti trattati. Tento di giustificare questo difetto tanto evidente.

Primo: io sono un povero diavolo con tanti limiti. Secondo: ogni individuo non può avere dentro di sé una enciclopedia con tutto lo scibile umano o un archivio con un progetto per tutto. Io ho a cuore certi argomenti e coltivo alcuni progetti: uno, e forse il principale, è quello di offrire risposte adeguate al “povero” che incontro, come “il buon samaritano” mezzo morto per strada. Terzo: sono infine della scuola di Papa Giovanni XXIII che affermava a cuore un problema, deve parlarne da mane a sera a chi incontra per qualsiasi motivo.

Allora, pensando alle nuove povertà, torno su uno degli argomenti di cui ho parlato già molte volte. Ho letto che i mariti di mezza età che divorziano finiscono in un gravissimo disagio di ordine sociale ed economico perché il giudice normalmente decide di lasciare l’uso della casa alla moglie, le affida i figli e le destina una parte rilevante dello stipendio del marito. Quindi quel povero gramo spesso finisce per non avere più una famiglia, una casa e spesso di non poter neppure vedere i figli perché non riesce più a dimostrare al giudice di avere un luogo adeguato per ospitarli.

Questa mattina la Veritas mi ha chiesto di celebrare “un funerale di povertà” per un residente all’asilo dei senzatetto di via Santa Maria dei Battuti. Prima del funerale ebbi modo di sapere, da chi conosceva bene il defunto, che egli era un brav’uomo. Il divorzio lo privò del figlio, perché la moglie lo mise contro il padre, e della casa, assegnata alla stessa.

Quest’uomo, che era stato un buon agente di commercio, si ridusse a dover andare a dormire all’asilo notturno, dove si comportò tanto bene e si fece così ben volere da tutti che, meraviglia delle meraviglie, gli inquilini e i dirigenti della stessa struttura gli permisero di morire tra i suoi nuovi compagni di sventura e molti di loro parteciparono al suo funerale.

Proprio l’altro ieri avevo buttato giù un progetto di massima per costruire, presso il “villaggio solidale degli Arzeroni”, una quindicina di appartamenti per divorziati che vengono a trovarsi nella situazione di questo malcapitato. Purtroppo nostro Signore mi ha battuto sul tempo, assegnando a questo fratello una dimora eterna nei cieli.

Non desisto però dall’impresa benefica perché chissà quanti altri si trovano nelle stesse condizioni del concittadino che ho accompagnato alla “Casa del Padre”! Spero quindi che i miei concittadini non mi lascino mancare i mezzi per farlo.

Tardi, ma in tempo

Ormai sono giunto alle ultime pagine del volume di Andrea Tornelli: “Carlo Maria Martini, il profeta del dialogo”. Confesso che ho scoperto, con enorme piacere e nello stesso tempo con altrettanta amarezza, di non aver conosciuto il cardinale di Milano, questo grande testimone cristiano del nostro tempo, mentre era ancor vivo.

Già scrissi, più di una volta, del sussulto di sorpresa quando ho letto dai giornali alcune espressioni che mi sarei aspettato di cogliere dalle labbra di un prete contestatore o della teologia della liberazione, piuttosto che da un cardinale di Santa Romana Chiesa quale fu il cardinale Martini. Personalità di primo piano nel campo della biblica e vescovo della più numerosa ed importante diocesi d’Europa, scrisse frasi come questa: “La Chiesa è in ritardo sulla società civile almeno di 200 anni”, oppure “Ci sono prelati e vescovi che per motivi di carriera si defilano, non prendono posizione”, o ancora “Solamente nel rispetto della libertà delle coscienze crescono cristiani veri”, o perfino “Il dialogo e il confronto con i non credenti è assolutamente necessario per purificare e rinsaldare la nostra fede”.

Dapprima ebbi il sospetto che queste frasi fossero state estrapolate dal contesto del suo pensiero da parte dei laicisti. Ora però, che ho letto fino in fondo il volume di cui parlavo, che riporta il suo pensiero, piuttosto che la sua vita, sono ben conscio dell’onestà intellettuale, della schiettezza, seppur delicata e rispettosa, di Martini, che seppe prendere posizioni ben decise su problematiche che, a parer suo, hanno bisogno ancora di studio, di riflessione, di rielaborazione. Il cardinal Martini ha sempre detto, magari sommessamente, la sua, sui problemi della fede, della morale, dell’economia, del dialogo interreligioso e dell’attuale cultura.

M’è venuta voglia di scorrere l’indice del volume per riscoprire come egli abbia guardato in faccia tutti i problemi del nostro mondo e della nostra Chiesa, senza mai dimostrarsi un cattedratico onnisciente, ma manifestando con onestà i suoi dubbi, le sue perplessità, i suoi distinguo e perfino le sue non condivisioni del pensiero dominante.

Voi, miei amici, non potete immaginare quanto mi abbia fatto bene, mi abbia donato una sensazione di liberazione e di conforto, venire a sapere che per i miei dubbi, i miei rifiuti e le mie perplessità potevo finalmente non sentirmi un ribelle, un apostata, ma solamente uno che vive la condizione esistenziale da persona onesta.

Il cardinal Martini l’ho conosciuto tardi, ma fortunatamente non troppo.

Forse non ho sbagliato

Qualcuno, di cui non m’è dato sapere il nome, m’ha fatto avere una pagina di “Panorama” così simpatica ed interessante, almeno per me, che mi prendo la libertà di pubblicarla, così come sta, ne “L’incontro” del aprile 2013. Prima le caricature e poi il titolo dell’articolo che le accompagna, mi hanno quanto mai incuriosito ed ora dico il perché!

Il foglio della rivista riporta i volti di una decina di personaggi noti, con il cappellone e il fazzoletto tipici degli scout e l’articolo enumera una serie di altri personaggi assai noti nella categoria di quelli “che contano” nel panorama del nostro Paese.

Vengo al motivo del mio interesse particolare per questo discorso. Io sono diventato assistente degli scout fin dal 1954, quando allora ero prete di primo pelo, del gruppo 32° dell’Asci nella parrocchia dei Gesuiti a Venezia. Mi è parso subito di capire che il metodo scout era valido, aveva presa nel mondo giovanile e perciò rappresentava, a livello pastorale, un ottimo strumento da usare.

Quando fui trasferito a Mestre, mi accorsi che della “folata” di scoutismo ch’era sbocciata anche a Mestre con la liberazione, era rimasta ben poca cosa: due squadriglie a San Lorenzo, altrettante in via Piave e poco di più a Carpenedo. Sarà forse un altro peccato autoreferenziale di cui spesso mi si accusa, però col mio arrivo e soprattutto con la collaborazione dell’attuale novantenne Nino Brunello, che allora era giovane sposo con due bambini piccoli, abbiamo fatto esplodere la primavera scout.

Per fare un esempio, quando lasciai San Lorenzo nel 1971, in parrocchia si contavano tre reparti, tre branchi, un noviziato e due clan di maschi ed altrettanti di ragazze. Tentammo poi di seminare, talvolta con positivo risultato, lo scoutismo in molte altre parrocchie di Mestre con monsignor Giuliano Bertoli, allora assistente provinciale, del quale sono divenuto ben presto vice assistente. Fui tra i pochi preti che si lasciarono coinvolgere in questa avventura, tra il sospetto e l’indifferenza dei “colleghi”. Quando sono uscito, nel 2005, dalla parrocchia di Carpenedo, essa contava su più di 200 ragazzi scout.

Ora vengo ad apprendere che la “seminagione” dei preti che hanno creduto in questo movimento, sta raccogliendo risultati eccellenti. Almeno da quanto pubblica “Panorama” gli scout “riusciti a livello nazionale” sono sparsi su tutto l’arco politico e questo mi fa felice perché i pochi assistenti scout non hanno tentato di far crescere “sagrestani”, ma uomini che scelgono di servire.

Da quei pochi che ho riconosciuto, tra quelli segnalati dalla rivista: Renzi, Giletti, Pisapia, Passera, Ambrosoli, La Russa, ecc., credo che tutto sommato siano rimasti fedeli all’ideale del servizio al prossimo. Questo non è proprio poco!

La fortuna de “I tempi supplementari”

L’arrivo della raccolta del “Diario di un vecchio prete, anno 2012” sta destando nel mio animo una folla di sensazioni tanto diverse e spesso sorprendenti. La più forte e la più immediata di fronte al volume estremamente “pesante” – sia per la carta adoperata dal tipografo che perché conta ben 396 pagine – è quella di constatare quanto sia stata mai ardita e forse azzardata la decisione di scrivere tanto e su tanti argomenti, nonostante la consapevolezza dei miei limiti culturali ed anagrafici. Le imprese ardite si addicono ai giovani piuttosto che ai vecchi come me.

La sensazione seguente è stata poi quella di pensare: “Chi vuoi mai che abbia voglia di leggere un malloppo non solo “pesante” a livello di bilancia, ma ben più a livello di stile e di contenuti?” Sono ancora sufficientemente lucido per rendermi conto della ripetitività dei discorsi, del fatto che gli argomenti spesso trattano temi marginali alla vita di oggi e che, al più, riguardano il mondo paraecclesiastico. E poi capisco che la prosa è poco brillante e piuttosto aggrovigliata, nonostante la “mia maestra” Laura Novello, inserendo i testi in computer, sudi sette camicie per rispettare la sintassi, la grammatica e dipanare certi discorsi troppo contorti.

Nonostante tutto questo, mi accorgo con estrema sorpresa che il volume “tira bene”: in quindici giorni sono state “acquistate” quasi trecento copie delle cinquecento stampate. Mi vien da pensare che la foto di copertina, con quella “nuvola” di capelli bianco-latte e il titolo sportivo “Tempi supplementari”, abbia finito per destare la curiosità dei mestrini.

Ora poi che “La nuova” ha avuto l’amabilità di dedicarmi un’intera pagina di critica, mettendo in luce soprattutto gli spigoli più acuti del mio carattere e delle mie prese di posizione e quel pizzico in più di libertà che normalmente mi permetto sul diffuso disinteresse, sull’appiattimento e sulla rassegnazione dell’opinione pubblica del clero veneziano, credo che ben presto i volumi saranno esauriti. I miei concittadini però, e soprattutto i miei superiori, possono andar tranquilli perché non corrono il pericolo di una ristampa, se non altro per il costo!